Background

Quando mi è stato chiesto di tenere un corso sull’Interazione Uomo-Macchina all’Università di Trieste ho accettato con entusiasmo. Le macchine con cui interagiamo sono diventate così articolate che il come utilizzarle pone interrogativi pragmatici, piscologici e filosofici. L’interazione con le macchine coinvolge la nostra mente e la modifica. A volte crea sinergie, altre depotenzia le capacità cognitive. Quando uno studente usa una calcolatrice in maniera troppo intensa, la sua mente va incontro al fenomeno della fossilizzazione cognitiva: la capacità legata al calcolo matematico mentale si affievolisce (Gallina, 2019).


Ma ci sono anche innumerevoli esempi che mostrano come le macchine amplifichino la creatività dell’utilizzatore. Il pluripremiato musicista Hans Zimmer, sfruttando software di composizione, ha a disposizione nel salotto di casa un’orchestra virtuale. Grazie alle sue sole mani e alle estensioni fornite dal sistema di sintetizzatori è in grado di simulare la presenza di un’intera fila di archi. In un batter d’occhio può percepire la differenza che si ottiene inserendo o togliendo un paio di violini. È la magia dell’interazione con le macchine. Esse hanno il potere di amplificare o modificare le nostre percezioni e le nostre azioni.


A tal proposito, il filosofo David Chalmers ha introdotto il concetto di mente estesa (Schneider, 2009). Secondo Chalmers la mente non possiede i “confini del cranio”, ma si estende all’esterno. Gli oggetti e le macchine con cui essa interagisce diventano parte integrante del processo cognitivo. In questo senso anche un semplice taccuino, nel quale una persona annota la propria to-do-list, si configura come un modulo mentale: va interpretato come una memoria operativa di breve termine.


Lo sviluppo della tecnologia robotica ha solleticato la volontà di sperimentazione interattiva degli artisti. Per rimanere nell’ambito della robotica, si può citare il lavoro di Alex Kiessling. Nel 2013, l’artista disegnò un volto a Vienna, nel suo studio. Il pennarello che usò era equipaggiato con marker di riferimento (una pallina rossa) la cui posizione nello spazio venne rilevata in tempo reale da un sistema di tracciamento (motion tracking). Grazie a questa informazione altri due imponenti robot, solitamente impiegati nelle industrie automobilistiche, riprodussero l’opera in tempo reale a Londra e a Berlino. Quella usata da Kiessling è una tecnologia detta di telemanipolazione ormai consolidata: un operatore umano muove un oggetto e un robot, remotamente, mima gli esatti gesti dell’operatore. La performance, efficacie dal punto di vista mediatico – forse talmente efficacie da mettere in ombra gli altri aspetti artistici – ripropone in scala moderna e amplificata, quanto anticipato dall’artista giapponese Akira Kanayama.


La simbiosi biologico-macchina è una tematica affascinante. La possibilità che entità biologiche possano prendere il controllo in maniera autonoma ma sincronizzata di elementi meccanici crea suggestioni alle quali è difficile rimanere indifferenti.

Nel 2017, alla Sogakudo Hall della Tokyo University of the Arts, il ballerino Kaiji Moriyama suonò un pianoforte con i movimenti del proprio corpo, senza usare le dita. Sulla sua schiena erano stati posizionati alcuni sensori, detti accelerometri, in grado di registrare le accelerazioni dei tessuti muscolari. Le misure di spostamento venivano convertite in tempo reale in “informazioni sonore” riprodotte dalla tastiera. La danza generava la musica musica[1].

Uno degli strumenti più interessanti per fare interagire un robot con una persona è l’eye-tracker. Si tratta di uno strumento in grato di rilevare il punto esatto ove si posa lo sguardo di una persona. In questo modo è possibile impiegare gli occhi per guidare il movimento del robot o per azionare altri sistemi elettromeccanici.


Per qualcuno l’eye-tracker è diventato una ragione di vita. Il fumettista professionista Francis Tsai, all’età di 42 anni, fu tragicamente colpito da una malattia degenerativa: la sclerosi laterale amiotrofica. Poco alla volta le sue capacità motorie degenerarono. Tuttavia, grazie a un eye-tracker, continuò a disegnare senza sollevare un solo dito.


In ambito artistico, Graham Fink, usa l’eye-tracker per produrre ritratti “filati” con un a linea continua.


L’uso dell’eye-tracher nello studio delle opere pittoriche non è un elemento di novità. Viene infatti impiegato per studi di neuroestetica e percettivi, per individuare i punti di attenzione, le linee di forza, il contrasto dei colori, la sequenza di interesse o altri parametri significativi. In particolare, gli studi condotti dalla professoressa Tanya Beelders mostrano come un pittore sia consapevole dei punti di interesse osservati da un fruitore, ma non della sequenza con cui vengono indagati con lo sguardo (Beelders and Bergh, 2020).

Queste riflessioni ci hanno ispirato a ideare e realizzare una serie di opere inerenti la “sensibilità” della macchina. Il progetto si è concretizzato nella collaborazione con Marco Giacobbe[2]. Giacobbe ha dipinto una serie di quadri astratti. Uno degli intenti di Giacobbe è quello di guidare lo sguardo dell’osservatore, di usare le pennellate come fossero “indicazioni stradali” per lo sguardo. Affascinato da questo processo percettivo, gli ho proposto di impiegare un eye-tracker per valutare dove effettivamente si posa lo sguardo di un osservatore e di sfruttare questi dati per realizzare un secondo dipinto, quello contenente l’informazione della traiettoria dello sguardo.

In questo modo il dittico ottenuto chiude il cerchio realizzazione-fruizione. Il dato della macchina diventa esso stesso elemento d’arte, esplicitato sulla tela.



[1] https://www.yamaha.com/en/news_release/2018/18013101/

[2] https://www.spaziocima.it/marco-giacobbe/