Solo poche tracce lungo i ripidi fianchi del grande blocco di peperino grigio su cui è ancora arroccato il cento storico testimoniano in modo visibile la presenza di un antico abitato falisco: pochi grandi antri, sapientemente intagliati nella dura roccia vulcanica, si riescono ancora a intravvedere tra le innumerevoli successive stratificazioni degli edifici che li vanno man mano nascondendo e distruggendo.
L'intero imponente blocco di peperino su cui sorgono tra l'altro la Rocca, la Cella, Monte Oliveto e la stessa Collegiata, è interamente traforato da gallerie e grotte piccole e grandi, percorsi e manufatti antichissimi, forse abitazioni o magazzini, condotti per le acque, modificati e riutilizzati nelle epoche successive come tombe, depositi o stalle, e perfino come ricoveri durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
Purtroppo tutti questi manufatti, così particolari da ricordare in piccolo i Sassi di Matera, non sono stati mai seriamente esplorati e studiati e versano in uno stato di abbandono rovinoso. Resi oltretutto inaccessibili dagli proprietari ignari del loro valore culturale, murati o addirittura distrutti per forme di selvaggio riuso moderno che si somma con l'incuria e le intemperie, non smettono tuttavia di affascinare i visitatori che si trovano ad esplorare questi luoghi pochissimo noti.
Ma il territorio circostante restituisce ancora malgrado tutto ciò sorprendenti testimonianze dell'antica presenza dei Falisci, dei Romani e dell'Impero, dei primi Cristiani.
Pregevole manufatto in marmo bianco, forse altare di epoca falisco/romana, ritrovato nell'area dell Cella e collocato nella piazzetta davanti alla chiesetta di san Carlo accanto alla Rocca.
Nell'alta area della Rocca e della Cella, nel tessuto di viuzze e passaggi e scalette scavate nel peperino, è ancora riconoscibile la forma dell'antichissimo nucleo urbano; l'esistenza di questa area proprio nella zona meglio difesa naturalmente è certo legata alle lunghe lotte del popolo Falisco per sottrarsi al predominio della crescente potenza Romana, ma il peperino utilizzato nella costruzione dal III sec.a.C. degli edifici di Falerii Novi proviene certamente dal banco dove sorge la Rocca.
Le pietre sono testimoni muti, purtroppo: le prime notizie scritte dell'esistenza della città di Fabrica sono solamente del 1093 d.C. quando, secondo il Chronicon Farfense II, il "Fundo Fabrice" fu donato da Ildebrando di Odelerio al Monastero di Farfa e poi nel 1177 in una citazione della chiesa di san Silvestro; appare indubbio tuttavia che abbia fatto parte fin dall'Alto Medioevo del Possedimento Papale assieme al Ducato Romano e come tale fu difesa dai Prefetti dell'Urbe dalle orde barbariche come dalle invasioni dei Longobardi e dei Saraceni.
La carica di "Praefectus Urbis", già presente nell'antica Roma con compiti di difesa militare come sostituto del re o del console, venne mantenuta per tutto l'Alto Medioevo divenendo ereditaria e di tipo feudale. Così la famiglia dei Di Vico, Prefetti di Roma probabilmente già ben prima del X secolo, con il controllo dei castelli della Tuscia Viterbese tra cui Fabrica, dominò il Patrimonio di San Pietro in questi territori.
La città, pur oggetto assieme ad altri castelli delle mire espansionistiche delle varie potenti famiglie romane, prosperò sotto la protezione della potente Abbazia di Farfa ed altre comunità monastiche, attraversando in relativa tranquillità il periodo delle lotte più aspre tra Impero e Papato, tra il XII e il XIV secolo.
Nel XIII secolo i Prefetti Di Vico li ritroviamo con Manfredi proprietari del fondo e del castello di Fabrica: proprio alla sua epoca appare attribuibile il bel "Palazzo dei Prefetti" con ingresso originale nella via della Fontanella, purtoppo estremamente alterato dai molti interventi successivi anche recenti, come anche l'ampliamento e consolidamento delle mura urbane e degli accessi protetti, pedonali e non, all'area della Rocca con la stessa via Fontanella, Piazza di Sotto e via Carbognano.
I Prefetti Di Vico, quasi sempre in lotta con il Papato e con Roma in favore dell'Impero, nel periodo della Cattività Avignonese riuscirono a dominare interamente il Patrimonio di San Pietro ma i secoli XIV e XV furono assai burrascosi per tutto il territorio coinvolto nell'ambizioso sogno della famiglia di costruirsi un proprio dominio indipendente a spese del dominio temporale dei Papi.
La lunga avventura di questa potente famiglia si concluse definitivamente solo nel 1435, dopo guerre terribili e distruzioni, con l'eliminazione fisica dei Di Vico, quando Giacomo II venne decapitato nella Rocca di Soriano e i suoi eredi eliminati o dispersi.
Il Castello di Fabrica era ritornato nel Patrimonio Papale già nel 1432 sotto l'amministrazione dell'Ospedale di santo Spirito in Saxia; solo sfiorato dal passaggio dei Lanzichenecchi di ritorno da Roma, fu ceduto quindi dal 1536 al 1538 in enfiteusi a Madama Lucrezia Della Rovere assieme alla tenuta di Falleri.
Ai Della Rovere piacque molto Fabrica dove avevano costruito un palazzo gentilizio, l'attuale "Palazzotto", adiacente alla cinta muraria ma dotato di proprie mura e giardino in cui dimorarono a lungo il Cardinale Giulio Basso e varie volte anche il Papa Giulio II.
Nel 1539 Fabrica fu inserita da Paolo III Farnese nel Ducato di Castro e Ronciglione, come feudo per il figlio Pier Luigi e con alterne vicende rimase proprietà Farnese fino al 1649.
Il periodo tra il 1545 e il 1589 fu per Fabrica tra i più felici, specie sul piano culturale: la presenza del Cardinale Alessandro nella conduzione dei Ducati Farnesiani portò anche a Fabrica al ripristino degli edifici rovinati e alla costruzione di nuovi, al restauro e all'ampliamento della cinta muraria, all'abbellimento e alla sistemazione per usi civili delle aree circostanti, alla organizzazione e conservazione dei beni e delle "approvazioni" dei Priori e dei vari atti giuridici.
All'opera del Cardinale Alessandro sono da attribuire la ricostruzione e l'elevazione della Torre della Rocca, la realizzazione del Parco (ora in parte Giardino storico Comunale) e del nucleo più antico del Palazzo poi Cencelli, la realizzazione della Peschiera alle sorgenti del Barco (con relativa riserva boschiva fuori dell'area urbana) e della sovrastante chiesetta di San Francesco, mai restaurata e che ora versa in condizioni inagibili praticamente di distruzione pressoché totale; inoltre fece raccogliere e sintetizzare tutte le ordinanze e le disposizioni cittadine in un libro, il "Codice Farnesiano".
La signoria Farnesiana si concluse drammaticamente con Ranuccio II, che dopo aver spadroneggiato e taglieggiato crudelmente i sudditi tra il 1646 e il 1649, dovette restituire l'amministrazione del ducato alla Camera Apostolica, in risarcimento dei debiti contratti con il Monte di Pietà per i suoi sperperi; la famiglia non riuscì più a riscattare il feudo, che perciò rimase sotto il dominio diretto dello Stato Pontificio.
Il periodo intorno al 1640 (*) fu per terribile per i Fabrichesi, afflitti da una carestia che li ridusse in totale miseria, ma passò: i granai della Rocca e del Comune divennero insufficienti e si dovette costruirne di nuovi in vicolo dell'Ariola.
Nel XVIII secolo i passaggi che si susseguirono nei territori circostanti delle truppe spagnole ed austriache dirette a conquistare Napoli, cui Filippo V di Spagna fu spinto dalla moglie Elisabetta Farnese, poi nel 1798 l'esercito rivoluzionario francese assediato dai tedeschi e dai napoletani nel Forte Sangallo di Civita Castellana misero gran parte della popolazione al limite della sopravvivenza, costretta dagli invasori a foraggiarli con denaro, derrate alimentari e bestiame.
Già nel 1756 la Camera Apostolica aveva concesso ai fratelli Stefano e Leopoldo Cencelli numerose aree, tra cui quelle della Rocca e del Barco, in enfiteusi ereditaria; essi nel 1800 le riscattarono, mantenendone il possesso familiare fino a pochi anni fa, quando gli ultimi eredi vendettero il patrimonio, compreso il palazzo che porta il loro nome ed è da qualche anno la nuova sede del Comune, frazionandolo e lottizzandolo per insediamenti abitativi.
Nel 1802 le sorti del paese si risollevarono, grazie agli aiuti della Sacra Congregazione per il Buon Governo, ma per poco perché dal 1806 i Fabrichesi subirono l'occupazione dei Francesi che durò fino al 1814 quando con la Restaurazione venne ripristinato il Governo Pontificio, cessato nel 1808.
Pare che durante l'occupazione francese siano stati distrutti e saccheggiati particolarmente i luoghi di culto, risparmiando solo l'Asilo dove le monache educavano le giovinette, e a cui anzi concessero invece sussidi.
Al governo del "Comune di Fabrica, Cantone di Caprarola, Circondario di Viterbo, Dipartimento del Tevere, Regno d'Italia" vi fu fino al 1815 un "Maire", ovvero un Sindaco elettivo.
Quando l'Impero Napoleonico cadde venne ripristinato il Governo Pontificio, però i Fabrichesi non erano più sottomessi come in passato: le nuove idee rivoluzionarie spinsero molti a reagire ai soprusi da parte di signorotti e prepotenti locali e contro gli abusi di amministratori e di ufficiali si verificarono aggressioni, intimidazioni e denunce anonime. Le idee liberali ed unitarie si diffusero anche qui ed è ben noto l'appoggio dato da molta gente del Viterbese a Garibaldi e alla Repubblica Romana del 1848/49 e alla tentata conquista di Roma nel 1867 da parte dei volontari, entrambi terminati tragicamente.
Lo Stato Pontificio cercò finanziamenti ed aiuti dai propri sudditi, ma a Fabrica trovò risposte assai tiepide anche da parte del clero più influente: l'idea dell'unità sotto la monarchia sabauda, malgrado le repressioni, dopo il 1860 si diffuse sempre di più. Nel 1870 una delle tre colonne dell'esercito piemontese diretto a Roma attraversò Civita Castellana con alla testa Vittorio Emanuele II - le altre due passarono rispettivamente per Terni e per Viterbo e l'annessione dello Stato Pontificio al Regno d'Italia al Plebiscito fu votata quasi all'unanimità. Per Regio Decreto il 13 gennaio 1873 il nome della città divenne Fabrica di Roma e Nicola Pacelli, Priore dal 1855, ne divenne il primo Sindaco.
Da allora la storia della città entra a far parte della storia dell'Italia e con essa ha intrecciato e vissuto le proprie vicende fino ad oggi.