10 luglio 2020

Recita Treccani alla voce "Vacanza"

Recita Treccani alla voce Vacanza:

1. Intermissione, temporanea cessazione di un’attività. In particolare: a. Intervallo di riposo, di uno o più giorni, che nella ricorrenza di una festività o per altra circostanza viene concesso agli studenti e agli impiegati, mentre le scuole e gli uffici rimangono chiusi: […]. b. riposo più o meno lungo dalle proprie occupazioni che una persona si concede (se svolge attività autonoma), o si fa concedere (se è in posizione subordinata)

2. Il fatto, la condizione di essere o di rimanere vacante; lo stato di una carica, di un ufficio civile o ecclesiastico, di un beneficio che siano privi del titolare e anche il periodo durante il quale rimangono vacanti.


Durante le vacanze estive, almeno per me, arriva sempre un momento in cui l’unica cosa che si può fare è pensare. Più che altro perché si è già finito tutto il resto delle possibilità. Pensavo alle vacanze, e per me il dizionario Treccani dice il falso. O meglio, dice esattamente l’opposto di quello che intendo io per “vacanza”.

Ragioniamo

Intermissione, temporanea cessazione di un’attività. Può essere, sulla carta. In realtà mi viene da pensare l’esatto contrario. In vacanza si ha tutto il tempo del mondo per fare tutto quello che per cui non lo si ha mai. E molto spesso ciò corrisponde a riflettere su noi stessi con lucidità.

Consideriamo che non tutti, purtroppo, ma la stragrande maggioranza delle persone su questa terra lavori nel settore che la rende più felice, o addirittura occupi il posto che sognava da bambino. Da questa premessa nasce come diretta conseguenza che tutti costoro si dedichino al lavoro con fervida passione e impegno. Questo li porta inevitabilmente a fare del proprio mestiere la propria essenza. Discussioni extralavorative, ragionamenti, progetti. Noi diventiamo la nostra passione, dentro e fuori l’orario che ad essa dovrebbe essere dedicato. Vacanze comprese. Non è per forza da considerarsi un male. Sono il primo a dipingere la passione per qualcosa come un sentimento nobile e necessario. Ma è un dato di fatto che essa non ci abbandoni mai.

Sappiamo tutti benissimo che in una vita piena ed interessata il tempo da dedicare al ragionamento su noi stessi sia ridotto all’osso. Ed è questo il ruolo che ha ormai assunto la vacanza. Essa è il nostro spazio per dialogare col nostro “io” interiore. Non abbiamo più finestre di tempo atte a pensare nella nostre giornate, così le raccogliamo tutte insieme, risparmiando duramente su di esse e raccogliendole infine tutte quante, per formare le pause feriali.

Ma se durante questo lasso di tempo siamo ancora e sempre occupati dalla nostra passione, che corrisponde al nostro lavoro, allora viene meno ciò che dice Messer Vocabolario. L’attività non si interrompe. Anzi, semmai viene alimentata ancora di più. Primo nodo al pettine.


Intervallo di riposo in occasione di festività. Qua si cade quasi nel ridicolo. Troppo facile sarebbe ricorrere alla classica frase, uscita dalla bocca di tutti almeno una volta, alla fine delle vacanze: “Sono più stanco adesso che sono finite di quando sono iniziate”. No, qua si vuol parlare del loro valore, specialmente dei cosiddetti “ponti”. Riposo? Ma quando, ma chi? Ponte, specialmente per le ricorrenze “importanti”, come Natale o Pasqua, vuol dire parenti, vuol dire cibo, vuol dire cervello che vorrebbe essere poggiato sul comodino per qualche giorno e invece è costretto a partecipare attivamente a conversazioni a cui non è minimamente in grado di tenere testa. Vuol dire viaggi per visite a gente che “non mi ricordo chi sei” ma tranquillo, che “ti ho visto che eri alto così”, vuol dire spese pazze, regali e spazio effettivo per oziare, zero. Tutto ciò è tremendamente stancante, è inutile che ce la raccontiamo in altro modo. Già ciò basterebbe per far decadere anche il secondo postulato. Secondo sassolino nella scarpa.

Ma noi vogliamo proprio grattare il fondo.

Vogliamo chiudere il cassetto “feste a casa col parentado” perché non vale? D’accordo, ci sto. Apriamo allora quello “vacanze con gli amici / viaggio”.

Generalmente questo tipo di vacanza prevede esperienze forti, culturalmente importanti o emotivamente cariche, fisicamente provanti e via dicendo. Spesso inoltre si necessita di viaggi lunghi, parlando sia di chilometri che di tempo, con tutti i vari episodi fortuiti del caso, che non mancano mai. Quindi, per quanto qui non si voglia dire che ciò sia sbagliato, anzi,… Quale riposo? Forse dovremmo ammettere che questo tipo di ferie sia fatto apposta non tanto per riposarsi, quanto per darsi la botta di stanchezza finale, ma facendo altro, di totalmente differente dalla routine quotidiana.


Infine, lo stato in cui un ufficio rimanga vacante. Privo del suo titolare. Qui si ritorna al discorso iniziale. Se davvero di mestiere facciamo qualcosa che ci appassiona, per quanto possiamo mancare da esso stando bene? Personalmente parlando, arriva sempre, puntualmente, ogni estate (solitamente dopo quindici giorni massimo…) un momento in cui non vedo l’ora di tornare alla “vita normale”. Generalmente ciò corrisponde a uno stato di insofferenza generale. Al caldo, al mangiare come una betoniera, al far niente che da dolce comincia a diventare amarognolo. Comincio a sentirmi in colpa per il troppo tempo in cui non mi rendo utile, chiamatemi pazzo ma è così. Amo quello che faccio, ho bisogno di periodi di riposo a intervalli regolari di tempo, ma dopo un po’ devo rientrare in carreggiata.


Di più. Vacanza intesa in questo senso corrisponde a disagio. C’è da dire che, benchè sia doveroso che tutti abbiano diritto a un periodo di stacco (ci mancherebbe altro), secondo la celebre Legge di Murphy, per cui se qualcosa può andar male, andrà peggio, solitamente i periodi di ferie corrispondono esattamente al momento in cui risolvere un qualsiasi imprevisto diviene improvvisamente impossibile. Sembra ad esempio che tutto quello che debba succedere di evitabile nel raggio di un chilometro da te, si concentri nella settimana di Ferragosto. Di qualunque cosa tu possa aver bisogno, assistenze tecniche, poste rapide, trasporti efficienti, stai tranquillo che stai bene anche senza. Perché risolvere un problema riempiendo un ufficio vacante con un sostituto, quando si può procrastinare la soluzione di qualche settimana? Il titolare non è che non c’è, smette di esistere. Del resto, cosa saranno mai quindici giorni senza internet…? ...e telefono…? ...e macchina…? ...in mezzo al niente…? ...su una gamba sola…?

Ennesima crepa nel muro.


La morale della storia è quindi estremamente banale. Attenzione a quello che si legge, e a scegliere bene le proprie fonti, perché, come si può notare, anche i più illustri pulpiti possono fornire descrizioni lontane dalla realtà. Treccani non ce la racconta giusta. E’ probabile che questa nostra posizione derivi anche dal prolungato stop che abbiamo dovuto vivere quest’anno. La voglia di tornare alla normalità si taglia con un coltello.

Le vacanze hanno rotto.

Change my mind.

Tommaso Nista

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