Nella newsletter del 7 marzo scorso c’era un quiz: quanti smartphone ci sono in Italia? Risposta: 78,2 milioni secondo i dati del rapporto Digital 2022. Nella maggior parte dei casi le scuole medie sono lo spartiacque per l’acquisto del primo smartphone, per cui possiamo dire che tutti gli studenti e le studentesse delle medie e delle superiori ne possiedono uno. Sappiamo che sono poco amati dagli insegnanti perché distraggono durante la lezione e sono vietati da molti presidi perché possono isolare dal contesto sociale o, al contrario, possono violare la privacy di altre persone della scuola. Tuttavia, nel 2020, quando la pandemia ha ridotto la scuola a lezioni a distanza via Meet, Teams e Zoom, lo smartphone è stato un salvagente soprattutto per le famiglie che non si potevano permettere un computer o un tablet per ogni figlio o figlia.
Quindi bandirli dall’ambiente scolastico è una battaglia inutile perché questi dispositivi permeano qualunque aspetto delle nostre giornate. Ci sono però due modi per usarli con consapevolezza:
attraverso percorsi di educazione civica digitale che portino allo sviluppo di uno spirito critico e di una capacità di ragionamento evoluta: controllare le fonti di informazioni, salvaguardare i propri dati personali e conoscere le conseguenze dei propri gesti (offendere, scaricare abusivamente, diffondere contenuti artistici).
sfruttarli per le potenzialità tecniche che offrono, al di là dell’uso basilare che ne facciamo di solito. È infatti noto che uno smartphone di media capacità sia decine di volte più intuitivo, potente e veloce del computer che portò l’equipaggio dell’Apollo 11 sulla Luna nel 1969. Eppure noi spesso sfruttiamo questi fenomenali poteri cosmici (per citare il Genio di Aladdin) per azioni superflue come farci i selfie, registrare video per i social network o giocare in Rete.
I poteri di uno smartphone derivano dai diversi strumenti che contiene, che permettono di raccogliere dati:
un accelerometro per determinare l’orientamento del display;
un giroscopio per misurare l’inclinazione del dispositivo;
un sensore di luminosità per determinare l’intensità della luce esterna;
un sensore di temperatura per determinare la temperatura interna dell’apparecchio;
un sensore di pressione per ricavare l’altitudine;
un magnetometro per migliorare le prestazioni della bussola interna;
un igrometro per misurare l’umidità dell’ambiente esterno;
un fonometro per determinare l’intensità dei suoni raccolti;
e ovviamente una o più fotocamere per registrare le immagini e un registratore vocale.
Tutti questi strumenti possono essere la base per decine di esperimenti scientifici e per usarli basta scaricare delle app che permettano di raccogliere queste informazioni. Per esempio Physics Toolbox Sensor Suite (gratuito) oppure Sensor Play (a pagamento) offrono più funzioni, ma esistono app specifiche per singoli strumenti: VidAnalysis registra e traccia il movimento degli oggetti inquadrati, Galactica Luxmeter misura l’intensità luminosa, Sensor Kinetics agisce su accelerometro, magnetometro e giroscopio.
Gli esperimenti di fisica sono i più semplici da immaginare e ci sono tanti esempi in Rete che spiegano come usare al meglio i propri dispositivi. Ne danno qualche esempio INFN, INAF, o Zanichelli. Ma una bella raccolta di esempi si trova anche nel libro Scienze con gli EAS (Scholé, 2018) di Stefano Macchia e Alfonso D’Ambrosio.
EAS è una sigla che sta per Episodio di Apprendimento Situato e si riferisce a un metodo che fa ricorso in modo continuo e creativo allo smartphone nella didattica. Lo stesso principio si può applicare a tante materie diverse e infatti nel catalogo della casa editrice ci sono tanti volumi dedicati alle diverse discipline (storia, grammatica, matematica ecc).
Nel caso delle scienze naturali, gli strumenti più utili possono essere la telecamera, il registratore vocale, l’igrometro, il sensore di pressione e temperatura. Possiamo usare questi strumenti per analizzare fenomeni atmosferici, documentare processi biologici o studiare i cambiamenti ambientali nel corso di un periodo di tempo. Per esempio, può essere interessante fare un’escursione e vedere come cambiano i parametri ambientali e, di conseguenza, la flora man mano che si sale in quota. Oppure sfruttare la fotocamera e trasformare il proprio dispositivo in un microscopio: basta applicare una lente e poi si possono fotografare (e soprattutto filmare) dettagli su cui fare poi ragionamenti e analisi di ogni tipo.
Tutte le esperienze di EAS rientrano nel cosiddetto sistema BYOD, sigla che sta per Bring your own device (porta il tuo dispositivo). Questa espressione, mutuata dal gergo aziendale americano, prevede l’uso della propria tecnologia personale per svolgere lavori e compiti in contesti lavorativi o scolastici. Il sistema BYOD ha sopperito (e ancora oggi può sopperire) alla carenza di dispositivi nelle scuole, anche se non né equo e può creare imbarazzo per quegli studenti con meno risorse economiche. Ma se si possono usare gli strumenti della scuola, o se si riesce a limitare le differenze, la potenza didattica di queste esperienze non ha confronti con metodi più tradizionali.
Come puoi cominciare la prossima lezione? Introduci l’uso dello smartphone in classe con una piccola lezione esplorativa nella quale fai emergere cosa sanno delle potenzialità tecnologiche dei dispositivi che studenti e studentesse hanno nello zaino.