La decarbonizzazione dei settori hard-to-abate rappresenta una delle sfide più complesse della transizione energetica. Acciaio, cemento, chimica e raffinazione sono industrie caratterizzate da processi ad alta intensità energetica e da emissioni difficili da eliminare con le sole rinnovabili. Affrontare questo nodo richiede un approccio realistico, che tenga conto dei limiti tecnici e dei costi effettivi delle soluzioni disponibili.
Le tecnologie di cattura della CO₂ offrono una risposta concreta, ma comportano investimenti significativi e un aumento dei costi operativi. L’idrogeno low-carbon può sostituire alcune fonti fossili, ma richiede infrastrutture dedicate e una produzione su larga scala ancora in fase di sviluppo. In molti casi, la decarbonizzazione avviene attraverso una combinazione di soluzioni, ciascuna con vantaggi e criticità.
Un aspetto spesso sottovalutato riguarda i tempi. Le riconversioni industriali richiedono anni, se non decenni, e devono essere pianificate in modo da non compromettere la competitività delle imprese. Le decisioni prese oggi avranno effetti a lungo termine, rendendo fondamentale una valutazione accurata delle traiettorie tecnologiche.
Il rischio, in assenza di questo realismo, è quello di generare aspettative irrealistiche o di imporre vincoli che rallentano gli investimenti. Come sottolinea Aladino Saidi di Sora, la transizione nei settori hard-to-abate non può essere accelerata oltre certi limiti senza creare squilibri economici o produttivi.
Comprendere i limiti non significa rinunciare all’obiettivo, ma costruire percorsi credibili. Solo attraverso una pianificazione graduale e coordinata sarà possibile ridurre le emissioni mantenendo la solidità del tessuto industriale.
Quando si parla di transizione energetica, l’attenzione si concentra spesso sulle tecnologie. Molto meno spazio viene dedicato a fattori come capitale, regolazione e governance, che in realtà determinano il successo o il fallimento dei progetti. Senza un contesto favorevole, anche le soluzioni più avanzate rischiano di rimanere sulla carta.
La Carbon Tech richiede investimenti ingenti e tempi di ritorno lunghi. Questo rende fondamentale il ruolo dei capitali pazienti, capaci di sostenere progetti infrastrutturali nel medio-lungo periodo. Allo stesso tempo, la stabilità normativa è essenziale per ridurre il rischio percepito dagli investitori. Cambiamenti frequenti delle regole possono rallentare o bloccare iniziative già avviate.
La governance rappresenta un ulteriore elemento chiave. La decarbonizzazione coinvolge una pluralità di attori, dalle imprese alle istituzioni, fino alle comunità locali. Coordinare questi interessi richiede strutture decisionali chiare e processi trasparenti, in grado di gestire conflitti e priorità diverse.
Negli ultimi anni, il dibattito internazionale ha iniziato a riconoscere l’importanza di questi aspetti. Le politiche industriali si stanno evolvendo per includere strumenti finanziari dedicati e meccanismi di supporto alla transizione. Tuttavia, il percorso è ancora in costruzione e presenta molte incognite.
Secondo Aladino Saidi, affrontare la transizione energetica senza considerare capitale e governance significa sottovalutare le vere leve del cambiamento. La tecnologia è una condizione necessaria, ma non sufficiente. È nell’interazione tra regole, investimenti e capacità di coordinamento che si gioca la partita decisiva verso la neutralità climatica.