28 MARZO 1941
di Marino Miccoli, pubblicata sul sito web "La voce del Marinaio"
Non un raggio di sole
non una croce
non un fiore
adornano il fondale sabbioso del mare
che è il tuo giaciglio, Marinaio Italiano.
Le alghe ondeggianti
per il tuo capo
fungono da guanciale
e mentre dormi il tuo lungo sonno
sei cullato dolcemente dalle correnti…
I Marinai addormentati giacciono
ora sparsi su di un letto di sabbia
ora ancora prigionieri tra le lamiere incrostate e contorte
delle paratie dei compartimenti stagni;
il loro acqueo sepolcro è fatto di lastre metalliche deformate
arroventate
squarciate
sventrate
insanguinate…
questi compartimenti in pochi attimi
sono divenuti casse di risonanza di urla disperate
raccapricciante orrendo scenario
frutto dell’umana assurda follia chiamata guerra!
Ecco cosa è rimasto di queste Regie Navi,
queste Unità da diecimila tonnellate di dislocamento
possenti
temibili
veloci…
questi ignari giganti d’acciaio
su cui all’improvviso nella notte buia
si sono abbattuti i colpi da 381mm
tirati a bruciapelo dalle corazzate britanniche
sono implosi
esplosi
incendiati
spezzati
capovolti
e colati a picco nel cuore della notte in pochi minuti…
I superbi Regi Incrociatori della I Divisione
sono ridotti ad ammassi informi di lamiere
sono adagiati per sempre sul fondo del Mediterraneo…
sugli scafi possiamo ancora leggere i loro NOMI:
“FIUME”, “POLA”, “ZARA”
e gli stemmi di ciascuna di queste stupende città marinare,
dell’Istria Italiana; costituiscono ancora oggi
lo splendido acrostòlio
che adorna la sommità delle prore.
Marinai d’Italia,
i delfini amici dell’uomo sin dalla notte dei tempi
vi sono vicini
e vi recano il loro saluto!
Oh mite delfino,
ti prego, accogli questa mia accorata supplica:
porta ad ogni Marinaio caduto
lo sguardo fiero e ammirato del padre,
la carezza affettuosa della mai rassegnata madre,
dell’amata sposa il dolce bacio
e del pargolo il lieto abbraccio filiale.
Porta un fiore che rechi il soave profumo
dall’amata Terra Italiana
a tutti i Marinai caduti e dispersi
nella fredda notte del 28 marzo 1941!
Di ciascun componente di questi valorosi Equipaggi
non conosco il nome
ma ti chiedo, fidato delfino,
riferisci loro questo breve messaggio:
più di settant’anni sono trascorsi
da quella tragica notte in cui della morte
diveniste facile e repentina preda
ma custodiamo ancora
gelosamente
imperituro ricordo
del vostro sacrificio
nei nostri cuori.
Onore a voi, prodi Marinai d’Italia!
Zonderwater, 18 gennaio 1945: Dichiarazione di Fedeltà
di Marino Miccoli
Zonderwater è una vasta area situata a circa 40 km Nord Est dalla città di Pretoria ed è vicina alle note miniere di diamanti del Cullinan, nel Sud-Africa. L’altopiano (1500 mt. s.l.m.) in cui si trova è incluso nella Provincia del Transvaal. Nel 1941 è stato realizzato un grande campo di prigionia, suddiviso in blocchi, dove sono stati raccolti moltissimi prigionieri di guerra italiani e tedeschi. Dalle navi mercantili dove erano stati stivati, i prigionieri erano sbarcati nel porto di Durban; da qui in treno in due giorni di viaggio arrivavano a Zonderwater. I primi prigionieri italiani arrivarono alla fine dell’inverno del 1941 e tra questi vi era mio padre Antonio Miccoli (maresciallo capo-cannoniere stereotelemetrista della Regia Marina, uno dei pochi sopravvissuti all’affondamento del Regio Incrociatore FIUME, avvenuto a largo di Capo Matapan – Grecia- nella tragica notte del 28 marzo 1941). Egli era stato prima internato in un campo di prigionia ad Alessandria d’Egitto, laddove dopo aver subito un primo interrogatorio gli fu assegnato il numero di matricola: n. 123415. Zonderwater, che in lingua Afrikaans significa senza acqua, (anche se in realtà l’acqua era presente e abbondante nel sottosuolo) è una località costituita da una pianura arida con alcune ondulazioni. La flora è rada e bassa. L'orizzonte è costituito da modeste colline. La vasta zona riservata ai prigionieri (dall’aprile del 1941 al marzo del 1947 furono accolti nel campo più di 100.000 prigionieri italiani) era situata da un lato sulle colline e dall’altro si apriva verso il piano. Il clima è quello continentale del nord est del Sud Africa. Possiamo affermare che le stagioni sono essenzialmente due: estate e inverno. L'estate va da novembre ad aprile e l'inverno da maggio a ottobre. Il vento regna, anzi impera nella zona di Zonderwater: infatti le tempeste di sabbia, le trombe d'aria fanno volare tetti, coperture, lamiere, tende, staccionate e recinzioni; i venti hanno una forza e un’intensità tale da “togliere il fiato”. Dopo il vento arrivano quasi sempre i temporali e con essi i fulmini. Sì, quei tremendi fulmini di cui mio padre (che fu detenuto a Zonderwater dall’aprile del 1941 al maggio 1946) aveva un terrificante ricordo.
Infatti egli narrava che: “Le tende erano fatte a forma di cono. In ogni tenda eravamo in otto prigionieri; si dormiva distesi sul terreno con i piedi rivolti al palo di sostegno e la testa verso l’esterno. A Zonderwater i fulmini erano un concreto pericolo per le persone… al tempo della tendopoli, dal 1941 al 1943 (a partire dalla fine di questo ultimo anno si iniziò la costruzione delle prime baracche), le punte dei pali di ferro che reggevano le tende si trasformavano in vere e proprie calamite per i fulmini; così i prigionieri che si trovavano a contatto o vicino ai pali metallici morivano fulminati”. Egli riferiva che a decine i prigionieri italiani rimanevano vittime dei numerosi fulmini che si scatenavano durante i temporali, forse a causa di una composizione particolarmente ferrosa del suolo, e ogni temporale era vissuto da loro con terrore. A testimonianza di quanto sopra, a Zonderwater per commemorare i non pochi prigionieri folgorati è stato poi edificato un monumento che è possibile visitare ancora oggi, così come il cimitero dei prigionieri italiani.
Ma torniamo alla narrazione di mio padre sulla sua vita in prigionia; i prigionieri si dividevano fondamentalmente in tre “fazioni” :
i cosiddetti "irriducibili" , ovvero i prigionieri fascisti convinti e memori delle cruente battaglie sostenute per difendere le colonie, i quali minacciavano e mettevano in atto azioni punitive contro quei traditori che collaboravano con gli inglesi.
I "non cooperatori" che non erano fascisti, ma militari delle varie armi, che non intendevano lavorare per il nemico. Questi credevano che collaborare significava dare segno di anti italianità e di slealtà al Re e alla Patria.
I “cooperatori” che aspiravano alla libertà, anche se parziale; essi volevano migliorare la loro difficile condizione di vita e pertanto acconsentivano ad andare a lavorare per molti datori di lavoro sudafricani, soprattutto nelle varie fattorie del Transvaal. Qui si fecero notare ed apprezzare per la loro perizia nell’edilizia e nella costruzione di strade. Ma al loro rientro nel campo di prigionia, dopo un periodo di lavoro all'esterno, i "cooperatori" venivano accolti malamente, subivano ceffoni ed erano sottoposti alla cosiddetta «coperta», una punizione corporale solitamente inflitta loro di sorpresa da un gruppo di prigionieri.
Mio padre non mi ha mai detto a quale di questi tre gruppi di prigionieri appartenesse ma, avendolo conosciuto, mi sento di affermare che era un prigioniero tra i tanti “non cooperatori”. Ciò anche in considerazione del fatto che a causa delle sue conoscenze tecniche riguardanti il telemetro italiano e del suo reiterato diniego a rivelarne l’esatto funzionamento, fu più volte maltrattato dagli inglesi.
Collaborò con un prigioniero di cognome Santoro ed altri per la realizzazione di un cimitero dove poter dare una degna sepoltura agli internati che morivano nei vari blocchi del campo di Zonderwater.
“Un cucchiaio di lenticchie in poca brodaglia” questo egli riferiva essere il suo pasto nel campo di prigionia… sì, i prigionieri italiani con e come lui provavano la fame, una maledetta fame tanto che mia madre afferma che nei primi tempi della sua liberazione, quando nell’estate del 1946 fu rimpatriato e reintegrato nella neonata Marina Militare, mio padre pesava 46 kg. e non riusciva a domare l’istinto di afferrare nel pugno le mosche che gli svolazzavano vicino per portarsele alla bocca.
Passò un po’ di tempo prima che egli riuscisse a trattenersi da simile abitudine evidentemente acquisita durante la prigionia per sopravvivere; non vi nascondo che oggi anch’io, nel rinnovare il ricordo di quei tristi avvenimenti, provo sincera commozione. Delle vicende di guerra e delle vicissitudini della prigionia egli scrisse un diario, che purtroppo gli fu requisito a Napoli, il giorno del rimpatrio, nel maggio 1946. Ciò era inspiegabile per mio padre perché gl’inglesi erano a conoscenza del fatto che egli ne possedeva uno e consapevolmente gli permisero di tenerlo fino al termine della prigionia.
Il maresciallo Antonio Miccoli fu pluridecorato e nominato Cavaliere al Merito nel 1959 dall’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi; si congedò il 28 marzo 1962 con il grado di sottotenente del C.E.M.M.
A conclusione di questo mio modesto ricordo scritto riguardante i 5 anni e 2 mesi di prigionia di mio padre, allego l’immagine di un raro documento: si tratta della DICHIARAZIONE DI FEDELTA’ che gl’inglesi gli fecero sottoscrivere il 18 gennaio 1945, quasi un anno e mezzo prima della sua liberazione che avvenne con il rimpatrio a MARIDEPO Napoli il 20 maggio 1946. In essa si richiedeva l’impegno e la collaborazione con gli Alleati nel combattere contro il comune nemico: la Germania. Desidero inoltre qui riportare un significativo brano del discorso tenuto dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi quando si recò in visita di Stato in Sud-Africa e rese omaggio ai Caduti al Sacrario Militare di Zonderwater, il 15 marzo 2002: “ […] Non devono dimenticare, specie i più giovani, chi si è sacrificato per la Patria ovunque, in guerra e in pace; chi è caduto; chi ha vissuto in prigionia lunghi anni della più bella stagione della vita e che, tornato, ha ricostruito l'Italia in un'Europa concorde e unitaria […]”.
Sento il dovere di ricordare inoltre alcuni dei nomi di coloro (conterranei e commilitoni) che condivisero con mio padre la drammatica esperienza della prigionia e da questa rimasero profondamente segnati per tutta la vita: Giuseppe Salvatore Polimeno (mio zio), Donato Carlo, Antonio Corvaglia, Luigi Cutrino, Attilio Rini, tutti militari originari di Spongano (LE).
Mi inchino riverente dinanzi al sacrificio di tutti prigionieri di guerra morti durante la prigionia, tra stenti e indescrivibili patimenti, lontano dalla loro Patria e dalle amate famiglie; onoro la loro memoria e mi auguro che mai più, ripeto mai più l’Umanità debba patire simili sofferenze a causa di quell’assurda follia costituita dalla guerra.