Abstracts

Marta Accardi - L’attenzione di Alberto Moravia. Il romanzo come coscienza e conoscenza 

Il contributo intende analizzare alcuni passi de L’attenzione di Alberto Moravia, al fine di mettere in  evidenza i modi in cui, all’interno di questo “romanzo nel romanzo” del 1965, l’autore declina il  motivo dell’attenzione: come «categoria psicologico-esistenziale» (Tornitore, 2019) su cui modellare  il protagonista della vicenda e come chiave interpretativa metaletteraria che consente di indagare le  problematicità legate alla rappresentazione in seno al genere del romanzo nella metà degli anni  Sessanta. Dopo aver abbandonato lo stato d’animo della disattenzione, lo scrittore e giornalista Francesco  Merighi adotta, nei confronti del reale, «l’atteggiamento dell’attenzione», arrivando a scontrarsi con  la corruzione morale della propria famiglia e con la crisi del romanzo come genere letterario. Il personaggio diviene così il portavoce delle riflessioni saggistiche di Moravia, che erano già presenti  in nuce in alcune sue lettere private risalenti agli anni Trenta e che trovarono maggiore risonanza all’interno dei romanzi, come ad esempio La noia del 1960, e di alcuni saggi.  Elogiato e stroncato al contempo dalla critica dell’epoca, L’attenzione testimonia che «un romanzo  non può non essere realistico», dal momento che il realismo è l’«attitudine dell’animo» di uno  scrittore, con cui è possibile affrontare il problematico rapporto con la realtà. 

Giordano Belcecchi - Strategie di risalto dei discorsi citati nelle Stanze di Poliziano  

Un aspetto linguistico che può essere indagato nello studio di un testo è la gestione delle modalità  con le quali i discorsi pronunciati da altri vengono introdotti e gestiti. Lo scopo che questo lavoro si  prefigge è analizzare gli espedienti linguistici attraverso i quali i discorsi citati vengono messi in  evidenza all’interno delle Stanze di Poliziano. Dopo una prima disamina di alcuni problemi di ordine  metodologico relativi alla classificazione delle diverse modalità con le quali un discorso può essere  riportato nel testo, saranno analizzate, nel poema di Poliziano, le molteplici tipologie di cornici citanti  che giovano al riconoscimento del discorso riportato e che hanno l’obiettivo di risaltarlo. Particolare  attenzione sarà poi rivolta all’utilizzo dei verba dicendi; un’indagine su questi ultimi permetterà di  trarre alcune conclusioni sullo stile delle Stanze: è infatti possibile rintracciare nella tradizione dei  poemi epici classici delle peculiarità relative all’uso di determinati tempi e modi verbali, alla  posizione dei verbi del dire rispetto alla frase citata e alla gerarchia sintattica entro la quale il verbum  dicendi è inserito. Infine, il raffronto di queste particolari caratteristiche dei poemi epici classici con  le modalità con le quali il discorso riportato viene gestito nel testo in ottave di Poliziano getterà  ulteriore luce sul recupero condotto da quest’ultimo della tradizione classica latina (Virgilio e Ovidio)  e volgare (Petrarca) ed evidenzierà come la ricettività di tali tradizioni non sia mai abulica, ma subisca  diversi processi di rielaborazione personale, rendendo ancora più tangibile la proposta di varietà dotta  avanzata dal poeta ai suoi contemporanei: un’adesione mai passiva alle fonti. 

Lorenzo Cambi - Attention-to-what? Le varietà di minoranza nel paesaggio linguistico: il caso del dialetto

In sociolinguistica l’attenzione costituisce un fattore fondamentale per definire la variazione stilistica ed esemplificativo in tal senso è il modello dell’attention-to-speech proposto da Labov (1972), il quale pone in evidenza come all’aumentare dell’attenzione, e quindi all’aumentare del grado di formalità, corrisponda la selezione da parte del parlante di una varietà maggiormente prestigiosa. Ciò considerato, alcuni studiosi si sono chiesti se fosse possibile che in certi contesti di alta attenzione potessero esser selezionate varietà minoritarie; risultato interessante di queste ricerche è il modello dell’attention-to-self proposto da Sharma (2018) e Sandow (2022), il quale sottolinea come in taluni casi i parlanti, pur sorvegliando attentamente la loro produzione linguistica, scelgano di ricorrere a una varietà di minor prestigio per fini identitari. Tali scelte, secondo gli studiosi, si giustificano con l’importanza assegnata dai parlanti al sottolineare l’appartenenza a un gruppo. Considerati questi modelli, nel presente intervento ci si chiede come si possa interpretare il crescente utilizzo del dialetto all’interno del paesaggio linguistico. Ci troviamo infatti di fronte a un contesto di forte attenzione per due motivi: il primo riguarda la natura di queste testimonianze, le quali, oltre a essere scritte, sono il risultato di un processo mediamente lungo di elaborazione; il secondo è che si tratta di varietà – i dialetti – che non hanno una tradizione scrittoria condivisa e che, pertanto, necessitano di una riflessione approfondita affinché un sistema grafico esistente venga a loro adattato (Dal Negro et al., 2015). All’interno del paesaggio linguistico si sono riscontrati vari usi del dialetto, con fini distinti; principalmente, questo codice viene utilizzato per due scopi: uno identitario, in linea col modello dell’attention-to-self, e uno commerciale. Mettendo a confronto questi due aspetti, e tenendo in considerazione le riflessioni sul valore economico delle lingue (Bourdieu, 1988; Block, 2017), vedremo come l’utilizzo consapevole del dialetto all’interno del paesaggio linguistico dimostri un tipo di attenzione potenzialmente diverso rispetto ai modelli precedentemente proposti.

Ottavia Casagrande - Figure dell’attesa tra Gli immediati dintorni e Diario d’Algeria di Vittorio Sereni 

La prigionia algerina, durata dalla fine del luglio 1944 al 28 luglio 1945, è un evento che ha segnato  profondamente la biografia e la produzione – poetica e in prosa – di Vittorio Sereni. Nello specifico,  l’autore ha dato particolare spazio di rappresentazione a questo periodo e alle sue conseguenze nel  suo Diario d’Algeria e nei testi degli Immediati dintorni.  La proposta di intervento riguarda una possibile analisi delle «figure dell’attesa» in alcuni brani tratti  da questi due volumi, che presentano diverse tangenze. Se è vero che l’attesa «si orienta verso il  futuro, ciò che la governa è la memoria del passato. Si aspetta una persona o un evento, qualcosa  quindi che si è già conosciuto, qualcosa che, dopo essere stato presente, dal passato proietta il  fantasma del ritorno, della ripetizione» (INGLESE 2006, pp. 66-67). Per questo motivo, ci si  concentrerà sull’immobilità rappresentata in questi testi – e anticipata anche in brani che raccontano  i fatti precedenti alla prigionia vera e propria (si pensi a Lettera d’anteguerra, Bologna ’42, Lubiana o Italiano in Grecia, a titolo di esempio); ma anche e soprattutto sulla dimensione particolare di  recupero del passato che emerge e sulle figure di ripetizione, identificate da Mengaldo come  caratteristiche della scrittura sereniana. In questa analisi, infine, sarà utile rilevare come entri in gioco e venga rielaborata la memoria letteraria dantesca, soprattutto per quanto riguarda l’immaginario del  limbo e le «atmosfere purgatoriali» (CARLETTI 2003) all’interno di alcuni dei testi selezionati. 

Fabio Massimo Cesaroni - Attenzione e lessicografia: due case-studies leopardiani 

L’intervento, che si basa sull’esperienza di redazione di voci inedite per il Lessico Leopardiano («vanità,  vano» e «gravità, grave»), ha l’obiettivo di declinare il tema dell’attenzione nel campo della lessicografia  d’autore, applicandolo tanto alla gestione delle metodologie di ricerca quanto alle competenze linguistiche dell’autore in esame. Nel primo caso, si approfondirà il novero di strategie e strumenti utili a rendere  conto della sedimentazione e degli usi dei lemmi fra le pagine leopardiane. A margine di alcuni cenni sui  database impiegati nella ricerca, saranno discusse diverse tipologie di indagine: sarà fatto riferimento  all’esame delle fonti letterarie e linguistiche di Leopardi, alla differenza fra un approccio di impianto cronologico, che studia la variazione dell’uso dei lemmi nella microdiacronia 1809-1836, e un approccio  di tipo testuale, che privilegia invece lo studio degli usi dei lemmi fra diverse opere. Di decisivo rilievo per la compilazione di una voce anche lo spazio che va dedicato, nella preparazione dei testi del corpus, alla verifica di correzioni e fasi redazionali anteriori a quelle definitive. La seconda anima dell’attenzione è da intendersi invece relativamente alla cura leopardiana nell’uso delle parole, che sarà messa in luce  attraverso una discussione delle diverse sfumature che acquistano i lemmi a seconda delle differenti sfere  semantiche in cui sono impiegati, o in base alla cautela con cui ricorrono in contesti simili. Degni di nota anche gli espedienti linguistici con cui Leopardi gestisce la semantica delle parole (come l’uso della prefissazione, della suffissazione o del supporto di voci satelliti), o ancora l’importanza che per lui hanno sempre avuto l’etimologia e l’eredità letteraria dei lemmi nel canone degli autori stimati. 

Stefania Conte - La Commedia di Dante Alighieri nell’era della digitalizzazione: a cosa “attèndere”?  

Nel maggio 2023 è partito “MAGIC”, un progetto interdisciplinare, finanziato dal Ministero delle  Imprese e del Made in Italy. L’obiettivo è creare un Centro Servizi per il trattamento, la conservazione,  la tutela, la valorizzazione e la fruizione di testi antichi e di manoscritti. Dopo una fase prototipale, sono state effettuate le digitalizzazioni dei codici manoscritti miniati della  Divina Commedia di Dante Alighieri, un corpus di 101 manoscritti, datati tra il XIV ed il XV secolo, e custoditi presso biblioteche, musei, archivi nazionali ed esteri. Se da un lato il progetto mira alla conservazione a lungo a termine dei file, mediante l’utilizzo del  formato F.I.T.S. come standard, dichiarato tale dall’Ente Italiano di Normazione, dall’altro punta alla  divulgazione e diffusione delle digitalizzazioni stesse. L’Attenzione è rivolta, in particolar modo, alla  fruizione dei testi danteschi nei confronti non solo di specialisti, ma di quegli utenti appassionati e  curiosi di Dante: in tal caso, l’impiego dell’intelligenza artificiale è necessario per garantire la loro  facile leggibilità, innanzitutto, riducendo l’effetto bleed-through, cioè la penetrazione degli inchiostri  tra il recto ed il verso delle carte. La tecnica di filtraggio delle immagini assicurerà la lettura anche  delle significative glosse e postille poste a margine. Una siffatta fruizione attènde alla creazione di  un’ampia base di metadati, nonché ontologie che conducono il documento digitalizzato in un percorso  di ricerca multiculturale e che trascende i confini culturali. La grande mole di dati prodotti è  immagazzinata nel Data Center scientifico dell’Ateneo, con un’area dedicata di un petabyte e  connessione Internet veloce ai fini della fruibilità e di recente ammodernata. 

Giacomo Costa - L’attenzione del copista tra testo e paratesto: il caso del ms. Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Correr 1493

Il ms. Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Correr 1493, tramanda una versione del Roman d’Alexandre in antico francese, comunemente siglata versione B, trascritta da un copista italiano, nella quale si riscontra uno stato di mescidanza linguistica tra il francese e la lingua dell’amanuense. Il codice conserva, inoltre, 139 miniature di scuola bolognese, ognuna accompagnata da una rubrica esplicativa e corredate, in alcuni casi, di note al miniatore. Il codice Correr appare, pertanto, di particolare interesse, sia perché ci restituisce un sistema linguistico ibrido tra francese e un volgare settentrionale della Penisola, sia per il prezioso paratesto che lo correda. Per tali caratteristiche il manoscritto risulta essere un caso di studio interessante per analizzare l’attività e lavoro del copista. L’intervento, dunque, si configura come il tentativo di presentare una prima indagine circa il grado di attenzione posta dal copista nella trascrizione dell’opera, focalizzando l’interesse sull’analisi dell’ibridazione linguistica, sulla presenza di italianismi e sul confronto tra testo principale (Roman d’Alexandre) e paratesto. L’obiettivo principale sarà di presentare un primo spoglio linguistico, partendo non solo dalle interferenze del copista sul testo in antico francese, ma includendo e confrontando anche le rubriche e le note al miniatore. Per svolgere questa analisi ci si è valsi di un metodo d’indagine sistematico basato su di un annotatore linguistico automatico, Pyrrha. Ai risultati della lemmatizzazione, corretti manualmente, sono state aggiunte delle etichette che sottolineano la presenza di forme ibride. Il serbatoio di dati risultante da un lavoro di questo tipo restituisce un attento ritratto della lingua del manoscritto e risulta essere fondamentale per elaborare un preciso confronto delle abitudini e delle attenzioni del menante tra il testo e tutti gli elementi che lo circondano.

Laura Costanza - Dell’arte dialettica e dintorni: su alcune postille tassiane al Fedro di Platone

Il contributo vuole riflettere su un circoscritto nucleo di postille depositate da Torquato Tasso sul Fedro di Platone, volte a focalizzare la discussione – sviluppata dal personaggio di Socrate nella seconda parte del dialogo – sui principi dell’arte dialettica. Tra i libri annotati da Tasso spicca, difatti, l’esemplare dell’Opera omnia platonica tradotta e commentata in latino dall’umanista Marsilio Ficino, stampato a Basilea nel 1539 e attualmente conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana con segnatura Stamp. Barb. Cr. Tass. 46. Tale corpus di annotazioni documenta la profonda attenzione riservata da Tasso al problema dell’elaborazione di una dialettica intesa come convergenza fruttuosa di filosofia e retorica, capace di perseguire la verità in opposizione alla fallace parola sofistica. Si tratta di tematiche di ascendenza platonica assai care al poeta sorrentino, chiamate ad intrecciarsi con la riflessione sulle categorie di falso, vero e verosimile, capitale durante il lavoro di riforma della Gerusalemme. A fronte di ciò, sarà possibile mettere in luce come i contenuti prelevati dal Fedro e affidati ai marginalia vengano reimpiegati da Tasso nelle proprie opere, particolarmente in quei Dialoghi in cui la problematica retoricodialettica risulta centrale, come nel caso del Nifo overo del piacere (1580-1587) e del Cataneo overo de gli idoli (1585).

Giulia Dalfino - Per una didattica plurilingue inclusiva… la valorizzazione dell’altro  

Nella società italiana contemporanea, come in quelle europee, il plurilinguismo rappresenta ormai  una realtà consolidata, nella quale l’italiano è cambiato e continua a cambiare sotto la spinta dei  mutamenti sociali e soprattutto dei parlanti, che lo condizionano con i loro usi linguistico comunicativi.  Sin dagli anni Settanta ad oggi, in seguito all’arrivo di cittadini stranieri sul territorio nazionale, lo  spazio linguistico italiano si è tuttavia fatto sempre più complesso, accogliendo accanto alla lingua  nazionale standard, alle sue varietà e alle minoranze linguistiche di antico insediamento, anche delle  nuove dimensioni come: l’italiano di contatto, frutto di processi di acquisizione dei nuovi parlanti; le  lingue immigrate, ovvero quelle appartenenti al repertorio linguistico degli immigrati giunti in Italia.  

Quest’ultime, in particolare, hanno alimentato (e continuano ad alimentare) un acceso dibattito  nell’ambito della glottodidattica, facendo sorgere nuove problematiche relative alla definizione di  strategie di integrazione e di metodologie inclusive che rispondessero alle esigenze dei nuovi pubblici  apprendenti l’italiano come lingua seconda (L2) e che riconoscessero il plurilinguismo come un dato  di fatto, un tratto di potenziale ricchezza sia per il singolo che per la società, chiamata a difendere il  diritto di ciascuno a vedere tutelato il proprio repertorio linguistico. Questo contributo si propone di dare risposta ad una domanda, ovvero in che modo le riflessioni e  i documenti sul plurilinguismo e l’educazione plurilingue, sul rispetto e la valorizzazione dei repertori  plurali, sulla gestione della diversità linguistica nei contesti formali, possano trovare spazio  applicativo in classe in modo non episodico, divenendo cardine educativo di una scuola capace di  accogliere, valorizzare, incentivare la diversità di lingue e di linguaggi, secondo i principi  dell’educazione linguistica democratica. Quest’ultima è, infatti, l’unica strada percorribile, protesa all’adozione di una prospettiva attenta  alla pluralità delle lingue e alla loro inclusione, per far sì che i processi di apprendimento possano  avere esiti migliori, per tutte e tutti gli alunni della scuola italiana, al di là della loro origine e anche  andando oltre fattori che altresì incidono sugli esiti scolastici, come il background socioeconomico,  il contesto territoriale e quello di classe, e così via. Si affronta, pertanto, il tema della pluralità di lingue e culture presenti all’interno della classe per  riflettere sulle ricadute di questa sull’educazione linguistica nel contesto attuale, sulle possibilità di  trasformare in pratica didattica quotidiana le istanze del rispetto e della valorizzazione della diversità  delle lingue, cogliendo le sfide e le opportunità del contatto linguistico per consentire la formazione  di cittadine e cittadini pienamente consapevoli della propria identità e della pluralità che li circonda,  a partire da uno studio dei loro repertori linguistici, delle risorse comunicative e dei loro bisogni. La diversità linguistica deve essere conosciuta, riconosciuta e valorizzata, qualunque siano le  lingue in contatto, in quanto si rivela essere positiva sia per i parlanti più lingue che per gli alunni  monolingui, insegnando l’apertura al mondo, sollecitando un atteggiamento di curiosità,  promuovendo in tutti una competenza e una sensibilità metalinguistiche.  

Gianluca Della Corte – Forme dell’«attendĕre» descrittivo nel romanzo storico italiano di primo Ottocento  

Questo abstract propone un’analisi della descrizione nel romanzo storico italiano del primo  Ottocento, con un focus rivolto al legame che tale tecnica stabilisce con il concetto di «attendĕre»  nelle sue diverse accezioni semantiche.  Riprendendo le nozioni elaborate da Genette, ci si concentrerebbe sull’effetto di interruzione  del «tempo della storia» che la descrizione produce, imponendosi come una «pausa» del narrare.  Questa dilatazione del «tempo del racconto», oltre a incidere sul ritmo del testo, genera degli effetti  patetico-emotivi sul lettore, talvolta immaginato dal narratore come in preda alla noia o a una forte  impazienza, dettate dalla temporanea sospensione dell’azione, nucleo attrattivo ed elemento decisivo  della trama. La descrizione si profila così come uno spazio dell’attesa che si frappone ai momenti  progressivi della storia.  Una tale forma discorsiva necessita pertanto di una particolare attenzione sia da parte del lettore,  costretto a fronteggiare gli «sminuzzamenti» e le «descrizioni scrupolose degli oggetti visibili», sia  da parte del narratore «autoriale», che si ritrae come uno studioso dell’epoca di ambientazione del  romanzo, in grado di documentare e istruire il lettore. A tal proposito conviene interrogarsi  sull’accento posto sulla disattenzione del personaggio rispetto alle cose descritte: a cosa è funzionale  questa distinzione tra lo sforzo illustrativo del narratore e l’indifferenza visiva del personaggio?  Ultima questione che s’intenderebbe affrontare è legata all’orizzonte di attesa: quanto la  descrizione è prevedibile? Quali sono le «griglie», gli schemi descrittivi che adoperano i narratori di  primo Ottocento?  La scelta di esplorare modi e funzioni della descrizione in uno specifico sottogenere ha delle  precise ragioni: intrinseca al romanzo storico è un’attenzione scrupolosa alla realtà materiale  dell’epoca di ambientazione. L’immissione della storia nel romanzo, infatti, passa non solo attraverso  la narrazione delle grandi vicende (guerra, carestia, peste…), ma anche tramite la visualizzazione  della cultura materiale (oggetti, costumi, abitudini…) di un determinato periodo.

Marta Genduso – Il corpus Edu.Co per l’analisi del discorso orale di educatori linguistici. 

Edu.Co rappresenta un prototipo di Educator Corpus che raccoglie le interazioni orali di docenti o tutor dell’apprendimento coinvolti nell’esame orale per il conseguimento di una certificazione universitaria delle competenze professionali per educatori linguistici in ottica inclusiva. In particolare, si tratta di una raccolta di parlato semi-spontaneo, in quanto le interazioni rappresentano la simulazione di un colloquio docente-genitore che ha l’obiettivo di valutare le competenze dei candidati tanto rispetto alle hard skills, quanto alle soft skills indicate dal sillabo del progetto certificatorio (Daloiso, Mezzadri 2021). L’impianto teorico metodologico della raccolta è stato elaborato per compensare determinati limiti dei corpora (Flowerdew 2012), integrando gli strumenti quantitativi di analisi con alcuni tools interpretativi propri dell'Analisi del Discorso (Gee 2011). In questa relazione si intendono presentare risultati coerenti con tale impianto, con l’obiettivo di far emergere le strategie pragmatiche messe in atto dai parlanti in una situazione comunicativa particolare in cui si profila la necessità di fare appello ad una serie di competenze per il raggiungimento di uno specifico obiettivo comunicativo e l’eventuale gestione di situazioni conflittuali. Oltre agli schemi interazionali più frequenti verranno esposti anche alcuni dati salienti che pertengono a prosodia, lessico e sintassi. Verrà, inoltre, sottolineato il legame tra le strategie linguistiche scelte, i loro probabili presupposti cognitivi e gli effetti sull’interlocutore.  Infine, si delineeranno delle conclusioni che si propongono di mettere in luce il modo in cui questo tipo di analisi linguistica può contribuire ad una valutazione delle competenze più efficace e completa che configura il corpus Edu.Co sia come uno strumento  di ricerca sulla lingua utilizzata dagli educatori, sia come un  dispositivo per la loro formazione e valutazione. 

Paolo Falsiroli Dantas - Chi ha indicato le fonti esegetiche nel margine dell’unico testimone del Commentarius in Psalmos di Adelperto?

Il codice manoscritto C 18 della Stiftsbibliothek di Einsiedeln è l’unico testimone di un Commentarius in Psalmos, il cui autore si firma Adelpertus. L’opera è poco studiata e poco conosciuta e dell’autore non si sa quasi nulla. Il manoscritto, vergato in area retica e in scrittura precarolina, è datato paleograficamente al finire dell’ottavo secolo e l’opera stessa è di poco precedente. Com’è tipico dell’esegesi di questo periodo, l’autore attinge a piene mani da altre opere esegetiche (in particolare di Agostino e Cassiodoro), integrando nel testo le abbondanti citazioni, incastonate le une nelle altre, senza sentire il bisogno di dichiararlo esplicitamente di volta in volta. Le uniche volte in cui la fonte viene indicata, nel manoscritto di Einsiedeln, è quando una mano ha deciso di farlo a margine del testo. Si tratta forse dell’attenzione del copista che ha riconosciuto alcuni brani tratti da opere esegetiche che conosceva e li ha voluti indicare? Potrebbe essere l’opera di un attento correttore che, per qualche ragione, voleva specificare nel margine la provenienza di alcune citazioni fra le tante? Potrebbe trattarsi invece dell’attenzione dell’autore stesso, i cui marginalia sarebbero stati perpetuati da copisti particolarmente conservatori che non li hanno inseriti a testo? Il fatto che il manoscritto non sia cronologicamente distante dall’autore è un fattore che va tenuto in considerazione, per quanto riguarda la conservazione dei marginalia. È inoltre indicativo il fatto che spesso essi siano presenti nei punti in cui l’autore, indeciso su come sciogliere il significato di un versetto di un salmo, ne abbia riportato le interpretazioni tratte da due fonti diverse: questi marginalia sarebbero dunque uno stratagemma per non confondere il lettore di fronte alle apparenti contraddizioni di una duplice interpretazione esegetica.

Gloria Fiorentini - «Supplicamo ad quella»: richiami d’attenzione nelle lettere agli Orsini

Le lettere private o di supplica rappresentano un documento di lingua d’uso fondamentale per gli studi di sociolinguistica storica. Una delle recenti linee di ricerca si concentra sulla pragmatica e sull’aspetto emozionale che si trova all’interno di lettere scritte a un’autorità: queste privilegiano l’espressività e l’efficacia pragmatica non solo per via di necessità concrete, ma, a volte, anche a causa dell’influenza dell’emotività degli scriventi stessi (Radtke 2001). Alcune strutture, in particolare, testimoniano una prevalenza del piano pragmatico su quello sintattico, come ad esempio l’utilizzo di segnali discorsivi di richiesta d’attenzione (secondo la classificazione di Bazzanella 1995). In questo senso, le missive indirizzate a Felice della Rovere Orsini da una serie di subalterni (Roma, Archivio Storico Capitolino, Archivio Orsini, serie I, Corrispondenza, bb. 93, 95-96) si prestano come campione d’indagine ideale per l’analisi dei segnali discorsivi. Questo intervento si concentrerà sulle forme imperative dei verbi di percezione visiva, acustica, di richiamo generico e di conoscenza al fine di valutare la loro funzione interattiva all’interno di testi epistolari.  

Tatsiana Karachun - Exploring the Intersection of Multiple Intelligence Theory and Artificial  Intelligence in Education 

In recent years, the integration of technology in education has become  increasingly prevalent, with a particular focus on the use of artificial  intelligence (AI) to enhance the teaching process. This PhD project builds  upon this trend by exploring the intersection between multiple intelligence  theory and AI in the context of education. 

Multiple intelligence theory, developed by Howard Gardner, posits that  individuals possess different forms of intelligence, such as linguistic,  logical-mathematical, spatial, bodily-kinesthetic, interpersonal,  intrapersonal, and naturalistic intelligence. By recognizing and capitalizing  on these different intelligences, educators can create more personalized and  effective learning experiences for students. 

This PhD project aims to investigate how AI can be leveraged to support  and enhance the application of multiple intelligence theory in the teaching  process. By utilizing AI-powered tools and technologies, educators can  analyze students' learning styles, preferences, and strengths, and tailor  instructional approaches accordingly. This personalized approach can help  optimize student engagement, motivation, and academic performance. 

The theoretical approach of this project is grounded in the principles of  multiple intelligence theory, as well as current research on AI in education.  Methodologically, this project will employ a mixed-methods approach,  combining quantitative analysis of student performance data with  qualitative assessment of teaching practices and student experiences. 

Through a qualitative research methodology incorporating literature review  and case studies, this study examines the implications of integrating  Multiple Intelligences Theory and AI in teacher training programs. The  findings are expected to offer novel perspectives on personalized learning,  adaptive teaching strategies, and holistic student development, thus  reshaping educational practices. Designing a special AI platform will  optimize the learning as it will contain the database about each of the  learners to navigate the teaching process into a right direction choosing the  appropriate style and method.

The potential for innovation in this project lies in its integration of two  distinct but complementary fields: multiple intelligence theory and AI. By  combining these perspectives, this research has the potential to revolutionize  the way in which education is designed, delivered, and assessed. 

Overall, this PhD project holds significant relevance within the field of  education, as it addresses a pressing need for more personalized and  effective teaching strategies. By exploring the intersection of multiple  intelligence theory and AI, this research has the potential to advance our  understanding of how technology can be harnessed to enhance the teaching  process and improve student outcomes. 

Ivan Koval - Analysis of "Smotret'" (To See) in Russian: A Dive into Active Perception and Interpersonal Dialogue 

This paper offers a comprehensive examination of the verb smotret' in the landscape of modern Russian, casting a spotlight on its nuanced roles as a verb that transcends mere perception to embody active engagement. At the heart of our discussion is the imperative form smotri (look), which serves not just as a call to attention but as a bridge to interpersonal connection. Drawing upon Gaston Gross's seminal work on perception verbs, our analysis navigates through the intricacies of meaning, the influence of personal viewpoints on perception, the verbs' dynamic roles, their semantic richness, and their grammatical intricacies. 

Smotret', encapsulating the act of seeing, emerges in a myriad of structures: N0 + smotret' + N1 + (optionally N2), where N0 is the observer. Within this framework, N1 and N2 can range from tangible visual phenomena like zarevo zakata (the twilight's glow) or plesk voln (the splash of waves), to abstract constructs such as tečenie vremeni (the flow of time) or potok sobytij (the stream of events), and even to specific occurrences like vspyški molnij (lightning flashes) or smena vremen (the changing of seasons), all through the lens of metonymy. In the fabric of contemporary Russian, smotri plays a pivotal role in directing attention towards a specific narrative or plea for assistance, exemplified in phrases like "Smotri i učisʹ kak delatʹ!" (Look and learn how it's done!) or "Smotri i skaži, čto ja delaju ne tak!" (Look and tell me what I'm doing wrong!). This exploration illuminates smotret’ as a cornerstone of dialogue, facilitating a spectrum from passive observation to proactive engagement. This study aims to unravel smotret' in all its complexity within modern Russian, underscoring its significance in shaping visual perception and fostering social interactions. 

Alessandra La Neve - L’attesa dei Medici nella Iustitia di Eufrosino Bonini

Nella poco nota commedia di Eufrosino Bonini, Iustitia, collocabile tra il 1513 e il 1514, viene  evocata l’attesa del rientro dei Medici a Firenze nel 1512. In questa comunicazione si  concentrerà l’attenzione sulle tessere metaforiche che si susseguono nel corso della commedia,  testo “attraversato” dalla storia, come scrive Luigina Stefani1, curatrice dell’unica edizione  della piéce. La commedia muove da un contesto di sorte avversa che regna su Atene, dove  «Fortuna vuol or gli abiecti exaltare»2, mentre la conclusione vede il trionfo della Giustizia, la  quale «alle grave miserie [...] di tutti e’ iusti e di virtù amici pose fine»3. All’occasione del  1512 rimandano tanto le parti paratestuali della commedia – in particolare la lettera dedicatoria  a Jacopo Salviati – quanto gli inserti encomiastici, primo fra tutti il consulto di medici impiegati  nella guarigione della Povertà, cieca da «vent’anni o meno»; nel suddetto esempio è facilmente  intuibile il rinvio alla restaurazione medicea e il ricongiungimento al passato ante-1494, ma  tanti altri sono gli spunti di riflessione sui quali è possibile soffermarsi per connotare  storicamente le allusioni letterarie. Le tematiche proposte nella Iustitia suggeriscono una  stesura successiva alla prima restaurazione medicea, in pieno clima normativo della  committenza cortigiana. Eufrosino Bonini traspone in forma teatrale l’attesa di tale rientro – con uno spirito che rimanda all’opposizione aristocratica durante la repubblica soderiniana –,  idealizzando la politica sociale medicea e formulando con attenzione l’encomio della famiglia  Medici. 

Gianmarco Lovari - I figli dell'apocalisse: l'ultimo Cassola tra tensione utopica e rigenerazione sociale

«Attorno al 1975 io mi resi conto che la casa stava andando a fuoco e quindi decisi di darmi da fare  politicamente, per salvarla». Le parole dell’intervista rilasciata, nel 1986, da Carlo Cassola a Franco  Zangrilli si configurano quale timida testimonianza del mai sopito e sempre strenuo impegno  cassoliano relativo alla difesa ambientale e al necessario disarmo nucleare. L’intervento proposto intende indagare i tratti peculiari del mondo post-apocalittico preconizzato e poi descritto da Cassola  nella cosiddetta “Trilogia atomica” (composta dai romanzi Il superstite, Ferragosto di morte e Il  mondo senza nessuno), ma anche il rapporto che il regno animale e vegetale intrattengono con questa  terminale biosfera narrata e con la cogente necessità di una rinnovata dimensione sociale. Il tentativo  di narrazione della catastrofe, sperimentato da Cassola tra le pieghe dei suoi volumi “atomici”, si  configura, a tutti gli effetti, quale occasione di rialfabetizzazione della funzione intellettuale, nonché  e soprattutto come incontenibile desiderio di veder sorgere una realtà oramai distante da postulati e  usi tipicamente umani. L’ecatombe atomica è, per Cassola, volontà di porre rimedio ad un'incombente  apocalisse culturale, è coraggio di sacrificare la propria egocentrica prospettiva in nome del  soddisfacimento di un bisogno generale. L’intento didattico che presiede alla stesura dell’intera  trilogia e che si fonda sulla costruzione di un concreto orizzonte utopico in grado di spronare una  sonnolenta e sovente collusa classe intellettuale a medicare le coscienze dei singoli passa per la  coniazione di un nuovo assetto comunitario, in cui a dominare saranno le tanto care presenze animali. Se per Maurice Blanchot, l’apocalisse altro non è che «la sua imminenza», per Cassola diviene,  invece, tensione, necessaria macerazione egoica, occasione per ridefinire l’assetto dei valori sociali  che dominano il consorzio umano.

Laura Macor - Paratesti, note di possesso e segni di attenzione negli esemplari dell’Arte delle lettere missive di Emanuele Tesauro

L’arte delle lettere missive, trattato di epistolografia scritto da Emanuele Tesauro, è un’opera fortunatissima. Stampata per la prima volta a Torino per Zavatta nel 1674,1 se ne contano in tutto 12 edizioni (Tabella A). Attraverso un censimento, condotto con la massima sistematicità possibile, ne sono stati rinvenuti ben 107 esemplari. Un successo su larga scala, che si estende sia dal punto di vista geografico (il trattato viene stampato a Torino, Venezia, Bologna e ne è attestata una traduzione spagnola2 ), sia sul versante cronologico (l’ultima edizione viene stampata nel 1721). Preso atto della straordinaria diffusione dell’opera, è sembrato opportuno indagarne l’effettiva fruizione: nel mio intervento mi propongo di presentare tre possibili direzioni di ricerca. Innanzitutto, l’analisi dei paratesti e, in particolare, della lettera dedicatoria premessa al trattato, diversa nelle ultime quattro edizioni. Tale cambiamento è sintomatico di un differente approccio nei confronti del testo, che nel corso del tempo viene piegato a nuove e differenti istanze. In secondo luogo, lo studio delle note di possesso e degli ex libris rinvenuti nei singoli esemplari: essi sono in grado di fornire preziose informazioni sulla provenienza geografica e sociale dei lettori. In terzo luogo, l’analisi delle postille e dei segni attenzione presenti nei volumi; tale analisi permetterà di meglio comprendere in che modo e a quale scopo venisse letto il trattato tesauriano. Questi tre approcci sono accomunati da un assunto fondamentale: i fruitori dell’opera non si limitano a ‘subirne passivamente’ la lettura; ma, a loro volta, sono soggetti attivi, che intervengono sul testo e lo fanno proprio. Del resto, il manuale di Tesauro ha una dichiarata vocazione pratica: l’autore chiude il suo trattato con un’esortazione a tenere esercitata continuamente l’arte epistolare, in costante rapporto e dialogo con il suo prontuario.

Jacopo Malenotti - «Ma ricorreggi perché non sta così». Gli autografi di Alfonso de’ Pazzi e l’attenzione del figlio Luigi

Alfonso de’ Pazzi, conosciuto come l’Etrusco, fu un poeta burlesco, membro dell’Accademia Fiorentina dal 1543 al 1555, anno in cui morì. Appartenente a un ramo della famiglia che attuò la congiura del 1478, il Pazzi risulta oggi quasi sconosciuto, ma in realtà fu, durante la permanenza accademica, al centro del dibattito delle questioni nevralgiche del tempo, come quelle linguistiche, letterarie e religiose. I suoi sonetti satirici, rivolti a figure di vertice della cultura fiorentina – suo bersaglio principale fu Benedetto Varchi – sono attestati da pochissime edizioni a stampa, così come gli studi critici a riguardo ammontano a un numero esiguo. Tuttavia, a fronte delle rare pubblicazioni a stampa, si ravvisa un’ingente tradizione manoscritta delle sue rime: gli esemplari “etruscheschi” conosciuti sono circa settanta. Tra questi sono presenti alcuni autografi, il più importante dei quali è il Guardaroba Medicea 221: 838 carte sciolte (quasi totalmente di sua mano), conservate all’Archivio di Stato di Firenze. A partire dagli spunti di Giorgio Masi in Politica, arte e religione nella poesia dell’Etrusco (Alfonso de’ Pazzi), è possibile approfondire il complesso di annotazioni redatte da Luigi de’ Pazzi all’interno dello zibaldone: il figlio di Alfonso infatti, nello studio delle carte paterne, richiama la propria attenzione per determinati testi; egli numera, emenda, integra e postilla molti componimenti in GM 221, e in misura minore negli altri autografi. Tramite i rinvii e le diverse postille, come se fossero dei promemoria, il figlio dell’Etrusco dà l’impressione di svolgere un lavoro preparatorio nell’ottica di un esito editoriale che però non verrà completato, e che già sembrava essere stato avviato dal padre (non mancano indizi lasciati da Alfonso). In questo contributo, sarà possibile osservare da vicino gli avvertimenti che Luigi rivolge a se stesso nella disordinata mole delle carte paterne, e gli eventuali risultati che questi garantirono alle rime di Alfonso.

Giuseppe Marrone - Gadda lettore attento di Parronchi: le traduzioni del Fauno di Mallarmé

Carlo Emilio Gadda e Alessandro Parronchi si conoscono a Firenze nell’ambiente delle Giubbe Rosse, all’ombra di Montale, e tra loro si instaura presto un rapporto che sarebbe forse esagerato definire un’amicizia, ma che fu certo di reciproca stima e destinato a durare fino alla fine degli anni Cinquanta, fino cioè al trasferimento di Gadda a Roma che segna l’inizio della collaborazione alla  Rai. Negli anni, in segno di amicizia, Parronchi farà dono a Gadda della quasi totalità dei volumi da  lui licenziati, sia raccolte poetiche (I giorni sensibili, 1941; I visi, 1943; L’incertezza amorosa, 1952; Per strade  di bosco e città, 1954) che saggi di critica d’arte (Nomi della pittura italiana contemporanea, 1944) che – soprattutto – le traduzioni parronchiane del Fauno di Mallarmé; i volumi sono oggi tutti conservati a  Roma, nel Fondo Gadda della Biblioteca Museo Teatrale SIAE, che dal 1973 – per lascito  testamentario dello scrittore – preserva quella che fu la biblioteca di via Blumenstihl, l’ultima residenza di Gadda. Sebbene la maggior parte dei volumi, secondo la consuetudine dell’Ingegnere, non rechi evidenti  segni di lettura, particolarmente interessanti risultano proprio i due volumi di traduzioni mallarmeiane  (L’Apres-midi d’un faune, 1945 e Monologo, L’improvviso e Il pomeriggio d’un fauno, 1951), che presentano  invece un numero considerevole di interventi e correzioni sulla traduzione di Parronchi, fornendo  peraltro ulteriori conferme dell’ottima conoscenza della lingua e della poesia francese da parte di  Gadda, il cui primo incontro con L’Apres-midi d’un faune – come ricorderà in una lettera a Parronchi  del 24 novembre 1951 – risaliva agli anni della seconda e mai conseguita laurea in filosofia. L’intervento si propone di analizzare le correzioni e i segni di lettura lasciati da Gadda sui volumi  parronchiani, cercando parallelamente di far luce sul rapporto tra i due scrittori alla luce della  corrispondenza sopravvissuta. 

Sara Martino – Attenzione (e disattenzioni) nella scrittura dei testi secondari: il caso delle Narrationes fabularum Ovidianarum

Con la seguente proposta si intende contribuire alla riflessione su alcune accezioni in cui il tema dell’ʽattenzioneʼ può essere declinato nell’ambito della filologia e della tradizione dei testi, a partire dal caso specifico delle Narrationes fabularum Ovidianarum. In particolare, questo testo connesso all’esegesi tardoantica delle Metamorfosi di Ovidio e trasmesso insieme al poema in un gruppo di manoscritti medievali consentirà di ragionare su alcune specificità relative ai processi di trascrizione e trasmissione del materiale paratestuale. In primo luogo, quindi, si proporrà un esame dei diversi tipi di mise en page e delle strategie distintive attuate dai copisti per raccordare ciascuna narratio alla corrispondente sezione del poema ovidiano, evidenziando le finalità connesse all’impiego di tali strategie. In secondo luogo, ci si concentrerà sugli esiti che eventuali cali del grado di sorveglianza in fase di trascrizione hanno prodotto in termini di sfasature nella corrispondenza tra narrationes ed episodi mitologici. Tali esempi di errato raccordo fra Narrationes e Metamorfosi consentiranno di sviluppare riflessioni più generali sui meccanismi di trasmissione del materiale testuale secondario. Infine, si approfondirà il caso del manoscritto Neap. IV.F.3, noto ed elegante esemplare in beneventana in cui il poema ovidiano è corredato delle Narrationes. Dopo aver illustrato le particolarità che questo testimone presenta in relazione alla mise en page e il rapporto tra l’impiego di iniziali distintive e i numerosi casi di errore nel raccordo tra poema e paratesto, si prenderà in considerazione la stratificazione delle strategie impiegate per segnalare al lettore la presenza di tali sfasature, a partire dal ricorso a lettere dell’alfabeto e neumi del canto beneventano apposti dallo scriba (o da un revisore coevo) per ripristinare l’esatta corrispondenza. Alcune considerazioni conclusive saranno sollecitate dall’osservazione del comportamento dei manoscritti Urb. Lat. 341 e Plut. 36.5, strettamente imparentanti al Neap. IV.F.3, in corrispondenza delle anomalie del testimone napoletano.

Giulio Medaglini - Tregua e guerra in Notti di pace occidentale di Antonella Anedda

Il presente lavoro, incentrato su Notti di pace occidentale (Donzelli, 1999) di Antonella Anedda,  analizza il concetto di “tregua” legato a doppio filo, da un lato, con l’attenzione che l’autrice pone  al contesto bellico che ispira i testi (sono gli anni delle guerre Jugoslave e della prima guerra del  Golfo), dall’altro, a un’attesa della fine della tregua stessa, vista come un fragile equilibrio pronto a  spezzarsi, un interstizio che divide «il peso del prima e il precipitare del poi». Questa analisi tematica, che mette in luce lo stato di «guace» – per usare un neologismo di Valerio  Magrelli – del nostro Occidente, già ravvisabile alla fine dello scorso millennio dall’attenzione  sismografica aneddiana, viene affiancata da un’analisi stilistica volta a rintracciare l’utilizzo di  alcuni segni paragrafematici, nello specifico il trattino e i due punti. Questo aspetto formale, o  meglio, “informale”, concerne l’uso della punteggiatura utilizzata come materia pittorica, ed è volta  a ricreare – sovente tramite la funzione parentetica dell’inciso – una pausa nel tessuto testuale: un  rallentamento del ritmo che mira a mettere in rilievo un verso o una parola. Questo procedimento,  che risulta essere una costante all’interno dell’opera, crea, anche visivamente, uno spazio altro,  isolando nel testo una porzione di linguaggio, che si fa paesaggio, isola, confine, specola da cui l’io  poetante tende all’altro da sé, con rinnovata forza “arcipelagica”.  In conclusione, attraverso le analisi testé menzionate, questo studio mira a porre in evidenza  l’auscultazione-attenzione profonda di quest’opera capace, a distanza di oltre vent’anni, di catturare  lo spirito del nostro tempo, anticipando profeticamente le più recenti dinamiche geopolitiche.

Pu Meng - Mechanisms of Waiting and Attention: How Speakers Highlight Key Information in Education

This study explores the mechanisms through which speakers utilize the concepts of "waiting" and "attention" to emphasize key information during communication. The intricate balance between pausing (waiting) and focusing (attention) can significantly enhance the conveyance of critical data within a dialogue. Drawing on theories from pragmatics and discourse analysis, this research aims to dissect the strategic use of pauses and focal emphasis by speakers to guide listener comprehension and engagement. Data were collected from recorded conversations in both formal and informal settings, including academic lectures, public speeches, and casual dialogues among native English speakers. A total of 50 hours of audio recordings were transcribed and annotated for instances of strategic waiting and attention mechanisms. The study employed a mixed-methods approach, combining quantitative analysis of pause durations and frequencies with qualitative assessments of attention-focusing strategies through discourse analysis. The interplay between waiting and attention was examined to understand their role in enhancing message clarity and retention. Results indicate that strategic pauses before crucial information allow listeners to prepare for and better process the incoming data, while explicit attention cues, such as intonation shifts and direct address, significantly improve the listener's focus on essential details. These mechanisms work in tandem to structure information flow and enhance communicative effectiveness. This study explores the mechanisms through which speakers utilize the concepts of "waiting" and "attention" to emphasize key information during communication. The intricate balance between pausing (waiting) and focusing (attention) can significantly enhance the conveyance of critical data within a dialogue. Drawing on theories from pragmatics and discourse analysis, this research aims to dissect the strategic use of pauses and focal emphasis by speakers to guide listener comprehension and engagement. Data were collected from recorded conversations in both formal and informal settings, including academic lectures, public speeches, and casual dialogues among native English speakers. A total of 50 hours of audio recordings were transcribed and annotated for instances of strategic waiting and attention mechanisms. The study employed a mixed-methods approach, combining quantitative analysis of pause durations and frequencies with qualitative assessments of attention-focusing strategies through discourse analysis. The interplay between waiting and attention was examined to understand their role in enhancing message clarity and retention. Results indicate that strategic pauses before crucial information allow listeners to prepare for and better process the incoming data, while explicit attention cues, such as intonation shifts and direct address, significantly improve the listener's focus on essential details. These mechanisms work in tandem to structure information flow and enhance communicative effectiveness.

Martina Mileto - Attendere in ascolto. Cor di Gian Maria Annovi 

L’intervento esamina la serie Cor, all’interno della raccolta Discomparse (2023), in cui Annovi (1978-) opera una riscrittura della scena della morte di Cordelia nel Re Lear shakespeariano, problematizzando  l’idea della vita come presenza di attività cardio-respiratoria, in contrasto con il principio di morte  cerebrale. La serie vede la scena svolgersi in un ospedale, dove Lear monologa con Cordelia, tenuta in  vita da un respiratore artificiale.  

Si proverà ad indagare come nella serie, attraverso dei procedimenti retorici e stilistici, l’ascolto divenga  premessa di una condizione di attesa, e insieme di attenzione, di Lear nei confronti di Cordelia, e del  lettore nei confronti del testo.  

Nell’opera di Annovi, l’io assume sempre una posizione di ascolto, un farsi “cassa di risonanza”  (Colangelo, 2009): questa dimensione si lega indissolubilmente all’attenzione rivolta verso la voce  dell’altro (Deleuze-Guattari, 1975) e implica spesso una forma di attesa. Le figure presentate assumono quindi un senso in relazione all’esterno, all’ “essere-con” (Nancy, 1992; 1996).  

I monologhi del re, cui Cordelia non può rispondere, sviluppano due tipi di attesa. La prima è tematica,  ed è quella del padre, che la attende al bordo del letto: ne attende il risvegliamento o la morte, perché  attenderla – prendersene cura, aspettarla – è rientrare in relazione con lei, nel momento in cui l’assenza  di attività cerebrale rende la vita stessa un “parassita” (Nancy, 2000). Il secondo tipo di attesa deriva da  una serie di espedienti retorici; in particolare, la ripetizione della vocale “E”. Questa vuole da una parte  congiungere i versi, o legare un battito del cuore di Cordelia al battito successivo – spiega in una nota  Annovi che la “E” dovrebbe “rimandare al suono acustico irregolare di un monitor cardiaco” – e dall’altra  ritmare la lettura del lettore, ponendo anch’egli, come Lear, in uno stato che è primariamente di ascolto  e, necessariamente, di attenzione e attesa.  

Yasmina Moussaid - Dimostrativi e attenzione nel codeswitching italo-arabo 

Secondo Diessel (2006), l’attenzione è una nozione intrinseca nel significato dei dimostrativi. Per  descrivere il ruolo di quest’ultimi all’interno di un contesto comunicativo, egli introduce il concetto  di “attenzione condivisa”, sostenendo che questo fenomeno e la classe dei dimostrativi sottendano lo  stesso processo cognitivo, il quale coinvolge un’articolata relazione tra parlante, interlocutore e  referente. Per raggiungere un’attenzione condivisa, infatti, è necessario che tutti i coinvolti nel  processo comunicativo stiano volgendo la propria concentrazione verso lo stesso referente, attraverso  l’uso degli sguardi, dei gesti o di determinati elementi linguistici, come i dimostrativi (Diessel, 2006).  In letteratura, i dimostrativi sono comunemente definiti come deittici spaziali che possono svolgere la funzione sintattica di pronomi, determinanti o avverbi, e generalmente sono utilizzati con lo scopo  di indicare il collocamento di un referente rispetto al parlante, ma, oltre a ciò, suggerisce Levinson  (2004), hanno anche il ruolo di stabilire o manipolare il livello di attenzione condiviso dagli  interlocutori.  

Considerato tale rapporto esistente tra attenzione e dimostrativi, l’intento di questo contributo è quello  di soffermarsi sull’uso di quest’ultimi in contesti di bilinguismo italo-arabo, caratterizzati da un  frequente ricorso al fenomeno del codeswitching, inteso come un’alternanza linguistica che,  anch’essa, necessita e comporta un’attenzione condivisa e un ricorrente allineamento del livello di  attenzione dei parlanti, che è simultaneo al continuo processo di attivazione e di inibizione dei codici  linguistici proprio della mente bilingue (Grosjean, 2008). 

In particolare, in seguito ad un breve inquadramento teorico sui dimostrativi nelle due lingue  considerate (arabo e italiano) e sull’uso del codeswitching in contesti di bilinguismo, saranno poi osservati alcuni esempi in cui sono compresenti dimostrativi - in qualità di determinanti - e codeswitching, con lo scopo di riflettere sul binomio dimostrativi e attenzione.

Giorgia Persiani - Il tipo abruzzese “(non) ancora viene”: considerazioni sociolinguistiche e pragmatiche 

Nell’Abruzzo chietino e pescarese si riscontra la diffusione del tipo sintattico ancora viene con il valore di ‘non è ancora venuto’: il costrutto, di provenienza dialettale, è segnalato già  nell’Ottocento da Savini e Finamore, e più recentemente indagato da De Giovanni, Telmon,  D’Achille, Picchiorri e Paoli.  

Alcuni studi hanno messo in evidenza tre caratteristiche costitutive del costrutto: la costante  assenza dell’avverbio di negazione non; l’uso del presente indicativo con valore aspettuale durativo (Telmon ha osservato che l’intento comunicativo della frase corrisponde a ‘è ancora in corso la sua  azione di venire’); l’obbligatorietà della posizione preverbale di ancora, per la quale l’italiano  regionale abruzzese ancora viene assume un significato completamente diverso rispetto all’italiano  viene ancora (cfr. Everland e Picchiorri). Un dato di notevole interesse è l’esistenza di alcune 

realizzazioni “intermedie” tra il tipo regionale e quello standard, cioè le sequenze non ancora viene  e non ancora è venuto. Picchiorri ha interpretato i costrutti intermedi come risultato di un  ipercorrettismo, che innesca la censura del tratto avvertito inaccettabile in italiano (cioè la negazione  sintetica) ma lascia inalterati altri elementi: la posizione preverbale dell’avverbio (nella nuova unità  inseparabile non ancora) e, nel primo caso, l’uso del presente con valore durativo. 

L’intervento propone di indagare gli aspetti sociolinguistici e pragmatici dei costrutti citati, attraverso la somministrazione e l’analisi di questionari volti a indagare i meccanismi che inducono il parlante ad attuare l’ipercorrettismo. Sembra infatti che le realizzazioni ipercorrette si collochino a  diversi livelli di percezione presso i parlanti e possano essere sensibili a variabili diastratiche e  diafasiche. Inoltre, la scelta dell’esplicitazione dell’avverbio di negazione sembra poter dipendere  anche da fattori co-testuali, quali la posizione all’interno dell’enunciato e la co-occorrenza di altri  elementi ricorrenti. 

Jacopo Maria Romano - «Splenderai pietra sepolta». Attesa e imagery biblico in Foglio di via e altri versi di Franco Fortini

L’intervento si propone di indagare il tema dell’attesa in Foglio di via e altri versi di Franco Fortini  tramite un’analisi sistematica dell’imagery biblico intessuto nelle liriche d’esordio. Il percorso che  l’io compie negli spazi della Resistenza è disseminato da immagini di derivazione scritturale che  preannunciano un’escatologia sociale. Tre testi particolarmente significativi permettono di constatarlo con evidenza: A un’operaia milanese, Coro di deportati e Sonetto. Grazie agli  insegnamenti di Northrop Frye, dei quali è possibile appianare le criticità mediante le osservazioni  metodologiche di Remo Ceserani, si possono rilevare due sistemi metaforici in Foglio di via: quello  «di natura» (nei testi sacri riservato al popolo eletto) e quello demonico (destinato agli oppressori).  Esiste, dunque, un’opposizione assiale per cui i due immaginari diventano formule figurali (in senso  auerbachiano) che interpretano il mondo secondo i dettami della Rivelazione: lo spazio degli eletti (i partigiani) deve manifestare la promessa edenica; quello dei loro avversari (i nazifascisti) deve  preludere il destino di disfatta che li attende. Lo stesso autore conferma questa visione, scrivendo nella Prefazione del 1967: «Gli uomini gli apparivano divisi in vittime e carnefici, oppressori e  oppressi […]. Si spartivano secondo il pregiudizio (e l’augurio) religioso che nei percossi scorge una  elezione o dignità.» Ciò avviene grazie a un’adesione marxista ed evangelica della storia, su cui  l’autore riflette in testi coevi a Foglio di via, come il dramma inedito Giona in Ninive. Al suo interno,  il profeta minore (nella finzione aspirante poeta) diventa predecessore del messaggio socialista di  futura rinascita collettiva, declinata sia come palingenesi apocalittica sia come istituzione di un nuovo  ordine sociopolitico. Queste osservazioni permettono di aggiornare le letture più condivise  dell’esordio fortiniano. L’attesa che il poeta costruisce è infatti di tipo cairologico ed è un contenuto  fondativo alla base dell’identità semantica del suo primo lavoro lirico. 

Francesco Saccà - Iconicità fonosimbolica al servizio della propaganda. Un’analisi comparativa di discorsi politici della Prima e della Seconda Repubblica. 

Studi psicologici dimostrano una correlazione statistica tra le caratteristiche del suono, quali l’altezza e l’intensità, e la rappresentazione di più o meno specifiche concettualizzazioni semantiche. Nel  campo della propaganda politica in particolare, tali associazioni vengono usate per richiamare  l’attenzione su determinati aspetti del discorso e per trasmettere funzioni comunicative implicite volte  a ottenere il consenso e il favore del pubblico. Sulla base di tali affermazioni, la presenta ricerca propone una riflessione su come la retorica  propagandistica poggi le sue basi sullo stimolo di associazioni cognitive tra volume e frequenza della  voce da un lato, e concetti quali l’importanza e il coinvolgimento emotivo di precisi argomenti espressi durante il discorso politico. L’indagine è basata su dati selezionati dal corpus IMPAQTS,  reso accessibile dall'OPPP (Osservatorio Permanente sulla Pubblicità e la Propaganda), appartenenti  a due subcorpora che includono testi orali storicamente inquadrabili in parte del periodo della Prima  Repubblica (1969-1992) e nel periodo della Seconda Repubblica (dal 1993 a oggi).  L’analisi, incentrata prevalentemente su fonti audiovisive, dimostra l’uso di un linguaggio iconico sul  piano prosodico, talvolta guidato da una chiara strategia retorica, talvolta invece frutto di una naturale  predisposizione al suo utilizzo. A tale proposito, i singoli casi permettono di ipotizzare quali tecniche di enfatizzazione vengano maggiormente usati nella comunicazione spontanea tipica del linguaggio  parlato e quali invece nella comunicazione preparata tipica del linguaggio scritto. Infine, il confronto  parallelo tra i testi appartenenti ai due subcorpora rivela un’evidente evoluzione del linguaggio  iconico usato nel discorso politico, fortemente dipendente dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione  di massa. 

Carlo Scalia - Attenzione e Umanesimo antiquario: il caso della Piramide di Caio Cestio  dai Mirabilia urbis Romae al De varietate fortunae di Poggio Bracciolini 

Il contributo si propone di analizzare lo sviluppo dell’interesse degli intellettuali per le  antichità del mondo classico in un arco temporale compreso tra la metà del XII secolo, quando si  diffuse il genere letterario dei Mirabilia, e la metà del Quattrocento, quando Poggio Bracciolini  pubblicò il trattato De varietate fortunae (1448), con l’obiettivo di mettere in luce il progressivo  affermarsi della nuova attenzione con cui gli intellettuali si rivolsero ai «resti tangibili dell’antichità  classica», facendo dell’antiquaria una vera e propria disciplina. Data la vastità dell’argomento e della  cronologia, ci si propone di condurre tale indagine attraverso lo studio di un caso paradigmatico:  quello relativo alla Piramide di Caio Cestio. 

Nel corso del Medioevo l’interesse per le rovine antiche rimase vivo; ciò che andò perduto,  come ricorda Arnaldo Momigliano, «fu invece l’idea varroniana di Antiquitates, vale a dire l’idea del  recupero di una civiltà attraverso la sistematica raccolta di tutte le reliquie del passato». Una  testimonianza letteraria dell’interesse per esse è rappresentata dal genere dei Mirabilia, nelle cui  narrazioni si fa evidente talvolta una commistione fra carattere storico e leggendario relativa alle  vestigia e agli eventi storici e mitologici di Roma antica. Fra queste narrazioni si ricordano i Mirabilia  urbis Romae e la Narracio de mirabilibus urbis Romae di Maestro Gregorio. Francesco Petrarca ebbe  un ruolo fondamentale nella riscoperta dei testi classici e nella promozione della loro ricerca e del  loro studio, ma egli rivolse la sua attenzione anche ai resti materiali del mondo antico e acquisì una  conoscenza antiquaria tanto elevata che per Roberto Weiss «se Biondo fu il padre dell’archeologia  romana, Petrarca ne fu certamente l’avo»3. Gli intellettuali del Quattrocento, fra tutti Poggio  Bracciolini e Biondo Flavio, si accostarono alle vestigia di Roma antica con una sensibilità del tutto  umanistica, conducendo gli studi antiquari alla piena maturazione. 

Sonia Scardaci - «Sospesi tra la speranza e la paura». Attesa e governo delle passioni in Machiavelli

L'obiettivo di questo studio è di analizzare il tema dell'attesa nel pensiero di Machiavelli  attraverso il filtro di due passioni, speranza e paura. In primo luogo, per l'autore, gli uomini vivono costantemente nell'attesa, sperando di ottenere ciò che desiderano o temendo di  perderlo, senza mai trovare soddisfazione (Discorsi I XXXVII 4; I V 18). In secondo luogo, in  balia della sorte e nella difficoltà del riscontro con il proprio tempo, per Machiavelli gli uomini  non devono abbandonarsi a sé stessi, ma continuare a sperare e “tessere gli orditi” della Fortuna,  aspettando e preparandosi a cogliere un’“occasione” (Discorsi II XXIX 24-25). Sin dagli anni  del segretariato, egli riconosce dei contesti particolarmente fertili all’iniziativa, caratterizzati da  una specifica forma di attesa, una sospensione tra la speranza e la paura (Del modo di trattare  i popoli della Valdichiana ribellati). Per agire efficacemente in questi contesti, è importante  che principi, nobili o capitani di un esercito sfruttino la propria capacità di vedere oltre le  apparenze, ovvero di intercettare e governare speranze e paure dei sudditi, della plebe o delle  truppe, servendosi soprattutto degli strumenti della religione. Attraverso un’analisi  lessicologica dei campi semantici della paura e della speranza, si intende esplorare questo  procedimento ermeneutico e politico sotteso all’uso della religione nei capitoli XI-XV del  primo libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Nei capitoli XXXIII, XXXVI XXXVIII del terzo libro dei Discorsi, invece, si indagherà il modo in cui il comandante di un  esercito usa le “zuffe” per dosare le paure e le speranze dei propri soldati prima di una battaglia. Nell’analisi, sarà riservata una particolare attenzione alla definizione e all’individuazione del ruolo svolto da un tipo di paura, lo “sbigottimento”.

Daniel Silva - La seconda Europa e le scelte di Ruggero Jacobbi

Più noto come uomo di teatro, il veneziano Ruggero Jacobbi ha sviluppato le sue idee in  vari campi della produzione artistico-culturale, spesso influenzato dai tredici anni  trascorsi in Brasile. Caratterizzata da un intenso senso di attesa ovvero di un trascorrere di difficile evidenza, un'idea ricorrente nella sua scrittura critica e teorica e persino nella  produzione letteraria è la cosiddetta "seconda Europa", inversione che cerca di applicare  all'allora corrente espressione "terzo mondo", basata sull’insolita attesa del giorno in cui ghanesi, paraguaiani o nigeriani sarebbero venuti a insegnare agli europei il latino, il  diritto romano oppure a leggere Petrarca in modo rinnovato. L'espressione si trova  dispersa negli scritti dell'autore, a volte descrivendo il contesto brasiliano, che gli era  familiare, a volte imponendosi più genericamente ai paesi con un passato coloniale più  recente. Tale oscillazione e la discussione che Jacobbi suscita riguardo alle categorie  geopolitiche nei confronti dei sistemi letterari vanno ragionate nel contesto delle tensioni  generate dalla Guerra Fredda e alla luce del suo ruolo come protagonista dei rapporti interculturali tra Brasile e Italia. Si intende, quindi, valutare come questa attesa che è  anche un impegno si rifletta nei progetti degli anni '60 e '70 attraverso l’analisi della  produzione critica e traduttiva sotto forma di saggi e antologie, in cerca prima di capire  meglio le sue scelte e poi di qualificarne i risultati.

Mariagrazia Staffieri - Attendĕre perpĕtŭum: l’attenzione all’attesa nel Guittone morale

La scriptio di Guittone è caratterizzata da un frequente impiego di strategie retorico-sintattiche che mirano  a tenere viva l’attenzione del fruitore sul discorso poetico. L’utilizzo di questi espedienti stilistici è  evidente nelle canzoni ascetiche e morali, ove si intende valorizzare un concetto-chiave che dovrà  ricorrere nella mente del lettore o dell’ascoltatore. È proprio nelle canzoni religiose, inoltre, che viene alla  luce la tematica dell’attesa: il convertito Guittone invita infatti il fruitore del testo a distaccarsi dai vizi del  corpo mortale, vivendo così nell’attesa e nella speranza della vita eterna. Si colloca in questo scenario la canzone Vergogna ho, lasso, ed ho me stesso ad ira (fra le prime della nuova fase poetica dell’aretino, quella che  segue la conversione), che costituisce la perfetta sintesi della duplice accezione del verbo latino attendĕre:  “attesa” e “attenzione”. Partendo da questi presupposti, il presente contributo intende condurre un’analisi  bilaterale del componimento in questione: da un lato, sul piano tematico-esegetico, si rifletterà sul  messaggio che Guittone intende veicolare: un’esortazione ad attendere l’intervento di Dio che purificherà  l’anima umana dal vizio; dall’altro, sul piano stilistico, si tenterà di individuare quei procedimenti sintattici  funzionali a conquistare l’attenzione del lettore, inducendolo a focalizzarsi su alcuni punti-chiave del testo. Fra le strategie sintattiche maggiormente adoperate, segnaliamo il ricorso alla coordinazione polisindetica con repetitio in anafora delle congiunzioni interessate, nonché, nel contesto dell’ordine  sintattico, l’anticipazione in posizione incipitaria di vocaboli esemplificativi del Leitmotif (si veda il  vocabolo Vergogna al v. 1). La disamina in questione intende valorizzare il connubio attesa-attenzione su  cui si muove l’intera canzone, mediante i due livelli di analisi che li rappresentano rispettivamente (attesa  = tematico, attenzione = stilistico), allo scopo di portare alla luce le abilità compositive dell’aretino, il  quale, in questo testo, sembra voler invogliare il lettore a rivolgere l’attenzione all’attesa della vita eterna. 

Pietro Tabarroni - Attesa ed Evento nei racconti di Bruno Fonzi

Nella prosa di Bruno Fonzi (1914-1976), autore colpevolmente trascurato dalla critica  letteraria di oggi, il tema dell’attesa, del vuoto che separa il soggetto dall’Evento in cui viene a determinarsi la sua esistenza, occupa una posizione centrale. Nei suoi racconti brevi, gravitati nella raccolta Equivoci e malintesi (Einaudi, 1975), lo troviamo  modulato in un ampio spettro di soluzioni narratologiche e stilistiche, come attesa  collettiva della rivoluzione, della guerra o della Liberazione, della catastrofe ecologica,  o nella dimensione individuale, come attesa di una tragedia preannunciata, di un  incontro fatale, della morte. L’opera di Fonzi è colma di questi vuoti, che  corrispondono, spesso, a trasposizioni letterarie di concetti filosofici attinti,  soprattutto, dall’esistenzialismo contemporaneo.  Del resto, le tracce dell’ampio respiro tematico e teorico della sua prosa portano  ampia conferma del valore intellettuale di una figura chiave nella vita culturale italiana del secondo Novecento. Durante la sua trentennale collaborazione con Einaudi, iniziata con un tragicomico scambio epistolare con Pavese, Fonzi porta a termine la traduzione della Nausea di Sartre. Negli anni Quaranta, per l’editore Jandi Sapi, traduce le opere  di Hemingway, Faulkner e Niven Busch. A lui si deve la prima traduzione italiana di A  Farewell to Arms, nel 1945. Al contempo, promuove pionieristiche collane di saggistica dedicate al cinema, proseguendo l’attività di mediazione tra il pubblico italiano e la  cultura anglosassone, dalla quale Fonzi importa gli studi di Peter Noble, Paul Rotha e  Richard Griffith.  Nell’intervento proposto, oltre a una sintetica e preliminare ricostruzione della  cronologia e delle principali fonti letterarie e filosofiche dell’opera di Fonzi, il tema  dell’attesa verrà analizzato a partire da quattro racconti annessi a Equivoci e  malintesi: Mattino domenicale, 1942; Un duello sotto il fascismo, 1960; Un pomeriggio  romano, 1964; I futurologi, 1973. 

Gabriele Tanassi – Il Dittamondo di Fazio Degli Uberti nella tradizione manoscritta: i lettori e la ricezione morale

L’obiettivo del contributo qui presentato è quello di esaminare, attraverso lo studio di alcuni fenomeni di copia e modalità di lettura, un aspetto specifico della ricezione del Dittamondo di Fazio degli Uberti, poema trecentesco in terzine di argomento geografico e storico-mitico che articola, nello spazio di sei libri, il racconto di un viaggio immaginario compiuto dall’autore intorno al mondo con il fine della conoscenza. L’opera, preziosa testimonianza del sapere medievale all’alba dell’età umanistica, era ben nota ai lettori dell’epoca e circolò molto: il censimento dei manoscritti del Dittamondo, infatti, conta oggi in totale più di 60 testimoni, cui vanno aggiunte l’editio princeps del 1474 e la cinquecentina del 1501 che ad essa fece seguito. In questo orizzonte così fitto e stratificato, la tradizione assume connotati significativi dal punto di vista della diffusione tra il pubblico di lettori: con il presente intervento si intende mostrare che l’interesse per l’opera, pur restando prevalentemente ancorato alla natura enciclopedica ed erudita che ad essa appartiene, si manifesta in modo significativo anche in relazione a un altro elemento, identificabile con i numerosi passi di tipo moraleggiante di cui l’autore fa largo uso – e che dovevano essere fattori non secondari del tessuto narrativo. Sarà rilevato che questa attenzione dei lettori rivolta agli inserti morali si manifesta in numerose modalità: presenza di maniculae e porzioni testuali evidenziate in vario modo; annotazione e ripetizione – al di fuori del corpo del testo e in forma di indice o riferimento – di interi blocchi di versi contenenti massime morali; casi di manoscritti in cui, del Dittamondo, sono tramandati solo ed esclusivamente i versi morali. In definitiva, dunque, si tenterà di dimostrare che l’interesse per questa componente del poema ubertiano non si limita a pochi e isolati lettori, ma si afferma come modalità di ricezione ben affermata e ricorrente

Nicole Valeri - L’Innocente di Gabriele d’Annunzio: attesa della catastrofe e patologia della memoria

L’intervento si propone di analizzare la funzione dell’attesa all’interno della compagine narrativa  dell’Innocente di Gabriele d’Annunzio (1892). Se infatti la costruzione romanzesca si regge  interamente sull’attesa di due eventi di portata catastrofica per la psiche turbata del protagonista (Tullio), la sospensione che ne consegue – legata al contempo al delitto di cui si macchia il narratore  e alla sua confessione costantemente ritardata – trascende la dimensione dei meri fatti e instaura una  riflessione sulle modalità del ricordo e sulle patologie dell’interiorità, temi centrali per la cultura  letteraria fin de siècle. Nel «susseguirsi di visioni non organiche»1che compongono il testo, assumono  una particolare rilevanza i momenti d’attesa del fatto di sangue e del suo racconto, all’interno dei  quali l’attenzione della voce narrante si sofferma su frammenti di realtà e percezioni scisse che  impongono una particolare gestione dei tempi narrativi. L’attestazione della lettura da parte di  d’Annunzio dei trattati di psicologia sperimentale2permette di illuminare questo versante testuale: i  riflessi dell’opera di Ribot e l’utilizzo della tecnica del leitmotiv – il ritorno di sintagmi identici e di  immagini affini, con un ritmo quasi ossessivo – caratterizzano queste zone della narrazione e  delineano la cifra compositiva e stilistica di tutto il romanzo. L’«autodiagnosi»3che il protagonista  cerca di mettere in atto comporta infatti l’interiorizzarsi della vicenda, che subisce una inevitabile  deformazione nei suoi connotati temporali: nei momenti che precedono la rivelazione si compie la  funzione definitiva dell’attesa, che permette il germogliare di una narrazione quasi alienata.  

Giuseppe Zeccato - Aspettativa e disincanto nell’Asinus di Giovanni Pontano

L’Asinus di Giovanni Pontano (1429-1503), enigmatico dialogo percorso da un sottile senso di attesa e di sospensione, si apre con la reazione della città partenopea alla notizia della fine delle ostilità tra  Ferrante d’Aragona e papa Innocenzo VIII (agosto 1486). Mentre l’intera popolazione spera nella  pace, l’aspettativa e l’attenzione degli intellettuali dell’Accademia napoletana sono rivolte con  sgomento al grottesco dramma che si consuma sotto i loro occhi: l’apparente follia del Pontano,  principale artefice della pace. Questi, ritiratosi nella sua villa suburbana, dimentico delle sue  incombenze pubbliche, dedica ogni premura ad un asino di cui si è inspiegabilmente invaghito.  L’umanista rinsavisce solo dopo un calcio sferratogli dall’irriconoscente animale: accortosi del  sopraggiungere dei suoi sodali, li invita a discutere dei progressi compiuti nelle sue speculazioni  scientifiche, pronto ad attendere, con rinnovata energia, allo studio dei fenomeni celesti. L’editio princeps dell’opera, apparsa postuma nel 1507, reca il sottotitolo de ingratitudine, orientando  in limine il giudizio dei lettori: il comportamento dell’asino sarebbe la trasposizione letteraria  dell’irriconoscenza di un non meglio identificato personaggio nei confronti dell’autore. Obiettivo  dell’intervento sarà quello di schiudere nuove prospettive critiche all’interpretazione del dialogo:  ragionando sul senso di attesa che permea la narrazione, si può ipotizzare che esso rifletta le  aspettative nutrite dal Pontano nei confronti dei sovrani e dei principi di cui fu al servizio. Una tale  chiave di lettura può trovare conforto nell’analisi delle lettere e dei memoriali dell’umanista. Il  Pontano intuì forse che nessuno dei Trastàmara sarebbe mai riuscito a realizzare tutte le virtutes teorizzate nei suoi trattati etico-politici; la disillusione inscenata nel finale dell’Asinus potrebbe  simboleggiare ironicamente la consapevolezza da parte dell’umanista dell’inadeguatezza dei suoi  prìncipi a far fronte al rovescio della fortuna. 

Valentina Zimarino - Nell’officina carducciana: sondaggi sulle postille autografe alle Rime di Petrarca

La proposta di intervento intende collocarsi nell’ambito degli studi su Carducci lettore e commentatore del Canzoniere di Petrarca, per delinearne, una volta di più, il metodo di lavoro. Nel 1876 Carducci consegnava alle stampe l’edizione delle Rime di Francesco Petrarca sopra argomenti storici morali e diversi per i tipi di Francesco Vigo di Livorno, mentre nel 1899, insieme con Severino Ferrari, lo pubblicava interamente con Sansoni di Firenze, a partire dall’autografo, il manoscritto Vaticano Latino 3195, da poco riscoperto. In questi decenni di studio, come dimostrano le numerose indagini condotte – penso, fra le altre, alle pagine di Tissoni, Pulsoni e Campana – Carducci lavorò instancabilmente al testo dei Rerum vulgarium fragmenta. Ne sono ulteriore testimonianza le postille autografe conservate su almeno tre delle stampe del Canzoniere custodite presso la sua biblioteca bolognese. Si tratta, in particolare, della cinquecentina Il Petrarca corretto da M. Lodovico Dolce, stampata a Venezia da Gabriel Giolito de Ferrari nel 1550, delle Rime riscontrate e corrette sopra ottimi testi a penna, pubblicate a Firenze nel 1747 nella Stamperia all’Insegna d’Apollo e del primo dei tomi delle Rime di Francesco Petrarca col commento del Tassoni del Muratori e di altri edito a Padova nel biennio 1826-1827. Le sottolineature e le chiose carducciane ravvisabili in questi volumi sono raggruppabili per tipologia: segni di attenzione, interventi sul testo, rinvii alle fonti petrarchesche e ai commenti dei Fragmenta – completi o desultori – di cui era a conoscenza. Fra questi torna più volte il commento di Silvano da Venafro, quasi sempre siglato in «dV» (Napoli, Iovino e Canzer, 1533); mentre non sono rari i richiami a Pietro Bembo e agli spunti interpretativi offerti dalle sue Lettere (a Sommi Pontefici e cardinali, pubblicate nel 1548 a Roma dai fratelli Dorico e nel 1743 a Verona dallo stampatore Pietro Antonio Berno). L’intento è dunque quello di censire e analizzare le glosse di Carducci (inclusi i segni di attenzione) depositate su queste pagine, così da ripercorrere, anche attraverso le sue rapide note, le fasi preparatorie del suo lungo lavoro sulle Rime di Petrarca.