Libri - Storia del dove


STORIA DEL DOVE

Insieme all'amico Claudio Tartari, storico, ho scritto "Storia del dove" (Bollati Boringhieri, 2017).

Ho raccontato come è nato il libro sulle pagine della rivista Le Stelle, dove dal 2011 al 2018 ho tenuto la rubrica "L'Orizzonte degli eventi". Riprendo qui sotto il pezzo, pur con lievi modifiche. 

Il libro è stato poi tradotto in spagnolo (Siruela) e in cinese (Jiangsu Kuwei Culture Development). Le copertine di queste due edizioni sono riportate più sotto. L'edizione cinese ha avuto particolare successo e il libro  "has been a bestseller for 3 years and has been selected as a recommended reading list for primary and secondary school students" a detta dell'agenzia letteraria Rightol. È stato quindi ristampato a cura della NANJING PHOENIX XINLIAN CULTURAL, un marchio della Phoenix Science Press.

 Del libro hanno scritto Claudio Elidoro, su Scienzainrete; Piero Bianucci, su La Stampa; Patrizia Caraveo, sul Sole24ore, Alberto Cellotto su un suo blog e Sandro Moiso su Carmillaonline.com.

Claudio Maria Tartari

Nel corso degli anni ho scritto molti pezzi di divulgazione astronomica: sull’esplorazione del Sistema Solare, sugli esopianeti e sulla possibilità che ve ne siano di abitati da forme di vita tecnologicamente avanzate, su quanto sappiamo – o ancora non sappiamo – dell’Universo, sui progressi e i cambiamenti dell’astronomia nell’ultimo secolo o, più in generale, sulla storia dell’astronomia. Rileggendone alcuni, mi sono reso conto che un fatto era ricorrente, nel tempo così come nei contesti più disparati: sempre, ogni volta che erano migliorate le misure, aumentate le conoscenze, digerite nuove scoperte, ogni volta che veniva inaugurato, e quindi diventava disponibile un nuovo telescopio, il “mondo” – inteso nella sua accezione più generale – si era rivelato più ricco, più complesso, e soprattutto più grande di quanto credessimo.

È successo con il nostro Sistema Solare, limitato per millenni a Saturno e poi ingranditosi progressivamente con la scoperta di Urano, Nettuno e Plutone. E poi della fascia di Kuiper, della nube di Oort e chissà, forse anche di Planet 9.

È successo quando Galileo, all’inizio del 1600, alzando il cannocchiale al cielo scoprì che Giove aveva ben quattro lune e che le stelle erano molte di più di quelle visibili a occhio nudo, cominciando a risolvere in una miriade di astri la nebulosità della Via Lattea. 

È successo all’inizio del secolo scorso quando si scoprì che alcune nebulose che si credeva fossero parte della nostra Galassia erano invece galassie esterne, ricche come la nostra e lontane, incredibilmente lontane. Un cambiamento, quello, tra i più considerevoli riguardo alla consapevolezza della misura del “mondo”: nel giro di pochi anni l’Universo noto aumentò di molti ordini di grandezza tanto in dimensioni quanto in ricchezza. Un universo di stelle vicine si trasformò in un universo composto da galassie remote. Non avevamo semplicemente “aggiunto”, avevamo addirittura “moltiplicato”! E subito dopo, all’Universo abbiamo attribuita addirittura una nuova dimensione, quella temporale. Non solo grande e non più immutabile, ma addirittura in espansione! 

È successo, sempre nel secolo scorso, con il fiorire delle nuove astronomie – dalla radioastronomia all’astronomia X e gamma – nate anche grazie allo sviluppo tecnologico e alla conquista dello spazio, che ci hanno mostrato che l’Universo è una cornucopia di fenomeni inaspettati.   

E poi è successo ancora, più recentemente, sia con la scoperta che la sua parte “visibile” è una piccola frazione di un universo “oscuro”, ma presente, sia con l’ipotesi che esso sia uno di molti: gli universi paralleli o i multiversi. 

È successo quando lo sguardo attento e penetrante della moderna strumentazione a bordo del telescopio orbitante Kepler ha mostrato come gli esopianeti, sconosciuti sino a trent’anni fa, siano numerosi, comuni e ubiquiti. 

È successo e continua a succedere; continuamente spostiamo i confini un po’ più in là, consapevoli che non sono mai definitivi. 

Mi è venuto naturale chiedermi da quanto tempo ciò stesse succedendo. Spostare i confini più in là non è certo prerogativa esclusiva degli astronomi. Colombo, Vespucci, Magellano e altri grandi esploratori avevano superato, nel XVI e XVII secolo, gli oceani e scoperto nuovi continenti; prima ancora qualcuno si era avventurato oltre i deserti. Oltre le Colonne d’Ercole. Anche in tutte quelle occasioni il mondo era diventato più ricco, più vario, più grande. Ne ho discusso con l’amico Claudio Tartari, storico, con cui ho condiviso la formazione di base (i cinque anni della scuola elementare!) e che ha poi coltivato interessi differenti, umanistici. Ero curioso di capire, approfittando delle sue competenze, molto diverse dalle mie e forse complementari, quanto all’indietro nel tempo fosse possibile spostare queste considerazioni. Mi ha spiegato che si poteva partire addirittura dalla protostoria, per delineare il percorso del pensiero umano sulla percezione dell’ambiente che ci circonda; che una domanda apparentemente banale come “Dove siamo?” cui è implicitamente associata l’altra domanda “Cosa c’è intorno a noi?” non ha mai avuto una risposta semplice ma richiedeva che il punto di riferimento fosse continuamente rivisto perché succedeva qualcosa che rimetteva l’orizzonte in discussione. 

Come accade ancora oggi. Abbiamo convenuto che ne sarebbe risultato un racconto un po' più lungo e complesso, magari con meno certezze, di quello che la scuola tramanda. Ricordavamo insieme come da bambini ci pareva vasta l'aula scolastica, come imparammo a muoverci nell’edificio che pareva labirintico, e poi le lezioni di geografia sulle grandi mappe arrotolate e quelle che ci insegnavano come la terra e altre “biglie” giravano intorno al Sole.  Aiutandosi con un marchingegno di metallo, non in scala, il maestro ci illustrava dove noi fossimo nel nostro Sistema Solare: la prima nostra esplorazione fantastica e il primo confronto con un dove astratto che superava i nostri sensi. Erano quelli gli anni della competizione fra USA e URSS nel lanciare satelliti artificiali all'immediata periferia del nostro pianeta. Essi erano più vicini a noi di quanto lo fossero gli abitanti di Roma da quelli di Milano, ma si parlava di “conquista dello Spazio!” e se ne perdevano i riferimenti.

Se per noi bambini fortunati, cresciuti nella seconda metà del XX secolo, in pochi anni parve chiaro che capire dove siamo è relativo alla vastità dello spazio di cui abbiamo percezione, per l'umanità il cammino è stato ben più arduo. Sono stati necessari millenni per imparare a tenere a memoria luoghi e percorsi, per non abitare il territorio esclusivamente al presente, perché l’indagine dell’ambiente si trasformasse da ripetizione di occupazione a esplorazione consapevole: muovendosi sul pianeta e osservando quanto si muoveva in cielo. A meno di diecimila anni fa risalgono i primi segnali di una riflessione umana sulle distanze, sulla forma del territorio, sulla consapevolezza del “dove”. Solo molto più recentemente l’esplorazione è diventata cartografia e geografia per la terra, astronomia e cosmologia per il cielo. 

Non plus ultra” era il monito inciso alle Colonne d'Ercole. Un simbolo geografico del limite consentito all'esplorazione terrestre, ma anche ideologico nella visione dei regni che si susseguirono per millenni intorno al Mediterraneo. I Fenici commerciavano con le Isole Britanniche, gli Arabi costeggiarono l'Africa: ma nell'Oceano, verso ponente? C’era altro al di là di quell’abisso; e altri, successivamente, andarono oltre quei confini, portando nel corso del XVI secolo, allo sgretolarsi di certezze e divieti nel ripensare anche lo spazio celeste. 

Si andava intanto chiarendo, fra me e Claudio, che è la vastità di questo spazio (e non solo in senso geometrico), tanta e tale da non riuscire a coglierla di primo acchito, che porterà a stravolgere nei tempi moderni la percezione del dove. Una percezione che, con l’aiuto di alcuni giganti: Galileo, Darwin, Einstein, Hubble e altri ancora, abbiamo capito ci colloca sempre più a margine. Sebbene addirittura intuita da qualche saggio di secoli antichi, ancora oggi, però, non è del tutto condivisa. C’è ancora chi – e non sono solo alcune tribù nomadi delle steppe asiatiche o i boscimani dell’Africa australe, ma anche persone tecnologicamente evolute – stenta a credere alla insignificanza cosmica del nostro pianeta e che questo non sia il centro dell'universo. E soprattutto non vuole rinunciare all’idea della nostra unicità.

Discutendo, approfondendo, prendendo qualche appunto e poi elaborandolo è cominciato così un divertissement che si è poi trasformato in un breve libro, uscito in libreria per i tipi della Bollati Boringhieri. Ecco, ho raccontato come è nato Storia del dove – alla ricerca dei confini del mondo

Ultima modifica a questa pagina: 08/11/2023