Nello scorso numero vi avevo raccontato della mia chiacchierata con Adele Veste, insegnante di matematica, formatrice digitale ed esperta di inclusività. Tra i tanti spunti che sono nati dalla chiacchierata con lei, ce n’è uno su cui ho riflettuto: la trasmissione del sapere.
Il metodo più antico e diffuso è quello della trasmissione lineare: l’insegnante espone gli argomenti del programma agli studenti in modo unidirezionale e, di solito, attraverso lezioni frontali.
Ma ci sono due aspetti che mettono in discussione questo metodo: la vastità del programma e le conoscenze pregresse degli studenti, che possono essere sbagliate, imprecise, oppure molto dettagliate su alcuni temi. In più, il rapporto studente/insegnante può incidere sul modo in cui vengono assimilati gli argomenti del programma. Quindi la trasmissione deve diventare per forza triangolare e per questo sono necessarie alcune modifiche al modo di affrontare la spiegazione.
A partire da questa considerazione, mi sono messo a ragionare sui punti di contatto tra i vertici del triangolo. L’insegnante ha un bagaglio di conoscenze sul programma che vuole trasmettere agli studenti e poi ha altre conoscenze legate alle sue esperienze e ai suoi interessi. Lo studente ha acquisito nel corso degli anni delle conoscenze attraverso la scuola e attraverso tanti altri canali; poi ha un mondo di altri interessi che non riguardano gli argomenti del programma. Fin qui le intersezioni tra insegnante e argomenti del programma e fra studente e argomenti del programma. Se vogliamo raffigurarlo, possiamo fare così:
A questo punto, però, ci sono due intersezioni da spiegare: quella tra ciò che lo studente conosce e ciò che l’insegnante conosce; quella tra i tre insiemi. Partiamo da quest’ultima: l’intersezione tra i tre insiemi è ciò che lo studente impara alla fine del ciclo di studi, cioè l’acquisizione di conoscenze su vari argomenti.
L’intersezione tra insegnante e studente è invece il metodo di lavoro, cioè la condivisione (veicolata dall’insegnante) di un modo di lavorare in classe e affrontare lo studio a casa per arrivare alle conoscenze. Le famose competenze, insomma. Quindi lo schema completo è questo:
Se vogliamo vederlo a colori, forse si capisce meglio:
Tutto chiaro fin qui? In pratica siamo partiti da una freccia unidirezionale che collega insegnante e studente e siamo arrivati a due intersezioni, quella nera (le competenze) e quella verde fosforescente (le conoscenze).
Il quadro teorico è abbastanza semplice, ma la sua messa in pratica è tutt’altro che banale. Perché il programma è enorme, quello che l’insegnante vuole (o vorrebbe) trasmettere è la totalità del programma (o quasi), quello che lo studente ha già studiato è una piccola parte e quello che impara rischia di essere una parte ancora più piccola.
Quindi se mettiamo tutto questo insieme, otteniamo uno schema deformato, che a me ricorda un’albicocca:
“quello che l’insegnante conosce” sotto forma di vermetto è un vezzo artistico: nessuno si senta offeso!
È il paradosso dell’albicocca. È un paradosso perché la sproporzione tra quello che l’insegnante vuole trasmettere e quello che lo studente impara è enorme. In più, le competenze rischiano di essere soltanto un effetto collaterale.
Se vogliamo davvero raggiungere le due intersezioni, quella nera (le competenze) e quella verde fosforescente (le conoscenze), allora dobbiamo trovare un modo per farle crescere entrambe, senza sacrificarle sull’altare del “quello che l’insegnante vuole trasmettere”.
Ormai è sdoganato che la lezione frontale è poco efficace. O meglio: è poco efficace se è l’unico metodo di trasmissione che si usa. Occorre variare, cercare di affrontare i vari aspetti di un argomento in modi diversi: spiegazione frontale, lavoro a casa, analisi di casi studio, produzione di materiali multimediali o cartacei individuali o di gruppo.
Tutto questo riduce inevitabilmente la fetta di "quello che l'insegnante vuole trasmettere", ma dovrebbe farlo in favore delle competenze e anche delle conoscenze.
Perché seguire questo metodo? Per aumentare il coinvolgimento degli studenti in classe, per potenziare il loro metodo di studio e per avere maggiore soddisfazione durante il lavoro.