Saggio sulle Opere di Roberto Giacco- opere in china su carta
L'arte inizia con il silenzio. Tutto tace. Chi parla? Allora mi prendo il lustro ed il rischio di interrompere il silenzio, visitando dal vivo e da vicino l'arte di Roberto Giacco.
Le opere ci presentano corpi umani atipici e “solitari”, come nel caso di Adamo ed Eva, Giordano Bruno, Solitudine, Obesità. Riempiono lo spazio, non hanno infatti- almeno in questa fase produttiva dell’ Artista, il quale ha avuto il periodo figurativo per poi spostarsi verso soggetti più astratti- un vero e proprio paesaggio a fare da contorno e contesto. Vediamo Figure Piene, vissute, che lo stesso pittore ha riempito meticolosamente e costantemente, in un fragile processo di Creazione. A titolo di esempio la critica Lidia Righini ha usato l’espressione “materia pesante”, e Gianna Sarra completa il quadro usando le parole “materia carnale”. Si vuole sottolineare che la corposità materica è piena di energia vitale, la quale plasma la forma umana compattandola ma allo stesso tempo togliendole la rigidità fissa. Paradosso visivo e percettivo: noi assumiamo una posizione nello spazio e nel tempo, percependo in primo luogo la nostra forma corporea, ma siamo mobili nello spazio-tempo contingente che si trasforma e ci trasforma. E l'assunzione o consapevolezza della nostra posizione non può prescindere dallo scavo nella nostra memoria umana.
L'arte del Giacco allora non è contemporaneo e sprezzante gesto di rottura, anzi, si plasma nelle sembianze di un dialogo costante con il Primitivo. Vi si potrebbe infatti rintracciare un lascito cubista, ma non del tutto deformante rispetto all'Umano. Non si tratta di un'arte Metafisica, proprio perchè l'Umano non è mai trasvalutato del tutto. Così come, anche ed infine, lo stesso artista non si esprime nelle parvenze estetizzanti che passano per il virtuosismo.
Il pittore ha vissuto pienamente le fasi dell'acquerello, dell'olio su tela, dell'incisione, della scultura, perfezionandosi nella tecnica del disegno a china su carta, a cui a volte aggiunge il colore a pastello od acrilico. Un vero e proprio processo di Scrittura. L'inchiostro si usa anche per le parole. Ad imprimersi è appunto il nero della china, il che rimanda alla precisione amanuense, ed al Tatuaggio, che si incide direttamente sulla pelle umana. Le idee e le emozioni si sedimentano nell'animo come l'olio e l'inchiostro sulla carta. Il nero ci confina e contorna, l'energia vitale che ci riempie e rende umani, sarebbe una voce tra le tante, se non fossimo contornati.
Cosa comunicano le opere? Ecco, il sentimento di essere stranieri, più che Estranei od Alieni. D'altronde si dice che che la china abbia un'origine orientale, cinese od indiana. Siamo in contatto con una memoria umana non localizzata. Stranieri, di fronte a cosa di preciso? Alla primitività della forma umana, che si erge, esprime, nonostante si palesi nelle sembianze di canoni ben distanti dall' armonicità classica e rinascimentale alla Vitruvio o Bernini. Ecco, il portato etico è un antropomorfismo non rovinosamente od onnipotentemente antropocentrico. A cominciare dal fatto che le opere nella maggior parte dei casi non hanno un chiaro volto. Il viso è principio di Individuazione. Il filosofo Lévinas gli ha attribuito un'importanza primaria, considerandolo addirittura Sacro. Al cospetto delle opere in questione mi sono sentito Ospite, nonostante non abbiano il volto. L'inquietudine non produce estraneità, quanto piuttosto panteistica compartecipazione.
Ad ogni modo la primitività umana della forma che riemerge è un sentimento ben diverso dalle odierne riflessioni sul Post-umano, che si radica nel superamento dell’Uomo stesso, da una parte nel divenire animale (da cui le tendenze vegetariane, vegane, ambientaliste), e dall'altra nel divenire Protesi tecnica (da cui le tendenze fantascientifiche degli androidi).
No, Roberto Giacco comunica a distanza con gli antropologi alla Ernesto De Martino, i quali hanno fatto esperienza sul campo per descrivere e riportare alla luce culture primitive scomparse od in via di sparizione. Siamo parte di una Comune e Panteistica memoria, in cui l' artista scava, ricavando e modellando la Forma. La memoria allora è il Tempo, che continua a scorrere, e di cui l’artista ha una percezione soggettiva ed intima, mentre la carta che prende vita è lo Spazio, che si riempie, come se fosse essa stessa tempo vissuto.
In fin dei conti ognuno di noi lotta ogni giorno per esprimere il proprio spazio e la propria dimensione nel mondo caotico e spesso inospitale. Il Corpo delle opere non è il paesaggio contornante, è lo Spazio in cui il soggetto rappresentato trova la propria dimensione e Dimora o Casa- ecco perché preferisco dire di avere visitato le opere dell’artista, invece di averle solo Viste. Ora il silenzio si riempie di colori e le opere mi appaiono con maggiore nitidezza.
Obesità in cui la pienezza feconda e rotonda si contorce ma anche si espande e l’effetto consiste nella pienezza. Tanto è vero che la meticolosa tecnica dell'inchiostro di china ha una matrice “segnica”, nel senso che occupa lo spazio con l’inchiostro fino a fare emergere il colore. Il quale non è un completamento della forma, no, è sinergico rispetto ad essa. Come a dire, il colore è la forza vitale dell’espressione artistica, anche se fosse scuro, mentre la carta è il corpo di questa energia.
Memoria primitiva tramite segni incisi meticolosamente. Può sembrare una riflessione ex abrupto, ma in realtà non è così: qui arte e scienza possono incontrarsi. Addirittura svariate ricerche sostengono che alcune primordiali e prometeiche molecole siano sopraggiunte sul Nostro pianeta terrestre, direttamente dallo Spazio, per il tramite di asteroidi. La molecola, segno primordiale di un linguaggio che l'arte in questione ricompone nel significato della scienza anch'essa primitiva, intesa non tanto come esattezza geometrica e matematica, quanto piuttosto nell'accezione contaminata dal mito, di ricerca delle Origini. Inoltre la molecola esprime il bisogno connettivo di ampliamento di tale primoradiale memoria. Infatti scientificamente parlando quest'ultima è un insieme di atomi connessi da un legame covalente, quindi aperto ad un' interrelazione, similmente ai segni molecolari del Giacco, speculari rispetto ai minuscoli “puntini” di inchiostro.
Solitudine: evoca il pittore che dipinge, da solo, portando con sé il travaglio di un’impresa titanica, appunto creare un soggetto artistico da un processo fragile ma costante di rappresentazione. Sembra essere in contrasto con la “sembianza molecolare”, quando in verità non è così. La solitudine è scoperta, Individuazione, propedeutica rispetto alla panteistica e molecolare interconnessione tra umano e natura, tra memoria del primitivo ed Umanizzazione.
Perdita della femminilità. Oggi non si fa altro che discutere di genere e specie e reciproca Fluidità. Il pittore si limita invece a fare vivere o rivivere l’emozione in virtù della quale la primitività della forma umana, è donna e uomo, rappresentati però in momenti di pathos pieno, anche di sofferenza e solitudine. In questo caso la perdita ha a che fare con l'elemento femminile archetipale per antonomasia, il seno, portatore di energia vitale e di nuda intimità.
La maggior parte delle opere sono Nude, il colore stesso le veste. E la nudità è certo segno di Intimità. D’altronde il nostro antenato primitivo si è vestito solo gradualmente. Ragionamento per cui il richiamo ad Adamo ed Eva sorge non a casaccio. I primi uomini, i Primitivi con la P maiuscola. La nudità in loro, come in noi che li rivisitiamo, ha prodotto la Vergogna, uno dei sentimenti che ci rende più Umani ed anche stranieri.
Giordano Bruno. Il filosofo nel dipinto è vestito da un lungo ed avvolgente mantello, è compresso nella propria pelle, protettiva potremmo pensare, ma non di fronte al fuoco che lo ha divorato. Grandezza dell’arte che si riprende la rivincita sulla drammaticità dell’esistenza, sublimandola? Ironia della storia? Giordano Bruno è il filosofo degli eroici furori, pensava in termini materici, con una stretta vicinanza rispetto al Fuoco. Certo, uno dei se non il Primo dei quattro elementi in cui torna la co-appartenenza panteistica. Ciò che rimane è la forma umana nel mantello avvolgente, come a dire che ancora una volta qualcuno ha trovato il proprio Spazio di espressione, il proprio “Uovo” vitale.
Anche noi lo cerchiamo, tutti i giorni, alcuni lo cercano davvero e ne sentono la mancanza, altri se ne dimenticano. Infine, per cercare il nostro spazio-tempo, non siamo così forti e titani da privarci della nostra umana primitività. Motivo per cui visitare le opere in questione è fonte di sollievo, ho come l’impressione che ci rendano più umani.
Del Professore di storia e filosofia Edoardo Ferrini
23 Febbraio 2022
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2018
VALUTAZIONE FINANZIARIA
PAOLO LEVI
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2018
CRITICA PAOLO LEVI
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2016
Mostra Personale Roberto Giacco "Equilibri armoniosi della materia"
Milano Art Galery, Bassano del Grappa 15 - 29 aprile
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Testo Critico a cura della Dott.ssa Elena Gollini
Mostra collettiva "Pro Biennale"
Milano Art Gallery, Venezia
8 maggio - 4 giugno 2015
Il percorso di lavoro creativo compiuto da Roberto Giacco si snoda e si innesta in uno speciale processo pittorico di tipo "metamorfico" basato sulla continua e costante trasformazione sperimentale, derivante da una ricerca analitica, soviziosa e meticolosa sulla materia e sugli elementi cromatici. Il corpo costituisce il soggetto preferenziale protagonista delle sue raffigurazioni, con un figurativo tendenzialmente stilizzato e un tratto segnico minimale ed "essenzializzato", che si pone tra il formale e l'informale, delineando uno stile espressivo, che si contraddistingue in quanto esclusivo e sui generis. La pittura diventa il campo applicativo di innumerevoli e molteplici indagini, che partono dalla sfera intima e interiore e si propagano all'esterno, declinandosi nella suggestiva forumulazione plastica delle immagini. Il corpo appare e scompare senza volto, possiede tratti fisionomici non ben definiti e viene avvolto da una dimensione magmatica densamente materica. Si delinea la visione di un mondo in formazione ed evoluzione costitutiva pregressiva e ad effetto tridimensionale, una genesi "osmotica" dai richiami ancestrali e primordiali, dalla quale le figure sembrano rigenerarsi nella conquista della piena libertà spaziale e dimensionale. Le composizioni evocano corpi elaborati con pennellate e stesure spatolate ben levigate e incisive ad effetto scultoreo, definiti da curve marcate e gestualità modulate e articolate ad intreccio sinuoso e con movimenti dinamici fluttuanti e sequenziali.
Il lavoro dell'artista vuole evidenziare quell'idea e quel concetto di evoluzione, trasformazione ed espressione del microcosmo, che ognuno di noi rappresenta e incarna in quanto essere vivente: gli archetipi del femminile e del maschile, le passioni e i fermenti del moto dell'anima si spandono tra sogni arcaici e pennellate decise, tra origine e mito, tra dimensione reale e irreale, tra realtà e fantasia. Corpo, anima, mito passione si intrecciano in alchimia prendendo forma sulle tele, scaturiti dall'elemento cromatico spesso e consistente e dal magma materico corposo. Il percorso artistico di Giacco possiede tracce antiche e riferimenti lontani. Presente e passato si fondono in coesione e producono armonia ed equilibrio compositivo d'insieme. C'è nella sua pittura una sorta di contatto di scambio e interazione con l'arte del passato, con un recupero dei valori e dei principi cardine ad essa correlati, unitamente a una riproposizione e rivisitazione in chiave personalizzata e attaulizzata, che lo inseriscono a pieno titolo nel veriegato comparto dell'arte contemporanea. Egli compie un'operazione colta, con la quale riapre il dialogo con il passato gettando al contempo un occhio orientato verso il futuro e proponendo un proprio simbolismo, fatto di colore intenso, forme indefinite plasmate e modellate come sculture e proiezioni visive emozionali di forte coinvolgimento. E' un percorso antico e moderno, nell'eterna ricerca dell'espressione figurale e delle sue sfaccettate prospettive evolcative. Giacco è artefice di una pittura di rimandi e contaminazioni in sinergica commistione, con un figurativo simbolico e impegnato e un linguaggio comunicativo non consueto e intrigante.
Giacco è in parte ispirato dalla vasta corrente di artisti, che fuggono dalla visione di un mondo troppo reale e dalla classificazioni delle avanguardie estreme, ma dall'avanguardia assorbe però fascino della libertà tecnico-cromatica, della forma alternativa e parallela alla realtà, dell'immagine mai totalmente e compiutamente espressa, ma lasciata in aun'atmosfera emozionante di involucro enigmatico e misterioso. La sua è una pittura figurativo-simbolista dal gusto metaforico, che diventa illusione immaginativa e allegorica scandita da un linguaggio cifrato e codificato. Sono opere, che per certi versi appaiono come impalpabili e indecifrabili e che contemplano e celebrano la bellezza dell'arte, richiamano l'eco del passato e si proiettano nel futuro, con una visione artistica universale, diafana, senza tempo nè condizionamenti e vincoli estetici.
Le rappresentazioni accolgono e rinnovano il senso dell'arcano e si protendono al di fuori delle tele. l'atto creativo è guidato dal sapiente estro nell'uso dei pennelli e della tavolozza, che genera una personale e atipica visuale estetica e risente degli impulsi e degli stimoli, derivanti dall'effice dialogo cromatico, nel quale diventa focale la visione prospettata dalla sfesra spirituale e intellettuale dell'autore.
I quadri sono sperimentazioni introspettive, frutto del talento esecutivo e della personalità espressiva in perfetta sintesi combinata. La narrazione valica e oltrepassa il limite di confine del "già trattato" volendo fare emergere appieno la profondità delle fonti concettuali ispiratrici e proponendo una struttura figurativa in connubio armonico, che sealta la ricerca dell'immaginario, filtrata attraverso valori estetici ed etici di intenso senso e signifiacato.
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Testo Critico a cura della Dott.ssa Elena Gollini
Mostra collettiva "Riflessioni Contemporanee"
Museo Canova, Possagno - Treviso
17 gen. - 10 feb. 2015
Le immagini raffigurate nei dipinti di Roberto Giacco si spostano e si muovono con effetto vibrante di tridimensionale plasticità dentro i margini concreti e circoscritti delle tele, con una sorprendente capacità di proiezione attiva e interattiva con il contesto circostante. Si ravvisa un linguaggio narrativo codificato, che attinge da una gestualità ideativa ed esecutiva ben ponderata ed elucubrata a monte, che si basa sulla trama doviziosa del tratto segnico e divaga nella stesura densa e corposa del colore e nell'intreccio cromatico delle tonalità con i giochi suggestivi di chiaro-scuro e luci-ombre. Il calibrato equilibrio della materia pittorica disposta sulla superficie con accurata progettualità non lascia e non tralascia nulla al caso, prestando massima attenzione anche al minimo dettaglio e offrendo un ordine e una compostezza di intensa armonia compositiva.
E' una pittura, che delinea un campo visivo sostanziale, una tensione percettiva e sensoriale nelle figurazioni riprodotte, alla quale si connette la memoria e l'evocazione che appartiene alla coscienza del passato, alla consapevolezza del presente e alla proiezione verso il futuro. Giacco restituisce un'impronta di purezza alla pittura e al disegno, con una raffinata formula di essenziale e minimale stilizzazione elaborativa, arricchita e integrata da simbologie, significati subliminali e messaggi metaforici di misteriosa ed enigmatica interpretazione, che catturano e sollecitano l'attenzione dello spettatore. Si può individuare un interessante parallelo di confronto con il Mantegna, nell'incalzante desiderio di spingersi fino all'estremo delle possibilità prospettiche per offrire innovative soluzioni visive ad effetto illusionistico, che rievocano i soggetti rappresentati quasi come se fossero ritagliati, intagliati o scolpiti sulle tele, utilizzando una tecnica sperimentale che assimila i quadri alle pitto-sculture nell'immediato impatto estetico.
Le rappresentazioni occupano diverse posizioni espandendosi e distribuendosi in un orizzonte panoramico, che si allarga come zona impercettibile e indecifrabile, si mescola e si amalgama in un'atmosfera senza tempo, si addentra in uno spazio cosmico virtuale sconfinato, che assorbe in sè il cuore e il fulcro centrale nevralgico della costruzione di contorno, diventando un tutt'uno con essa. Bastano pochi segni distintivi portanti che caratterizzano il processo di individuazione dell'immagine, la presenza di figure protagoniste dominanti, che riecheggiano nella visionarietà creativa di Giacco come esperienze vissute o ancora da vivere, accumuli di tensione esistenziale visibili o invisibili e ancora inespressi, che si concretizzano enlle opere e insinuano un dinamico passaggio nella sfera dell'immaginario fantastico. Le figure sono dipinte per pura sintesi formale, come se volessero parlarci di una sorgente cosmica, di un flusso universale, di un nuovo incanto verso una dimensione di assoluto, che conduce la pittura attraverso un cammino misterioso, impalpabile e ignoto.
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Proff. Vittorio Sgarbi
Critica tratta dal suo libro
"PORTO FRANCO" gli artisti sdoganati da Vittorio Sgarbi
EA editore, Palermo 4 luglio 2014
Se dicessi che vedo qualcosa di mantegnesco nelle opere più recenti di Roberto Giacco, sono certo che in molti penserebbero a un'allucinazione o a una facile provocazione. Sbaglierebbero non una, ma due volte. La prima, perchè sopravvaluterebero le proprie capacità di discernimento critico, evidentemente incapaci di muoversi al di fuori degli steccati più convenzionali.
La seconda, perchè dimostrerebbero la precarietà delle proprie conoscenze riguardo la storia dell'arte del passato. Per capire Mantegna, bisogna capire il primo Rinascimento, filologicamente. La riscoperta dell'arte greco-romana è, innanzitutto, quella della plasticità come nuovo modo di sentire e vedere il mondo. Fino al Medioevo, la pittura, ispirandosi a modelli bizantini, aveva bandito il senso del volume, trovando in tal modo il corrispettivo di una religiosità per cui lo spirito, foriero di beatitudine, veniva contrapposto al corpo, foriero di peccato. La pittura di allora non figurava, trasfigurava, rappresentando l'interiorità ideale che sottende l'aspetto esteriore.
Poi, l'eélite sociale dell'Occidente, l'italiana in primo luogo, cambia costumi, materiali e intellettuali, avviando una progressiva laicizzazione. Dio é sempre al centro, ma l'uomo gli é vicino come non mai, potendo in tal modo stabilire un rapporto di equilibrio con il frutto più manifesto della perfezione celeste, la natura. Tutto ciò che concerne l'uomo viene perciò riabilitato, anche quanto prima era visto negativamente, come la fisicità, il piacere, il denaro. La legittimazione a questo cambiamento epocale di mentalità viene cercata nella civiltà greco-romana, ora non più concepita, cristianamente, come degenerazione pagana, ma come modello culturale da emulare. Il recupero dell'antico passa per i resti archeologici che documentano l'altissimo senso del bello coltivato dai greco-romani: pochissime le pitture, tante le sculture e le architetture, che diventato oggetto di studio e venerazione. Non a caso, il rinascimento ha per pionieri primigeni un architetto, Brunelleschi, e uno scultore, Donatello: entrambi vogliono carpire iil segreto della fisicità degli antichi, trovare un metodo oggettivo con cui poterla rendere modernamente. La prospettiva scientifica è la prima rappresentazione dello spazio in cui tutto, finalmente, acquista volume, profondità, spessore, come nei resti antichi, facendo in modo che l'illusione risponda alle regole della geometria.
La pittura non può che conformarsi al nuovo indirizzo stereometrico, e Mantegna è uno dei più ossessionati in questo senso: più rendi gli aggetti dei volumi, più sei antico e moderno allo stesso tempo; la massima aspirazione di un corpo umano è quella di darsi come un monumentum, una statua antica che susciti rispetto e ammirazione.
Mi pare che il percorso pittorico di Giacco possa essere racchiuso, metaforicamente, nei termini di rimando alla storia che ho appena esposto, volendo giustificare la pertinenza del riferimento a Mantegna. C'è stata una fase, a suo modo, "bizantina" segnata da un primitivismo di forte vocazione spiritualista, in cui la trasfigurazione ha prevalso sulla figurazione, la visione sulla vista, la duplice dimensione sulla tripla. C'è stata, in seguito, la svolta della conquista del volume, che proprio come in Mantegna si menifesta sotto forma di scultura tradotta in pittura, anzi, in grafica, date le tecniche impiegate, con la china su carta a farla da padrona. Scultura che, nel caso di Giacco, non è più canone di perfetta armonia corporea, come lo era in Mantegna, adeguandosi alle istanze novecentesche del biomorforismo, secondo risvolti neo-umanisti, alla Henry Moore, ma anche secondo carateri più astratteggianti, alla Hans Arp, con la cavità circolare ad assumere un ruolo centripeto nella strutturazione delle diverse articolazioni plastiche.
Ciò che è più interessante notare, conmunque, è che Giacco non si accontenta di pervenire allo stadio scultoreo (l'artista ha realizzato diversi modelli tridimensionali da cui ha tratto ispirazione per le successive trasposizioni su carta), sente la necessità di innestare un processo di sublimazione con cui convertire il solido reale nel virtuale, come se il passaggio comportasse un livello maggiore di emancipazione da ciò che in Mantegna era esaltazione dell'invadente impellenza della materia, compiaciuto trionfo del peso bruto della gravità. evidentemente, Giacco aspira alla distillazione dell'archetipo, versione adeguata del monumentum mantegnesco, a cavare la forma assoluta che oltrepassi, sintetizzandole, qualsiasi distinzione disciplinare fra grafico e scolpito. Ricerca, Giacco, l'idea originaria, l'essenza alla base di transeunte, lo spirito nel momento stesso in cui diventa cosa. In ciò, tornand a essere un po'bizantino.
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Mario Lunetta
scrittore
Roma, 2009
Le immagini di Roberto Giacco si determinano a partire dalla sua percezione della sordità del mondo, in un silenzio in cui l'unico suono,o rumore, o stridore sono dati dal ritmo avvolgente delle forme e dal loro gioco statico, quasi fossero ricavate dalle viscere di blocchi minerali. C'è una sorta di atonìa invincibile in queste tavole in cui il rapporto fra bianco e nero, con rare concessioni a lievi effetti cromtici di pastello, somiglia a una guerra che non conosce pacificazione, chiusa dentro la bolla diun tempo senza nome. due sono, fondamentalmente, i movimenti iconici di giacco: 1) ilnero, in una quantità ricchissima di variazioni, dal vellutato al carbone secco, ottenuto mediante un lavoro lenticolare di pazienza e perizia infinite.
Il mondo non risponde: ed è allora l'artista a richiamarlo senza tregua alle sue responsabilità interlocutorie, attraverso sagome e parvenze senza fisionomia, impssibilitate a delinearsi, in una sottrazione di vita che partecipa, più che dei simulacri di tanta pittura e di tanta plastica "metafisica", di certe suggestioni dell'anonimìa di uno scultore come Henry Moore. Il groviglio senza soluzione sembra l'emblema primario di Giacco: qualcosa che, piuttosto che accamparsi nello spazio del foglio, ne stabilisce per via dinamica il senso fino a distruggerlo iin quanto supporto, divorandolo. In queste tavole cariche di suggestioni inquietanti, catafratte nel loro impenetrabile assetto formale, l'uomo - a se stesso estraneo - non conosce se stesso. La dialettica dei pieni e dei vuoti, agìta con un'inclinazione che non si saprebbe che definire sultorea, sembra aprirsi con terribile parsimonia, e più spesso chiudersi in un carapace sdegnoso, da cui si genera un sentimento di malinconia immedicabile.
Nel lavoro di Giacco il rapporto con il reale si esprime esclusivamente in un'interazione di strutture anonime, mute e prive di speranza, che comunicano solo attraverso la loro assenza. Il suo è un universo pietrificato, che sembra venire dopo - se non concludere - l'affollatissima, rutilante, dolce, violenta vicenda della specie. tutto tace, in queste belle tavole. Perfino la memoria sembra spenta. Tutto si snoda e si annoda come in cerca di un impossibile stato di quiete, in un modulo da corpo litico ferito e deprivato delle sue potenzialità espansive. Ma la luce e la tenebr concorrono in misura esemplare a vitalizzare intensamente questi lacerti, questi reperti, queste schegge avviluppati e disciolti nella loro estraneità: e la maestria dell'artista dà loro la forte legittimità di una presenza e di una parola.
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Aldo Albani
Saggio critico
Roma, 2014
Roberto Giacco:
Quando l'invenzione gestuale
induce il sogno metafisico dell'anima.
"Ai confini estremi delle più antiche memorie,
laddove cavalieri alati e fate turchine
ricamano arcobaleni di luce,
esiste un'eterea realtà spirituale
infinitamente dolce e infinitamente pura:
La fantasia che privilegia gli eroi di ogni tempo"
L'incontro con Roberto Giacco non è avvenuto casualmente.
Infatti, la sera dello scorso 27 settembre, in concomitanza con il vernissage della Rassegna "Exihibition of Talents", svoltasi presso l'Associazione Culturale "Trittico Art Museum" in Campo de' Fiori a Roma, fra l'intera gamma espositiva, le opere di Roberto Giacco ci hanno istantaneamente colpiti per la loro vibrante atmosfera estetica, deputata ad esorcizzare una profonda emozione intimista.
Successivamente, sono state sufficienti poche parole scambiate a viso aperto con il valente Artista per registrare talune significative affinità che ci hanno accomunati.
così, nella conseguente fase di approfondimento conoscitivo, quando cioè abbiamo potuto osservare la vasta e qualificata parittura espressiva del geniale interprete, abbiamo avuto conferma della nostra intuizione iniziale: quella cioè, di trovarci innanzi all'estro di un'autentica talentuosa personalità dell'Arte contemporanea, che ha saputo coniugare con un proprio vibrante linguaggio, un qualcosa di superiore, capace di offrire il fascino discreto di un vero e proprio magnetismo rappresentativo, perchè l'Artefice primo di cotanta bellezza, è nato con un'accesa predisposizione rivolta in esclusiva alle Belle Arti di ogni epopea, eccellenza di rilievo quest'ultima, che si acquisisce nell'anima come autentico ed indissolubile dono genetico.
"Siamo figli delle stelle" da questa eloquente affermazione che Roberto Giacco ci ha confidato mentre analizzavamo quel suo fantasmagorico percorso espressivo, abbiamo apprezzato i fattori predominanti della sua coinvolgente cometa calligrafica: la sublime poesia del sovrano silenzio, l'energia salvifica del tratteggio rinascimentale, la velata tristezza ma pure il tripudio, alle quali realtà si assomma l'immensa umanità rilevabile nella solitudine e nella sofferenza, addendi e sfaccettature di remote culture giunte a noi attraverso secolari accadimenti.
dunque una metamorfosi concettuale in continua mutazione evolutiva, un messaggio onirico surreale, in cui le svettanti geometrie criptico spaziali alternano reinterpretazioni intellettive di alto lignaggio, calibrate da un privilegiato ed univoco pentagramma alchemico gestuale, inorto per il trascendente binomio essenza sintesi.
in questa direttrice percettiva, l'opera esplodi da un modellato in terra cotta, librato nello spazio come il ento ed inarrestabile respiro della storia, dal quale si evince l'intero dettato, in un sottilissimo intreccio di segmenti grafici pazientemente frazionati e successivamente raccolti sino all'ultimo equilibrio degli inchiostri, impreziositi dai rapidi contrappunti chiaroscurali, specchi fedeli di una spiritualità medianica lungamente corteggiata con la saggezza dello sciamano immerso nell'ossessiva ricerca della verità.
alludiamo alle impegnative impaginazioni intellettuali che interrogano, indagano, disquisiscono, conducono narrazioni, al di fuori del tempo e dello spazio, nell'eterea visualizzazione compositiva che dall'espressionismo deriva alla scansione metafisica, in un sortilegio di graffiti che abbracciano la filosofia esistenziale di un uomo del nuovo millennio, laddove coesistono allo stato ancestrale, il buio e la luce, il giorno e la notte, la gioia ed il dolore, la vita e la morte.
Una neo-metamorfosi contestuale che innalza quel qualcosa in più di esotierico: è dunque questa, la meta agognata dal registro scenografico degli eventi?
La risposta resta celata in un alone di misteriose sembianze, fra le sorprendenti tessiture iconografiche del pensiero, baciate tridimensionalmente dalla luce che colpisce le coloriture predilette che dall'indaco violetto, derivano al verde smeraldo, all'oltremare, al celeste ambrato, al giallo aureo, in una sinfonia descrittiva appena sussurrata.
Alludiamo al rasserenante sussurro che annienta il grido, con l'avvenuta alingenesi del "vate peota" attento al richiamo dll'infinito.
Perchè nel costume contemporaneo delle convulse metropoli e delle buie periferie, che hanno abbracciato il modello meterialista della globalizzazione, il medesimo idolo pagano che ha inesorabilmente distrutto la creatività e la consapevolezza dell'ipotesi di una ritrovata felicità, Roberto Giacco resta presenza vigile, attenta, sagace, autorevole, caparbiamente instancabile, pronta alla sfida più ardua per l'estrema vittoria dell'essere, nell'incondizionato amore per la vita.
In qusto preciso indirizzo concettuale, si osservino gli assunti prediletti, le avventurose immancabili frequentazioni: vestali elleniche dai drappeggi al vento, gladiatori e templari, maschere immaginigiche ed iperboli totemiche, teneri abbracci e maternità, reconditi rimandi e sperimentaizoni astrali, arte sacra ed arte profana, giovani donne e veggenti illuminati.
Ogni tema, una storia assestante, un'esperienza vissuta, una dedicaizone, un rimpianto, un'ovazione, un sorriso, una lacrima, laddove le forme antropomorfe scarnificate di ogni superfluo orpello decorativo, s'innestano con le rivisitazioni natualistiche del creato, in cui anche la triade dei regni vegatale, animale e minerale, concorre a tracciare l'arcano destino dell'uomo, creatura superiore tormentata dall'eterno conflitto fra il bene ed il male, fra il sorriso dell'Angelo e l'orrendo ghigno demoniaco di satana.
Ed in ogni tratteggio, in ogni diagonale di luce, in ogni cono d'ombra coloristica, s'accende la dimensione dell'impianto surreale, laddove un coacervo infinitesimale di vessilli allegorici, dà vita a quelle mitiche figure dal volto ignoto, che simboleggiano la singola unità come pure l'intera specie umana di ogni latitudine astrale, lasciando in tal modo che si rilanci l'antica contesa fra alfa e omega, fra l'inizio e la fine, del tutto e del niente.
Roberto Giacco novello Ulisse della selettiva sintassi del proprio intelletto, cantore indomito dell'essenza esistenziale, merita dunque una posizione di rilievo, laddove gli iniziati potranno dissetarsi alla fonte della conoscenza proveniente da molto lontano, da una remota ed inimmaginabile glassia avente le potenzialità di comporre e scomporre il mosaico della vita di ognuno di noi, piccole grandi creature al cospetto dell'imperscutabile disegno tracciato dall'Assoluto.
In tale compendio si identifica Roberto Giacco, decisamente al di fuori dall'egocentrismo dilagante e dai falsi clamori dell'apparenza, perchè a nostro giudizio, questo ormai nostro compagno di viaggio, ha saputo sintetizzare non solo il proprio tempo con le lancinanti contraddizioni, bensì le verità ancestrali iscritte in ogni essere vivente sin dalla notte dei tempi.
Micro e macro strutture idealizzate, unite dalla sintassi esistenziale per sempre, oltre l'agnosticismo nichilista, per la supremazia del più nobile dei sentimenti: la condivisione universale della bellezza.
Perchè dopo ogni angoscia che attanaglia il cuore, l'Artista rinasce acrcobaleno nella purezza di un sogno d'amore.
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Italo Marucci
critico
Roma, 30 marzo 2011
La Scultura-Grafica di Roberto Giacco
Le opere di Roberto Giacco sembrano lavori da certosino. Se le analizziamo attentamente scopriamo la meticolosa cura delle superfici.
Di un'opera egli infatti usa studiare le prospettive scultoree, nonché la possibilità di armonia delle masse grafiche, le intersezioni dei piani e dei volumi e la gestualità dei grigliati segnici.
Un eccezionale controllo formale contraddistingue la sua ricerca attenta e rigorosa dell'equilibrio segnico, spesso monocromo (fatta eccezione per dei fondi colorati): Questa ricerca trasforma in ritmo unico le cadenze molteplici del simbolo raffigurato, puntualizzando l'opera, dandole quel minimo di emotività e di sensitività, diventando così sintesi delle incidenze allusive e simboliche di una scultura disegnata di rado in un artista la severità della ricerca si accompagna ad un altrettanto rigore dell'ispirazione scultorea e all'asciuttezza e concisione formale.
Il suo inguaggio pittorico è dei più sapienti, con articolazioni plastiche nello spazio e la giustapposizione dei contrasti volumetrici.
Sono opere che si collocano tra la scultura e la grafica. Grafica Astratta, ma non informale, perchè la forma è misura controllata e rapportabile ad una razionalità costante.
Un bisogno di ordinare le direzioni visive nello spazio, i grigliati segnici creano un contrappunto materico efficace.
Creare un rapporto vibrante tra luce e oggetto, tra forma e spazio è una costante che ha caratterizzato la ricerca scultore-grafica di Roberto giacco.
Anche nella sua recente produzione, dove giunge as esiti interessantissimi, non è diminuito questo obbiettivo di fondo, semmai il rapporto tra la forma e lo spazio, superando la bidimensionalità grafica: è di tutta evidenza che la ricerca che conduce Giacco è incentrata su un tema centralizzante, che è lo spazio. Sono forme nello spazio, non tanto pittoriche, ma plastiche tridimensionali; è una ricerca tutta orientata sulla definizione e forma dello spazio attraverso la costruttività di segni, di astrazione costruttiva, legato alle avanguardie, ma con declinazioni personali e inedite.
Non è estranea però al lavoro di Giacco neanche l'architettura. E' una situazione tutta particolare per cui viene messo in discussione il linguaggio pittorico nella sua totalità; non è solo un quadro, ma un progetto che investe lo spazio scultoreo che è suggestione per lascultura, un progetto per un fatto plastico e tridimensionale: c'è una forma di scultura delle cose e ne mostra il lato segreto, nascosto, imprevedibile, in questa forma noi evochiamo e ricostruiamo storie e percorsi.
L'opera di Roberto Giacco ha il pregio della materia, tratta a sottilissimi tratteggi, segni sottilissimi incrociati che creano figurazione, ambiente, movimento.
Il tratto di Giacco è in questi reticoli che vibrano siglando l'invenzione, attraverso la ricerca di composizione e di forma, divenendo invenzione plastica.
La densità e la purezza delle forme costituiscono quindi le cratteristiche fondamentali del suo stile, che si distingue anche per la libertà deell'ispirazione.
Giacco con la sua grafico-scultura cerca un linguaggio aperto al simbolo, nel quale entrano le memorie visive e le emozioni che esse hanno suscitato, ma anche le immagini archetipe risvegliate da quelle stesse emozioni.
Nella pittura di Giacco tutto èinevitabilmente conseguente; la sua evoluzione si svolge dentro il rinnovamento stesso della grafica contemporanea con costanza e coerenza.
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Arnaldo Zambardi
scrittore
Roma, 2010
Guardando le composizioni di Roberto giacco è possibile ritenere che le forme complesse, surreali, intricate, astratte, prive di figurazioni usuali che l'artista ci propone, vogliano rispecchiare per un verso il complicato mondo del nostro temo caotico fino all'esasperazione, dall'altro manifestare il bisogno, profondamente sentito, di chiarire a se stesso il senso del vivere in una società così alienante in cui tutto è pervaso da spietati egoismi; tali complicazioni, guardando i quadri, si trasferiscono immediatamente alla percezione dell'osservatore che pertanto prende coscienza, qualora non ne fosse stato ancora colpito, dalla robotizzazione del nostro tempo tutto irrazionalmente proteso verso comportamenti alienanti e massificanti.
Mi pare indubbio che Giacco, irretito, come ogni uomo che rifletta sul proprio destino, intenda trovare il filo d'Arianna che possa condurlo ad un porto sicuro ove attraccare il proprio animo tormentato dalle onde tempestose di un incalzante flusso demenziale e dalle ambiguità fluttuanti che l'esasperato modernismo ci propina.
Stando in questi termini l'opera di Giacco mi pare che richiami fortemente le ipotesi heideggeriane del pensiero poetante: "Sentieri del pensiero, / che procedono solitari / dileguandosi .../ E ancora il bisogno/di oscurità indugiante/ nella luce che resta in attesa."
L'artista, si sa, di solito si esprime mediante simboli; Giacco non sfugge a questa sirena ed ecco allora il suo lavoro di scavo e di ricerca nel groviglio delle sensazioni, dentro la coscienza simbolicamente rappresentata dal multiforme magma roccioso reso mutevole dal dinamismo naturale, così come il raziocinio umano muta e ricostruisce l'idea mediante un continuo ritmo significante. Lo scopo è probabilmente quello di prefigurarsi un traguardo, anche se egli stesso è del tutto consapevole, come del resto dimostra la caoticità che ci circonda, che sarà ben difficile, anzi, pressoché impossibile, raggiungerlo in modo definitivamente appagante.
Che senso ha, dunque, lo scavo cui l'artista sembra costringersi? Quale il senso della continua mutevolezza delle forme? Perché sue soli valori cromatici per di più insistenti quasi sempre nel nero e nel bianco ancorché sfumati nelle diverse gradazioni?
Sembra che non si possa sfuggire ad una conclusione: proprio la molteplicità delle forme, corrispondenti alla molteplicità degli inconsci impulsi razionali non sempre giustificabili ma tuttavia necessari, possano indicare l'agognata metà della verità; nessuna certezza la garantisce, soltanto l'oscurità indugiante può far intravvedere se non vedere la luce che resta in attesa e verso la quale tuttavia siamo protesi.
Dev'essere quest'assillante pensiero che spinge Giacco, pur nella constatazione dei contrari e opposti ritmi giornalieri, a immaginare e ad auspicare una visione euritmica dell'essere; l'artista lo dimostra insistendo nella ricerca, ossessionato ma nello stesso tempo rassicurato dallo scavo metamorfico delle forme, nella speranza, ideale, più che reale, di raggiungere l'appagamento che egli pertanto identifica con la stessa ricerca assunta come mezzo e fine dell'essere.
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Luigi Celi
Poeta e scrittore
Roma, 2009
Sculture in immagini, immagini scolpite sulla tela. Roberto giacco non è Michelangelo, ma se il paragone è per augurio e stima, allora è possibile sostenere che Giacco ha la capacità di scolpire l'anima e dare alle immagini - che il sogno e la viosionarietà dell' A. concepiscono - una fisicità pluridimensionale di straordinario impatto, da "prigione" michelangiolesco. Non c'è nulla da liberare dalle pietre, però, tutto è in presenza, l'ente è scarnito e luminoso, per quanto asintattico.
Occorre cautela se ci si misura con le pietre, con le rocce soprattutto. Esse fanno male se urtate, possono uccidere se precipitano su di noi. Guardiamo con "timore e tremore", (Paolo di Tarso, Kierkegaard), queste sculture dipinte su tela, spesso di notevoli dimensioni, frutto di tecnica raffinata e di pazienza certosina.
Segno dopo segno la gestalt dell'opera è pregnanza di senso che scaturisce dall'informe, si determina per insight e integrazione percettiva, pur nell'apparente noluntas comunicativa. L'opera è disposta inconsciamente, per sincronismi isomorfi, a configurare l'anomia in cui siamo precipitati in questa società mercificata fino all'alienazione d'essenza, come avrebbe detto Marx giovane. Le possibili interpretazioni di un'opera - che è baudeleriana mise en abime, sprofondamento dell'ente nella sua radice petrosa - sono pressoché illimitate. Ci misuriamo con una realtà scarnificata in essenza. Nessuna concessione al superfluo, all'ornamentale, nessun fronzolo, piuttosto scavo minerario, risonanza, eco di ciò che è ctonio e insieme primigenio. La scarnificazione dell'immagine fa della pietra il nòcciolo del pensare del sentire del comunicare di questo artista totalmente assorbito dalla "cosa". Come negli "espaces sculptés", "materico-gestuali" di André Bloc - vere "caverne gestuali", quali definiva il Tufari le opere del grande architetto scultore - i lavori di Giacco evocano la condizione prenatale, embiornale dell'umano. Un rifugio le sue caverne di roccia; antri uterini di natura psicoanaliticamente regressiva. L'Artista sembra volersi calare in esse per esorcizzare la minaccia della massificazione spersonalizzante. Giacco trova e presenta ciò che si offre nel segno che da individuale si fa colletivo.
Matericità della tecnica e dello stile sono come archetipicamente mirati alla integrazione degli opposti, in una coincidenza simbolica di forma e di informale, nella reiterazione dialettica dell'identico, nell'ossessione monotematica del motivo della pietra, posto e riproposto nel suo astrattismo sovvertito. Enormi blocchi immobili, semoventi, acquistano struttura e forma perché l'artista può rappresentarli, proporli e riproporli in prospettive multiple, dopo averli modellati in creta e illuminati da ogni parte, così che le ombre si insinuino dove la luce muore e risorge. In questo caso l'informale, meglio del figurativo, sembra parlarci dell'origine.
E' una preghiera, un grido, che è suo e di tutti noi, una invocazione di disperata speranza. Giacco è un dècodeur, una decodificatore, che netta con le sue spugne materiche i nostri cervelli sovraccarichi, manipolati e sofferenti, restituendo morbidezza alla pietra del cuore ed equilibrio maternale al nostro spazio interno, negli esterni protettivi delle sue pietre cave.
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Gianna Sarra
Giornalista
Roma, Gennaio 2002
Elementi per un reportage da navicella spaziale...... si direbbero al primo impatto queste SCULTURE GRAFICHE di Roberto Giacco, tecnicamente dei graffiti bianchi a china su fondo cartaceo d'un nero denso, interstellare.
Con la sapienza magica (e la pazienza) degli antichi chirurghi egizi, l'artista svuota dei visceri molli la materia carnale che manipola, per consegnarci i reperti della sua wasted land, le briciole d'un pianeta disintegrato, raccolte e coinvolte al passaggio d'una cometa dalla coda di ghiaccio.......
Queste strutture essenziali sono ossa che portano il lutto della propria carne, di ciò che un tempo le avvolgeva e abbracciava - ma esibiscono pure l'allegria composta di una ritrovata leggerezza e porosità, l'essenzialità di cristalli opachi come teschi di preistorici pachidermi.
Sono i gusci d'un amore elaborato fin oltre la soglia del nulla (la sua umana necessità), astragali enormi vaganti nello spazio agravitazionale, proiezioni d'una immateriale Stonehenge fondata sul vuoto ....
Nel segno delle metamorfosi assolute, e reversibili, dei tre "regni" fra loro, dedico ai disarticolati monoliti di Giacco questi versi, scritti per le frondose ali di una
"DAFNE"
affonda le radici il sonno fino agli alveoli della mente gli incunaboli dell'arrare irrora di rilassati sogni e foglie
nuove
visitando le tane dell'angoscia grumi al midollo toglie
e spine
a limpide soglie approda la marea del tremore
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Giacomo Porzano
Artista
Roma, novembre 2001
E' soprattutto quel particolare sentimento del FARE, il gusto per la forma e il quasi affannato bisogno di concretizzarla, che mi sollecita all'idea antica di HOMO FABER di fronte alle sorprendenti chine realizzate da Roberto Giacco; queste opere grafiche sono infatti il risultato della felice stagione creativa di un originale artefice, nutrita di solitarie esaltazioni nate dalle più profonderagioni del suo essere.
E' il pensiero corrispondente ad oggetti esteriori (come ad esempio, a certi suoi abbozzi in creta) che l'intuizione visiva del pittore trasforma in IDEA degli oggetti stessi, cioè in forma d'arte: essa ci giunge filtrata da una complessa, sapientemente modulata trama segnica che è l'essenza precipua della sua qualità creativa.
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Elio Mercuri
critico
Roma, novembre 2001
Tutta la ricerca di Roberto Giacco è tesa fino all'estremo a trovare l'assoluto della forma, struttura dell'uomo nel punto di contatto che lo colloca nel cosmo. E' una relazione assoluta tra individuo e cosmo che permette di indivicuare nella forma la presenza della totalità dell'essere. All'inizio come un uomo della preistoria per decifrare il segreto della sembianza, del corpo, coll'argilla ne modellava rudemente le forme, soprattutto dopo aver dato nome alla pietra scolpita dalle acque e dal vento della grande madre nel compiersi del mistero della nascita di quel corpo che assumeva in sè l'atto della creazione e dell'incarnazione. Poi, vicino, per relazionare le presenze un corpo d'uomo a ricreare la condizione dell'origine della quale poi ogni uomo è figura.
In quelle forme che si incontravano, che si unificavano restando divise quasi in una comunicazione totale ha avvertito il senso di un'aura, che nessuna geometria riusciva ad esprimere, nè immagine stereognomica nel contrasto insolubile tra la rappresentazione scientifica e la visione della esperienza che già qveva tormentato Leonardo in quel gioco irrisolto di essere e apparire, di interno ed esterno, in quell'invisibile contatto che l'aria trasmette, quella spostata dal moto del corpo crea va dall'amplesso, o soltanto dal nostro respiro. E la certezza del gesto con cui nel moto delle braccia cattura quell'aria e ne fascia il corpo in aun'anatomia spirituale che ne annulla le apparenze e ne insegue al verità.
Crede negli astri, che in qualche modo agiscono, come la luna sulle maree o il sole sulla maturazione dei grutti nelle stagioni. In una convergenza e corrispondenza che ci sottrae alle sembianze mortali e ci presenta nella forma incorruttibile. Il bianco prima; ora il grado zero del nero si lasxiano alle spalle le illusorie apparizioni, cercano di costruire il senso nella spinta e a condizione incontrollabile di caos; il pennino scava, scava dentro a raccogliere al di là dei segni delle tracce e delle orme la vera presenza. Ciò che trova non è uno scheletro, l'estrema sembianza della carne del corpo che resiste alla morte, ma la struttura primaria la forma sublimata cioè l'immagine dell'anima. Il luogo dove si inteersecano i segni infiniti che indicano i percorsi dell'esperienza; la scommessa dei sensi in un saldo di emozione e coscienza che non riesce mai a compiersi; il labirinto dell'esistenza in quel ginepraio di segni per ricomporre, o forse soltanto costruire sulla spinta di un desiderio irrefrenabile l'icona dell'anima; il trascendente nell'immanenza, nell'individuo la totalità dell'essere e in ciò squarciare la notte del mondo, il velo di Maja, e raggiungere lla luce eterna della bellezza che segna la condizione di necessità, uno stato incorruttibile la suprema perfezione nella quale in destino si incarna nella vita.
Forme dell'archetipo, delle figure fondamentali dell'esistenza, l'uomo e la donna su tutte la madre, quel grembo che si fa misura del cosmo mistero della nascita e forma suprema di vita.
Solo sculture, che nella bidimensionalità del disegno diventano luogo di incontro, creano una spazialità che non ha nulla a che vedere con quella della quotidianità, luogo di incontro, appunto in una forma che ricompone piani della vita nel suo essere segmento della retta infinita, di quello spazio curvo che la matematica non ha ancora raggiunto e come sempre soltanto l'arte anche quella semplice naturale necessaria di Giacco, come la più sublime sua espressione ha sempre reso commensurabile attraverso l'emozione alla vita dell''uomo. Il pennino insegue punti segni tratti minuti rapidi che sono le tracce dell'esistenza enl mare dei segni per percepire la forma che li sublima in presenza della totalità e colloca l'io nell'anima del mondo, stabilisce così la nuova dimensione, il nuovo campo infinito nel quale i nostri percorsi tendono a tradurre disperatamente o con certezza il caos in forma. Dare anima agli oggetti non è facile, tradurre in luce la materia è ancora più difficoltoso, superare le barriere della morte, impone un rigore di ascesi che spesso risulta insostenibile per dover esprimere il dolore della perdita del mondo. E' un rito sacrificale, della vita vittima di cronos avvolto come in un sudario, per resistere al di là dell'esserci così come sono l'uomo e la donna, la madre devono trascendere il luogo della vita e ciò è malinconia della forma come assoluta bellezza che sempre accompagna il lutto della morte del mondo. Lo schermo nero è lo zero. Il percorso che inizia di là è varcare la porte del Ade, questa tentazione dlla discesa agli inferi a vivere un al dillà che dia alla vita altro senso oltre la morte la bellezza filosofica di Platone s'avvera in questa passione di una vita che cerca la verità e non si rassegna ai mille tormenti travagli dolori che segnano la nostra quotidiana esistenza e vuole trovare libererazione dall'ansia sotterranea, quell'ansia quella tensione insostenibile che trova compimento in questo approdo ad una forma estrema semplice che ha permesso di ritrovare come l'origine e con essa la certezza di un proprio destino.
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Lidia Reghini di Pontremoli
critico
Roma, dicembre 2001
Talvolta la scrittura descrive stati dell'animo umano, attraversa torrenti e dirupi per approdare allo svelamento di un immagine.
E' questo il caso di Roberto Giacco. Le sue strutture materiche pesanti, terrene, eppure così libere ed evanescenti, lasciano scorrere lo squardo dentro le viscere di quella gabbia minuziosa di segni; l'opera diviene quell'oggetto misterioso che espolora la realtà di un dentro per proiettarlo fuori dalla coscienza, fuori dal computo delle possibilità realizzabili di un'immagine. Ed è proprio questa la sua maggiore libertà.
Strutture architettoniche, cattedrali musicali, qui il segno è simile ma mai uguale a sè stesso pur ritornando con una serie di citazioni di opere precedenti o che magari verranno. Segni che, con la complicità di luci ed ombre, rincorrono il profilo di un'unità del profondo smarrita.
L'idea della costruzione è implicita in ogni struttura che inizia dal nulla e si compie come interezza, desiderio esaudito. L'artista è colui che esplora le ragioni del profondo per arrivare a costruire dal nulla una cattedrale di segni che hanno nella loro complessità espressiva senso, significato e movimento.
Il senso è la direzione del sè: come se ogni lavoro di Giacco riuscisse a fare emergere un frammento dell'esistenza interiore dell'artista.
Il significato è in sè e per sè un valore semantico, lessicale: il segno non vive in un desolato isolamento, maè puttosto parte di un discorso complesso sull'arte e sulla vita. Il segno è l'epifania di un pensiero che si esaudirà nel tempo, strato su strato, senza fretta. Il lavoro di Giacco non conosce pause o ripensamenti repentini. La struttura concettuale dell'arte muta il segno complesso in pelle, nella metafora sensuale di un'immagine che gioca nell'inganno di un'ambivalente "doppia vita" tridimensionale.
Il movimento è il percorso effettuato da queste masse metafisiche apparentemente immobili, comunque mute e solitarie. Il percorso lo si può chiaramente leggere comparando i differenti lavori: strutture analoghe ma non per questo omologhe riappariranno all'improvviso sulla scena come a definire la compllicità di un insieme che si articola e si compone attraverso l'incastro delle differenti parti.
Giacco recupera il significato più arcaico e primordiale del graphein, dell'atto minimale della scrittura che esprime nella sua complessità un significato.
Arte dell'organico, quella di Giacco. Come se l'artista riuscisse a svelare i lati reconditi della coscienza, a fare emergere frammenti di una pelle umbratile e luminosa al tempo stesso. Arte biomorfica, come se lo squardo dell'artista fosse quello dell'entomologo.
Una ricerca che è il percorso complesso ed accidentato dell'arte.
E come ogni ricercatore Giacco parte dal silenzio solitario di quel nulla inespresso che è la superfice bianca per arrivare a toccare il sogno misterioso dell'arte, un sogno che inizia come moto individuale per divenire metafora di un'esistenza universale.
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