Poi, accadde l’imponderabile, quello che nessuno si sarebbe aspettato.
Hezbollah catturò due soldati israeliani. Convinti che sarebbe andata come sempre, il premier Ariel Sharon ordinò l'invasione del Libano. Un'operazione militare su vasta scala. Era il 12 luglio 2006.
Trentaguattro giorni dopo (il 14 agosto) Tel Aviv fu costretta ad accettare un cessate il fuoco imposto dalle Nazioni Unite (risoluzione numero 1701) ritirandosi. Di contro, fu stabilito che Hezbollah non sarebbe stata disarmata.
L'invincibile armata della stella di Davide era stata sconfitta. Hezbollah aveva mostrato al mondo che il re era nudo.
Ovviamente, le vittime lasciate sul campo erano migliaia e i profughi (libanesi) un milione. Ma per il “Partito di Dio” significava affermarsi come attore protagonista della scena politica mediorientale. Partito politico, organizzazione militare, gruppo terroristico, movimento resistenziale, “Stato nello Stato”. Hezbollah era questo e molto altro. Più di tutte era, però, la formazione di riferimento degli sciiti libanesi.
Nata agli inizi degli anni Ottanta, quando il Paese dei cedri era dilaniato dalla guerra civile e soggetto all'invasione israeliana e il Medio Oriente veniva scosso dall’onda lunga della rivoluzione iraniana, nel corso del tempo si è ritagliato un ruolo da protagonista nelle dinamiche regionali, certificato dalla partecipazione in forza alla guerra civile siriana.
Il “Partito di Dio” si costituì formalmente tra il 1982 e il 1985, sulla scia di un completo rivolgimento degli scenari interni al Libano. Hezbollah nacque come forza di riferimento del mondo degli sciiti libanesi, minoranza molto spesso emarginata dalla società e afflitta da tassi di povertà e disoccupazione superiori rispetto alla media nazionale, che avevano pagato in maniera salatissima l’invasione israeliana di inizi anni Ottanta e individuarono nella fondazione di un partito confessionale, capace di andare oltre le storiche debolezze della formazione Amal, la via del riscatto, suggerita dalla predicazione dell’imam Musa al Sadr nelle regioni della valle della Bekaa e dall’eco lontana dell'ascesa del regime teocratico sciita in Iran.
Proprio i principi dettati dall’ayatollah Khomeini funsero da catalizzatore per l'unione di una serie di movimenti politico-religiosi sorti nel mondo sciita libanese a inizio Anni Ottanta. Essi certificarono la loro unione nel vero e proprio Hezbollah il 16 febbraio 1985, attraverso la pubblicazione a Beirut della “Lettera agli oppressi del Libano e del mondo”.
Un documento che definiva i principi chiave a cui Hezbollah si sarebbe strenuamente sempre attenuto: dura opposizione al cosiddetto “imperialismo” di Israele e dei suoi alleati, volontà di costruire una società islamica attraverso un mandato democratico, riconoscimento del primato del giureconsulto islamico e assegnazione di un ruolo di guida spirituale all’ayatollah iraniano.
A questo manifesto Hezbollah si sarebbe sempre attenuta scrupolosamente. Del resto, il contesto interno libanese e la situazione internazionale chiamarono il “Partito di Dio” all’azione sin dai primi mesi della sua esistenza.
Il compianto ex inviato di guerra della Rai Amedeo Ricucci: «Hezbollah per anni è stato l’unico difensore armi alla mano dei palestinesi, nel senso che come rappresentante del popolo sciita che abita a sud, e da lì arrivavano i profughi, di fatto è assurto anche a difensore della causa palestinese; in realtà fra le milizie di Hezbollah e quelle palestinesi in Libano i rapporti sono sempre stati altalenanti, la componente palestinese non ha mai avuto rapporti idilliaci con gli sciiti, si contendevano la palma della parte più povera della società libanese, gli sciiti hanno sempre rimproverato ai palestinesi di essere il motivo per cui gli israeliani attaccavano il Libano».
Prima ancora di emergere ufficialmente allo scoperto, Hezbollah aveva iniziato una attiva campagna militare asimmetrica contro le forze israeliane e i loro alleati nel Sud del Libano. Tra il 1982 e il 1986, in particolare, trentasei attentati suicidi colpirono l'Esercito o le truppe francesi e statunitensi schierate in Libano nel contesto delle missioni internazionali.
Il più grave di questi fu l'attacco contro una delle caserme dei caschi blu dell'Onu a Beirut del 23 ottobre 1983, che portò alla morte di duecentoquarantuno marines statunitensi, cinquantotto paracadutisti francesi e sei civili.
Hezbollah intese sin dall'inizio la guerra civile libanese come una questione di vita o di morte per la comunità sciita, invocando alla “resistenza” contro gli israeliani e i loro alleati del South Lebanon Army (Sla). La guerra a bassa intensità proseguì fino al 2000, anno del ritiro degli israeliani e del collasso della Sla. La strategia resistenziale di Hezbollah aveva pagato positivamente, e avrebbe confermato la sua validità nel 2006, quando un nuovo assalto dell'esercito di Tel Aviv al Libano fu sventato attraverso una feroce guerriglia. Nel frattempo, il “Partito di Dio” non perse occasione di costituire una solida base di consenso nel suo Paese. All'ala militare e al partito politico (che controllava stabilmente tra i dieci e i quindici seggi nel parlamento di Beirut) si aggiungeva una capillare organizzazione assistenziale che contribuiva alla creazione di consenso tra la base sociale sciita e le comunità del Sud del Libano e un solido blocco mediatico facente riferimento al “Partito di Dio”.
Hezbollah controllava enti caritatevoli che fornivano veri e propri contributi pensionistici ai suoi “martiri” caduti in guerra, istituzioni sanitarie, organizzazioni scolastiche, servizi di distribuzione di viveri e addirittura di raccolta rifiuti.
Ma fu la Siria a rappresentare il vero salto di qualità dell’organizzazione.
La partecipazione dei miliziani sciiti libanesi in Siria, assieme al contemporaneo arrivo della Forza Quds iraniana di Qasem Soleimani, costituì un fattore cruciale per la tenuta del governo centrale di Damasco. Hezbollah combatté e vinse molte battaglie, pagando un duro tributo di sangue nel tormentato scenario siriano.
Attraverso la Siria Hezbollah era riuscito a capitalizzare in patria quella prova di forza, da cui era uscito legittimato come vero e proprio attore politico regionale (ancor più che grazie alla guerra con Israele), che di fatto lo portò a esercitare un'influenza superiore a quella dello stesso Stato libanese in diversi teatri fondamentali.
Un'influenza del tutto genuina? Eric Salerno, è stato inviato in Medio Oriente per lungo tempo, intervistato ha dichiarato in proposito: «Non c'è dubbio che oggi quando guardiamo la globalizzazione dei servizi segreti, uno si rende conto di trovare all’interno di movimenti arabi agenti israeliani o persone che hanno lavorato o collaborato con loro, e loro lo sanno che sono israeliani perché sviluppano certi interessi. Dall'altra parte avviene la stessa cosa, c'è stato un caso alcuni anni fa di un ufficiale superiore a riposo dei servizi israeliani che venne catturato si disse in Libano e poi hanno pagato gli israeliani un alto prezzo, scambio per ottenere il suo ritorno, non si è mai capito bene cosa stesse facendo lì, se stava commerciando diamanti o armi perché aveva questi rapporti con Hezbollah e con altri gruppi in Libano. In Medio Oriente nulla è del tutto genuino. Esiste sempre il lato B delle cose».
In ogni caso, tutto ciò era stato possibile grazie a una capillare organizzazione che aveva nel segretario generale il centro propulsivo. Dal 1992 Hassan Nasrallah, membro della prima ora dell’organizzazione, che rivendicava una discendenza diretta dal profeta Maometto e aveva compiuto i suoi studi a Qom, capitale religiosa degli sciiti in Iran, oltre che a Najaf, in Iraq.
La sua formazione, anche sotto il profilo politico, fu profondamente influenzata dal periodo iracheno. Un momento della vita che durò poco, però. Sul finire degli anni Ottanta in Iraq vennero varate leggi contro le scuole religiose. Di conseguenza, Nasrallah tornò quindi in Libano, decidendo di proseguire in patria i propri studi.
A differenza di Amal, un partito rivolto alla popolazione sciita ma sorretto da un'ideologia laica, nel credo politico di Hezbollah è presente il riferimento all'Islam e ai valori islamici. Un filo comune molto importante con l'Iran post 1979. E quindi Nasrallah riuscì, grazie alla propria formazione religiosa, a diventare subito uno dei rappresentanti più attivi del movimento.
Ma la svolta arrivò nel 1987, quando i militanti lo elessero capo esecutivo del movimento. Si trattò di un incarico di prestigio, che gli permise di dettare la linea politica di Hezbollah.
Israele aveva sempre considerato la formazione sciita come terrorista. Per questo motivo, spesso, anche dopo la fine del conflitto civile libanese, l'aviazione israeliana aveva l'abitudine di prendere di mira obiettivi di Hezbollah. Nel 1992, nel corso di un bombardamento, fu ucciso Abbas al Musawi, leader della formazione. Al suo posto quale segretario generale venne scelto Hassan Nasrallah. Da questo momento sarebbe stato lui a guidare le sorti del movimento.
Il suo primo gesto fu quello di far partecipare Hezbollah alle prime consultazioni elettorali post belliche. Da quel momento in poi, il gruppo oltre a costituire un movimento radicato nel sud del Libano e nei quartieri sciiti di Beirut, divenne anche un vero e proprio partito, in grado di muoversi con scaltrezza nello scenario internazionale. Non a caso in un discorso televisivo tenuto subito dopo l'invasione russa dell'Ucraina Nasrallah affermò: «Basta riflettere un po’ e ricordarsi di quanto sta accadendo da anni per rendersi conto che Russia e Ucraina sono entrambe vittime dell’imperialismo Usa, unico responsabile della crisi». Sotto la guida di Nasrallah Hezbollah si impegnò a seguire tre obiettivi principali: «La fine di ogni potenza imperialista in Libano, sottoporre i cristiano-falangisti a una giusta legge e portarli a processo per i loro crimini, dare al popolo la possibilità di scegliere con piena libertà il sistema di governo che vogliono, invitandoli a scegliere per un governo islamico».
fonte: Franco Fracassi - Guerra alla pace