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Il falsario alle giornate letterarie di Soletta (servizio del telegiornale svizzero)

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Una recensione di Andrea Frova, apparsa su Galileo - Giornale di Scienza

http://www.galileonet.it/articles/4dad4ccd72b7ab5922000001

Le truffe di una qualche importanza sono state sempre, nella scienza, relativamente poche (ne ho parlato recensendo il libro di David Goodstein:On Fact and Fraud). Ma questa truffa, perpetrata a cavallo del 2000 dal giovane e brillante tedesco Jan Hendrik Schön ai danni del più grande e più celebrato laboratorio di Fisica della Materia del mondo, i Bell Labs, è stata un episodio di portata storica. Si tratta dunque di un soggetto che si presta a pennello per ricavarci un romanzo scientifico che, pur facendo leva sulla fantasia nei suoi risvolti particolari, è lungi dall’avere a che fare con la fantascienza.

Gianfranco D’Anna, fisico, non era presente nei laboratori al tempo del misfatto, ma ha conosciuto molti degli attori, che fa comparire sotto falso nome, a cominciare dal protagonista, che da Schön trasforma in Thebell (curioso, no?). La domanda che D’Anna si è posto è stata: quale ineluttabile e travolgente meccanismo può aver condotto un ricercatore professionista a inventarsi di sana pianta una miriade di poderose scoperte, a pubblicare decine di articoli di prestigio, a farli firmare a diversi coautori? E come è riuscito a filtrare attraverso le maglie dei controlli interni – per solito molto rigidi - e di quelli esterni delle riviste? Per ottenere infine, nel 2001, il prestigioso Premio Braunschweig per la Fisica, con voci di Nobel in circolazione? Un crescendo rossiniano che tuttavia prima o poi non poteva che bloccarsi. Tutto progettato? Ovviamente no, sarebbe stata follia autodistruttiva.

E allora l’autore va in cerca delle circostanze che possono aver spinto, prima a piccoli passi, poi a balzi sempre più lunghi, il giovane Thebell verso l’abisso, suggerendo una spirale di effetti perversi ma assolutamente plausibili, se non centrati in pieno. Non era cosa facile escogitare un tale garbuglio di fatti che rendesse possibile, nel santuario della scienza, quelgigantesco imbroglio. Anche perché nei fatti si trovarono coinvolti numerosi colleghi, tra cui i migliori teorici d’attorno. “Se i fenomeni naturali si possono capire costruendo modelli… la complessità e l'unicità delle ragioni che spingono ogni esser umano a fare certe cose non sono intelligibili che riproducendole nei minimi dettagli. E il romanzo è la forma migliore in questo esercizio”. Sono parole dell’autore. Naturalmente ci sono circostanze in cui occorre un notevole mestiere per mantenere il controllo della partita, ma direi che D’Anna ha fatto un buon lavoro.

L’avvio del libro non cattura subito, il lettore si sente ancora estraneo a un mondo che va scoprendo poco alla volta; ma via via che si aggiungono tasselli, la lettura diviene più spedita, appassionante, e l’ultima parte si legge d’un fiato. Non rivelerò i particolari per lasciare che il lettore li scopra da sé. Il libro non dice quale sia stato il castigo inflitto al colpevole, né solleva la questione di quanti tra i suoi colleghi in un modo o nell’altro siano stati conniventi. La commissione d’inchiesta allestita dai Bell Labs li ha “assolti” tutti, ma io dubito che il capo diretto del giovane falsario, che con lui firmò quasi tutti i lavori e condivise gli onori, possa essere stato così cieco da non nutrire mai sospetti. Quest’ottusità stessa sarebbe dovuta bastare per farlo rimuovere da ogni incarico di responsabilità (il che non è invece accaduto). Immagino che riconoscere colpevole un capo di laboratorio avrebbe significato gettare fango, assai più fango, sull’intero sistema.

Per chi questo “romanzo”? Di facile comprensione per i fisici, offre a costoro – ove non fossero già degli esperti in merito - un modo semplice e intrigante di conoscere i dettagli del più grande scandalo della scienza contemporanea. A un ricercatore alle prime armi servirà da monito indelebile che tutto nella scienza – parole, grafici, scritti – deve corrispondere in ogni istante all’esatta verità conosciuta, perché non si inneschino meccanismi imprevisti e irresistibili, e soprattutto perché non venga sprecato lavoro, tempo e denaro altrui. Al profano, almeno quello che non si sarà arreso di fronte alle molteplici spiegazioni di natura tecnica (in verità non elementari), darà un’idea di come funziona un ambiente di ricerca di alto livello, dove con le amicizie si incrociano le invidie, con le collaborazioni le rivalità, e dove gli uomini, quanto a fantasia, passione e motivazioni, operano in maniera non dissimile da quella degli artisti.

P.S. Dimenticavo la frase notabile, a Parigi: “… e qualche Nobel francese, che come la cucina nazionale sembrano più raffinati e squisiti che altrove per ragioni ignote…”.

Andrea Frova

Giornate Letterarie di Soletta.

Una recensione apparsa su "Almanacco della scienza, quindicinale a cura del Consiglio Nazionale delle Ricerche"

http://www.almanacco.rm.cnr.it/reader/cw_usr_view_recensione.html?id_articolo=1057&giornale=1040

Se la scienza diventa una truffa

È liberamente ispirato al caso di Jan Hendrik Schön, ricercatore presso i Bell-Labs statunitensi, il romanzo del fisico svizzero Gianfranco D'Anna ‘Il falsario'. Schön, brillante fisico tedesco, sorprese il mondo scientifico con una ricca produzione di articoli sul doping elettronico e i Fet (transistor a effetto di campo), pubblicati anche su prestigiose riviste quali ‘Science' e ‘Nature'. Accolto inizialmente come un genio delle nanotecnologie, cominciò dopo qualche tempo a insospettire i colleghi, che notarono nei suoi lavori gravi imprecisioni. La sua folgorante carriera si concluse con un'inchiesta che rivelò la mancanza di validi dati sperimentali e il ricorso a metodi irregolari per l'ottenimento dei risultati.

D'Anna ha lavorato a fianco di Schön e, pur cambiando nel suo libro i nomi dei protagonisti, rivela nel racconto la conoscenza diretta della vicenda e, più in generale, la grande familiarità con gli ambienti scientifici di cui con efficacia descrive l'atmosfera. La vita nei laboratori si disegna come un universo popolato da professionisti pieni di entusiasmo, ma non scevri da sentimenti di rivalità e invidie, né da umoralità che li portano a passare da una gioia quasi infantile per i risultati ottenuti all'afflizione per gli insuccessi e le occasioni perse. Non ne è immune neppure l'autobiografica voce narrante de ‘Il falsario', lo svizzero Ennio Rossi, stizzito per l'affidamento al giovane tedesco Albert Hendrick Thebell (trasposizione letteraria di Schön) degli esperimenti sul doping elettronico. Proprio quegli studi che porteranno Thebell a un rapido quanto effimero successo, precipitando dalla candidatura al Nobel fino alla denuncia per il suo bluff scientifico.

Caratterizzata da un ritmo serrato e da uno stile scorrevole, la narrazione cattura, malgrado la complessità della tematica che viene trattata senza risparmiare linguaggio e contenuti specialistici al lettore, che partecipa alla costruzione progressiva del falso scientifico, passo dopo passo, attraverso minuziose descrizioni. "Guarda ogni punto apparire allo schermo, tranquillamente, senza pensare a nulla. A ogni bip le palpebre battono più piano. Non sa che ore siano, sa solo che fuori fa buio e che è stanco. La poltroncina è comoda. Per precauzione ha imposto un campo di soli 170 Volt. Mantenere 350 Volt sarebbe stato prendere un rischio inutile, e si è detto che fosse meglio ridurre il voltaggio, anche se la transizione dovrà allora avvenire a una temperatura inferiore. Non fa nulla, l'importante è ottenere una serie di dati accettabili prima di lunedì".

Un'opera che mostra il lato ‘oscuro' della ricerca scientifica, l'aspetto meno nobile del lavoro del ricercatore. Un'attività a volte guidata dall'ambizione, favorita anche dalla superficialità e dall'arrivismo di certi superiori che quel lavoro dovrebbero controllare e che invece si preoccupano solo di collezionare riconoscimenti e successi.

Rita Bugliosi

Una recensione apparsa su http://www.lineaquotidiano.net/node/13483

Linea anno XIII numero 192

“Il falsario” di Gianfranco D’Anna può essere considerato il libro speculare de “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano. Laddove nel celeberrimo, pluripremiato e stravenduto romanzo, ora approdato al cinema, la fisica soggiace alla trama, alla sua struttura precisa e geometrica, facendovi sporadicamente ingresso tramite i tratti autobiografici del protagonista maschile, in questo titolo edito da Mursia la scienza delle particelle dilaga dalla prima all’ultima pagina, lasciando ben poco spazio alle storie private dei personaggi, alla loro vita fuori del laboratorio. Del resto D’Anna, diversamente da Giordano, ha voluto scrivere un romanzo scientifico, trasferendovi tutte le proprie competenze di fisico, a rischio di spaventare il lettore non esperto. A trattenerlo alla lettura, oltre alle capacità letterarie dell’autore, è però l’avvincente vicenda che il libro affronta: come recita il sottotitolo, «la più grande truffa scientifica che si conosca». Il falsario è infatti Jan Hendrik Schön, giovane e brillante ricercatore dei Bell-Labs statunitensi, astro nascente di inizio millennio delle nanotecnologie, del doping elettronico e dei FET (transistor ad effetto di campo) organici. L’autore fu per qualche tempo collega di questa promessa della fisica e testimone oculare della storia. Schön - ribattezzato nel libro Albert Hendrick Thebell - spacciò per risultati sperimentali delle semplici e talvolta grossolane previsioni teoriche. Ma l’aspetto più clamoroso della vicenda esplicita è che prima di venire scoperto, egli riuscì a pubblicare una serie da record di articoli sulle maggiori riviste internazionali, spacciandovi risultati clamorosi quanto inventati che - fossero stati veri - avrebbero rivoluzionato la tecnologia contemporanea. Schön Thebell ottenne riconoscimenti e fama dalla comunità scientifica e sfiorò insieme al suo mentore il premio Nobel. Ma come ha potuto ottenere tanto credito un falso smaccatamente ricalcato sulle previsioni teoriche degli autori della ricerca? Come non si sono rese conto delle improbabilità e degli errori contenuti nei dati riviste scientifiche come Science e Nature, che dovrebbero essere garantite da impenetrabili e severissimi peer review, cioè sistemi di controllo anonimi, eseguiti da altri studiosi dello stesso settore? Dal romanzo emerge una sorta di complicità immorale tra i colleghi e alcuni superiori del “falsario”, un coro unanime e conformistico di approvazione teso ad accumulare onori e riconoscimenti per tutta l’Istituzione in cui il pataccaro lavorava. A contestarlo sono inizialmente solo alcune voci sospette di invidia, tra cui quella di un giovanissimo assistente, che però si faranno sempre più autorevoli, fino a smascherare la truffa. Sono francamente questi correi che sconcertano, ancor più del disinvolto protagonista il quale, almeno all’inizio, “tarocca” i dati soprattutto per superficialità, per convinzione delle tesi che dovrebbe verificare e, subito dopo, per l’impossibilità di tornare sui propri passi senza macchiare irreversibilmente la propria carriera: «Ha prodotto delle misure inventate perché non poteva fare altrimenti», scrive D’Anna. La critica del romanzo al sistema di revisione scientifica è implacabile. Gli editori delle riviste e il mondo accademico che si trincerano dietro al fattore d’impatto e al numero di citazioni considerandoli criteri adamantini e inattaccabili, hanno di che riflettere sulla fallibilità di tale sistema, dal quale pure discende la “verità” scientifica. Non a caso, anche se nel libro i nomi dei protagonisti sono modificati, in appendice compare una lista di alcuni “falsi” realmente pubblicati da Science e Nature. […] Lorenzo Stella

Una recensione da "Stukhtra"

http://www.stukhtra.it/

Ma perché lo fai?

Il più grande imbroglio della storia della fisica sperimentale

[...] Il falsario, del fisico svizzero Gianfranco D’Anna, narra in forma romanzata, cambiando i nomi dei personaggi, dei luoghi e delle compagnie, la vicenda scientifica di Jan Hendrik Schön: la più colossale e scandalosa frode conosciuta nella storia della fisica sperimentale. Il romanzo avrebbe meritato un’attenzione editoriale maggiore con un editing più accurato (i salti di punto di vista, per esempio, sono sconcertanti), però è avvincente. Tuttavia, bisogna pur dirlo, è pane per i denti dei fisici: il tecnicismo quasi ovunque è pesante. Tanto pesante che anch’io spesso ho intuito più che capito (con la scusante che ero un teorico e che anche da teorico mi occupavo di tutt’altro rispetto a questa roba qua). Ma, almeno per i fisici, Il falsario merita senza dubbio la lettura. Infatti l’ambientazione è estremamente verosimile (ovvio: D’Anna conosce bene quel laboratorio, avendoci lavorato lui stesso). Inoltre la psicologia dei personaggi è assai ben tratteggiata e il rovello interiore di ciascuno è descritto in maniera realistica.

Il fisico non è un angelo scientifico disincarnato e votato in esclusiva alla conoscenza, ma un essere umano come tutti gli altri, mosso da desideri, ambizioni, calcoli molto concreti e finanche meschini. Questa sua umanità se la porta pure in laboratorio, dove si svolgono (quasi senza eccezioni) gli eventi narrati dal romanzo. Fra i tanti personaggi, i più affascinanti sono Albert Hendrik Thebell e Thomas Gaiger. Thebell è il protagonista e rappresenta Schön. E’ il falsario. Ed è, ovviamente, degno del nostro biasimo. Eppure non possiamo non sentirlo vicino, non provare la tentazione di immedesimarci in lui, specie nei due momenti precisi (non sottolineati dall’autore ma evidenti per il lettore-fisico) in cui Thebell perde la propria innocenza e inizia l’inesorabile discesa verso gli inferi, verso la dannazione dell’imbroglio. Da quel momento si solleva costante una domanda nella mente del lettore: “Perché insiste? Perché non si rende conto che quella gloria è effimera e presto o tardi verrà comunque scoperto?”. Ebbene, proprio da lì in poi la figura di Thebell passa in secondo piano ed emergono di più le figure dei comprimari, dei colleghi e dei superiori, ciascuno mosso da pulsioni proprie ma tutti accecati dall’idea del successo, individuale o del laboratorio: gli articoli sulle riviste più prestigiose, la stima dei colleghi più autorevoli, alla fine addirittura il possibile Nobel. Da ultimo compare Gaiger, innocente e idealista perché ragazzino, quindi capace di porsi domande semplici, addirittura ovvie ma misteriosamente inconcepibili per tutti gli altri. Proprio come nella fiaba è il ragazzino che grida “Il re è nudo!”. Ed è la rivelazione. Che per il lettore rivelazione non è, perché questo è un romanzo la cui fine è scontata fin dall’inizio. Eppure, bizzarramente, la suspense c’è per tutte le sue 223 pagine: il colpevole è chiaro, la conclusione ovvia, e tuttavia il lettore-fisico è catturato dal racconto e continua a chiedersi quando e come arriverà l’epifania finale. Quando infine arriva, il senso di liberazione è grande. Ma rimane inesausta la domanda: “Perché?”.

di Marco Cagnotti

Una recensione apparsa su http://www.scienzainrete.it/en/node/2898

In questi giorni gli Editori scientifici reclamizzano con insistenza le loro riviste sulla base dei rispettivi fattori d’impatto (IF) che, lo ricordiamo, sono indici numerici che misurano il numero medio di citazioni ricevute in un particolare anno da articoli pubblicati nei due anni precedenti. Senza sminuire l’importanza di questo metro di giudizio, chi ha lunga esperienza di ricerca sa che la qualità di un lavoro scientifico e, più in generale, il valore di un ricercatore, bisognerebbe stabilirli considerando anche altri parametri. Perciò, le classifiche commerciali e professionali basate sui fattori d’impatto, analoghe a quelle delle competizioni sportive, e la trasformazione degli indici in feticci che orientano le scelte dei giovani, destano perplessità e suscitano qualche preoccupazione. Il disagio che deriva da questa alterazione dei valori si acuisce quando le riviste a più alto fattore d’impatto sono vittime anch’esse di frodi scientifiche di grande rilevanza. E’ il caso trattato in questo avvincente romanzo di Gianfranco D’Anna, liberamente ispirato alla vicenda del giovane fisico tedesco Jan Hendrik Schön (Verden, Bassa Sassonia, 1970), laureato all’Università di Costanza, premio Otto-Klung-Weberbank per la fisica 2001, ricercatore presso i Bell-Labs (USA), ex astro nascente delle nanotecnologie, “mago” del doping elettronico e dei FET (transistor ad effetto di campo) organici. La sua prorompente produzione scientifica sorprendeva molti e qualcuno cominciò a segnalare, prima in privato, poi pubblicamente, gravi incongruità in alcuni suoi scritti, pubblicati anche su riviste scientifiche ad alto fattore d’impatto come Science e Nature. Nel maggio 2002 fu costituita una Commissione d’inchiesta da parte della Bell per svolgere accertamenti sulla sospetta cattiva condotta scientifica di Schön e collaboratori, sulla validità dei dati sperimentali e sui metodi impiegati per ottenerli. La Commissione era composta da cinque membri ed era presieduta da M. R. Beasley, professore di fisica applicata. Nel settembre successivo fu pubblicato un lungo e scrupoloso rapporto che puntava il dito sull’assenza di qualsiasi documentazione dell’attività sperimentale che Schön avrebbe dovuto mantenere, sulla “substitution of fitted or assumed mathematical functions where measured data would be expected” oltre che sulla “selection of data for illustration of trends”. Pur riconoscendo che Schön era un lavoratore accanito e produttivo, la Commissione concluse che “… Hendrik Schön committed scientific misconduct as defined by the falsification or fabrication of data…” e che ciò si era verificato in 16 casi sui 24 esaminati dalla Commissione. Pur ammettendo i suoi errori e presentando le sue scuse, Schön confermava di aver osservato sperimentalmente i fenomeni descritti e confidava che i risultati venissero confermati da altri. In ogni caso, dichiarò di aver agito in buona fede, senza l’intenzione di ingannare alcuno. Com’è noto, Schön fu licenziato dai Bell-Lab e parte dei suoi lavori ritrattati.

Gianfranco D’Anna (Zurigo, 1960) è un fisico che ha lavorato presso i Bell-Lab nello stesso periodo in cui operava Schön. Il suo romanzo è avvincente, scritto con ritmo incalzante, cosicché si legge d’un fiato e spiace veramente staccarsene prima della fine. Dopo aver seguito l’evolversi della vicenda sulle riviste scientifiche e dopo aver letto i documenti ufficiali, per loro natura depurati dai risvolti umani, dai sentimenti e dalla descrizione di luoghi e ambienti, è un piacere considerare i fatti nell’interpretazione di un testimone come D’Anna. I nomi dei protagonisti, naturalmente, sono tutti cambiati, ma facilmente riconoscibili. Ciò che colpisce nel romanzo è l’emergere di una sorta di complicità morale di alcuni superiori del “falsario”, più attenti ad accumulare onori e riconoscimenti per loro e per l’Istituzione che a verificare la correttezza del lavoro del “genio”. D’Anna ha curato bene gli aspetti scientifici, li ha resi accessibili e interessanti anche ai non specialisti. Non manca neppure una lista di alcuni “falsi” pubblicati da Science e Nature, insieme a una spiegazione semplice e chiara delle incongruità che hanno insospettito i critici di Schön. Forse, se un chimico avesse letto preventivamente il manoscritto del romanzo, avrebbe corretto niobio diselenide(composto che sembra mezzo italiano e mezzo inglese) con niobio diseleniuro. Ma è davvero un particolare insignificante che non impedisce di classificare questo romanzo scientifico fra i migliori letti negli ultimi dieci anni e di raccomandarlo vivamente a tutti. Marco Taddia Chimica, Università di Bologna

Una recensione apparsa su "Nuova Secondaria - n.4 2010 - Anno XXVIII"

Nel volume «Il falsario. Storia della più grande truffa scientifica che si conosca» (Mursia, Milano 2010, pp. 226, € 17,00) Gianfranco D'Anna trae spunto da una vicenda realmente accaduta tra il 2000 e il 2002 e la trasforma in un romanzo. Jan Hendrik Schön, (nel romanzo, Albert H.Thebell) brillante ricercatore presso i Bell-Labs prestigiosi laboratori statunitensi privati pubblicò su importanti riviste "Science" e "Nature" alcune innovative scoperte che gli diedero immediata risonanza. Ma la sua ascesa venne bruscamente fermata da una commissione indipendente che contestò tutti i dati delle sue ricerche che si rivelarono falsi. Dialoghi, nomi e personaggi sono nel romanzo frutto di fantasia, ma i dettagli scientifici e i risvolti umani della vicenda narrata nel romanzo sono frutto dell'esperienza diretta dell'autore, che ha lavorato per alcuni anni nei laboratori. L'attività di ricerca nei laboratori scientifici viene descritta con mano lieve ed esperta: l'autore sa ben caratterizzare i personaggi, ne coglie sfumature psicologiche negli atteggiamenti, nei silenzi o in alcune caratteristiche fisiche. Racconta come la ricerca debba fare i conti anche con ambizioni personali, pregiudizi, responsabilità.