Se i nostri ragazzi non hanno potuto beneficiare di una didattica in presenza nel corso di quest’anno, se hanno perduto una quantità di ore e di nozioni significative e di possibilità di relazioni, questo non significa affatto che siano di fronte all’irreparabile. Il lamento non ha mai fatto crescere nessuno, anzi tendenzialmente promuove solo un arresto dello sviluppo in una posizione infantilmente recriminatoria. A contrastare il rischio della vittimizzazione è il gesto etico ed educativo di quegli insegnanti che spendono se stessi facendo salti mortali per fare esistere una didattica a distanza.

Insegnare davanti ad uno schermo significa non indietreggiare di fronte alla necessità di trovare un nuovo adattamento imposto dalle avversità del reale testimoniando che la formazione non avviene mai sotto la garanzia dell’ideale, ma sempre controvento, con quello che c’è e non con quello che dovrebbe essere e non c’è. Si tratta di una lezione nella lezione che i nostri figli dovrebbero fare propria, evitando di reiterare a loro volta la lamentazione dei loro genitori.

Non ci sarà nessuna generazione Covid a meno che gli adulti e, soprattutto, gli educatori non insistano a pensarla e a nominarla così lasciando ai nostri ragazzi il beneficio torbido della vittima: quello di lamentarsi, magari per una vita intera, per le occasioni che sono state ingiustamente sottratte loro.

Coraggio ragazzi, siete sempre in tempo anche se siete in ritardo!

È, in fondo, nella vita, sempre così per tutti: siamo sempre ancora in tempo anche se siamo sempre in ritardo.

Massimo Recalcati


Dire che i giovani sono fragili è vero ma è anche falso. Non credo che la fragilità descritta sia causata dalla pandemia ma trae origine da modelli di vita basati da schemi di sviluppo che hanno svuotato il cielo delle essenziali caratteristiche che fanno di un essere umano un essere umano. L'educazione alla vita , alla gestione dei sentimenti , alla consapevolezza di se stessi , alla ricerca della propria vocazione è stata consegnata ad agenzie non educative , ad agenzie preoccupate da altro che non sia l' amore e il rispetto per la parte spirituale e divina che alberga nascosta dentro ogni essere umano.

L'individualismo la separazione il narcisismo il valore dato solo ad oggetti merce il pensiero unico hanno svuotato la forza e l energia della giovinezza e delle possibilità molto prima della pandemia. Solo dal saper affrontare le difficoltà può scaturire una feconda crescita che consente di superare ogni demone che nella vita sappiamo di dover incontrare.

Troppe generazioni sono state espropriare della possibilità di spiccare voli a causa di un falso amore di genitori non sufficientemente consapevoli che "non fare mancare niente ai figli" non è davvero un gesto d amore. Sto parlando anche di me genitore. La mia generazione di figli ha avuto la possibilità di mettersi in gioco ma poi diventati genitori non siamo cresciuti abbastanza.

Ragazzi voi siete molto più forti di quello che credete, solo che non lo sapete, non ne avete coscienza

La vita può essere un avventura avvincente, ma per diventarlo bisogna prima cadere e non piangersi addosso ma scoprire quanto sia varia la possibilità di trovare il bello e il soddisfacente anche dove, ad una prima impressione, sembra non ci sia nulla di buono

Da prof e da uomo maturo mi sento di dirvi che potete essere voi lo splendore del mondo, dovete solo capire cosa desiderate veramente, ma cosa desiderate voi veramente, non quello che desiderano altri per voi

Ho sempre pensato che una scuola dovrebbe fare questo, i maestri quelli veri sono quelli che ti attivano e ti accendono per consentirti di volare e poi stanno ammirati e commossi ad ammirare il tuo volo ed imparano una volta di più dai propri studenti altre meraviglie della vita.

Biagio Zarbano


Perdere la pienezza dei quattordici o quindici anni, quando il mondo è una scoperta quotidiana delle sue possibilità e delle sue insidie, non è come vivere quest’esperienza a cinquant’anni. I ragazzi si sono incupiti, chiusi, molti hanno peggiorato i loro risultati scolastici, la maggioranza trascorre il tempo appesa allo schermo di un telefono che costituisce l’aggancio al mondo esterno, in questo inverno cupo e solitario. Secondo un’inchiesta promossa da Save the Children e realizzata da Ipsos i ragazzi dicono che nel 28% dei casi un loro compagno di classe ha abbandonato gli studi. E aggiunge: «Quasi quattro studenti su dieci dichiarano di avere avuto ripercussioni negative sulla capacità di studiare (37%). Stanchezza (31%), incertezza (17%) e preoccupazione (17%) sono i principali stati d’animo che hanno dichiarato di vivere gli adolescenti in questo periodo, ma anche disorientamento, apatia, tristezza e solitudine».

Senza scuola, parchi, sport, incontri con gli amici, cinema, concerti, cosa resta se non la dimensione apparentemente infinita, l’unica senza confini e divieti, del mondo virtuale? Quello spazio non è irreale, anche quella è realtà. Le parole, i video, i giochi sono parte di un mondo dilatato, doppio. E questa duplicità oggi costituisce un salvagente per i ragazzi. Cosa sarebbero stati questi mesi senza la possibilità di scrivere agli amici, di giocare a distanza con loro, di coltivare le passioni? Non ci dobbiamo ripetere qui le distorsioni del mondo virtuale, i rischi racchiusi nei meccanismi di semplificazione estrema, nella manipolazione della realtà, nella concentrazione di enormi poteri in poche mani. Ma è parte del mondo contemporaneo. E c’è da augurarsi che presto le democrazie si decideranno a definire regole sapienti per evitare i rischi di oligopolio e che nelle scuole, dopo aver insegnato tre volte gli etruschi, si aiuterà un ragazzo a capire e utilizzare coscientemente tecnologie di conoscenza e relazione che oggi sono tanta parte della sua vita. E a metter tutti in condizione di farlo, visto che ancora oggi quasi un milione di ragazzi non ha né tablet né pc.

Non ci si spaventi dunque se i ragazzi, confinati in casa, si affacciano sul mondo attraverso lo schermo di un telefono o di un computer. Lo fanno per non sentirsi soli. E quando lo fanno, credo sia giusto che i genitori non li colpevolizzino ma li comprendano e li rispettino. I ragazzi italiani non sanno se e quando torneranno a scuola. I banchi con le rotelle sembrano ora delle installazioni di arte contemporanea, nelle aule chiuse. Nel decidere se, come, quando le scuole riapriranno, si consideri anche il punto di vista dei ragazzi che non hanno rappresentanza, non siedono a nessun tavolo. Questo rafforza in me l’idea che la democrazia del duemila oltre alle forme di rappresentanza politico istituzionale dovrebbe alimentarsi di meccanismi di democrazia diffusa e di sussidiarietà. È possibile che mai nessun giovane abbia potuto dire la sua in tutti questi mesi di vertici, verifiche, seminari a Villa Madama?

Vorrei che in questo frenetico e spesso surreale arcobaleno di giornate, regioni, orari si tenesse conto che esistono delle anime fragili. E che ci si ricordasse, in questo che non è un Paese per giovani, che in questo momento nelle case di milioni di italiani c’è una ragazza o un ragazzo che sta annaspando nel tempo decisivo della vita e c’è il rischio che si smarrisca. Per un ragazzo il «distanziamento sociale» è una pena più grave che per un adulto. Ricordarsene sempre. In un mondo adulto che è andato in confusione su tutto: vaccini, tamponi, terapie, governi, regole l’unica cosa su cui tutti si sono sempre uniti è stata randellare i giovani se una sera uscivano, perfino essendo consentito, per vedere amici o semplicemente prendere un aperitivo.


In un piccolo libro curato da Sabrina Minuzzi per Marsilio e intitolato «La peste e la stampa» si riporta il racconto scritto nel 1576 dal notaio Rocco Benedetti di Venezia dopo la tremenda epidemia che colpì il nord d’Italia. Si dice: «Gli Signori prohibirno che nissuno, per undeci giorni, potesse andare in casa d’altri, né donne né putti uscir dalle sue contrade... Il negozio fra mercanti si levò in tutto, nella piazza li merciari e quasi tutti gl’altri artigiani serorno le loro botteghe... Parimente le piazze erano sgombre di genti e per la via si caminava senza ch’alcuno urtasse altro, non s’udivano più suoni né canti né altri dilletevoli intratenimenti per le strade e canali...». Quasi cinquecento anni dopo la immensa potenza della scienza e della tecnologia, che pure riuscirà a immunizzarci, ci consegna, di fronte alla pandemia, un paesaggio urbano e abitudini di vita non diverse da quelle descritte dal notaio Benedetti. Tanto più chi decide oggi deve avere nell’orizzonte delle sue motivazioni anche quello che gli algoritmi non registrano. Anche quello che sta accadendo nel cuore delle persone, tutte. E dei più fragili. Che non sono solo gli anziani. Ma anche i ragazzi, soli e ignorati, di questa Italia spaventata.

Walter Weltroni