Piatti tipici del territorio


Ciao amici! Chi mi segue da un po' avrà sicuramente notato che è nata questa nuova pagina che ho chiamato "Piatti tipici del territorio", dove per territorio intendo il nostro amato Salento. Ho cercato di inserire quelli che a mio avviso sono i piatti tipici con cui noi salentini veniamo identificati in tutta Italia e nel mondo. Ho cercato di inserire qualche aneddoto, qualche curiosità, qualche ricordo della mia infanzia e spero di aver fatto cosa gradita. Le tradizioni vanno sempre e comunque ricordate e tramandate, perché noi siamo storia, noi siamo quello che facciamo, creiamo, mangiamo e quindi anche ciò che hanno fatto i nostri nonni e i nostri antenati, il loro lavoro, la loro cucina, quel connubio di sapori, profumi, colori misto al ricordo mi ha portato a creare questa pagina. Vi lancio una sfida. Chiunque di voi voglia contribuire ad arricchire queste pagine con un aneddoto legato ad una ricetta che ho pubblicato, con una versione alternativa nella preparazione del piatto o con curiosità sulla storia del piatto può farlo scrivendomi a stefania.rolli@libero.it. Vi prometto che valuterò e farò di tutto per pubblicare e aggiornare le pagine con i vostri consigli. Intanto buona lettura!

Fae nette e foje

Ingredienti

una cipolla non troppo grande

uno spicchio d’aglio

olio extravergine di oliva

500 gr di fave bianche secche, senza buccia

Cicorie selvatiche

Procedimento

Mettete a bagno le fave, magari la sera del giorno prima e meglio se in una pentola di coccio, ma va bene anche una pentola normale. La mattina seguente sciacquatele bene e poi mettetele sul fuoco con molta acqua e fatele cuocere a fuoco moderato per almeno un’ora e mezza, fino a quando non si saranno ammorbidite . Dopodiché toglietele dal fuoco e tritatele con un frullino ad immersione, ottenendo la purea.

Nel frattempo dedicatevi alle cicorie: pulitele e lavatele per togliere eventuali residui di terra. Dopodiché lessatele, anche in questo caso in abbondante acqua salata, per circa due o tre minuti e poi scolatele.

Prendete una pentola, versateci qualche cucchiaio di olio di oliva, l’aglio e la cipolla, precedentemente tagliati sottili. Fate soffriggere il tutto, aggiungendo le cicorie e un paio di bicchieri di acqua. Salate ancora e fate cuocere per circa 30 minuti. Se preferite potete aggiungere anche del peperoncino e qualche spicchio di pomodoro.

Infine posizionate il purè di fave di fianco alle cicorie calde, irrorate tutto con dell’olio d’oliva e preparatevi ad assaggiare uno dei piatti più gustosi che abbiate mai provato , accompagnandolo magari con dei crostini di pane caldo .

Curiosità

Questo è uno dei piatti della tradizione enogastronomica salentina. E' un piatto molto semplice, fatto con ingredienti poveri, tipici della nostra tradizione rurale, basata principalmente sull'agricoltura, ma vi assicuro che è molto gustoso e sicuramente molto salutare. Le fave contengono infatti tanti sali minerali e vitamine e, nonostante l'apporto calorico non sia elevato, danno un apporto nutritivo consistente. I nostri nonni mangiavano questo piatto la mattina, quando si svegliavano presto, prima di andare in campagna a lavorare, così potevano avere tutte le energie per affrontare al massimo il duro lavoro dei campi. Inoltre è un piatto che si prepara in poco tempo e con pochi ingredienti.


Torta pasticciotto leccese

Ingredienti

Per la pasta frolla

500 g farina 00

250 g strutto

250 g zucchero

3 uova medie

1 Scorza di limone (grattugiata)

1 pizzico di ammoniaca per dolci (o lievito per dolci)

Per la crema pasticcera

500 ml Latte (intero)

4 tuorli

120 g zucchero

40 g amido di mais (maizena)

1 bustina di vanillina

Preparazione

Per cominciare preparate la crema pasticcera. In una ciotola mettete la maizena, lo zucchero, la vanillina, i tuorli e frullateli bene. Continuando a mescolare, aggiungete poco a poco il latte, cercando di non far formare dei grumi. Aggiungete la buccia intera di un limone e spostate tutto sul fuoco e mescolate fino ad ottenere una crema densa. Una volta pronta, versate la crema in una terrina e fatela raffreddare coprendola con della pellicola per alimenti Togliete la buccia di limone (serviva solo ad aromatizzare la crema).

Ora preparate la pasta frolla. Mettete la farina sul piano di lavoro e formate una fontana; al centro mettete lo zucchero, la buccia grattugiata del limone, un pizzico di ammoniaca per dolci (o se non vi piace l'odore intenso che poi scompare dopo la cottura potete sostituirla con il lievito per dolci come faccio io) e mescolate il tutto. Spezzettate lo strutto e distribuitelo su tutta la farina impastando velocemente con le mani. A questo punto aggiungete le uova, uno alla volta, e impastate fino ad avere un impasto liscio ed omogeneo. Formate un panetto, avvolgetelo nella pellicola per alimenti e ponetelo in frigo per almeno mezz'ora. Trascorso il tempo riprendete il panetto di pasta frolla e dividete l’impasto in due parti, di cui una più grande dell’altra. Con la quantità di impasto maggiore fate una palla e ponetela tra due fogli di carta da forno e stendetela con il mattarello fino a raggiungere uno spessore di 5 mm. Imburrare ed infarinate una teglia e rivestitela con la sfoglia facendola aderire bene ai bordi laterali aiutandovi con le dita; ritagliate la parte in eccesso, bucherellatela leggermente con una forchetta e riempite con la crema fino a 2/3 cm dal bordo. Stendete l’altra metà dell’impasto e posizionatelo sopra la torta facendo aderire bene i bordi e ritagliate la parte in eccesso. Spennellate la superficie con l’uovo leggermente sbattuto ed infornate la teglia in forno già caldo a 200° e fate cuocere per circa 30-35 minuti, fino a quando la superficie della torta pasticciotto non sarà diventata di un bel colore dorato. Sfornate la torta e lasciatela raffreddare un pò prima di toglierla dalla teglia per evitare che la frolla si sbricioli. Spolverizzatela con un po di zucchero a velo prima di servirla.

Curiosità

Sinonimo di Salento in tutto il mondo, il pasticciotto pare sia nato per caso nel 1745 grazie ad un pasticciere di Galatina, la famosissima pasticceria "Ascalone". Da allora questo dolce ha viaggiato molto e ha subito diverse rivisitazioni fino ad arrivare dal presidente Obama per opera di un pasticcere di Campi che lo ha rivisitato con frolla al cioccolato e crema al cioccolato, chiamandolo Obama in onore del presidente degli Stati Uniti. Oggi ne fanno davvero di tutti i gusti. Il tradizionale rimane quello cotto in forno alla crema, ma c'è chi lo prepara con crema e amarena, con crema al pistacchio, pere e ricotta, fichi e noci, chi con la marmellata...diciamo che oramai si sperimentano nuovi gusti, ma chi viene in Salento non può fare a meno di assaggiare il pasticciotto, una goduria del palato!

Carne di cavallo a pignatu

Ingredienti

2 kg di muscolo di cavallo

500 grammi di salsa di pomodoro (o anche passata)

500 ml di acqua

olio extravergine di oliva

pepe intero

peperoncino

foglie di alloro

rosmarino

salvia

prezzemolo

Preparazione

Prima di tutto, tagliate a pezzetti la carne, dopodiché, sistematela in una pignata e cuocetela unendo tutti gli aromi, la salsa, l’olio e l’acqua. Preoccupatevi di regolare il sale e il peperoncino, quindi lasciate bollire dolcemente per circa 2 ore. Al termine della cottura, la carne deve risultare ben cotta e il sugo di cottura non deve essersi ristretto troppo.

Curiosità

Questa è un'altra ricetta tipica della tradizione pugliese. Un piatto semplice e genuino che tutti ricorderemo come preparato dalle nostre nonne. Il cavallo è sempre stato presente nella nostra tradizione rurale o come mezzo di trasporto o come forza motrice nel duro lavoro dei campi, quindi era considerato un fedele amico per l'uomo. Quando il cavallo diventava vecchio e non poteva più assolvere alle sue funzioni, allora l'uomo decideva di non gettarlo via e di cucinarlo nella pignata, in maniera semplice, giusto con l'aggiunta di qualche odore, in modo da esaltare al meglio la qualità della carne e il suo gusto deciso. La carne di cavallo si è a poco a poco imposta all'attenzione dei consumatori per il suo elevato contenuto in ferro. Considerata un alimento nobile, viene spesso consigliata agli sportivi, ai bambini in crescita, in gravidanza e alle persone anemiche. Sotto il profilo nutrizionale, la carne di cavallo si distingue per la sua magrezza e per una caratteristica sapidità dalle sfumature dolciastre. Il ridotto contenuto lipidico fa sì che i tagli freschi di giovani animali risultino particolarmente teneri e digeribili. Per rendere questa preparazione ancora più gustosa, potreste aggiungere delle patate tagliate a pezzi grandi e lasciate cuocere insieme alla carne...e servire il tutto con una bella fetta di pane fatto in casa e un buon bicchiere di vino rosso!


Ciciri e tria

Ingredienti (per 4 persone)

300 gr di semola di grano duro rimacinata

250 ml di olio di semi di arachide

250 gr ceci secchi

2 foglie di alloro

2 spicchi di aglio

1 cipolla

peperoncino q.b.

sale q.b.

olio q.b

Procedimento

Lasciate in ammollo i ceci in acqua fresca con sale e una punta di bicarbonato dalla sera prima; al mattino seguente, sciacquate i ceci con acqua fresca e cuoceteli con l'alloro in acqua fredda per circa due ore e comunque finché non sono ben cotti. Salate i ceci a fine cottura. Nel frattempo preparate la pasta: mescolate la semola con una presa di sale, 2 cucchiai di olio e acqua quanto basta ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo, occorrono circa 200 ml di acqua. Fate riposare l'impasto per 1 ora. Dopo il riposo riprendete l'impasto e stendetelo con un mattarello fino ad ottenere una sfoglia sottile, spolverizzatela con la semola, ripiegatela su se stessa per realizzare delle tagliatelle e successivamente dividetele in pezzi di circa 10 cm di lunghezza. Attorcigliate ciascun pezzo di pasta per dare una forma a spirale e fate asciugare la pasta per circa 1 ora. In un pentolino fate scaldare l'olio di semi e, quando è ben caldo, friggetevi 1/3 della pasta; cuocete fino a doratura.

Tagliate finemente la cipolla e il peperoncino, ponete tutto in una casseruola con l'aglio sbucciato e qualche cucchiaio di olio, fate insaporire per un paio di minuti, aggiungete i ceci precedentemente cotti e scolati e coprite con acqua calda (o brodo). Regolate di sale e cuocete per circa 15 minuti; infine eliminate l'aglio. Cuocete la pasta restante in acqua bollente salata, infine scolatela e aggiungetela ai ceci, lasciate insaporire qualche minuto. Servite nei piatti aggiungendo la pasta fritta. Condite con olio a crudo e pepe.

Curiosità

Questo è uno dei piatti che di più mi piacciono della nostra tradizione. Mi ricorda tanto la mia infanzia! La mangiavo sempre a casa della nonna Maria. La bisnonna preparava le tagliatelle e noi nipoti facevamo grandi scorpacciate di pasta fritta. Si tratta di un piatto molto antico, il poeta latino Orazio ne parlava già nelle sue Satire, scritte tra il 30 e il 35 a.C. Il termine tria invece deriva dall’arabo e si è diffuso sia in Sicilia sia nel Salento e sta ad indicare la pasta secca, fritta. Ciceri e tria oggi si trova nei ristoranti tutto l’anno, ma è un piatto che si prepara tradizionalmente in occasione della festa di San Giuseppe, il 19 Marzo. Esistono diverse varianti di questo piatto e alcune prevedono l’aggiunta di pomodoro.


Purciddhruzzi e cartiddhrate

(Dolce tipico Natalizio)

Ingredienti

1 kg di farina setacciata

1 dl di olio extravergine di oliva

vino bianco secco

un pizzico di sale

buccia e succo di arancia e mandarino q.b.

miele

cannella in polvere

codette colorate

scaglie di cioccolato

mandorle tostate


Procedimento

Mettete la farina a fontana sulla spianatoia e versate al centro l'olio, il sale , un poco di vino bianco secco tiepido e il succo di arancia e mandarino. Amalgamate tutti gli ingredienti sino a che risulti una pasta compatta, liscia e profumata. Avvolgetela in un panno e fatela riposare per un paio d'ore. Successivamente infarinate leggermente la spianatoia e mettetevi sopra l'impasto, impastate di nuovo e, con l'aiuto del mattarello (meglio se avete la macchinetta della pasta), ricavatene delle sfoglie sottilissime. Col tagliapasta ricavate dei rombi o delle forme a piacere. Fate sfumare dell'olio di oliva con la buccia d'arancia e mandarino in una padella e friggete le cartellate senza sovrapporle. Toglietele dal fuoco ben dorate e croccanti. Disponetele poi in piattini e conditele a piacere con vin cotto o miele e guarnite con codette colorate, zucchero , cannella, scaglie di cioccolato e mandorle.

Per i purciddhruzzi si prepara un impasto uguale a quello descritto per le cartellate, con la sola differenza che, invece di ricavarne sfoglie, si ricaveranno dei piccoli gnocchi che andranno fritti, disposti in piattini o pirottini monoporzione e conditi con miele bollente, confettini colorati, cioccolato in scaglie, mandorle e cannella in polvere.

Curiosità

I purciddhruzzi sono un dolce molto antico e molto diffuso nel salento, tipico delle festività natalizie. Sembra che già i Romani usassero friggere la pasta e condirla con miele e spezie. Le origini dei purciddhruzzi si perdono nel tempo, risalendo, addirittura, al periodo della Magna Grecia, tra l'VIII ed il VI secolo a.C. e come in molti altri casi sono legati alla tradizione contadina. La leggenda narra di una famiglia molto povera con tanti figli che avevano chiesto alla loro mamma di preparare per Natale un dolce. La mamma non aveva in casa che prodotti dei campi: un po' di farina, qualche arancio e delle spezie. Decise allora di impastarli e friggerli e darli ai suoi figli come dolce, dando così origine ad una nuova ricetta che da quel giorno venne preparata per il periodo natalizio e rivisitato nel tempo con l'aggiunta di nuovi ingredienti.





Friseddhra

Ingredienti

120 gr di pasta madre

250 gr di farina di grano duro

250 gr di farina 2

50 gr di olio evo

8 gr di sale fino

280 gr di acqua

Procedimento

Per prima cosa bisogna sciogliere il lievito madre nell’acqua tiepida, poi incorporate le farine ed impastate energicamente. A seguire aggiungete l’olio ed in fine anche il sale. Dopo di che ponete l’impasto in una ciotola, copritelo con pellicola alimentare a contatto e lasciatelo lievitare fino al suo raddoppio. Ci vorranno circa tre ore, dipende molto dalla temperatura che avete in casa. Una volta lievitato, riprendete l'impasto e aiutandovi con un velo di farina aggiuntiva impastatelo nuovamente e dividetelo in pezzi di egual grammatura, Con ogni pezzo di impasto formate dei cilindri stretti e lunghi, poi prendete i lembi delle due estremità e uniteli fino a formare una ciambella. Riponetele in una teglia rivestita con carta forno, distanti fra loro. Coprite con la pellicola alimentare ed attendete nuovamente il raddoppio, Terminata anche la seconda lievitazione cuocerle in forno caldo a 180° per dodici minuti, quindi sfornarle ed abbassare la temperatura del forno a 170° e facendo attenzione a non scottarsi inciderle con un coltello lungo il loro perimetro, proprio come se si dovesse aprire un panino, a seguire infilare nella fessura creata lo spago, incrociare i suoi lembi e stringerli come fosse un cappio dividendo così la frisa in due parti. Mettete le frise di sopra e di sotto nelle teglie foderate con carta forno, infornare e cuocerle per venti minuti a 170°, poi abbassare a 140° e cuocere per altri quaranta minuti o fino a doratura. Al termine della cottura le frise dovranno risultare biscottate, Una volta fredde potranno essere immerse in acqua e poi condite a piacere.

Curiosità

Non c'è estate senza frisa per noi salentini! Mi rendo conto che sebbene la procedura per realizzare le frise sia molto semplice è altrettanto lunga. Bisogna avere tanto tempo a disposizione, dato che occorrono due lievitazioni e al giorno d'oggi ahimè...coi tempi che corrono nessuno ha tempo per dedicarsi a queste preparazioni che fortunatamente troviamo a livello industriale e in qualche piccolo forno di paese fatte ancora in maniera tradizionale. Ma chi non ha ricordi dell'infanzia legati alla frisa? Ricordo la nonna Italia che si svegliava presto al mattino, quando era ancora buio e insieme alle vicine si mettevano vicino alla "banca" (tavolo tipico che serviva ad impastare), traevano dal bicchiere lu "gliatu" (lievito madre) che si tramandavano quasi fosse oro da anni, rinnovandolo ogni settimana e che conservavano in frigo. Ricordo l'odore forte e nauseabondo di quel lievito e mi faceva sorridere che ci tenessero tanto e lo conservassero gelosamente...da anni poi! Solo ora da grande capisco l'importanza di quei gesti, di quel connubio di odori e sapori che non ci sono più, l'importanza delle tradizioni che comunque dobbiamo difendere e tramandare gelosamente, perché fanno parte di noi e del nostro territorio. A volte assistevo anche io a queste preparazioni, mi prendevo il mio pezzo di pasta e creavo gioielli...poi la nonna a fine lavoro mi faceva con la pasta la "pupa" che infornavamo nel forno di casa. La lievitazione avveniva sotto la "manta", una coperta pesantissima che non andava mai sollevata per non fare entrare aria. Solo la nonna sapeva quando e come controllare l'avvenuta lievitazione. All'ora stabilita passava il fornaio con la sua ape e caricava su delle pale lunghe di legno le frise e i pezzi di pane, rigorosamente siglati, perchè ognuno doveva riconoscere i propri! (La nonna ci metteva una grande I, l'iniziale del suo nome!) A cottura terminata, era il fornaio che riportava tutto nelle case. E quelle frise venivano conservate in grandi "ozze" di terracotta.

Le frise si servono in tavola scondite, la tavola si apparecchia con una ciotola piena d’acqua e con gli ingredienti da utilizzare; ogni commensale immerge la frisa nell’acqua e poi la condisce nel proprio piatto. Le frise potranno essere conservate in sacchetti di plastica alimentare o in barattoli ermetici e riposte in dispensa per due/tre mesi.

Oggi le frise sono un must dell'estate. Molti lidi le vendono in spiaggia come piatto freddo con condimenti rivisitati a base di ricci o con burratina e pomodorini....quando venite in Salento non potete non assaggiare una bella frisa...Vi ho fatto venire fame o almeno fare un viaggio nei ricordi della vostra infanzia?



Taralli pugliesi

Ingredienti

500 g di farina 00

100 ml di acqua

150 ml di olio extra vergine d’oliva

125 ml di vino bianco secco

sale q.b.

semi di finocchio o altre spezie a piacimento

Preparazione

Create una fontanella disponendo la farina di tipo 00 sul piano di lavoro. Nel centro della fontana versate acqua, olio, vino e un pizzico di sale. Eventualmente aggiungete gli altri ingredienti che avete selezionato per aromatizzare i vostri taralli. Impastate per bene andando ad ottenere un composto del tutto omogeneo. Dividete l’impasto in porzioni andando a formare dei cordoncini che taglierete a distanza di circa 6-8 cm. Prendete le estremità, unitele e formate un anello. Iniziate a preparare il forno scaldandolo a 200°. Separatamente fate bollire dell’acqua salata e versateci dentro i taralli, pochi per volta, estraendoli nel momento in cui salgono a galla. Successivamente, dopo quest’operazione disponeteli su un canovaccio ad asciugare e poi passateli in forno dopo averli disposti su una teglia oleata. Lasciate cuocere per circa 45 minuti (in forno preriscaldato a 170 gradi), sino a quando non saranno dorati.

Curiosità

I taralli sono ottimi per un'aperitivo, per uno spuntino per i bambini e sono molto versatili da preparare. Questa è la ricetta base, ma potete dare le forme che preferite e il gusto che preferite. Potete farli con rosmarino e patate (basterà aggiungere all'impasto una patata lessa e del rosmarino), al pepe o peperoncino (aggiungendo all'impasto il pepe o peperoncino), aromatizzati al limone (facendo macerare la buccia del limone per una notte in un bicchiere con l'olio che andrete ad utilizzare nell'impasto), alle olive (sminuzzando olive nere e verdi e aggiungendole al vostro impasto). I taralli si conservano in scatole di latta fino ad una settimana. Vedrete che sapore! Uno tira l'altro... e poi c'è molta più soddisfazione nel farli che mangiare quelli industriali no? E' una bellissima esperienza da fare in famiglia per coinvolgere anche i bambini che sono molto attratti dalle preparazioni manuali, soprattutto nei pomeriggi invernali o nei week end piovosi.


Tolica (cicerchia)

Ingredienti

300 gr cicerchie secche

1 spicchio d'aglio

1 cipolla

1 gambo di sedano

1 foglia di alloro

4-5 pomodori ciliegino

olio extra vergine di oliva q.b.

sale q.b.

Procedimento

Essendo la cicerchia un legume, come per tutti i legumi secchi è necessario metterli in ammollo con acqua fredda un cucchiaino di sale e uno di bicarbonato dalla sera prima. La mattina seguente sciacquate abbondantemente la cicerchia e scolatela. Prendete una pentola e metteteci dentro la cicerchia, la cipolla, lo spicchio di aglio, le foglie di alloro, il sedano e i pomodorini. Coprite con abbondante acqua fredda e mettete a cuocere a fuoco lento per almeno due ore e comunque fino a che la cicerchia non si è ammorbidita. Servitela con un filo d'olio e una spolverata di pepe con dei crostini di pane fritto.

Curiosità

La cicerchia è una pianta leguminosa originaria del Medio Oriente e assomiglia molto a quella dei ceci. Come tutti i legumi ha un elevato potere nutrizionale ed energetico e fa bene al cuore, ai muscoli e anche ai denti. Può essere cucinata "a pignata", come suggerito sopra, ma come tutti i legumi può essere anche mischiata alla pasta. E' un piatto tipico della tradizione rurale, un piatto molto povero, in quanto questa pianta veniva coltivata in territori scadenti e sopportava la siccità e le basse temperature, ma dal sapore unico.

Acqua e sale

Ingredienti

pane raffermo

acqua con ghiaccio

sale q.b.

olio q.b

origano

capperi q.b.

pomodori maturi

1 cipolla

Procedimento

Iniziate con il mettere a bagno in una ciotola il pane raffermo con l'acqua con il ghiaccio, finché questo non si ammorbidisce (non deve ammollirsi). Lasciatelo riposare in modo che la crosta rimanga croccante. Dopo strizzatelo, fatelo a tocchetti e mettetelo in un'insalatiera. Conditelo con i pomodori, la cipolla tagliata a fette sottili, il sale, i capperi e un filo d'olio e lasciate riposare in frigo affinché si insaporisca bene.

Curiosità

Questo è uno dei piatti più poveri della nostra tradizione gastronomica.E' un piatto semplicissimo, fatto con materiale di recupero, perchè ovviamente non bisognava sprecare e buttare via niente. Le nostre nonne apparecchiavano la tavola e mettevano al centro un grande piatto in terracotta con questa insalata e poi tutti quanti riuniti intorno alla tavola mangiavano dallo stesso piatto. Col tempo questo piatto si è poi arricchito secondo i gusti e le possibilità delle persone. C'è oggi chi vi aggiunge il tonno o le olive o la rucola. Voi potrete realizzarlo come più vi piace...più semplice è, più è saporito. Il segreto della riuscita di questo piatto sta nell'ammollarlo il giusto e nell'acqua con il ghiaccio, mi raccomando...poi più lo si lascia riposare, più si insaporisce. Provare per credere...


Prummitoru scattarisciatu

Ingredienti

500 gr pomodori gialli invernali

3-4 foglie di basilico

1 scalogno (nel nostro dialetto "spunzale")

olio extra vergine di oliva

capperi (se si gustano)

sale q.b.

Procedimento

Lavare accuratamente i pomodori e lasciarli interi. Prendete una padella, versateci dentro 3 cucchiai di olio extra vergine di oliva e lo scalogno tagliato a pezzetti finché l'olio non diventa bollente. Versateci dentro i pomodori ancora interi, aggiustate di sale, aggiungete i capperi se sono di vostro gradimento, coprite con un coperchio e lasciate andare in cottura per 10 minuti. I pomodori dovranno "scattarisciare" nella padella, cioè scoppiettare e rompersi, lasciando fuoriuscire il loro sughetto. Trascorsi i 10 minuti regolare di sale, unire un po’ di peperoncino tritato e continuare a cuocere per circa 20 minuti su fiamma alta, finché i pomodori saranno ben cotti e la buccia scoppiata; attenzione a non farli disfare. A cottura terminata, condite con le foglie di basilico e servite.

Curiosità

Questo era un piatto che spesso i contadini mangiavano in campagna con una bella fetta di pane rigorosamente fatto in casa, magari all'ombra di qualche albero, prima di ritornare al lavoro nei campi, accompagnandola con un bicchiere di vino rosso. E' un condimento davvero gustoso che può essere usato anche per la pasta. Ottimo con spaghetti e bucatini. Privilegiate la pasta lunga e farete un figurone, spendendo poco denaro e tempo! Volendo potete arricchirlo con olive nere o altri ingredienti o potrete renderlo un secondo gustoso cucinandoci dentro le uova...provare per credere!


All'inizio di questa pagina ho lanciato a voi tutti che mi seguite una sfida: quella di contribuire anche voi ad arricchire questa rubrica "Piatti tipici del territorio". Con grande piacere il mio amico Giuseppe, con il quale condivido la passione per la cucina, mi ha inviato alcune sue ricette che condivide con noi (Baccalà cu li spunzali, Iermiceddhri cu lu baccalà, Pittule con il baccalà e Lasagna della domenica). Grazie Giuseppe! Ad maiora!

Baccalà cu li spunzali

Ingredienti

1 kg e ½ di baccalà già ammollato

½ kg di cipollotti (spunzali)

200 grammi di pomodori gialli

olio extravergine d’oliva q.b.

prezzemolo q.b.

pepe nero q.b.

sale q.b.

Procedimento

Iniziate col prendere una pentola in cui farete stufare con l’olio i cipollotti affettati grossolanamente. Unite il baccalà tagliato a pezzi e dopo averlo fatto insaporire aggiungete i pomodori gialli (quelli d’inverno per intenderci) e il prezzemolo tritato. Regolate di sale, aromatizzate con un pizzico di pepe nero macinato al momento e lasciate cuocere lentamente a casseruola coperta, aggiungendo acqua se necessario. Servite ben caldo accompagnando con del buon pane di grano duro pugliese. A fine cottura, se è di vostro gradimento, potete aggiungerci delle olive nere.

Curiosità

Quando parliamo di baccalà ci riferiamo al merluzzo conservato sotto sale. Al nord Italia utilizzano soprattutto lo stoccafisso (merluzzo essiccato), da noi al sud si predilige il baccalà. Sembra che l'uso di questa tipologia di pesce sia stata portata in Italia dagli Spagnoli, secondo quanto affermano alcune voci storiche. Li spunzali che utilizziamo nella ricetta sono i bulbi della cipolla. Il baccalà da noi si usa soprattutto nel periodo Natalizio e nella vigilia dell'Immacolata.

Irmiceddhri cu la baccallà

Ingredienti

1 kg. di baccalà,

½ kg. di “irmiceddhri” fatti a casa o semi di cicoria

700-800 gr. di pomodori pelati triturati

olio extravergine d’oliva q.b.

2-3 cipollotti

2-3 spicchi d’aglio

una costa di sedano

un mazzetto di prezzemolo

pepe nero q. b.

sale q.b.

Procedimento

Mettete a riscaldare in una casseruola con l’olio un trito approntato con i cipollotti, l’aglio e il sedano, aggiungete un pizzico di pepe, il sale e lasciate stufare il tutto a fiamma bassa, quindi unite il baccalà ammollato e tagliato a pezzi e fatelo insaporire rigirandolo nel sughetto. Quando i liquidi che con la cottura il baccalà rilascerà si saranno asciugati, aggiungete i pelati triturati, il prezzemolo e portate a completa cottura a fuoco moderato. Quindi versate il sugo in una casseruola, unite gli “irmiceddhri”; (sostituibile con un formato simile di produzione industriale quali semini, semi di cicoria ecc…) lessata molto al dente e completatene la cottura: Il baccalà si può servire a parte come pietanza, oppure insieme alla pastina rendendo più ricco questo primo piatto.


Pittule con il baccalà

Ingredienti

500 gr farina 00

1 cubetto di lievito di birra fresco (oppure 1 bustina di lievito secco)

sale q.b.

acqua tiepida q.b.

olio extra-vergine di oliva q.b

Procedimento

Preparate la pasta per le pittule amalgamando in una capace coppa un mezzo chilogrammo di farina 00, un cubetto di lievito di birra, sale q.b. ed acqua tiepida sino ad ottenere un impasto morbido e ben amalgamato. Lasciate lievitare in luogo tiepido tenendo il recipiente coperto con un panno fino a quando l’impasto avrà raddoppiato il volume. Mescolate il baccalà sbollentato. Prelevate piccole quantità di pasta con almeno un frammento di baccalà con l’ausilio di un cucchiaio o se preferite con le mani bagnate e calatele in abbondante olio bollente. Appena galleggiano estraetele con il ragno e ponetele a perdere l’unto in eccesso su carta assorbente e servitele preferibilmente ancora calde.

Lasagna della domenica

Ingredienti per 15 persone

1 Kg di lasagne

½ Kg polpettine fritte (tritato misto cavallo e maiale)

4 uova sode

Mortadella affettata (circa tre fette per strato)

Formaggio affettato (galbanone) 5/6 fette per strato

Pecorino grattugiato

Sugo di pomodoro precedentemente preparato con cipolla soffritta e pezzetti di carne mista (cavallo, pancetta di maiale, polpa di vitello ecc. ecc.)

Procedimento

Prendete una pirofila da forno bella grande. Versateci un po’ di sugo sul fondo della teglia e disponete un primo strato di lasagne precedentemente sbollentate (ma molto al dente). Procedete poi con gli altri ingredienti nell'ordine mortadella-uova sode (tritate grossolanamente)-polpettine-formaggio a fette-un mestolo di sugo ed una spolverata di pecorino. Continuate alternando così strati e ripieno fino a finire gli ingredienti (dovrebbero uscire 3 o 4 starti in tutto). Ricoprite l'ultimo strato con un po’ di sugo e pecorino. Aggiungete un paio di mestoli d’acqua per la cottura e infornate a 180/200° per almeno 30 minuti o anche di più se si desidera la superficie della vostra lasagna più croccante.

Curiosità

Grazie Giuseppe per questa ricetta che mi ha fatto venire in mente le domeniche di quando ero bambina a pranzo dalla mia nonna. Tutti insieme riuniti attorno al tavolo: io, mia sorella, mio padre, mia madre, la bisnonna, gli zii...con la mitica lasagna di nonna. E pensare che dopo ci stava anche il secondo, il contorno, la frutta e il dolce... poi pian piano le tradizioni vengono meno, da lasagna della domenica è diventata la lasagna delle feste, perchè ci vuole tempo a far cuocere il sugo con la carne, preparare le polpettine piccole da mettere nel ripieno e poi, diciamoci la verità, oggi siamo tutti a dieta, attenti alla linea e al colesterolo! suvvia! una volta ogni tanto possiamo "sgarrare" e concederci un piatto sostanzioso e saporito e ci sembrerà di essere ancora tutti attorno a quel tavolo...con i nonni ancora vivi che ci guardano e ci sorridono! Poi questa è la ricetta più ricca. Volendo potete alleggerirla eliminando le uova e sostituendo le polpettine fritte con quelle messe a crudo, che si cuoceranno in forno col sugo. Sarà buona ugualmente.



Cotognata

Ingredienti

1kg di mele cotogne

700 gr zucchero

acqua

succo di limone

Procedimento

Prendete una pentola e metteteci dentro le mele cotogne fatte a fette e private del torsolo e dei semi, ma non della buccia (dopo averle accuratamente lavate) con acqua e limone e fate cuocere fino a che non si saranno ammorbidite. A parte sciogliete lo zucchero con un po' d'acqua fino a farlo caramellare. Aggiungete allo zucchero caramellato le mele precedentemente cotte e mescolate energicamente con un cucchiaio di legno fino a che la cotognata non assume un colore bruno-rossastro.

Curiosità

La cotognata è una marmellata molto particolare, perché è una marmellata solida simile alla gelatina ed è un dolce tipico del Leccese. Semplice e gustoso, anche questo molto diffuso nel periodo natalizio. Si può mangiare così da sola, per accompagnare taralli o per arricchire la vostra macedonia di frutta fresca. Io l'ho sempre usata per arricchire la macedonia insieme alle noci e devo dire che il connubio è superlativo...farete un figurone con i vostri ospiti...un'idea originale per il cenone di Natale. Oppure potreste realizzarla nelle formine e incartarla con fogli trasparenti e un nastrino e utilizzarla come segnaposto- dono di fine pasto per i vostri commensali.

Le mele cotogne sono un frutto molto particolare. Sembrano molto simili a mele e pere, ma in realtà fanno parte di una famiglia diversa. Le usavano in antichità già i Greci. Pare infatti che fossero molto diffuse in Asia Minore e che solo successivamente abbiano trovato terreno fertile nel mediterraneo. In alcune zone particolarmente fertili nascono spontaneamente. Sono dei frutti molto aspri e duri che non possono essere mangiati così, da qui l'idea di utilizzarli per fare la marmellata in quanto lo zucchero rende più dolce il loro sapore.

Lampasciuni sott’olio

Ingredienti

500 g di lampascioni (da pulire)

600 ml di aceto di vino bianco

600 ml di acqua

sale q.b

1 spicchio di aglio

prezzemolo q.b

olio extra vergine d’oliva q.b.

Procedimento

Prendete un lampascione per volta e sfogliatelo, come si fa per le cipolle, fino ad arrivare alle foglie più chiare e rosee. Tagliate la parte delle radici e mettete il bulbo in una bacinella piena di acqua. Lavateli accuratamente per eliminare ogni residuo di terra. Poi metteteli a bagno per circa 5 ore, ricordandovi di cambiare l’acqua di tanto in tanto, in modo da eliminare l’amaro. Prendete una pentola, versateci dentro acqua e aceto e portate a bollore. Versateci dentro i lampascioni e fate cuocere per 20-30 minuti (non fateli sfaldare; la cottura dipenderà molto dalla grandezza dei bulbi; devono rimanere belli sodi). Una volta cotti, lasciateli raffreddare nella loro acqua di cottura, poi scolateli e fateli asciugare per una giornata intera su un canovaccio pulito e coperti. Ora potrete metterli sott’olio. Tritate prezzemolo e aglio in una ciotola, aggiungetevi dell’olio, versateci dentro i lampascioni e conditeli. Prendete i vostri barattoli di vetro che avrete precedentemente sterilizzato, versateci i lampascioni e copriteli bene con l’olio. Trascorso qualche mese di riposo saranno pronti da gustare per accompagnare un secondo di carne o pesce o come antipasto. Se non volete metterli sott’olio potete benissimo consumarli lessi.

Curiosità

I lampascioni sono un altro prodotto tipico della nostra terra: la Puglia. Sono usati dall’antichità, erano infatti conosciuti da greci e romani e hanno tante proprietà: funzioni depurative e lassative, ma sono anche in grado di abbassare i livelli di grassi e zuccheri nel sangue. Sono infatti ricchi di acqua, sali minerali e vitamine. Il loro gusto amarognolo ricorda molto quello delle cipolle; vengono spesso conosciuti come cipolle selvatiche. I Lampascioni crescono spontaneamente nei terreni incolti e prima di poter essere raccolti bisogna aspettare almeno 4-5 anni. Per questo motivo hanno dei costi un po' elevati. Nel Salento, ogni primo venerdì di Marzo, si venera la Madonna dei Lampascioni, nella piccolissima cittadina di Acaya, durante la quale per tradizione viene istituita una sagra dove è possibile gustare questi bulbi in moltissimi modi. Secondo alcune antiche tradizioni romane, i lampascioni erano considerati dei potenti afrodisiaci in grado di esaltare le capacità amorose di chi se ne cibasse, infatti era considerato buon augurio portarli in tavola in occasione dei banchetti nuziali.


La Scapece

Ingredienti

1 kg di pesce di piccole dimensioni (ope e pupiddhri)

1 litro di olio per friggere

farina q.b.

1 litro di aceto di vino bianco

2 bustine di zafferano

mollica di pane q. b. (ce ne vorrà circa un Kg)

sale q.b.

menta q.b.

aglio q.b.

Procediemento

Lavate bene i pesciolini sotto l'acqua corrente, infarinateli interi; nel frattempo prendete una padella bassa e riempitela di olio per friggere. Quando l'olio sarà ben caldo, immergete i pesciolini per la frittura e tirateli via non appena avranno raggiunto un colore dorato. Poneteli sulla carta assorbente, salateli e lasciateli raffreddare. Ora prendete una terrina e versateci l'aceto, scioglieteci dentro lo zafferano. A questo punto metteteci la mollica di pane (nella quale avrete spezzettato della menta e dell'aglio) e fatela marinare per qualche minuto. Dopo iniziate a sistemare in una ciotola uno strato di mollica di pane marinata, adagiateci sopra i pesciolini fritti, ricoprite con altra mollica e continuate a strati, finché non avrete finito tutti gli ingredienti. Dovrete terminare con lo strato di mollica di pane. Ponete il piatto in frigorifero e lasciatelo riposare almeno 24 ore.

Curiosità

Questo è un piatto di mare tipico del nostro Salento, soprattutto di Gallipoli. Sembra infatti che questa città marinare in tempi antichissimi abbia subito diversi attacchi dalle grandi potenze del mediterraneo, quindi gli abitanti del posto iniziarono ad avere l'esigenza di realizzare dei piatti che potessero conservarsi a lungo. Dato che vi era abbondanza di pesce, crearono questa ricetta che prevedeva la marinatura con l'aceto, in grado di conservare il cibo a lungo. La scapece sembra fosse molto gradita a Federico II di Svevia, il quale faceva imbandire le sue tavole di colore giallo proprio perché amava il colore dello zafferano. Il colore intenso di questo piatto è infatti dovuto proprio all'utilizzo dello zafferano. E' un piatto che si trova sulle bancarelle delle feste patronali, ma viene servito come specialità gastronomica anche in molti ristoranti o in chioschetti ambulanti soprattutto nel periodo estivo. Si può preparare anche senza l'aggiunta di aglio e menta (questa è una variante).



Pizzi leccesi

Ingredienti

Per l'impasto

800 gr di farina (500 di tipo 0+ 300 di semola rimacinata)

1 cubetto di lievito di birra fresco

2 cucchiaini di sale

1 cucchiaino di zucchero

50 gr di olio

acqua tiepida q.b.

Per il condimento

2 cipolle medie

150 gr di pomodori

90 gr di pelati a pezzetti

2 cucchiai di olio

sale q.b.

capperi q.b

olive celline q.b.

Procedimento

Iniziamo dal condimento. Prendete una padella capiente, versateci dell'olio, la cipolla a fette sottili, i pomodorini tagliati, i palati, l'origano, i capperi e le olive, salate e portate a cottura per una ventina di minuti, finché il sughetto non si sia ristretto. Lasciate raffreddare.

Intanto prendete una ciotola e versateci dentro la farina, il lievito sciolto con un po' d'acqua, lo zucchero, il sale, l'olio e aggiungete man mano a filo l'acqua tiepida. Impastate fino ad ottenere un panetto liscio e morbido. Mettete a riposare in un luogo caldo e asciutto coperto da un canovaccio, fino al raddoppio (ci vorranno all'incirca 3 ore in inverno, in estate anche meno). Una volta lievitato, prendete l'impasto e stendetelo con l'aiuto di un mattarello, aggiungeteci il condimento e impastate nuovamente. L'impasto che ne verrà fuori sarà molliccio e appiccicaticcio, ma è normale. Aiutandovi bagnando i polpastrelli delle dita con l'acqua, formate delle palline e mettetele distanziate sulla placca del forno rivestita con carta forno. Infornate in forno preriscaldato a 240 gradi per 15 minuti circa (molto dipenderà dalla grandezza che avrete dato alle vostre pucce).

Curiosità

Questo piatto da forno è tipico del nostro Salento. Fatto con ingredienti semplici e gustosi, tipici del nostro territorio: cipolle, olive e olio extravergine di oliva...un piatto buono da servire come aperitivo, ma anche come accompagnamento di carne a pignatu, verdura di campagna e con un buon bicchiere di vino rosso!E' una variante alla tradizionale puccia vuota leccese da condire a proprio piacimento (la puccia leccese è un pane lievitato che ha un impasto molto simile a quello dei pizzi al quale non viene aggiunto il condimento. Una volta cotta viene spaccata in due e condita a freddo con salumi e formaggi, salse, verdure grigliate, pezzetti di cavallo, ecc...)

Dolcetti di pasta di mandorla

Ingredienti

1 kg di mandorle secche

1 kg di zucchero

5 uova

ciliegie candite o chicchi di caffè o mandorle (per la decorazione)

Procedimento

Tritate finemente le mandorle con lo zucchero, poi aggiungetevi il bianco delle uova che servirà a fare da collante e impastate. Mettete il composto ottenuto in una sacca da pasticcere e date ai vostri dolcetti la forma desiderata ponendoli sulla placca del forno rivestita da carta forno. Al centro d ogni dolcetto posizionate un chicco di caffè, una ciliegia candita o una mandorla. Spolverate con lo zucchero a velo e infornate a 200 gradi per 10 minuti.

Curiosità

Questi dolcetti sono un must delle feste natalizie, ma li troviamo ormai durante tutto l'anno nelle nostre pasticcerie. Sono dei dolcetti friabili che si possono conservare per periodi abbastanza lunghi (fino a un mese) in scatole di latta. Sono ottimi per accompagnare un caffè dopo pasto o anche come dolcetti per uno spuntino pomeridiano con una bella tazza di tè. Durante il periodo natalizio e pasquale in alternativa a questi dolcetti si preparano il pesce di pasta di mandorla e l'agnello di pasta di mandorla, che sono preparati con lo stesso impasto e hanno al loro interno cioccolato e San Marzano oppure cotognata.



Questa sezione che vi riporto è un preziosissimo “dono” della mia cara professoressa di inglese delle scuole medie. Una donna che stimo molto e che ritengo di elevata cultura, appassionata alle tradizioni e alla storia del nostro paese. È il frutto di un lavoro scolastico, una pubblicazione nello specifico che riguarda ricette molto antiche del nostro paese: Leverano. Leggendole mi sono molto appassionata. Di alcune avevo sentito parlare, di altre molto buffe nei nomi, non avevo idea della loro esistenza. Ovviamente trattandosi di ricette della tradizione contadina che venivano credo improvvisate sul momento, non abbiamo un dosaggio degli ingredienti come avviene solitamente ai nostri giorni e, come potrete notare, si tratta sempre degli stessi pochi ingredienti che le nonne si ritrovavano in casa. La fanno da padrone i legumi, le verdure, il pane che non manca mai, l’olio e quando si voleva proprio esagerare le uova. Carne e pesce erano i cibi della festa e non tutte le famiglie potevano permettersele. Una riflessione mi viene spontanea. Siamo nel 2020 e ogni giorno con il frigo e la dispensa piena ci capita spesso di pensare: “Che cucino oggi? Non ho proprio idea di cosa fare!”. Siamo privi di idee e fantasia, troppo legati alle mode, rispolveriamo ricette americane, spezie particolari, esploriamo nuovi sapori e siamo ossessivamente alla ricerca di chissà quali ingredienti nuovi in modo da assecondare i nostri gusti sempre più insoddisfatti ed esigenti. Le nostre nonne avevano un’arte: quella di usare sempre gli stessi ingredienti con la capacità di ripresentarli in una nuova veste in modo da far credere ai propri mariti di portare in tavola ogni giorno qualcosa di nuovo e poi, non di meno, non buttavano via niente. Oggi c’è tanto spreco nel cibo. Basta pensare a quanti avanzi buttiamo nelle nostre case o i ristoranti dopo una cena. Basterebbero a sfamare il terzo mondo. Per questo ho ritenuto importante riscrivere queste ricette che credo siano il frutto di interviste fatte dagli alunni ai propri nonni, affinché leggendole possiamo conoscere qualcosa in più del nostro paese, delle nostre tradizioni e capire anche che magari quando ci lamentiamo oggi esageriamo, perché in passato con molte meno cose le persone vivevano ugualmente, crescevano famiglie numerose e figli felici! Buona lettura.

RICETTE PER LA COLAZIONE

Le persone che andavano a lavorare nei campi, la mattina facevano una colazione abbondante e nutriente, anche perché di solito non ritornavano per il pranzo e dovevano aspettare la sera per mangiare.

I piatti più usati erano: lu “Scarfatu”, “li prummitori scattati”, la “ciura”, “lu pane cu lu sugu”, “la farra” e li “rapacaule nfucate” che venivano accompagnati da un bel bicchiere di vino.

LU SCARFATU

Ingredienti

legumi avanzati oppure

pasta asciutta avanzata oppure

rape lesse avanzate

pane raffermo

olio d’oliva

Procedimento

Si utilizzavano gli avanzi della sera precedente.

Se erano legumi, si riscaldavano insieme a delle fette di pane fatto in casa fritte.

Se era pasta, si riscaldava facendo in modo che si attaccasse un poco sul fondo del tegame, perché così era più saporita.

Se erano rape lesse, si mettevano in un tegame. Si univano dei pezzetti di pane raffermo, si condivano con un poco di olio e si facevano cuocere un poco, rimestando spesso.

LA FARRA

Ingredienti

Farina di semola

olio d’oliva

sale

Procedimento

In una pentola si metteva mezzo litro d’acqua circa, abbondante olio e sale. Si faceva bollire e si aggiungeva, sempre mescolando, la farina un po’ alla volta. Si cuoceva per pochi minuti.

A volte questo piatto veniva preparato per la cena e veniva servito con delle fette di pane fritto.

LA CIURA

Ingredienti

pasta di pane non lievitata

olio d’oliva

Procedimento

Questa specie di focaccia veniva preparata solo nel giorno in cui si faceva il pane in casa. Si prendeva un poco di pasta di pane non ancora lievitata e di cercava di stenderla con le mani fino a farla diventare del diametro della pentola nella quale si doveva cuocere.

Nella pentola si versava un filo d’olio e quando fumava si disponeva la pasta e si lasciava cuocere per cinque minuti.

Una variante della “ciura” è la “pizza all’ampa”. Il fornaio, per far fare colazione ai suoi figli, prendeva un pezzo di pasta dalle forme di pane che erano pronte per essere infornate, lo stendeva con le mani e lo faceva cuocere nel forno dove stava ancora bruciando la legna.

PANE CU LU SUGU

Ingredienti

pane tagliato a fette

salsa di pomodoro fatta in casa

conserva di peperoncino

cipolla

olio d’oliva

sale

Procedimento

Per il sugo: si metteva in una casseruola l’olio e quando fumava si aggiungeva la cipolla. Quando la cipolla era dorata si versava la salsa di pomodoro e un cucchiaio di conserva di peperoncino. Si aggiungeva l’acqua e si salava. Si faceva bollire per una ventina di minuti. Intanto in un grande piatto si sistemavano le fette di pane.

Appena il sugo era pronto si versava sopra le fette, lasciandole intridere per bene prima di consumarle.

PRIMI PIATTI

CECA MARITI

Ingredienti

piselli avanzati

farina di semola

olio

pane raffermo

Procedimento

Questa era una pietanza inventata dalle mogli per riciclare gli avanzi, in modo da far sembrare diversa la minestra rimasta del giorno prima.

In una pentola si metteva un po’ d’olio e si friggeva il pane raffermo fatto a tocchetti. Nella stessa pentola si aggiungeva un po’ d’acqua, si versavano i piselli fatti a purea e si legava il tutto con un poco di farina. Si rimestava il tutto per pochi minuti e si serviva con il pane fritto.

COCULE TI PATATE

Ingredienti

patate lesse

farina

uova

formaggio pecorino

prezzemolo

pepe

salsa di pomodoro

sale

Procedimento

Si schiacciavano le patate per ridurle in purea; si impastavano successivamente con farina, le uova, il formaggio, il pepe, il prezzemolo e il sale. Si preparavano delle grosse polpette e si sistemavano in un’ampia teglia. Si condivano con la salsa di pomodoro e una spolverata di formaggio.

Si portavano al forno per la cottura oppure si facevano bollire dolcemente sul fuoco scuotendo la teglia di tanto in tanto.

RANU STUMPATU CU LU SUGU

Ingredienti

grano pestato

cipolla

salsa di pomodoro

formaggio grattugiato

olio

sale

Procedimento

Qualche giorno prima si pestava il grano procedendo in questo modo: si metteva a bagno per un paio d’ore il grano. Trascorso il tempo, si asciugava un poco e si pestava in un grande mortaio di pietra (lu stuempu). Si toglieva un poco di crusca e si asciugava.

Quando si doveva preparare si rimetteva a bagno per qualche ora. Poi si metteva a cuocere, a fuoco lento, in una pentola coperta d’acqua.

Doveva bollire molto; quando il grano era quasi cotto si aggiungeva del sugo preparato con la cipolla e la salsa di pomodoro. Si continuava a cuocere ancora un poco e si serviva con una spolverata di formaggio. Questa pietanza venne inventata perché scarseggiava il riso e al suo posto viene usato il grano.

RICETTE PER LA CENA

Anche la cena era molto frugale ed era a base di legumi e verdura per chi non aveva pranzato, invece “pane cuettu”, “farra cu lu pane frittu”, “pitta rustica”, “nu stuezzu di casu friscu”, “cipuddhrata”, “prummitori scattati”, “prummitori e spunzali rrustuti”, “pastiddhre ndilissate”, “pampasciuni ndilissati o miscati cu li pastiddhre e lu sucu”, “acqua e sale”, “friseddhre”, “cozze pinte cu li prummitori”, “munaceddhri spritti” e qualche volta “intriceddhra di maiale”, per chi aveva mangiato a mezzogiorno.

CIPUDDHRATA

Ingredienti

cipolle

pomodori rossi di penda

uova

olio

prezzemolo

sale

pepe

Procedimento

Si metteva in una pentola un po’ di olio. Quando era caldo si aggiungeva la cipolla affettata sottile. Appena si ammorbidiva si aggiungevano i pomodori privi di semi. Si salava e si lasciava cuocere. Poco prima di togliere dal fuoco si aggiungevano sale, pepe, il prezzemolo e le uova.

PANE CUETTU

Ingredienti

pane raffermo

olio di oliva

Procedimento

In una pentola si mettevano il pane, un po’ di acqua e di olio e si faceva cuocere, rimestando continuamente, finchè l’acqua non raggiungeva il bollore.

INTRICEDDHRA DI MAIALE

Ingredienti

stomaco di maiale

sale

pepe

succo di limone

Procedimento

Si metteva in un tegame dell’acqua con un po’ di sale. Quando bolliva si aggiungeva lo stomaco del maiale. Doveva bollire circa due ore. Quando era cotto si tagliava a pezzi e si condiva con il succo di limone e il pepe.

RICETTE PER I DOLCI

CHINULIDDHRE

Ingredienti

farina

olio di oliva

arancia

un po’ di liquore dolce

mostarda d’uva

Procedimento

Quando era il tempo della vendemmia si preparava la “mustarda” che serviva per i dolci. Si staccavano gli acini dal graspo e si facevano bollire. Poi si estraeva la polpa con “lu sciujaturu” (il setaccio che serviva per pulire il grano). Si rimetteva la polpa nella pentola e si aggiungeva lo zucchero. Si faceva cuocere finché non addensava. Si conservava in vasetti di vetro.

Per preparare la pasta si mischiava la farina con l’olio “sfumatu” con la buccia d’arancia, il liquore e il succo d’arancia. Si stendeva la sfoglia sottile e si ritagliavano dei dischetti. Al centro di ognuno si metteva una cucchiaiata di “mustarda” e si chiudevano a mezzaluna oppure si rialzavano i bordi a mo’ di cestino. Si mettevano su una teglia unta di olio e si infornavano per circa mezz’ora.

NFOCA CATTI

Ingredienti

farina

uova

zucchero

olio d’oliva

glassa bianca

Procedimento

Si impastava la farina con le uova,lo zucchero e l’olio. Si lavorava la pasta e si ricavavano dei bastoncini grossi quanto il mignolo. Si tagliavano a pezzi non troppo lunghi e con ognuno facevano dei grossi nodi. Si mettevano su una teglia unta d’olio e si facevano cuocere in forno per circa mezz’ora. Si preparava in una capiente casseruola “lu scilueppu biancu” con lo zucchero e un po’ d’acqua.

Quando era pronto si versavano i nodi e si mescolavano delicatamente per farli glassare. Si versavano su una “quantiera” e si facevano raffreddare prima di consumarli.

ACCAREDDHRA

Ingredienti

farina

strutto

zucchero

ammoniaca

uova

uova soda da inserire nella pasta

Procedimento

Si impastavano per bene tutti gli ingredienti. Si prendeva un pezzo di pasta, si sagomava a piacere (“panareddhra”, “pupa”, “iaddhruzzu”) e al centro si inserivano uno o più uova sode. Si procedeva allo stesso modo finchè non si finiva l’impasto. Si mettevano su una teglia unta d’olio e si cuocevano in forno finchè non diventavano dorate.

A volte per risparmiare si usava la pasta preparata per il pane. Questi dolci venivano consumati il giorno della Pasquetta allu Aru (usanza che non c’è più), il giovedì dopo Pasqua.