biografia(01) (1928-1952)

Federico Bellomi nasce il 13 marzo 1928 a Colognola ai Colli (Verona) da Maria Piccinato e da Angelo Bellomi. Il padre muore in un incidente stradale (all'uscita dal suo primo giorno di lavoro in ferrovia, il 17 dicembre 1928, viene travolto da un camion mentre sta percorrendo in bicicletta la circonvallazione dietro al cimitero monumentale di Verona per ritornare a casa) quando Federico non ha ancora un anno di vita. Seguono anni difficili e Federico è ospite di varie famiglie e poi di vari collegi cittadini fino all'età di 15 anni, quando finalmente può tornare a casa dalla madre che, nel frattempo, si è sposata in seconde nozze con Angelo Rodighiero.

Forse questa è le prima foto di Federico che si conosca:

Risale al periodo della scuola elementare (1934-1940 circa)

Invece le foto seguenti sono della madre, Maria Piccinato, la cui fisionomia particolarissima sarà oggetto di innumerevoli disegni negli anni seguenti.

Forse anche la seguente è una foto di Federico:

Altra foto certamente di Federico:

La seguente è scattata intorno al 1942, all'età di 14 anni circa.

Al collegio civico Barbarani di Verona, che all'epoca si trovava in via Bertoni e il cui edifico, di recente restaurato, ospita oggi una scuola superiore,

Innumerevoli volte Federico Bellomi (mi) ha raccontato della durezza della vita del Collegio (il Civico Collegio Barbarani di Verona). Delle rare visite della madre alla domenica. Quando la madre non arrivava, dopo averla aspettata tutto un pomeriggio, Federico si faceva prestare qualcosa (una mela, delle caramelle, un pezzo di "bole") dai suoi compagni che avevano invece ricevuto questi regali. E poi tornava su per le scale tenendo queste cose bene in vista, come dire: "anch'io ho ricevuto una visita e dei regali".Prima del collegio era stato affidato alle cure di alcune famiglie della zona di Colognola e paesi limitrofi, mentre la madre lavorava come cuoca in casa del Ministro De Stefani(1). E' così che salta completamente la frequenza alle classi prima e seconda elementare per andare a pascolare le oche o svolgere altri lavori da contadino.

Arrivato in città a Verona, viene ammesso direttamente, data l'età, alla classe terza elementare delle scuole Segala, in fianco alla chiesa di San Nicolò all'arena. Com'era inevitabile, viene bocciato.

Fuori dalla scuola Segala, tutti i giorni c'era un venditore ambulante di "bole" (= castagnaccio o dolce fatto con la farina di castagne) che, per 10 centesimi, vendeva il pezzo "standard" più "il pezzettino", che dava l'illusione a chi comprava di godere di una sorta di bonus in omaggio.

Un'altra cosa che Federico detesterà per tutta la vita sono le ideologie totalitarie e le loro ridicole parate ginniche. L'odio comincia ai cosiddetti "sabati fascisti" nei quali, in fondo a corso Porta Nuova (dove oggi sorge la Borsa) si radunavano i balilla e le piccole italiane per l'indottrinamento politico e la ginnastica ("mens sana in corpore sano" era il motto alla moda).

Federico spesso mi ha raccontato che in uno di questi sabati fascisti, obbligato a stare in fila e immobile sotto il sole, si era ritrovato poco lontano da un suo compagno di collegio: un certo Bulgari, noto per essere un petomane e un contestatore dai capelli rossi, pieno di lentiggini.

Bulgari chiede il permesso di andare al gabinetto durante gli esercizi (si provavano le coreografie per una imminente visita di Mussolini alla città), l'istruttore nega il permesso allo sfortunato Bulgari e raddoppia gli esercizi fisici per tutti.

Poco dopo qualcosa di melmoso e maleodorante scende lungo la gamba di Bulgari. Quando l'istruttore se ne accorge gli ordina con un filo di voce: "vai via! schifoso!".

Anche al collegio Civico Barbarani succede che ci siano delle flebili forme di contestazione delle forme più idiote della cultura fascista.

Durante le ore di ginnastica, quando non si poteva uscire, gli alunni venivano fatti marciare militarmente nei lunghissimi corridoi. E' durante una di queste marce che la classe di Federico comincia spontaneamente a segnare il "passo" della marcia (uno, due, tre, quattro, pas-so, ecc.) con una violenza sempre maggiore. Prima trema il pavimento, poi i muri (con l'insegnante di ginnastica in estasi per il segno di questo entusiatico vigore giovanile) infine, si stacca dal soffitto del piano di sotto, e precipita sul pavimento, un grande pezzo di intonaco. A quel punto arriva il preside e sospende la lezione di ginnastica per la felicità di tutti gli studenti.

A 15 anni Federico ritorna a casa dalla Madre. Educato in città, il primo incontro con la vita familiare è uno shock: deve andare subito a recuperare il padrino, ubriaco fradicio e pieno di vomito, in un fosso poco lontano da casa.

le punizioni erano all'ordine del giorno, Una delle più crudeli e spettacolari era rimanere inginocchiati su di un inginocchiatoio con alcuni grani di polenta sotto le ginocchia e le braccia aperte: in ciascuna delle due mani un calamaio, senza tappo, pieno di inchiostro.

Ma la punizione della quale Federico non si dimenticherà mai per tutta la sua vita arriva nei fine settimana.

Durante la settimana, anche vendendo qualche disegno ai compagni, Federico racimolava quei pochi centesimi che bastavano per poter andare al cinema. Ma, se si era in punizione per qualche motivo, e Federico lo era spesso a sentire i suoi racconti, il cinema era sostituito con la partita di calcio: era di fatto obbligato ad andare a vedere la partita di calcio allo stadio. Per tutta la vita Federico detesterà lo sport del calcio e considererà i tifosi dei veri imbecilli.

Nel frattempo Federico si era già fatto notare per il suo straordinario talento per il disegno e la pittura.

Un esempio è la seguente immagine. Riproduce (in bianco e nero) un piccolo quadro a olio dipinto all'epoca in cui frequentava la quinta elementare (10 anni circa), nel 1938-39 circa.

Il secondo ricordo mi è stato raccontato da Federico stesso.

Alla scuola elementare di Colognola au Colli (che Federico frequentò per un certo periodo) aveva come insegnante la amatissima maestra Sartori. Un giorno la maestra spiega le regole della prospettiva e poi, chiama fuori alla lavagna Federico per fare il disegno dimostrativo.

Federico sapeva disegnare in prospettiva ma in modo intuitivo. Mentre la maestra Sartori, che si era accorta del talento di Federico per il disegno, non era molto abile nel dare la dimostrazione pratica delle regole che aveva appena spiegato.

(foto, recto e verso, di Federico appena uscito dal collegio)

Sul retro del quadro Federico ha annotato a matita "1941 Federico Bellomi - Storie di vita veneziana del cinquecento".

La postdadazione al 1941 mi è stata a suo tempo giustificata con l'esigenza di partecipare a un concorso di pittura per il quale occorreva tale modifica.

Del periodo della prima infanzia ci sono due episodi. Il primo mi è stato raccontato da Maria Piccinato, mia nonna paterna.

Un giorno Federico bambino è seduto sul tram, in città, a fianco di sua madre. Di fronte cono sedute due suore "cappellone" come venivano allora chiamate le suore della Congregazione delle Figlie della Carità i San Vincenzo de' Paoli (le cosiddette "suore francesi") che una volta portavano il grande cappello con falde simili ad ali e lavoravano negli ospedali. Federico è un bambino tranquillo, rispettoso ed educato. Ad un certo punto, nel silenzio generale e senza nessun preavviso, chiede ad alta voce a sua madre: "Mamma, che cosa vuol dire puttana?" Provocando non poco imbarazzo a sua madre (mia nonna).

Federico (in primo piano) con gli amici di Colognola ai Colli:

Dal 1943, quando Federico torna a casa a Colognola ai Colli, i ricordi si moltiplicano.

Uno di essi riguarda il viaggio che egli compiva con un trenino fino a Caldiero, per andare a scuola. Spesso, quando si sentiva il rumore di un aereo avvicinarsi, il trenino si fermava e tutti correvano a nascondersi nei fossi ai lati della strada. In alcuni casi il trenino fu mitragliato da qualche aereo tedesco in ricognizione.

Altri ricordi sono quelli legati alla povertà estrema della sua famiglia; una povertà aumentata dalla abitudine del patrigno di andare a prendersi, poco a poco, dal pacco delle banconote, frutto della vendita dei terreni annessi alla casa di via Piave 2, le banconote da 100 lire per sostituirle con una banconota da 10 lire. Il pacco delle banconote non cambiava di volume complessivo ma il valore diminuiva inesorabilmente. La differenza finiva in sbornie e spese al bar. Quando mia nonna si accorse del giochetto era oramai troppo tardi.

Una delle conseguenze di questa estrema povertà fu la fame cronica, la mancanza di molti beni primari, la necessità di risparmiare su tutto.

Quando Federico tornava a casa e trovava qualche fetta di polenta sul camino (la cena del patrigno) le rifilava con il coltello, rendendole solo "leggermente" più piccole. Il patrigno, all'ora di cena, commentava: "Ghe dev'essar un ratin..." ("Ci deve essere un topolino [che mi mangia la polenta]).

foto della madre e del patrigno (Angelo Rodighiero) con ai piedi la cagnetta Cuccoli:

Un giorno Federico ha un incidente in bicicletta: cade e va a sbattere la fronte su di una pietra miliare posta a lato della strada. Si romperà anche il setto nasale (il suo naso dondolerà per tutta la vita come quello di un pugile: sport che lui detestava come il calcio) e rimarrà una settimana in ospedale.

Durante questa settimana di assenza, la sua cagnetta, chiamata Cuccoli, andrà a sedersi sotto una sedia e rifiuterà il cibo fino al suo ritorno.

La stessa cagnetta è protagonista di un altro episodio che Federico stesso ha raccontato nei suoi scritti: sia la cagnetta che la gatta partoriscono dei cuccioli. Quelli della gatta vengono soppressi da qualche contadino del posto (la credenza locale era che i gatti nati prima della festa dell'ascensione non potessero diventare dei bravi acchiappa-topi, quindi venivano soppressi subito).

La Cuccoli allatta i suoi cagnolini in una cesta; la gatta si avvicina, con le mammelle gonfie e doloranti e rimane ferma, in attesa, poco lontano. Dopo un po' la Cuccoli esce dalla cesta e si allontana un poco. Allora la gatta entra nella cesta e continua ad allattare i cagnolini, osservata dalla loro madre.

La cosa andrà avanti così per tutto il periodo dell'allattamento con la più grande naturalezza e solidarietà.

Federico commentava spesso questo episodio con le parole: "Dovremmo imparare dagli animali, spesso sono migliori degli uomini".

La cagnetta Cuccoli è ritratta in questo dipinto di Federico; la prima figura di profilo sulla destra è il ritratto della madre (Maria Piccinato) e la ragazza che gli è vicina è il ritratto di Gabriella Modenese. All'epoca non si erano ancora sposati. Non ho mai visto di persona e non so dove si trovi questo dipinto. Quasi certamente si trova sul muro di una casa privata. Il retro dei questa foto è riprodotto più sotto.

NB (del 10 marzo 2013) il dipinto si trovava in quella che un tempo era Villa Nava a Colognola ai Colli. Quando la villa fu venduta ad un nuovo proprietario il nuovo proprietario pensò bene di distruggere l'affresco e di sostituirlo con una bella parete bianca, immagine perfetta del suo Q.I.

Non mancano anche gli episodi curiosi della vita familiare.

Mia nonna amava i gatti e per tutta la sua vita la sua casa e il suo giardino hanno ospitato intere generazioni di questi animali. Un giorno Federico è seduto sulla porta di casa, vicino a lui un piccolo gatto dorme tranquillo. Ad un certo punto Federico decide di uscire e lo fa spiccando un salto in direzione della corte. Il piccolo gatto si sveglia di soprassalto e, terrorizzato, schizza a sua volta ma nella direzione sbagliata, finendo esattamente sotto la scarpa di Federico. Una fine ingloriosa per un gatto, che mio padre raccontava sempre con un misto di dispiacere e di umorismo.

Negli ultimi mesi di vita, mio padre Federico ritornava volentieri col pensiero a quegli anni, mettendo come tra parentesi tutto quello che era venuto dopo e raccontandomi molte cose che io non sapevo o che avevo dimenticato.

Un giorno, dopo aver fatto l'elemosina a uno dei tanti questuanti che stazionano tutte le domeniche fuori dalla chiesa di San Nicolò all'Arena di Verona, mi ha spiegato: "Lo so che forse la mia elemosina non servirà a molto però io la faccio lo stesso (NB. il Comune di Verona aveva già approvato un provvedimento che prevede sanzioni pecuniarie a chi fa l'elemosina per le strade della città ai questuanti) perché nel periodo più buio della mia infanzia so che mia madre è stata costretta a chiedere la carità."

Un'altra limitazione che irritava molto Federico era l'abitudine della madre di obbligarlo a spegnere la candela alla sera, impedendogli di fatto di leggere o di disegnare: perché la candela si consumava e costava.

Federico leggeva, di nascosto, anche la bibbia, considerato dalla madre un libro scandaloso e non adatto ai giovani cristiani (forse per la presenza del Cantico dei Cantici). Del resto questa era la mentalità bigotta dell'epoca. La madre minacciava di andare a riferire al parroco del paese di questa lettura scandalosa e trasgressiva di Federico. All'epoca le letture considerate "adatte" ai giovani credenti erano quelle "edificanti" per le quali il modello "sublime" da seguire era San Luigi Gonzaga con i suoi gigli profumati, simbolo della verginità. Federico detesterà sempre i gigli e il loro significato simbolico e considererà sempre il modello di Luigi Gonzaga per lo meno sessualmente ambiguo ed indeterminato.

Particolare della Cuccoli

retro della foto:

Quando, anni dopo, Federico tornerà a casa una notte, dopo essere stato quasi tre anni in Francia a fare il minatore nelle miniere di carbone di Saint-Etienne, la cagnetta Cuccoli lo sentirà arrivare e continuerà ad abbaiare nel garage per tutta la notte. Federico, distrutto dalla stanchezza, non andrà a salutarla a andrà immediatamente a dormire.

In seguito, per settimane, la cagnetta ignorerà qualsiasi tentativo di Federico di ripristinare il rapporto. La cagnetta mostrerà quasi di non riconoscerlo.

Federico non si liberò mai del dispiacere di essersi comportato così male nei confronti di questo animale così intelligente e sensibile.

Federico mi ha raccontato che uno dei suoi dispiaceri maggiori, nei confronti degli animali, fu quando fu spinto, da un ragazzo suo coetaneo, da un a tirare con una fionda verso un cipresso,

Quando si rese conto di aver distrutto così un nido e aver ucciso una intera nidiata, ne ebbe una una umiliazione ed un dolore fortissimo. Federico detesterà sempre, per tutta la vita, la caccia e i cacciatori. Anni dopo (intorno al 1966) il suo amico Umberto Grancelli, che pure era nemico della caccia, gli raccontava di essere stato costretto, dal suo ruolo di Presidente della Provincia di Verona, a firmare i permessi di caccia per i cacciatori, pur detestandoli. "Io gli sparerei nel culo ai cacciatori" diceva Grancelli mentre passavano da via Antonio Tirabosco ( l"uccellatore" veronese autore di tre libri sull'argomento) dove Grancelli aveva avuto per qualche tempo il suo ufficio.

Foto di Umberto Grancelli e Federico Bellomi nel 1966.

Gli anni della seconda guerra mondiale sono anni fondamentali nella formazione umana di Federico. Moltissimi episodi o situazioni o persone delle quali egli amava raccontare risalgono a quel periodo.

All'epoca Federico aveva 16-17 anni e nel piccolo paese si faceva notare anche per l'abitudine di portare i capelli molto lunghi, tenuti assieme da una retina.

Niente a che fare con le mode beat (che comunque saranno cronologicamente successive e delle quali non si sapeva nulla in Italia). La causa di questa capigliatura era un autoritratto di Velasquez che Federico aveva visto in una riproduzione passatagli dalla famiglia Cazzola. Un famiglia di medici che passerà a Federico molte riviste con riproduzioni di opere d'arte antiche e con tavole di anatomia.

A Colognola ai Colli, durante la guerra, c'erano due comandi tedeschi. Il comando della Whermacht si era installato a Villa Fano. In un'altra villa c'era il comando delle SS. Poco lontano, a San Zeno di Colognola, in un'altra villa requisita, c'era il comando della aviazione tedesca: la Luftwaffe.

Un giorno Federico fa una ragazzata: decide di andare ad unirsi al gruppo di partigiani di Marozin (che Federico chiamerà sempre Morosin nei suoi racconti dell'episodio). Si arrampica sulle montagne e, da solo, raggiunge finalmente il loro nascondiglio.

I partigiani e Marozin in particolare lo trattano malissimo e lo rispediscono a casa quasi a calci nel sedere, Guai a lui se si fosse sognato di mettere ancora in pericolo la sua vita, quella della sua famiglia e i partigiani stessi tornando. I partigiani non sapevano che farsene di un ragazzotto che, essendo cresciuto in città, non conosceva i posti e che oltretutto non passava certo inosservato con la sua capigliatura alla Velasquez, la sua retina, e i suoi modi da artista. Per Federico fu una lezione cocente: non parlerà mai più con eccessivo entusiasmo dei partigiani per tutta la vita. (Viceversa racconterà spesso di come quattro soli soldati tedeschi fecero saltare tutti i ponti di Verona prima della ritirata - la sorella di sua madre li vide al lavoro dalla sua finestra - senza che nessun partigiano osasse intervenire).

Comunque l'episodio non passò inosservato agli occhi di un paio di prostitute che, nel paese, elargivano le loro prestazioni indifferentemente a soldati e ufficiali tedeschi o italiani.

Qualche giorno dopo due soldati tedeschi vennero a prendere Federico e lo portarono in una legnaia nel bosco di una delle ville che ci sono per salire al monte di Colognola. Qui lo picchiarono di santa ragione (Federico mi racconterà di essere solo riuscito a dare un forte calcio nelle palle a uno dei due).

Finito il pestaggio Federico viene rapato a zero, tranne che per un lungo ciuffo al centro del cranio e, tenuto per questo ciuffo, viene portato in giro per il paese. Sotto gli occhi di tutti, anche delle spie che avevano passato la notizia.

Non tutti i mali vengono per nuocere e, in questo caso, una conseguenza positiva fu che Federico fu cooptato come pittore per dipingere la segnaletica stradale della Luftwaffe: dei triangoli contenenti un diavoletto nero con la forca, alcuni dei quali devono essere ancora da qualche parte nella cantina di Colognola.

Lavorando per loro Federico conosce un soldato, un certo Piss. Un ragazzo di origine polacche ha la passione per l'arte e che la guerra ha sbattuto al fronte.

Nasce una amicizia che si concretizza in uno scambio: Piss verrà a casa di Federico a prendere lezioni di disegno e in cambio Federico riceverà alcuni oggetti utili.

Piss è una persona dolce e sensibile spesso va nelle ore libere a casa di Federico ma quando sente passare gli aerei americani, che vanno probabilmente a bombardare da qualche altra parte, ha degli attacchi di panico così violenti da diventare incontinente.

Alla fine della guerra Piss si ritirerà e non se ne saprà più nulla. Rimangono alcuni oggetti militari (un telemetro, un cannocchiale da mitraglia, ecc.) da qualche parte a Colognola.

Durante la guerra Federico si trova anche ad avere, fortunatamente, il suo primo lavoro vero: garzone di fornaio. Il suo compito è quello di portare il pane alle varie famiglie del paese a anche ai comandi tedeschi. Grazie a questo fortunato lavoro, che gli consente anche di attenuare la fame cronica, conoscerà diverse persone e fatti che altri non sapevano.

Uno di quelli che ha raccontato di più è quello che riguarda la singolare vicenda dell'ebreo Fano: il proprietario dell'omonima villa

vedi al seguente link una breve storia della villa:

http://www.comune.villa-bartolomea.vr.it/opencms/cmsinternaente.act?dir=/opencms/opencms/VREST/ColognolaAiColli/Vivere/Andar_per_Colognola/Villa_Fano.html

Nella villa si era installato il comando locale della Whermacht, ma l'ebreo Fano, che tutti credevano fuggito all'estero, era in realtà nascosto nella soffitta della villa. Il domestico di villa Fano pensava a preparare il cibo per il suo padrone ed è attraverso le quantità anomale di pane che Federico forniva a questo domestico che la verità emerge.

Il signor Fano parlava correntemente anche il tedesco. Questo gli permise, mentre si nascondeva, di uscire, vestendosi da ufficiale tedesco (procurata dal solito domestico), di fermare sulla provinciale le camionette tedesche e di farsi portare in città o da altre parti. Poi rientrava e tornava nel suo nascondiglio. La cosa gli riusciva così bene che, alla fine della guerra, quando i partigiani catturarono i pochi fascisti e tedeschi rimasti, l'ebreo Fano uscì fuori dal suo nascondiglio, per la prima volta, senza travestirsi.

Quando i soldati tedeschi lo videro scattarono sull'attenti, riconoscendo in lui l'ufficiale tedesco che avevano visto molte volte in giro.

Furono necessarie delle spiegazioni.

Un'altra persona che Federico incontrò e frequentò fu il maestro Luigi Rocca(2) uno dei fondatori del Liceo Musicale di Verona.

Vedi un suo ritratto al link: http://www.larena.it/stories/Cultura%20&%20Spettacoli/139001__perduta_la_lapide_dei_fondatori_al_conservatorio/

Il maestro Rocca darà a Federico alcune lezioni di pianoforte (conservo ancora a Colognola i libri che il M° Rocca aveva dato a Federico per lo studio) a amerà molto passeggiare per le stradine del paese parlando di musica e di arte con un Federico desideroso di sapere e di imparare.

Questo musicista, persona amabile e di grande simpatia, aveva anche dei tratti curiosi. Ad esempio si rifiutava di ascoltare la musica riprodotta alla radio o nel giradischi, perché era convinto che i suoni emessi da queste apparecchiature danneggiassero l'udito degli ascoltatori. Dopo ogni lezione di pianoforte impartita ad un allievo (che aveva pertanto messo le mani sulla tastiera del suo pianoforte) correva a ripulire e disinfettare la tastiera in modo vagamente maniacale. Aveva una vera passione per le parole "sconce" che usava sapientemente nella conversazione suscitando l'ilarità degli ascoltatori. Un giorno, passeggiando con Federico, nota sulla strada un escremento. Lo guarda intensamente chiedendo, serissimo: "Stronzo! Perchè mi guardi 'si fieramente? Non ho paura di te. Stronzo!". Sempre a proposito di escrementi si sapeva che il M° Rocca aveva la curiosa abitudine di avvolgere i suoi in curiosi cartocci di carta di giornale, che poi disseminava sul territorio. Le vecchiette di paese, sempre curiose, incappavano talvolta nell'amara sorpresa di scoprirne il contenuto, cosa che probabilmente procurava al Maestro una singolare forma di soddisfazione.

Sul suo pianoforte Luigi Rocca teneva un grande vaso decorato. Un giorno raccoglie, durante una delle sue lunghe passeggiate con Federico, un grande mazzo di fiori di campo che egli amava moltissimo. Arrivato a casa lo mette ne vaso e si volta subito per allontanarsi e ammirare il risultato. Il peso dei fiori fa cadere il vaso e si rompe uno dei due manici. A quel punto si infuria, getta i fiori e regala il vaso rotto a Federico.

E' il vaso che si vede in questa foto, dove Bianca, la prima modella di Federico, appoggia la mano.

E sempre rimasto nel salotto di casa o sul mio pianoforte con, dentro, un frammento del manico rotto, mai aggiustato.

(foto di Bianca, prima modella, recto e verso)

Altra foto della prima modella, Bianca, con la dedica sul retro.

Il fatto che Federico, nel 1948 (come si legge nella dedica) cioè a vent'anni, avesse una modella suscitava enorme scandalo nel paese e infiniti pettegolezzi.

Inevitabilmente venne convocato dal parroco e, nel colloquio sostenne che, come il prete aveva seguito la sua vocazione, anche nel suo caso si trattava di una vocazione: quella dell'arte. E per questa vocazione era necessaria una modella.

Federico, nei lunghi colloqui degli ultimi mesi ritornò a parlarmi di questo episodio, quasi pentendosi del tono aspro usato tanti anni prima per sostenere le sue convinzioni. Ma certamente ancora convintissimo di aver fatto la cosa giusta.

Alla fine della guerra la Madre di Federico perde anche gli ultimi residui di terreno attorno alla casa. I bottegai che durante la guerra gli hanno venduto a credito senza problemi, adesso pretendono il saldo immediato del debito. Sono soldi che lei non ha e quindi è costretta a cedere anche l'ultimo pezzo di campo dietro casa.

Foto ricordo della madre e del patrigno dopo 11 anni di matrimonio

Nel dopoguerra la situazione economica della famiglia non migliora. E' questo il periodo nel quale le frequentazione del pittore ed incisore Dante Broglio diventa più intensa. Federico fa parte del gruppo di allievi ai quali impartiva gratuitamente le sue lezioni. Il primo incontro avviene in questa via di Colognola, che Broglio sta dipingendo. Federico si ferma ad osservarlo a lungo e da questo nasce tutto.

Ulteriori informazioni sulla vita di questo grande incisore si possono trovare al seguente link:

http://www.larena.it/dossiers/Dossier/229/811/

Federico rimarrà sempre legato alla figura artistica e umana di questo grande incisore. Il suo vero primo grande maestro.

Quando Broglio morì Federico venne chiamato a realizzare la maschera mortuaria della quale tenne con se una copia.

Negli ultimi mesi di vita, mentre riordinavo nel suo studio, trovai un fagotto di stoffa in mezzo alle centinaia di pennelli e colori.

Chiesi a Federico che cos'era. Mi rispose - è la maschera mortuaria del mio maestro Dante Broglio: lasciala li in mezzo ai colori e ai pennelli, dove è giusto che rimanga.

Eccola:

A Colognola conosce anche un attore di teatro della compagnia di Ermete Zacconi: Berto Furani. Furani è il nome d'arte, il vero cognome è Tafuri. Furani è noto per aver recitato in un film del 1941 "Il Re d'Inghilterra non paga" del regista Giovacchino Forzano. Furani lavora come interprete per i tedeschi. Da Furani Federico prende le sue prime lezioni di francese e di dizione.

Ecco la sua foto con dedica a Federico.

Di Berto Furani rimangono anche tre lettere autografe, scritte tra aprile e maggio 1947. Da quello che si capisce il Furani cede a Federico un vocabolario di tedesco e una radio. Forse come acconti di un quadro che gli aveva commissionato. Il vocabolario viene venduto da Federico ad un amico e forse anche l'altoparlante della radio. Furani chiede con insistenza i soldi (badando bene che la compagnia presso la quale Furani svolgeva il compito di interprete non lo venga a sapere), ma da quel che si capisce, Federico non gli risponderà mai. La radio è forse quella della foto della camera di Federico del 1958, più sotto riportata.

Durante la guerra Federico prova anche ad inscriversi all'Accademia Cignaroli e riesce a frequentarla per poco più di un anno. Fra i suoi insegnati ci sono i pittori Antonio Nardi, Guido Trentini e lo scultore Egidio Girelli, autore del monumento bronzeo (3) che si trova nello slargo XIV Novembre attiguo a piazza Erbe e padre dello scultore Franco Girelli che Federico avrà come amico e assistente all'accademia Cignaroli quando sarà chiamato ad insegnare pittura.

Negli ultimi mesi di vita, quando passeggiavo con Federico per le vie vicine alla sua abitazione, capitava di passare sotto questa statua.

Lo scultore Egidio Girelli abitava in quelle due finestre dell'ultimo piano che si vedono nella casa gialla sulla sinistra, così che, tutte le mattine, poteva affacciarsi alla finestra e vedere la sua opera.Federico però non mancava mai, tutte le volte che passavamo sotto la statua nelle brevi passeggiate degli ultimi mesi di vita, di sottolineare anche gli aspetti critici dell'opera. Ad esempio il pesantissimo modellato delle pieghe della veste, il cui aspetto pesante e untuoso era dovuto, a suo dire, alla abitudine di Egidio Girelli di modellare in plastilina le sue opere.

La plastilina, a differenza della creta, conserva l'aspetto pesante e "untuoso" dato dalle sue componenti.

Federico detestava la plastilina come materiale e modellerà le sue opere sempre in creta.

La sede dell'accademia Cignaroli è in quegli anni, provvisoriamente, Castel San Pietro: fino a quando non verrà bombardata.

Questa è la foto di una compagna di studi dell'accademia (probabilmente Carolina Taddei) con lo sfondo di una delle finestre che, da Castel San San Pietro, si aprono sulla città.

Forse dello stesso periodo è la seguente foto di Federico

Certificato di frequenza all'accademia Cignaroli di Verona firmato dall'allora direttore Egidio Girelli:

Cartolina di Carolina Taddei, compagna di studi all'accademia:

Lettera di Carolina Taddei del 1943.

Si noti il clima angoscioso di quegli anni di guerra.

Foto di Carolina Taddei al lavoro, con dedica a Federico sul retro

Gli anni del dopoguerra sono molto difficili. Non c'è lavoro, Federico non riesce a conciliare le sue aspirazioni di artista con l'esigenza di sbarcare il lunario. Lo stesso Dante Broglio lo invitava ad andare all'estero a studiare e approfondire la sua formazione culturale e artistica. Una volte gli disse: "Io non ho più niente da insegnarti. Adesso devi andare da qualcun altro. Vai fuori dall'Italia, vai a Parigi, dove ci sono tutti i più grandi artisti."

Federico comincia a pensare alla Francia e a mettere a profitto le lezioni di francese che aveva ricevuto durante la guerra.

Alla fine si decide, emigra in Francia, come tanti altri italiani nello stesso periodo e andrà a fare, per quasi tre anni, (1949-1952) il minatore nelle miniere di carbone.

Quando, nell'ufficio emigrazione, gli chiesero dove voleva andare mostrandogli la carta geografica della Francia, lui mise il dito nella sede mineraria più vicina possibile a Parigi. Ma nei tre anni circa di lavoro in miniera non riuscirà mai ad andarci.

GLI ANNI DELLA MINIERA (autunno 1949 - fine 1952, cioè da 21 a 24 anni)

Il primo giorno che Federico scende con l'ascensore nel pozzo Couriot, a Saint-Etienne, sente un colpo sordo sul casco. Pensa ad uno scherzo, ma invece è un vecchio minatore che vuole fargli capire che deve chinare la testa in avanti se vuole evitare, con la nausea provocata dalla forte accelerazione e decelerazione dell'ascensore, di vomitare. Molti minatori sono italiani emigrati, molti altri sono nordafricani.

Nei primi giorni deve imparare i nomi francesi degli attrezzi, che non conosce. Il minatore che dovrebbe insegnarli, non gli spiega nulla e si infuria, insultandolo in mille modi. A questo punto interviene Ezio, un italiano di Treviso, che punta contro il nervoso addestratore il suo martello pneumatico ("marteau-piqueur") acceso armato di punta, e gli urla insulti e minacce ben più pesanti infarciti con una girandola di bestemmie. Se la punta del martello pneumatico partisse, non ci sarebbe scampo: essa si comporterebbe come un proiettile. Il francese ha paura e tace.

Prima si scendeva con l'ascensore lungo il pozzo. Arrivati in fondo partiva la galleria principale, dotata di rotaie e di vagoni per il trasporto del carbone trainati da un grande cavallo da tiro pesante del Belgio.

Da questa galleria principale partivano poi le diramazioni, più piccole, che risalivano lungo la direzione della vena carbonifera. Infine, de queste gallerie più piccole partivano i piccoli cunicoli (era impossibile starci in piedi) nei quali entrava il minatore con il suo martello pneumatico, il casco e la lampada, per scavare i suoi metri cubi giornalieri di carbone grezzo. Si era pagati a metri cubi scavati, che erano misurati a fine turno da un addetto.

Tutti i minatori erano vestiti solo di una cintura di cuoio. Federico si porterà solo il primo giorno dei pantaloni che si ridurranno a brandelli in meno di un'ora.

Ecco come Federico ricordava e disegnava nel 2008 un minatore al lavoro e si confronti con la fotografia a sinistra di un vero minatore al lavoro in una miniera di carbone americana dei nostri giorni. La memoria dei dettagli (quella che Federico chiamava "memoria a distanza") è impressionante.

Quando si spegne la lampada si resta al buio totale e si sentono centinaia di grilli bianchi camminare sul corpo. Sono innocui e ci si abitua. Ci sono anche i topi, per i quali bisogna inventare ingegnosi stratagemmi per evitare che si mangino il cibo che il minatore si è portato. Per mangiare non si torna in superficie a metà turno, si rimane giù.

Federico raccontava spesso le vicende degli anni di miniera. Era stata per lui una esperienza forte.

Una delle storie su cui tornava spesso negli ultimi mesi era quella del cavallo che tirava i vagoni nelle gallerie sotterranee.

Una volta portato giù, non tornava più in superficie, e diventava gradualmente cieco. La sua stalla era giù, nella galleria principale e quando sentiva avvicinarsi il suo stalliere nitriva e andava sempre con il muso verso le tasche della sua giacca, dove sapeva esserci sempre qualche zolletta di zucchero.

Questo cavallo, enorme e forte, aveva sempre delle croste sulla sommità del collo, perché spesso gli architravi in legno che sostenevano il soffitto della galleria, cedevano un poco sotto il peso della montagna (che si muoveva in continuazione proprio a causa del lavoro minerario) e si scheggiavano al centro. Il cavallo passando sotto a questi architravi che si erano abbassati e scheggiati al centro, si feriva.

Ad un certo punto si cominciarono ad usare degli architravi in ferro, non amati dai minatori perché cedono di colpo sotto il peso della montagna che frana. Gli architravi in legno invece, prima di cedere, scricchiolano, si piegano, si scheggiano, e danno spesso il tempo di mettersi in salvo.

Il grande cavallo del Belgio veniva portato in superficie solo per andare al macello e, spesso, i minatori piangevano quando lo salutavano per l'ultima volta.

Durante il lavoro tutti, europei e africani, diventavano completamente neri e, se illuminati dalle lampade si vedevano solo gli occhi dai riflessi giallastri. Federico si baserà su questa visione per dipingere le figure di alcuni dannati, nel suo ultimo grande lavoro: la tempera di caseina lattica nella chiesa di Lugagnano a Verona.

Invece la testa di profilo in primo piano in basso a destra è il ritratto dell'architetto Libero Cecchini, che è finito tra i dannati perché si è presentato a posare solo nelle ultimissime fasi del lavoro: cioè quando dipingeva la parte in basso a destra del lavoro. Non credo che gli dispiaccia la sua collocazione, anzi.

I due dannati dalla pelle nera e dagli occhi bianchissimi che si vedono alle spalle del nudo femminile sono stati dipinti, secondo quanto mi raccontava Federico, nel ricordo della visione sotterranea della miniera e dei minatori. "Essi - mi diceva - rendono esattamente quello che io vedevo quando ero giù a 800 metri di profondità".

I minatori dormivano in baracche, che erano state usate durante la guerra come campo di concentramento.

( nella foto: baracche della miniera di Saint-Etienne, recto e verso)

Federico raccontava che le baracche erano allineate su di una pendenza. La baracca superiore a quella degli italiani era quella occupata dai minatori arabi. Un giorno questi decidono d fare le pulizie e buttano fuori dalla finestra i loro materassi, le coperte, le loro povere cose. Gli italiani accorrono allarmati e decidono che per bloccare l'orda di cimici, pidocchi, pulci, ecc. che sta scendendo verso la baracca italiana non c'è altro che il fuoco. Raccolgono in fretta e furia il materiale infiammabile e creano una vera striscia di fuoco a metà fra le due baracche.

Uno di questi nordafricani, Blanchette, diventerà amico di Federico, gli insegnerà alcune parole in arabo (che Federico ricorderà e userà per tutta la vita) e lo inviterà a mangiare il cous-cous alla festa per la fine del ramadam.

Eccolo nella foto con Federico:

Nell'ex campo di concentramento c'erano ancora, ai quattro angoli, le torrette per le sentinelle; oramai non più utilizzate.

Arabi e italiani sono protagonisti di un singolare episodio. Tutto nasce dall'abitudine di dare ai minatori, per le loro stufe, del carbone molto scadente, pieno di impurità, che sprigiona gas che fanno venire forti mal di testa ai minatori nelle baracche.

Una mattina il gruppo di dirigenti che passa dal campo per andare negli uffici ha una strana sensazione di luminosità, di ariosità, ecc. Ci metteranno alcune ore prima di rendersi conto che, nella notte, le quattro torrette erano state fatte sparire perfettamente, senza lasciare nessuna traccia sul terreno, diventando prezioso legno combustibile per i minatori.

I blocchi di carbone fossile che il minatore rompe e sposta con il suo martello pneumatico spesso cadono addosso alle gambe e alle braccia: ci si ferisce in continuazione, anche se non gravemente. Molte volte Federico ci ha mostrato le macchie nere sulla pelle delle gambe dovute a piccoli frammenti di carbone che era rimasto da allora sotto la cute.

Negli anni '70 Federico tornerà con la moglie Gabriella, da vecchio pensionato, a visitare il pozzo Couriot a Saint Etienne, che nel frattempo è diventato un museo della miniera.

Vedi al sito: http://fr.wikipedia.org/wiki/Musée_de_la_mine_de_Saint-Étienne

Dipingerà allora un paio di quadri del pozzo, e si porterà a casa per ricordo un grosso pezzo di carbone fossile che terrà sempre in camera da letto.

Federico racconterà sempre della incredibile destrezza degli arabi nel prendere il cous-cous, fabbricare rapidamente una pallina nella mano, intingerla nella salsa e poi lanciarsela nella bocca. Lui non ci riusciva e gli arabi gli passavano le loro palline di cous-cous per gentilezza ma Federico era in difficoltà osservano l'inesistente igiene delle loro mani.

Dipinto del Pozzo Couriot che Federico dipinge nel 1975, dopo una visita alla miniera oramai diventata museo.

(Federico sul suo letto nella baracca con altri minatori)

Lavorando in miniera la polvere del carbone entra dappertutto: nei polmoni ovviamente, sotto le unghie, nelle cicatrici, ma il posto dove è più difficile toglierla é dalle palpebre e nella pelle sotto gli occhi. Se, nelle ore libere, un minatore andava a ballare, aveva poche speranze di essere accettato da una ragazza del posto: il nero sotto gli occhi tradiva inequivocabilmente il suo mestiere.

Federico raccontava che però gli italiani avevano escogitato il modo di ripulire anche la pelle sotto gli occhi: con il burro; che, penetrando nei pori della pelle, si portava via gli ultimi minimi residui di carbone, quando veniva tolto con uno straccio pulito.

Federico mi racconterà questa storia nel 2001, a Boise, negli USA, quando, dopo che con Carlo Biasiuz avevamo fatto lo spolvero dei cartoni sulla parete nella casa del regista Michael Hoffman, adoperando della meravigliosa e scura "terra di Sardegna", non riuscivo a togliermi, nonostante le ripetute docce, dalla pelle una sorta di "abbronzatura" dovuta alle finissime particelle di pigmento depositate su di essa. Il burro funzionò ancora ma gli asciugamani e la vasca da bagno erano oramai irrimediabilmente macchiati.

(nella foto Federico con un amico minatore)

Un altro nemico è il "grisou" il gas inodore e incolore, ma altamente infiammabile, che si sprigiona nelle miniere di carbone (e di zolfo). Combinato con l'aria e a contatto di fiamme esplode ed é all'origine di innumerevoli disastri minerari.

Per prevenire questi problemi nella miniera esistevano dei grandi impianti di ventilazione (tubi con grandi ventole) che però non erano quasi mai accesi. Si accendevano solo un quarto d'ora prima della visita degli ispettori e dei rappresentanti sindacali, per spegnersi immediatamente dopo la fine dell'ispezione. Sempre.

Federico è sempre stato molto sensibile alle vite e alle storie di minatori. Negli anni '60 quando la Televisione italiana trasmise uno sceneggiato basato su "...e le stelle stanno a guardare" di Archibald Joseph Cronin (un libro che lui possedeva e aveva letto e riletto), lui non perse una puntata, commuovendosi per la sorte di quei disgraziati minatori.

I crolli e le esplosioni erano all'ordine del giorno e, all'uscita dal pozzo, a fine turno, c'erano sempre alcune donne dei minatori ad

aspettarli. ("La donna del Minatore" sarà il titolo di un quadro che Federico dipingerà molti anni dopo)

Queste donne erano sempre molte di più quando si spargeva la notizia di un crollo o di un incidente.

La speranza era quella di veder uscire il proprio uomo vivo e con le braccia e le gambe ancora attaccate al corpo.

Cartoline alla madre dalla miniera:

Documenti relativi all'espatrio di Federico per svolgere il lavoro di minatore in Francia:

Alcuni certificati medici del periodo in miniera:

Una cartolina dell'epoca:

Nel 1962 Federico Bellomi cominciò a scrivere su di un quaderno i suoi ricordi dei primi giorni di miniera.

Il racconto si interrompe dopo solo 17 facciate e tutto il resto del quaderno è vuoto, segno che aveva intenzione di continuare il racconto.

Cosa che però non fece mai, almeno su questo quaderno.

Chi volesse leggerlo può visualizzarlo al seguente link;

https://docs.google.com/open?id=0B44gwu8U6Xq8azlVMDJLNWJGV3c

Ad un certo punto le cose cambiano per Federico: rimane coinvolto in un crollo minerario dove morirono molti minatori e che commosse tutto il mondo. Federico si salva ma deve passare un periodo all'ospedale della compagnia mineraria. Qui conosce monsieur Paudelegue, un addetto della miniera al campo dei nordafricani, che lo aiuterà ad inserirsi e a farsi conoscere come pittore. Altre persone si accorgono del suo talento artistico; il Café de la Paix, in centro a Saint Etienne, gli commissione una pittura, che Federico esegue e che verrà anche pubblicata sul giornale locale in occasione della sua inaugurazione.

(Foto di Monsieur Bonaze al suo "pianoforte meccanico")

Federico racconterà che, mentre puliva i cessi con una grossa scopa, un francese che era stato suo superiore nel pozzo, lo sfotteva, forse con un pizzico di invidia, chiedendogli come si trovava a lavorare con quel grosso pennello. Federico una volta rispose che si trovava benissimo, con la differenza che in Italia se ne serviva per dipingere opere d'arte, mentre in Francia gli serviva per pulire la merda dei francesi.

La risposta non piacque e Federico ebbe diverse noie con i suoi superiori.

Eseguendo questo lavoro, Federico conosce, o forse all'origine di questa commissione, c'è un certo Monsieur Bonaze, un appassionato di musica e di arte e presidente del locale circolo degli scacchi, che aiuterà Federico a uscire dal pozzo e ad essere assegnato, in superficie, alla pulizia dei bagni con funzioni di magazziniere.

Per Federico comincia un periodo migliore, come si può forse intuire da alcune delle seguenti foto.

Quello della foto sembra però di più un armonium, con i suoi vari registri.

Uno degli scherzi preferiti di Mosieur Bonaze era quello di sedersi al suo "pianoforte" e suonare qualcosa di molto difficile. Poi alzava improvvisamente le mani dalla tastiera ma il pianoforte continuava a suonare da solo. Si trattava appunto, di un pianoforte meccanico.

(Bellomi a Lions con l'amico minatore veneziano Sante)

Bellomi nel 1952 a Lions

Federico sulla sua branda nella baracca della Miniera con accanto un quadro che non ha mai distrutto:

Alla fine del 1952 Federico torna a Colognola.

Si apre un altro periodo della sua vita che comincia con l'attività di "imbianchino-decoratore" Come si vede nella seguente foto:

Per continuare la lettura clicca sul seguente link:

biografia(02)