Le geremiadi della ragione

di Concetta Russo

Quando l’intelletto, lo iato verso il sapere, diventa fiacco e non osa più, con coraggio e vigore, accogliere le sfide che si presentano alla nostra attività conoscitiva o al nostro semplice esperire e osservare, come Kant esortava a fare, allora iniziano le geremiadi della ragione.

Ho letto l’interessante articolo di Alfonso Coppola, e mi sono chiesta che cosa c’entra il neodarwinismo, con le sue varie ipotesi e declinazioni, con Dio? Perché si continuano a ignorare gli ampi e accesi dibattiti tra gli scienziati correndo il rischio di alimentare una visione della scienza come un blocco monolitico? Trascurando i metodi della scienza, le sue sfide, i suoi agonismi, i suoi sforzi nel combattere i pregiudizi e i suoi limiti non diventa facile poi contrapporla al sacro?

La dimensione religiosa non è da ignorare, è importante ed espressiva della lunga storia delle vicende umane, è attuale nel suo potere dirompente ma - al riconoscimento del suo valore - deve seguire con determinazione la consapevolezza che non può essere una possibile alternativa alla ragione o più umilmente alla ragionevolezza. Con la sua trascendenza consolatoria, la forza e il collante che lega il singolo fedele al suo Dio e al gruppo a cui quel Dio appartiene, la religione ha altri fondamenti. Heidegger sapeva bene quanto é aggregante la religione, un territorio molto più rovente della scienza che per sua natura non sempre riesce ad accendere gli animi con il fanatismo e l’intransigenza che una compartecipazione religiosa richiede; filosofo e pensatore oscuro, Heidegger, osservando e approfittando dello spazio che l’assenza di Dio lasciava all’agire degli uomini, sciaguratamente propose ai giovani tedeschi l’adesione cieca e totale al fuhrer, al capo supremo, al dio terreno, ad una religione immanente ma pur sempre religione. Ai vacillamenti della ragione è esiziale esaltare l’irrazionale, già ampiamente connaturato alla natura degli esseri umani che, è risaputo, non sono assolutamente perfettamente razionali.

Nell’articolo limitarsi al pensiero di Nagel e alle sue critiche riflessioni per arrivare ad affermare l’importanza di Dio, mi sembra eccessivamente sbrigativo, sarebbe stato utile ricordare, tra gli altri, due testimoni esemplari di due diverse concezioni della storia evolutiva: Richard Dawkins, l’etologo inglese conosciuto per la sua teoria dei “geni egoisti”, e Stephen J. Gould, il paleontologo teorico degli “equilibri punteggiati” e fautore dell’importanza dei fattori ecologici nel dare una direzione alla selezione naturale. Dawkins e Gould rappresentano bene due fazioni in campo che fanno il loro gioco con gli strumenti che la scienza mette a disposizione. La stabilizzazione di una scoperta, o di un nuovo “paradigma”, passa attraverso continue fasi di verifica, ripensamenti, acquisizione di nuovi elementi che possono riorientare la ricerca, revisionare il tutto, ricominciare da capo, acclamare una nuova scoperta o interpretazione dei fenomeni. Tutto ciò non è caratteristico delle religioni, a meno che non intendiamo la teologia, i sermoni, le prediche e le scritture sacre come una scienza.

Certo sapere che molti nostri comportamenti sono specificati anche dal nostro personale patrimonio genetico, scoprire che, sebbene con ampi margini di flessibilità e di “agibilità”, i geni contribuiscono a dare una direzione alla nostra esistenza, è per noi umani un fatto insignificante per il valore che diamo alla nostra vita, alimenta lo scoramento, lo smarrimento; queste ipotesi scarne e poco poetiche non aiutano a dare un senso all’esistenza, a quello che noi esseri umani continuiamo a cercare con caparbietà, ma possono nutrire nuovi pensieri e aprire nuovi orizzonti, non necessariamente distopici, illuministicamente qualsiasi forma e contenuto della conoscenza non deve essere ostracizzato ma vagliato per orientare al meglio le nostre azioni, fa parte dell’antico motto del “conosci te stesso”.

In questa continua giostra del pensiero umano, proporre e riproporre un “dio”, spesso debole e incongruo perché espressione delle nostre irrequietezze, fa venire in mente Montesquieu quando scrive che “se i triangoli facessero un Dio, gli attribuirebbero tre lati”.

Le irrequietezze se colte e incanalate in un percorso, anche di personale crescita, possono dare un significato alla nostra unica esistenza che è mossa dalla ricerca di continue risposte ma anche dall’entusiasmante scoperta di nuove e incessanti domande da condividere con altri con calore, come attorno agli antichi focolari.

(Articolo pubblicato sul periodico Zonagrigia.it il 08/03/2019)

(Leggi qui la mia replica, pubblicata sempre dallo stesso periodico).