Prefazione 

Il breve scritto é ispirato al racconto di Peter Wessel Zapffe 'L'ultimo Messia'.

Definizioni

messìa s. m. [dal lat. tardo, eccles., messīas, gr. μεσσίας, adattamenti dell’ebr. mashīaḥ «unto»]. – 1. Nome con cui è indicato nell’Antico Testamento il personaggio (re o sommo sacerdote) oggetto dell’unzione divina; nella tarda letteratura giudaica (ma già sulla base di elementi biblici: cfr. Salmi 2,2) il nome si specializza a indicare l’«unto» per eccellenza, colui che è inviato dal Signore come re e salvatore del popolo eletto; e in tal senso, nella traduzione greca Χριστός (Cristo) il termine assume nel Nuovo Testamento il valore di nome personale applicato a Gesù (e con questo sign. in italiano è per lo più scritto con iniziale maiuscola): l’attesa, la venuta del Messia.

Gesù in persona ora mi guarda. Ha vesti unte e membra lerce. Ha gli occhi di suo padre, li riconosco visto che appartengono anche a me. Ha lo sguardo lattiginoso della cirrosi e le viscere scure di chi ha subito il lutto di scostarsi, di separarsi da ciò che è reale, da ciò che esiste e quindi, inevitabilmente, imputridisce. 

Mi guarda il Re Unto. Mi poggia addosso il suo sguardo regale, pesante e possente, mi spiazza, mi carica di un peso insopportabile, lo sostengo con gli occhi ma lo percepisco addosso, mi schiaccia, mi rallenta il passo fino ad esaurirne l'abbrivio.

Piangendo singhiozza una preghiera, m'implora la carità di staccargli i suoi stessi occhi dalle cavità oculari che li accolgono e li accolsero.

Sogno ad occhi aperti, come sempre, e per un attimo mi torna in mente l'amico Alex "il pensare è per gli stupidi, mentre i cervelluti si affidano all'ispirazione e a ciò che il buon Bohg manda loro". 

Così in un impeto di gioia sconsiderata gli piombo addosso. La mente cantava un inno alla gioia - ora lo ricordo - note che le mie orecchie non potevano udire, esattamente come non le udiva il vecchio Ludovico Van - le intuiva. 

Le intuivo.

Mentre i pensieri si armonizzavano con la musica sovrastai il corpo di Cristo, l'agnello di Dio, con tutto il mio peso. Sentii il suo odore acre solleticarmi le papille gustative senza offenderle. Il suo sito di pustole raccapricciante non ripugnava, sudore e croste rapprese gli coprivano il corpo di sangue e decomposizione organica, di infezioni scaturite da odio e violenza abietta, la mia, la sua, o di chissà chi altri avesse infierito su quel povero straccione. 

Quella desolazione di naturale fragilità lo rese divino ai miei sensi e compresi che era oltre le sue stesse aspettative essere divinità o figlio di essa. Così ci baciammo. Quasi fosse uno sbaglio premeditato o un magnetismo scaturito nelle rispettive volontà dei molti sogni che ci avevano legati. Quasi fosse uno sfogo trapelato da volontà superiori, frutto onirico custodito in grembo alle rispettive intenzioni; un desiderio latente.  

Compresi immediatamente che esiste un destino a cui non possiamo scappare. E il tocco delle nostre lingue aveva il sapore che unisce la desolazione umana alle passioni ultraterrene, appassiva in bocca e fioriva dalle sopracciglia, era meraviglia sconfinata, erano ciglia di petali e sospiri al gusto di miele, il sapore della passione era delicato sulle sue labbra anche se gliele violentavo con morsi intensi. Chiusi gli occhi e sentii di sprofondare in un silenzio di nausee; galleggiavo e allo stesso tempo precipitavo come dissolto in gocce di pioggia leggera, dissoluta svaniva la volontà ed ogni momento durava minuti di cui mi ricordavo solo dopo che erano passati, non riuscivo a vivere in quei momenti ma il ricordo mi piombava in mente all'improvviso subito dopo che erano trascorsi, il ricordo arrivava come un turbamento o una doccia sacra di piombo fuso che purifica. 

Purificazione come follia di cui ero cosciente, l'accolsi, l'accogliemmo senza compromessi e fummo felici ed intimi per un istante di pace, intrisi di una debolezza innocente.

Poi scostai il viso e posi comodamente il mio avambraccio sulla sua fronte, a tenerlo fermo dai suoi spasmi, dalla volontà di reagire ed opporsi alla negazione di essere umano. Avevo dita che erano il prolungamento naturale del mio avambraccio, gli tenni le palpebre di un occhio spalancate e lo sguardo da cui mi guardava improvvisamente divenne una perfetta sfera bianca, mobile all'interno del suo complesso bulbo, roteava spostando lo sguardo tutto intorno. La sfera ricca di capillari a stagliarsi sul bulbo candido, velato di una patina cristallina umida di ricordi, fradicia di lacrime cristalline, seccate nella vastità dell'odio che pervade la materia organica che compone l'essere umano. La creazione divenne scienza chirurgica mentre insinuavo le dita nel buco viscido delle sue orbite, lacerando la guaina che teneva insieme quella complessità di idee e sentimenti, ingegno e materia di studi o evoluzione naturale di microrganismi. Pensavo all'evolversi di esseri unicellulari che in milioni di anni si sono evoluti in forme composte, organiche, davano adito a visioni che potevo tenere in quella palletta perfetta. "Sia fatta la tua volontà" - pensavo ironicamente al santo padre - "ora non potrai più indurmi in tentazione". Strappando il nervo ottico ci fu come un risucchio, come la cannuccia quando pesca dal fondo del frappè, in questo caso attingeva dall'emisfero della corteccia prefrontale del cervello; gelato di fragole sciolto in amarene, il fetore di Cristo mi palpitava nelle tempie, mi ci immergevo inalandolo come se in un istante sbocciasse la primavera dal rigore di millenni di glaciazione.

Le urla soffocate nella gola di Cristo, la lingua a mulinargli in bocca nello stesso modo in cui poco prima mulinellava il suo sguardo nell'orbita del suo occhio, quell'occhio che fuori dal suo incavo aveva un aspetto che non ricordava neanche lontanamente lo sguardo, era solo materia sanguinolenta, poltiglia di nervi, vasi sanguigni e linfa vitale. L'orbita aveva l'aspetto di una bocca aperta, le palpebre raggrinzite a formare una figura familiare, una vagina, labbra di una fica da cui si scorge l'interno rosso-vivo delle carni, un incavo in cui pulsava la vita e fluiva il siero che rende coscienti. Pensavo che, se avessi infilato un dito dove spuntavano le fibre spezzate del nervo ottico, averei potuto insinuare le dita fino a toccare il cervello, un colpo in profondità e si sarebbe spento per sempre, all'istante. Concentrai lo sguardo sull'occhio rimasto, l'odore di quella fessura viscerale però mi ricordò il bacio scambiato poco prima col profeta e volli assaggiare nuovamente il sapore che quella creatura semidivina aveva al suo interno. My own personal jesus giaceva senza più opporsi alla mia fisicità, così misi da parte le mie ambizioni da carnefice e detti sfogo alla mia indole più fragile, mostrando la mia dolcezza in assenza totale di violenza, detti vita al parto malato della mia mente folle: insinuai la lingua in quel cratere di carne che un minuto prima aveva accolto l'occhio sinistro del signore, salvatore del popolo eletto. Il sapore era quello dolce della dolcezza più cupa, pura e frizzante come un barolo appena svinato, prezioso come le lacrime di perla che sembravano ghiandole sotto le mie papille. Insinuavo la mia appendice languida come una sonda in cerca di verità in quel bacio sconsiderato che appagava l'altissimo.

Gemeva di incredulità e di piacevolezza il figlio dello spirito santo, sentii la sua erezione e il piacere strano che mi attanagliava fece volare la fantasia in un contatto tra i nostri sessi. Il mio membro turgido accarezzava il suo scroto, le sue labbra che inizialmente mi sembravano deturpate da croste e spacchi, ora apparivano come petali di un giglio, schiuse ad incorniciare i denti splendenti e la lingua in ombra. Il contatto tra il mio membro e la sua cavità oculare era spalmato come un pensiero e mi gonfiava la salivazione in bocca, che scendeva liquida e si fondeva con la poltiglia di sangue e carne a pienarne l'orbita, sbavavo e limonavo, il contatto tra le carni e le mucose era un balsamo; costringevo e profanavo i buchi del figlio del signore, vergini delle mille voglie che accoglieva con somma vergogna e tripudio di piacere; e mentre pronunciava il nome di sua madre, le sue parole mi sembrarono bestemmie "Maria Maddalena, Madre illibata prospera di vita, non rinnegare il Sacro compimento della volontà onnipotente, liberami da ogni ansia e rendimi forte, donami la volontà per oppormi a questo edonismo cui vengo consacrato e battezzato dalla linfa di sperma che accolgo nel grembo". La vergine maria allora mi apparve di fronte e la sua figura era sovrapposta a quella del suo figlio Gesù, vivevo coscientemente un sogno di incoscenza e pulsioni. Così mi sentii svenire e chiusi gli occhi abbandonandomi al piacere impiacentito dalla piacevolezza di congiungermi col frutto del verbo, in contatto con la profezia annunciata dall'arcangelo amavo Cristo nella figura della vergine madre di dio onnipotente. Ella piangeva il frutto immondo di tanta pazzia ossessiva e folle, singhiozzava inconsultamente e fremeva di ribrezzo per le oscurità in cui era avvolto il frutto del suo sacrificio. Ella rantolava in terra contorcendosi di strazi finchè il cuore cedette alla fibrillazione, regalandole la gioia effimera di scomparire in fretta, senza accogliere oltre la visione di quel delirio cui aveva dato forma. 

E suonavano le trombe del paradiso ad accogliere la mia voglia. Mentre defloravo l'uomo, che un tempo era stato il bambin Gesù, penetrandolo nelle trombe del retto, vedendolo urlare e godere, ansimare di piaceri sconfinati, incurante del trapasso della Madre. 

In quel momento pensavo al frutto della passione partorito in assenza di passioni. Venire ed uscire dal frutto del parto della vergine ci rese vicini più di quanto fossimo mai stati, più di quanto avessimo mai potuto immaginare, nemesi ed antitesi, padre ed anticristo, figliolo rinnegato e cristo redentore, liberi dal pregiudizio e schiavi della passione.

Introduction

The brief text is inspired by the essay 'The Last Messiah' written by Peter Wessel Zapffe.

Definitions

Messiah s. m. [from the late ecclesiastical Latin, messīas, Greek μεσσίας, adaptation from Hebrew mashīaḥ מָשִׁיחַ‎ <<anointed>>. - 1 The name with which the character (king or high priest) object of the divine anointing is indicated in the Old Testament; in the late Jewish literature (but already on the basis of biblical elements: Psalm 2,2) the name specializes in indicating <<the anointed>> par excellence, the one who is sent by the Lord as king and saviour of the chosen people; and in this sense, in the Greek translation Χριστός (Christ) the term assumes in the New Testament the value of personal name applied to Jesus (and with this meaning in English is mostly written with a capital initial): the waiting, the coming of the Messiah.

Jesus in person now looks at me. He has greasy robes and filthy limbs. He has his father's eyes, I recognise them since they also belong to me. He has the milky look of cirrhosis and the dark bowels of those who have suffered the grief of dissociating, of separating from what is real, from what exists and therefore, inevitably, decays. The Anointed King looks at me. He puts his regal, heavy and powerful gaze on me, he displaces me, he loads me with an unbearable weight ,I stand him through my eyes but I can feel him on me, he crushes me, he slows me down until I run out of myself. Weeping, he sobs a prayer, he implores me with charity to take off his own eye from the socket that hold it now and always had. 

I dream with my eyes open, as always, and for a moment I remember the friend Alex:<<I viddied that thinking is for the gloopy ones and that the oomny ones use like inspiration and what Bog sends>>.  So in a fit of reckless joy I fling myself upon him. The mind was singing a hymn of joy -now I remember it-; notes that my ears could not hear, just as the old Ludwig Van could not- he sensed them. 

I sensed them. 

As the thoughts harmonized with the music, I overpowered the body of Christ, the lamb of God, with all of my weight. I felt his acrid smell tickling my taste buds not offending them. His gruesome site of pustules didn't repulse me, sweat and scabs covered his body with blood and organic decomposition, with infections arising from hatred and vile violence: my violence, their violence or that of anyone who had ever scorned that poor beggar. That desolation of natural fragility made him look divine to my senses and I understood that it was beyond his own expectations to be deity or son of it. So we kissed. As if it was a premeditated mistake or an arising magnetism in each other's wills of the many dreams that had bound us. As if it was an outlet of each other's intentions; a latent desire. I immediately understood that there is a destiny we cannot escape. And the touch of our tongues had the flavor that combines human desolation to otherwordly passions, it withered in the mouth and bloomed from the eyebrows, it was a boundless wonder, they were lashes of petals and honey flavored sighs, the taste of passion was delicate on his lips despite I was violating them with intense bites. I closed my eyes and I felt to sink in a silence of nausea; I floated and at the same time I precipitated as dissolved in light raindrops, the dissoluted will faded and every moment lasted minutes that I could remember only after they had passed, I wasn't capable of living in those moments, but the memory suddenly fell into my mind when it had gone by, the memory came like a disturbance or like a sacred shower of molten lead that purifies. 

The purification like a madness I was aware of, I accepted it, we accepted it uncompromisingly and we felt happy and close for a moment of peace, imbued with an innocent weakness. 

Then I pulled my face apart and I comfortably put my forearm on his forehead to keep him from his spasms, from the will to react and to oppose to the negation of being human. I had fingers that were the natural extentions of my forearm, I kept the eyelids of one of his eyes wide open and the look with which he stared at me suddenly became a perfect white sphere, rotatable inside its complex bulb, it swirled moving its gaze all around. The sphere rich in capillaries stood on the white bulb, veiled by a crystalline patina of wet memories, drenched in crystalline tears dried in the vastness of the hatred that pervades the organic matter that makes up the human being. The creation became surgical science while I sticked the fingers in the slimy hole of his eyes, tearing the sheath that held together that complexity of idead and feelings, wit and subject matter or natural evolution of micro-organisms. I thought about the evolution of unicellular organisms that in millions of years evolved in compound and organic shapes, they gave rise to visions that I could held in that little, perfect sphere. <<Thy will be done>> -I ironically thought to the holy father- <<now you can't lead us into temptation anymore>>. Ripping out the optic nerve, there was something like a suction, like the straw when it blows from the bottom of the milkshake, in this case it blows from the hemisphere of the prefrontal cortex of the brain; strawberry ice cream melted in sour cherries, the stench of Christ throbbed in my temples, I immerged myself in it inhaling it as if in a moment the spring could bloom from the rigor of millennia of glaciations. The screams chocked in the throat, the tongue reeled in his mouth in the same way right before his gaze reeled in the orbit of his eyes, that eye that out of its place had a look that didn't even remotely seemed a gaze, it was only bloody matter, mush of nerves, blood vessels and lifeblood. The orbit had the look of an open mouth, the wrinkled eyelids became a familiar figure, a vagina, lips of a pussy from which it is possible to see the bright red inside of the flesh, a socket in which the life pulsed and the serum that makes conscious flowed. I thought that, if I had stuck a finger where the broken fibers of the optic nerve sprouted, I could have slipped my fingers till I touched the brain, a deep hit and it would be extinguished forever, instantly. I focused my look on the remaining eye, but the smell of that visceral fissure reminded me of the kiss had right before with the prophet and I wanted to taste again the flavor that that semi-divine creature had inside. "My own personal Jesus" lyed not opposing to my phisicality, so I set aside my ambitions as an executioner and I gave vent to my most fragile nature showing my sweetness in total absence of violence, I gave life to the sick birth of my insane mind: I insinuated the tongue in that crater of flesh where a minute before there was the left eye of the lord, savior of the chosen people. The taste was that of the darkest sweetness, pure and sparkling like a freshly drawn barolo, as precious as the tears of pearl that seemed like glands iunder my papillae. I insinuated my languid appendage like a probe searching for truths in that reckless kiss that pleased the most high. He moaned from incredulity and pleasantness, he the son of the holy spirit, I felt his erection and the strange pleasure that grippled me made my fantasy fly in a contact between our cocks. My turgid dick caressed his scrotum, his lips, that at first to me seemed scarred by scabs and wounds, now looked like lily petals bloomed to frame the shining teeths and the shadowy tongue. 

The touch of my dick and his eye socket was spread like a thought and it swelled in my mouth the salivation that liquidately dropped and fused itself with the mush of blood and flesh to fill the orbit, I drooled and I made out, the touch between the flesh and the mucous membranes was a balm; I forced and profanated the holes of the son of the lord, they were virgin of a thousand desired that he held with huge shame and triumph of pleasure; and as he pronounced his mother's name, his words seemed blasphemies to me:<<May Magdalene, virgin Mother prosperous of life, don't deny the sacred fulfillment of the almighty will, deliver me from any anxiety and make me strong, give me the will to oppose to this edonism to which I am consacrated and baptized in the lymph of the sperm that I hold in my womb>>. The virgin Mary then appeared in front of me and the figure overlayed the one of her son Christ, I consciously lived a dream of unconsciousness and impulse. So I felt faint and I closed my eyes abandoning myself to the "gorgeousness and gorgeousity" of the pleasure of joining the fruit of the word, in contact to the prophecy told by the archangel I loved Christ under the figure of the virgin mother of the almighty god. She cried the filthy fruit of that much obsessive and insane madness, she sobbed recklessly and she shuddered from disgust because of the obscurities in which the fruit of her sacrifice was being held. She wheezed on the ground contorting from agonies until the heart gave way to the fibrillations providing her the ephemeral joy of disappearing quickly to not bear anymore the vision of that delirium she had given life to. And the trumpets of heaven sounded to welcome my desire. As I deflored the man that once was the child Jesus, penetrating him in the trumpets of his ass, hearing him screaming and enjoying and gasping from boundless pleasure regardless of the death of his Mother. In that moment I thought about the fruit of passion given birth in absence of passions. Coming in and coming out from the fruit of the Virgin's birth made us closer than we had ever been, closer than we could ever have imagined, nemesis and antithesis, father and antichrist, renegade son and redeemer christ, free from the prejudice and slaves of the passion.