A) 50° di Ordinazione Sacerdotale: Trescore Balneario 1964 – 2014

Per la stragrande maggioranza degli abitanti di Trescore, io sono uno sconosciuto.

Tuttavia mi accingo a scrivere alcune note che mi legano saldamente al mio paese di origine e mi permettono di

non essere considerato uno straniero, ma uno di casa. Nella ricorrenza gioiosa del 50° della mia Ordinazione Sacerdotale, debbo subito sottolineare che questi 50 anni, anzi 75, sono passati come un lampo. Mi rivedo bambino spensierato, mentre giocavo nel cortile di casa mia, o correvo con gli amici per i prati, i vigneti, e i boschi della Minella, alla ricerca di “lucherini” e di “cince” con Bepi e Gianni Zambelli e con il sig. “Tripoli”; scorrazzavo sulla statale con un rudimentale carrettino dalle ruote a cuscinetti a sfera; in bicicletta, andavo a San Paolo d’Argon, dai “Gobì”, o ai “Tri – Ploch”, o addirittura fino a Seriate, per portare a casa una pesante canna di ghiaccio per tenere in fresco il burro (allora non c’erano né frigor, né freezer); da bravo “cagerì”, portavo il latte alla colonia della Dalmine, all’Ospedale, alle Terme di sopra e di sotto: usavo un triciclo che mio papà aveva acquistato dal sig. “Pasqualì” Gualini: alcune volte ero accompagnato anche dall’allora bambino Angelo Bertuletti (oggi monsignore): una volta volle guidare lui, e fece ribaltare il mezzo, sicché entrambi facemmo un pauroso capitombolo, spargendo bidoni e latte un po’ ovunque. Al mattino mi alzavo molto presto per correre in chiesa a servire la Messa prima; mio papà mi rincorreva per verificare se ero ben pettinato e con le scarpe a posto; arrivavo in sagrestia trafelato e il buon sagrestano, il “Baldo”, esclamava: “L’è riàt ol vènt!”; all’altare facevo il chierichetto: solitamente servivo la Messa a don Mario Mosconi, il quale aveva la gamba destra rigida, e, mentre genufletteva in adorazione dell’Ostia appena consacrata, mi dava un calcione che faceva terminare il processo del risveglio...: alcune volte, infatti, ero ancora un po’ addormentato, specialmente poi alla Messa dei cacciatori che era molto più presto. Dopo che egli fu nominato parroco a Vigano S. Martino, la Messa prima la celebrava don Felice Colleoni: spesso era lui ad essere molto assonnato perchè faceva le ore piccole con i giovani dell’Oratorio. Tra le altre belle cose che ricordo di questo amatissimo curato c’è anche il fatto che egli, insieme con don Severo Bortolotti (ora, nella casa canonica di Passaggio Ca’ Longa, 3, a Bergamo, in Duomo, occupo l’appartemento che fu suo per diversi anni, sino alla morte), mi aveva chiesto di fare il chierichetto e mi aveva istruito in merito. Ci mettevo tanta passione nel servire all’altare, e, in casa, mi ero allestito un altarino [che mi avevano donato il sig. Enrico Fratus e la signora Lucia Ongaro, vedova del caro Giuseppe Fratus] e vi celebravo la Messa; le Suore di Cenate S. Martino, con il benevolo consenso di mons. Giacomo Testa (non ancora Arcivescovo), mi avevano confezionato una pianeta bianca: ero attratto a queste innocenti cose anche dall’esempio del mio signor prevosto don Giovanni Pellegrinelli che amava il decoro della casa di Dio: aveva costruito ex novo la chiesa parrocchiale di S. Marco in Torre de’ Busi: quando mi reco in quella comunità per le Cresime o per altre circostanze, la gente me lo ricorda ancora con tanto affetto; era inappuntabile nel curare e svolgere le cerimonie, ed esigeva, specialmente quando ero seminarista, che fossi presente anche agli “Uffici” dei defunti; il solito “Baldo” mi chiamava in coro, dietro l’altare, e, accompagnati all’organo dal Maestro Cirillo Pasinetti, insieme cantavamo il “Dies irae, dies illa...” masticando il latino, e lui me ne faceva la traduzione a suo modo, spiegandomi il significato in termini non proprio canonici, e, soprattutto, mi insegnava ad avere molta cura dei paramenti sacri...; ripensando a questi e a tanti altri particolari mi viene da chiedermi: “Forse c’erano già in me i presupposti per incamminarmi sulla strada del sacerdozio?”.

Però, debbo riconoscere che fu il parroco di Valleve, don Luigi Bellini, a far nascere in me il primissimo desiderio di diventare sacerdote: in tempo di guerra, la mia famiglia fu costretta a lasciare Trescore e a rifugiarsi nel Comune di Branzi; però la parrocchia era a Valleve, e il nonno mi portava ogni domenica in quella chiesa, che è la più bella di tutta la Valle Brembana; là venni preparato, a sei anni, alla Cresima, e, tra un incontro e l’altro, il parroco mi rivolse questa semplice domanda: “Non ti piacerebbe fare il prete, da grande?”; gli risposi: “Sì”, e lui mi raccomandò di pregare la Mamma di Gesù; lo feci aiutato dalla mia nonna paterna a cui avevo confidato tale “segreto”: ella mi regalò pure una statuetta della Madonna davanti alla quale pregavo ogni sera.

Da allora cominciai a riflettere seriamente su quella prospettiva e a pregare..., finché, qui a Trescore, presi la mia decisione irremovibile di entrare in Seminario: a Clusone, tra gli altri, mi accompagnò, o venne a trovarmi, anche il dott. Bernardino Bruschi, che ricordo con riconoscenza insieme con il dott. Agostino Palazzolo, che, in lambretta, andò in Svizzera per procurare la medicina con la quale mi fece guarire; sono altresì grato alla professoressa Clotilde Ricci, a suo papà Erasmo, alle mie zie Palma e Letizia, e ai miei maestri delle elementari Rina Possenti, Eliseo Tassinario, e Filippo Gardi.

Quando comunicai a mio papà la mia scelta, ricordo che si mise in ginocchio davanti a me, con me ringraziò il Signore, e mi benedisse: come potrò mai dimenticare, insieme a moltissimi altri, un gesto tanto inaspettato e commovente?

Da allora una folla immensa di buone persone mi incoraggiò in questa scelta e facilitò il mio cammino verso l’altare.

Innumerevoli sono i sacerdoti che mi furono di esempio, come don Carlo Ruggeri, don Giuseppe Bonomi, don Pietro Pandolfi e don Bepino Stival; altri, specialmente i superiori e gli insegnanti di Seminario, li ho esaltati nella biografia di mons. Luigi Cortesi, figura luminosissima del nostro Clero (Un Sacerdote al servizio della Verità, Editrice Corponove 2013); tutti quanti li vedo ogni mattina nella celebrazione della Messa insieme con i defunti delle comunità parrocchiali della mia vita sacerdotale.

Mio papà Riccardo era molto religioso: mi è sempre rimasto impresso nella mente il pregare che fece, in ginocchio davanti alle foto pubblicate su “La Domenica del Popolo” (recapitata dalla zelante e puntuale “Agnèla”) dei cardinali Stepinac, Mindszenty e Wyszynski, quando costoro furono incarcerati dai comunisti; così nel 1953, allorché, ritornato dalla Messa, gli riferii (me lo aveva detto il signor prevosto) che il Vescovo Adriano Bernareggi stava morendo, congiunse le mani e si commosse fino alle lacrime; mio papà non mancava mai all’appuntamento della Messa festiva e all’ascolto della “dottrina” pomeridiana; era generoso nell’aiutare i contadini che lo amavano, e pure le Suore di Cenate, e nel compiere opere di bene: oltre a numerose offerte date al signor prevosto, da solo, per sua libera iniziativa, regalò una delle 10 campane della chiesa di Trescore, e, sulla lapide dedicata ai benefattori, volle che si incidesse non il suo, ma il mio nome; ho controllato di recente e vi si legge ancora: “U. Midali”; mi piace pensare che, quando suonano le campane della chiesa del mio paese per chiamare i fedeli alle sacre convocazioni, una “voce” è la mia, e continuerà a risonare anche quando io sarò entrato nella Pasqua di Gesù.

Da seminarista tiravo diritto per la mia strada: amavo lo studio e la preghiera e ogni giorno rinnovavo al Signore l’offerta della mia giovinezza; insieme agli altri seminaristi di Trescore, non solo partecipavo alla Messa quotidiana, ma altresì ero assiduo alla pratica della meditazione e della lettura spirituale; ricordo che don Alessandro e don Tommaso Barcella, più avanti di me, ci guidavano e ci davano buon esempio.

Purtroppo, quando avevo appena 15 anni, 60 anni fa, il mio amatissimo papà morì, a soli 45 anni, per un’inaspettata malattia: fu un dolore terribile, ma io mi convinsi ancor più della mia vocazione; a mia mamma che me ne supplicava, dissi che avrei preferito essere messo nella bara con mio papà piuttosto che abbandonare il Seminario; certo mi dispiaceva lasciarla sola a continuare la sua impegnativa attività, ma fui irremovibile.

Così mia mamma Maria divenne il capo famiglia e, per dieci anni, portò avanti l’attività della latteria; poi, nel 1964, venni ordinato sacerdote, e da quel momento, fu l’inseparabile compagna del mio cammino: lasciò la sua casa e la sua faticosa attività per seguirmi, e diventò la “serva del Signore” (Cfr. Luca 1, 38); si stabilì con me, ovunque fossi mandato dall’ubbidienza al Vescovo, e non mi lasciò più fino alla notte del suo ultimo respiro.

Papà Riccardo, dal Paradiso, e mamma Maria in casa sono sempre stati i miei angeli custodi e hanno preso parte a tutte le mie gioie, agli inevitabili disagi e dispiaceri, all’emozione indescrivibile della mia Ordinazione Sacerdotale, al 25 anniversario di essa, ed ora... alle nozze d’oro con la Chiesa di Gesù. Ricordo ancora con emozione e gratitudine tutti coloro che prepararono una festa splendida per il giorno della mia Prima Messa in Trescore, anche se molti non ci sono più: ricordo in particolare il signor Angelo Ghilardi, e poi il mio compagno Franco Terzi, la signorina Anna Piatti, i coniugi Rosa e Camillo Bertuletti, i genitori di mons. Alberto Facchinetti e del dott. Mario Sigismondi, i coniugi Ferrari, il grande amico di mio papà il sig. Fermo Zambetti, il sig. Noris, quello del cinema, e il sig. Brignoli che, incontrandomi, amabilmente mi apostrofava: “Cager = buter!”, nonché i 3 Antonio: Nicoli, Ghilardi, Tebaldi; come potete aver capito, ho sempre presenti i volti lieti di tante, tantissime buone persone che non riesco ad elencare: che il Signore le benedica e le ricompensi! Nella ricorrenza del 50° della mia ordinazione sacerdotale, esprimo al Signore tutta la mia riconoscenza anche per il privilegio che, sul tramonto della mia vita, mi ha elargito, attraverso il Vescovo Roberto, di essere membro effettivo del Capitolo della nostra Cattedrale: ogni mattina, in Duomo, insieme con i miei confratelli Canonici, sotto lo sguardo benedicente di S. Alessandro, nostro Patrono, e di S. Narno, nostro primo Vescovo, e sopra le tombe dei Vescovi della mia vita, celebro le lodi del Signore e il mistero eucaristico, che sono all’inizio e al centro della giornata. Questi cinquanta anni, come ho già detto, sono passati con la velocità del fulmine e sento il dovere di dire che sono assai dispiaciuto di non aver amato e servito Gesù come sempre ho ardentemente desiderato; però so per esperienza che egli è buono, mi conosce a fondo, mi capisce, e colma le mie lacune: dove non sono arrivato io, Gesù mi ha addirittura preceduto ed ha sempre colmato i vuoti lasciati da me; con semplicità, aggiungo anche che, pur non avendo fatto mai abbastanza per il Signore, nel mio sacerdozio, ho agito però costantemente con molto entusiasmo, senza badare a sacrifici e con tutto l’amore di cui sono capace.

In fondo al cuore c’è il rammarico di non essere riuscito ad essere più buono e a fare di più e di meglio per Gesù al quale ho consacrato tutta la mia vita: anche oggi voglio ripetergli che lo amo con tutto il cuore, che ho avuto sempre grande cura dei miei numerosi parrocchiani: li ho aiutati ad avere fede in lui e con loro ho celebrato le sue lodi; ma c’è anche tanta riconoscenza alla Madonna perché, per grazia di Dio, senza cantarle “Recordare, pia Mater”, non ha mai perso la “memoria”, cioé non solo si è sempre ricordata di me, anzi e anche e meglio, mi ha sempre tenuto presente nel suo cuore.

Sincera sgorga da tutto il mio essere la preghiera: “Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla giovinezza e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi. E ora, nella vecchiaia e nella canizie, quando declinano le mie forze, non abbandonarmi, finché io annunzi le tue meraviglie” (Salmo 70, 17. 9. 18)...: “Proteggi, Signore, il ceppo che la tua destra ha piantato, e guarda il germoglio che ti sei coltivato” (Cfr. Salmo 79, 16).

Mi auguro che tanti amici, insieme con il signor prevosto don Ettore, si uniscano alla mia umile implorazione in questi giorni del “grato ricordo”: grazie a tutti: a Gesù e a voi carissimi fratelli di Trescore!

Mons. Umberto Midali, Presidente ed Arcidiacono del Capitolo Cattedrale di Bergamo, accoglie il Vescovo mons. Francesco Beschi per il Pontificale di S. Alessandro: 26 agosto 2015

B) 50° di Sacerdozio (Sorisole, sabato 28 giugno 2014, ore 18.30)

Carissimi fratelli, sono veramente lieto di portare anche il mio modesto contributo ai solenni festeggiamenti in onore di S. Pietro, qui con il nostro amato Prevosto don Stefano e con tutti voi, cari comparrocchiani di Sorisole. Il nostro Patrono è il primo per importanza nell’elenco degli Apostoli: ha conosciuto personalmente Gesù; da lui è stato chiamato a seguirlo; dopo quello splendido incontro, ha trascorso tutta la sua vita con lui e per lui.Ha abbandonato la sua attività di pescatore di pesci per essere pescatore di uomini (Cfr. Marco 1, 17); ha lasciato non solo la famiglia, ma anche gli strumenti del suo mestiere, la barca, le reti, e quel poco che possedeva ed ha seguito il Signore: non si è più staccato dalla persona di Gesù, che lo aveva affascinato, incantato con il suo modo di vivere, con la sua predicazione, con il suo messaggio di amore per tutte le genti.Pietro disse a Gesù: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Giovanni 6, 68); questo è stato il convincimento che l’ha portato, con trepidante e anche vacillante amore, fino al cortile del processo e della condanna a morte di Gesù, dove il primo Papa, per ben tre volte, per paura, negò di essere amico di Gesù, e poi pianse amaramente (Cfr. Matteo 26, 75; Luca 22, 62).Questo triste episodio ci deve far riflettere: Pietro “Una volta rinnego` e sempre pianse...; noi sempre rinneghiamo, però non piangiamo mai” (Fromentiere (di) Giovan Luigi, Vescovo d’Ayre, in Panegirici, sermoni, discorsi, ed orazioni, Venezia 1740, Tomo 1, p. 206, Panegirico XX, Di S. Pietro Apostolo, XX).E allora facciamo nostra la preghiera di S. Ambrogio: “Guardaci, Signore Gesu`, affinche´ possiamo piangere il nostro peccato”, e ciascuno di noi segua l’esortazione del Vescovo di Milano: “Anche tu, se vuoi meritare il perdono, sciogli nelle lacrime la tua colpa; in quello stesso momento, in quello stesso tempo Cristo guarda te. Se per caso cadi in qualche errore, dal momento che e` presente come testimone delle tue azioni segrete, egli ti guarda affinche´ tu ti ricordi di lui e confessi l’errore. Imita Pietro quando, in un altro episodio, per tre volte disse: ‘Signore, tu sai che ti voglio bene’. Infatti, poiche´ per tre volte aveva negato, per tre volte confessò, ma nego` nella notte, confessò di giorno” (Cfr. S. Ambrogio, Expositio in Lucam, X, 88 – 90, in riferimento a Luca 22, 61. 62; citato da S. Agostino in De Gratia Christi et de Peccato Originali contra Pelagium, ad Albinam, Pinianum, et Melaniam libri duo, 1, 45. 49). * “Una volta rinnego` e sempre pianse...” (Fromentiere (di) Giovan Luigi, Vescovo d’Ayre, in Panegirici, sermoni, discorsi, ed orazioni, Venezia 1740, Tomo 1, p. 206, Panegirico XX, Di S. Pietro Apostolo, XX); “nego` nella notte, confessò di giorno” (Cfr. S. Ambrogio, Expositio in Lucam, X, 88 – 90, in riferimento a Luca 22, 61. 62; citato da S. Agostino in De Gratia Christi et de Peccato Originali contra Pelagium, ad Albinam, Pinianum, et Melaniam libri duo, 1, 45. 49), cioè rese la sua bella testimonianza al Signore in pieno giorno, alla luce del sole, davanti a tutti, scegliendo di morire lui stesso crocifisso, a testa in giù, per profonda umiltà e per riparare il suo triplice rinnegamento.Gesù, che ben conosceva il cuore del suo fedele discepolo, dopo avergli chiesto per ben tre volte: “Mi vuoi bene?” (Giovanni 21, 16. 17. 15), ed dopo averne ottenuto la risposta stupita, ma francamente affermativa, gli ordinò di “pascere” il suo gregge, le pecorelle, gli agnellini e le pecore madri (Cfr. Giovanni 21, 17. 15. 16): aveva avuto la certezza che Pietro gli voleva proprio bene più di tutti gli altri: “Mi vuoi bene tu più di costoro?” (Giovanni 21, 15).E, dopo 2.000 anni, la dignità di Pietro non è venuta meno, ma rivive nel caro Papa Francesco che continua l’opera meravigliosa di amare il gregge con umiltà, con sapienza, e con fermezza: invochiamo la benedizione di Gesù, attraverso l’intercessione di S. Pietro, sul suo successore dei nostri tempi.Io, oggi, festeggio con tutti voi che, attraverso la benevolenza del Prevosto don Stefano, l’avete voluto, il mio 50° anniversario di Ordinazione Sacerdotale: sono le mie nozze d’oro con Gesù e con la sua Chiesa.Ringrazio, e, per cortesia, fatelo anche voi con me, il Signore che mi ha concesso l’inestimabile dono di questo ambito traguardo.Mi sembra ieri..., quando ancora bambino, ho sentito forte il desiderio di diventare sacerdote e sono entrato nel Seminario di Clusone: man mano che i giorni e gli anni passavano la mia decisione diventava sempre più certezza.Purtroppo, quando avevo appena 15 anni, 60 anni fa, il mio amatissimo papà morì, a soli 45 anni, per un’inaspettata malattia: fu un dolore terribile, ma io mi convinsi ancor più della mia vocazione; a mia mamma che me ne supplicava, dissi che avrei preferito essere messo nella bara con mio papà piuttosto che abbandonare il Seminario; certo mi dispiaceva lasciarla sola a continuare la sua impegnativa attività, ma fui irremovibile.A proposito di mio papà [senza parlare di mia mamma Maria], sono fiero di ricordare questo suo significativo gesto: oltre a numerose offerte date al signor Prevosto, per sua libera iniziativa, da solo, volle regalare una delle 10 campane della chiesa di Trescore, e, sulla lapide dedicata ai benefattori, volle che si incidesse non il suo, ma il mio nome; ho controllato di recente e vi si legge ancora: “U. Midali”; mi piace pensare che, quando suonano le campane della chiesa del mio paese per chiamare i fedeli alle sacre convocazioni, una “voce” è la mia, e continuerà a risonare anche quando io sarò entrato nella Pasqua di Gesù.Insieme con S. Pietro, e come lui, esprimo il mio intimo dispiacere di non aver amato e servito Gesù come sempre ho ardentemente desiderato; però so per esperienza che egli è buono, mi conosce a fondo, mi capisce, e colma le mie lacune: dove non sono arrivato io, Gesù mi ha addirittura preceduto ed ha sempre colmato i vuoti lasciati da me; con semplicità, aggiungo anche che, pur non avendo fatto mai abbastanza per il Signore, nel mio sacerdozio, ho agito però costantemente con molto entusiasmo, senza badare a sacrifici e con tutto l’amore di cui sono capace, e anche oggi voglio ripetergli che lo amo con tutto il cuore, che ho avuto sempre grande cura dei numerosi parrocchiani che mi sono stati affidati nei vari campi di apostolato.Nel mio cuore, infine, c’è anche tanta riconoscenza alla Madonna perché, per grazia di Dio, senza cantarle “Recordare, pia Mater”, non ha mai perso la “memoria”, cioé non solo si è sempre ricordata di me, anzi e anche e meglio, mi ha sempre tenuto presente nel suo cuore.Sincera sgorga da tutto il mio essere la preghiera: “Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla giovinezza e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi. E ora, nella vecchiaia e nella canizie, quando declinano le mie forze, non abbandonarmi, finché io annunzi le tue meraviglie” (Salmo 70, 17. 9. 18)...: “Proteggi, Signore, il ceppo che la tua destra ha piantato, e guarda il germoglio che ti sei coltivato” (Cfr. Salmo 79, 16).Mi auguro che pure voi, cari amici di Sorisole, insieme con il signor prevosto don Stefano, vi uniate alla mia umile implorazione in questi giorni del “grato ricordo”.Anche domani, nel mio paese natale, Trescore Balneario, pregherò con i miei concittadini ed eleveremo insieme inni di ringraziamento al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo.Sono commosso dalle vostre attestazioni di affetto nei miei confronti e vi assicuro il mio quotidiano ricordo nella preghiera: grazie a tutti: a Gesù e a voi carissimi compaesani!

Per il Bollettino Parrocchiale di Sorisole

Sorisole, 15 settembre 2014: Gent. Mons. Umberto, le invio le domande. Se poi vuole aggiungere qualche altra riflessione che a lei sembra importante e che a noi non è venuta in mente scriva pure liberamente. Ci fa piacere! Grazie. Giovanna.

* Quando e come ha intuito che voleva diventare sacerdote?

Lo compresi a più riprese, come a tappe; mi brillava davanti agli occhi l’esempio dei miei tanti sacerdoti che vedevo all’altare e per le vie del paese; pensavo frequentemente di diventare come loro; ogni volta l’idea di diventare sacerdote si faceva un po’ più chiara e la volontà si trasformava in determinazione irrevocabile.

Fu il parroco di Valleve, don Luigi Bellini, a far nascere in me il primissimo desiderio di diventare sacerdote: in tempo di guerra, la mia famiglia fu costretta a lasciare Trescore Balneario, dove ero nato, e si rifugiò nella casa dei genitori di mio papà, nel Comune di Branzi; però la parrocchia era a Valleve, e il nonno, il “Battistì di pracc”, mi portava ogni domenica in quella chiesa, che è la più bella di tutta la Valle Brembana; là, a sei anni, venni preparato alla Cresima (allora si amministrava il Sacramento dei soldati di Cristo [ora della maturità cristiana] in tenera età, prima della Comunione), e, tra un incontro e l’altro, il parroco mi rivolse questa semplice domanda: “Non ti piacerebbe fare il prete, da grande?”; gli risposi: “Sì”, e lui mi raccomandò di pregare la Mamma di Gesù; lo feci aiutato dalla mia nonna paterna, Matilde Marcazzoli, proveniente da Caiolo in Valtellina; a lei avevo confidato questo mio segreto: ella mi incoraggio e mi regalò pure una statuetta della Madonna, davanti alla quale pregavo spesso perchè mi ottenesse la grazia di diventare sacerdote; alla frazione dei “Prati” c’era poi uno stupendo “gigiöl” con affreschi 3 – 4centeschi raffiguranti la Madonna e tanti Santi, in particolare ricordo S. Carlo Borromeo: ebbene lì dentro, con la mia coetanea Maria del Bigio e della Caterinì, pregavo, ed altri bambini, celebravo la Messa, e tenevo omelie.

Ero attratto a queste innocenti cose anche grazie all’esempio del mio signor prevosto di Trescore, don Giovanni Pellegrinelli, che amava il decoro della casa di Dio e curava diligentemente le sacre cerimonie.

Questi furono i primi passi di un lungo cammino che mi portò al sacerdozio.

A poco a poco, questo abbozzo di vocazione si concretizzò nella decisione di entrare nel Seminario di Clusone.

Da allora una folla di buone persone mi incoraggiò in questa scelta e facilitò il mio cammino verso l’altare.

Ricordo che, quando comunicai la mia scelta a mio papà Riccardo (che inaspettatamente morì a soli 45 anni, giusto 60 anni fa), egli si mise in ginocchio davanti a me, con me ringraziò il Signore, e mi benedisse: come potrò mai dimenticare, insieme a moltissimi altri, un gesto tanto inaspettato e commovente?

* Qual è stata, tra le tante, l’esperienza più bella da sacerdote?

Le esperienze belle ed indimenticabili sono state innumerevoli: sarebbe troppo lungo esporle una ad una; però quella che più mi è sempre rimasta nel cuore riguarda il Sacramento della Confessione, o Penitenza, o Riconciliazione: ricordo con nostalgia le ore passate in confessionale, ogni giorno; ma soprattutto nelle ricorrenze più solenni e care ai fedeli, la fila dei penitenti era interminabile, la loro fede era evidente, la contrizione del cuore era sincera e palpabile, l’attenzione agli ammonimenti e ai consigli era viva. Oggi, purtroppo, questa esperienza si fa sempre più rara: al pensarci mi si stringe il cuore! E sì che siamo ancora tanto peccatori, e tutti tanto bisognosi della misericordia di Dio!

* E quella più faticosa?

E’ stata certamente la fatica di incominciare sempre da capo ogni volta che il Vescovo mi mandava in una nuova comunità parrocchiale: spesso ho dovuto ristrutturare la casa dove abitare come curato, e come parroco (in un paese, mentre veniva approntata la canonica, soggiornai per più di 6 mesi in una osteria: lì mi venne a trovare il Vescovo Clemente Gaddi e allacciai rapporti cordialissimi con la popolazione che veniva ed andava, o che io visitavo nelle abitazioni e nei luoghi del lavoro); non parliamo poi del restauro, più o meno radicale, della chiesa parrocchiale, dell’Asilo, dell’Oratorio. Queste furono opere materiali; ma le più onerose furono il reclutare e il formare i catechisti, gli educatori, i collaboratori e gli operatori pastorali (li ricordo in ogni Messa), il tenere informata la gente, mediante un rudimentale ma nutrito e costante bollettino, sulla vita della comunità: il mio intento era di raggiungere tutti, anche e soprattutto le persone che stavano a guardare e vivevano alla “periferia”.

Tutto questo, a parte l’innegabile fatica, lo facevo volentieri, per amore a Gesù e ai fratelli; mi ha portato tanta soddisfazione e gioia, senza contare la riconoscenza spontanea e duratura dei fedeli, che ancora oggi ricordano con me... gli avvenimenti passati.

* Qual è, secondo lei, la “caratteristica” più importante che deve avere un sacerdote per annunciare il Vangelo nella nostra società?

A mio giudizio è il dono di saper avvicinare, o accogliere, le singole persone, ascoltare le loro esigenze ed ansie quotidiane, condividere ogni momento, lieto o triste che sia, della loro vita, diventare sempre più “prossimo – vicino”, uno di casa, di famiglia ed un amico leale, far loro sentire che il Signore le ama e non le abbandona mai. Penso che tale atteggiamento sia la conseguenza diretta della vita di intimità e di amore con il Signore che deve contraddistinguere il sacerdote. Il legame con Gesù è duraturo e sarà per l’eternità, e la morte non ha interrotto i vincoli di affetto con i tanti parrocchiani che ho assistito nell’ingresso nella Pasqua eterna: li ricordo tutti, e li vedo uno per uno, specialmente quando celebro la Messa, e ogni volta mi commuovo, ma anche mi consolo sapendoli con Gesù.

* Cosa suggerirebbe ad un ragazzo che vorrebbe farsi prete in questo nostro tempo?

Suggerirei di pregare la Madonna, di continuare a crescere e a maturare nel “servizio” a Gesù, di coltivare ogni giorno sempre più la “passione” per le cose del Signore e del suo popolo, di avere tanto coraggio, e di non arrendersi mai di fronte alle mille ed imprevedibili difficoltà che si presenteranno con periodica puntualità. Da parte mia, prego spesso per quei ragazzi che stanno fecendo la loro scelta e che sono già in Seminario.

C) 50° di Sacerdozio: Bergamo, chiesa del Carmine, 16 luglio 2014, ore 16.30: Beata Vergine Maria del Monte Carmelo e 50° di Sacerdozio

Carissimi fratelli, preceduti in questa solennità da tanti nostri amici, con la nostra devota presenza qui in questa chiesa, che, grazie ai restauri in corso, gradualmente, sta ritornando bella e linda, intendiamo oggi onorare la “Madonna del Carmine, o del Monte Carmelo”.

Ci mettiamo in sintonia spirituale con gli eremiti cristiani, che, verso il 93, costruirono sul monte Carmelo, il monte del grande Profeta Elia, una cappella dedicata alla Vergine, e pure noi amiamo chiamarci “Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”, e continuiamo la loro devozione mariana.

Pure noi ammiriamo Maria, la veneriamo, la amiamo, e la vogliamo ascoltare.

A) Carissimi amici e fratelli, tutti quanti devoti della Madonna, noi siamo chiamati dalla nostra mamma celeste a raccogliere il messaggio del Carmelo:

a) In un mondo in cui pare che il nome di Dio sia oramai soffocato dalle innumerevoli moderne forme di adesione agli ìdoli, cioè alle apparenze di assoluto, noi vogliamo oggi riconoscere che Dio è il vivente, e, con il Profeta Elia, contemplativo e strenuo difensore dell’unico Signore dell’universo, proclamiamo ad alta voce: “Vive il Signore Iddio, alla cui presenza io sto” (1 Re 17, 1).

b) In un tempo in cui assistiamo allibiti e mortificati ad una vera e propria dichiarazione di guerra a Gesù Cristo, alla sua storicità, ai suoi insegnamenti, al valore della sua venuta in questo mondo, e alla fede nella sua persona, noi riaffermiamo la fede dei nostri padri con le belle espressioni di S. Agostino: “Dio è tutto per me, Dio è tutto quanto ho, Dio è tutto quello che io amo...: se hai fame, egli è il tuo pane; se hai sete, egli è la tua acqua; se sei nelle tenebre, egli è la tua luce, perché rimane incorruttibile; se sei nudo, egli è per te la veste d’immortalità, quando ciò che è corruttibile rivestirà l’incorruttibilità e ciò che è mortale rivestirà l’immortalità (1 Cor 15, 53 – 54)” (Cfr. Commento al Vangelo di San Giovanni, Omelia 13, 5).

B) La Madonna, inoltre, ci ha chiamati attorno a sé per dirci che anche noi, come il Profeta Elia fu mantenuto in vita dal misterioso alimento venuto dal cielo, siamo fortificati dal pane disceso dal cielo, dal pane eucaristico, da Gesù in persona, il Figlio di Dio, il “Dio con noi – Emmanuele” (Matteo 1, 23; Isaia 7, 14): egli ci garantisce: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Giovanni 6, 54):

* Mettiamo nelle mani di Maria Santissima il proposito di partecipare, con puntualità, assiduamente, e con l’offerta delle nostre pene quotidiane, alla Messa.

* Noi abbiamo fiducia che la Madonna esaudisca le nostre preghiere: perché anche lei non può nutrire la speranza che i suoi figli accolgano il suo materno, dolce, e pressante invito?: non deludiamola!

* Questa celebrazione, per iniziativa del cortese ed attento nostro Parroco, mons. Fabio, vuol ricordare anche il mio 50° di Ordinazione Sacerdotale:

+ insieme con voi e con tanti altri fedeli, e a Maria Santissima, ringrazio Gesù per il dono inestimabile della vocazione, per questi molti anni di apostolato in varie mansioni diocesane, per le persone buone e generose che mi hanno sempre incoraggiato e sostenuto;

+ prego perchè Gesù scelga qualche ragazzo dalle famiglie della nostra vasta e pluriforme parrocchia del Duomo: il mio istinto sacerdotale mi dice che anche da noi usciranno sacerdoti al servizio del Signore e della Diocesi.

C) La Madonna, infine, intende pregare insieme con tutti noi per almeno 3 intenzioni:

1) Primo per invocare la benedizione di Gesù sulle nostre famiglie.

* La famiglia è dono inestimabile di Dio: egli chiama l’uomo e la donna al servizio d’amore reciproco e ai figli; chiede donazione gioiosa, immolazione totale, sacrificio disinteressato nel Sacramento del Matrimonio che consacra l’amore unico, indissolubile, e aperto alla vita; domanda di rispondere “sì” alla sua proposta di essere sorgente di vita e di frutti che rimangano e siano per sempre.

* Nella famiglia Gesù edifica la piccola Chiesa domestica; fa dei coniugi la pietra di stabilità della fede e della condotta evangelica dei suoi membri; costituisce i genitori sacerdoti – capi – guide – profeti – maestri e pastori del suo piccolo gregge.

* Noi dobbiamo ringraziare il Signore per il dono della famiglia; dobbiamo pregarlo perché tutti noi abbiamo sempre la gioia dell’amore dei nostri cari; dobbiamo lodarlo per le nostre famiglie che, nella loro semplicità, sono stupende e grandi, e sono un punto di riferimento e di forza nell’opporsi alla mentalità corrente che mina le basi dell’istituto famigliare.

* Purtroppo anche nei nostri paesi sale la febbre della crisi famigliare; anche nelle nostre case sta entrando la temperatura surriscaldata delle invasioni o evasioni di campo, delle convivenze anomale, multiple, e temporanee; anche nei nostri spiriti fanno breccia le mode attuali che spingono a sgretolare i principi fondamentali della famiglia, della sacralità della vita, e dello spirito di rispetto e di servizio alla persona umana.

La Madonna ci dice: ‘Invochiamo insieme, uniti e compatti, la benedizione di Gesù perché liberi da queste malefiche febbri le vostre persone e le vostre famiglie’.

2) In seconda battuta, preghiamo Gesù per gli anziani, per le persone sole, per gli ammalati: la Madonna è vicina a questi nostri fratelli; li capisce perché anch’ella ha vissuto le ore del dolore; li conforta (dà loro il suo coraggio e la sua forza); li rende sereni e lieti in attesa del premio celeste; e li assicura che essi sono amati da Gesù e da tutti noi!: “Fratelli, quale grande gioia essere il gregge di Dio! E’ un fatto che genera grande gaudio anche in mezzo alle lacrime e alle tribolazioni di questa terra” (S. Agostino, Discorsi 47, 1. 2. 3. 6: CCl 41, 572 – 573. 575 – 576);

* la benedizione di Gesù, da una parte, tiene uniti a lui questi nostri cari fratelli nella sua passione redentrice ed impreziosisce ed allevia le loro angustie e sofferenze;

* dall’altra, il nostro pensiero di affetto, di incoraggiamento e di premurosa assistenza li raggiungono e li tolgono dalla triste impressione della solitudine e dell’abbandono.

3) Infine, insieme con la Madonna, soddisfiamo al dovere di riconoscenza verso i nostri cari defunti: mentre desideriamo che Maria Santissima preghi per noi e per le nostre famiglie sino all’“ora della nostra morte”, ella ci esorta ad offrire a Gesù le nostre preghiere – Confessioni – Messe e Comunioni per le anime del Purgatorio.

La Madonna del Carmine, grazie alla promessa legata allo ‘scapolare – abitino’ [due pezzi di stoffa di saio su cui vi è l’immagine della Madonna tenuti insieme da una cordicella], è onorata anche come “Madonna del Suffragio”: spesso è raffigurata nell’atto di trarre dalle fiamme del Purgatorio le persone che hanno bisogno di ulteriore e definitiva purificazione.

Per questo, ci apre gli occhi della fede sulla vita dell’aldilà, ci mette nel cuore la volontà di giovare ai nostri cari defunti, e ci spinge ad invocare su di essi la misericordiosa benedizione di Gesù.

* Carissimi amici e fratelli, avviandoci verso la conclusione di questa bella e devota festa in suo onore, sono certo che la Madonna guida la mano di Gesù perché benedica le nostre richieste, le nostre persone e tutti coloro che portiamo nel cuore. Amen.

D) 50° di Sacerdozio: Branzi, 31 agosto 2014, ore 10.30 – Solennità della Madonna di Branzi: Celebrazione per il 50° di Ordinazione Sacerdotale

Carissimi fratelli di Branzi, in questa Messa del mio 50° di Ordinazione Sacerdotale, voglio abbracciarvi con tanto affetto e riconoscenza perchè mi avete accompagnato per tutti questi anni, ed oggi siete qui convenuti per ringraziare con me il Signore per l’inestimabile dono del sacerdozio a me, indegnissimo suo servo, conferito.

Sono tuttora sempre più sbigottito ed incredulo che sia capitata proprio a me questa entusiasmante avventura di servire il Signore così da vicino e da suo buon amico.

Non mi sembra ancora vero!

Ricordo con tanta commozione e gratitudine don Luigi Bellini, che conobbi a Valleve, dove il nonno, “Batistì di Pracc”, mi portava ogni domenica in quella chiesa, che è la più bella di tutta la Valle Brembana; là venni preparato, a sei anni, alla Cresima, e, tra un incontro e l’altro, quel buon parroco, “ol pret rosì”, che mi donava ogni volta un ‘santino’, mi rivolse a bruciapelo questa semplice domanda: “Non ti piacerebbe fare il prete, da grande?”; gli risposi: “Sì”, e lui mi raccomandò di pregare la Mamma di Gesù; lo feci aiutato dalla mia nonna paterna, Matilde Marcazzoli, proveniente da Caiolo in Valtellina; a lei avevo confidato questo mio segreto: ella mi incoraggiò e mi regalò pure una statuetta della Madonna, davanti alla quale pregavo spesso perché mi ottenesse la grazia di diventare sacerdote; alla frazione dei “Prati” c’era poi uno stupendo “gigiöl” con affreschi 3 – 4centeshi raffiguranti la Madonna e tanti Santi, in particolare S. Carlo Borromeo: ebbene lì dentro, con la mia coetanea Maria Cattaneo del Bigio e della Caterinì, pregavo, celebravo la Messa, e tenevo omelie.

Ero attratto a queste innocenti cose anche dall’esempio del mio signor prevosto di Trescore, don Giovanni Pellegrinelli, che amava il decoro della casa di Dio e curava diligentemente le sacre cerimonie.

A poco a poco, questo abbozzo di vocazione si concretizzo nella decisione di entrare nel Seminario di Clusone.

Da allora una folla di buone persone mi incoraggiò in questa scelta e facilitò il mio cammino verso l’altare.

Quando comunicai a mio papà Riccardo la mia scelta, ricordo che si mise in ginocchio davanti a me, con me ringraziò il Signore, e mi benedisse: come potrò mai dimenticare, insieme a moltissimi altri, un gesto tanto inaspettato e commovente?

Purtroppo, quando avevo appena 15 anni, 60 anni fa, il mio amatissimo papà morì, a soli 45 anni, per un’inaspettata malattia: fu un dolore terribile, ma io mi convinsi ancor più della mia vocazione; a mia mamma che me ne supplicava, dissi che avrei preferito essere messo nella bara con mio papà piuttosto che abbandonare il Seminario; certo mi dispiaceva lasciarla sola a continuare la sua impegnativa attività, ma fui irremovibile.

Così mia mamma Maria divenne il capo famiglia e, per dieci anni, portò avanti l’attività della latteria; poi, nel 1964, venni ordinato sacerdote, e da quel momento, fu l’inseparabile compagna del mio cammino: lasciò la sua casa e la sua faticosa attività per seguirmi, e diventò la “serva del Signore” (Cfr. Luca 1, 38); si stabilì con me, ovunque fossi mandato dall’ubbidienza al Vescovo, e non mi lasciò più fino alla notte del suo ultimo respiro.

Papà Riccardo, dal Paradiso, e mamma Maria in casa sono sempre stati i miei angeli custodi e hanno preso parte a tutte le mie gioie, agli inevitabili disagi e dispiaceri, all’emozione indescrivibile della mia Ordinazione Sacerdotale, al 25 anniversario di essa, ed ora... alle nozze d’oro con la Chiesa di Gesù.

Ricordo ancora con emozione e gratitudine tutti coloro che prepararono una festa splendida per il giorno della mia Prima Messa, non solo a Trescore, ma anche a Valleve e qui a Branzi: molti non sono più qui sulla terra: ricordo in particolare non solo la nonna e il nonno, ma anche i tanti e tanto cari zii, soprattutto lo zio Santi e la zia Caterina. Nei miei ricordi ci sono vivide le persone del Richì e del Nandì ai quali, scendendo dal Monte Colle, con il docile asinello, portavo le forme di formaggio, e, in cambio mi ricevevo pane fresco, farina, pasta, riso, sale e zucchero ed altri alimentari che portavo su alla “Casèra”, dove mi aspettavano con ansia. Come non ricordare il caro Aristide e tutti i suoi famigliari, l’Angiolina, la Primina, che, a spalle, mi portavano da Branzi ai “Prati”? Così pure la “Albina del capèl” l’ho sempre presente: mi aveva scritto un biglietto augurale dicendosi ansiosa di vedere la “fumata bianca” che avrebbe annunciato la mia elezione a Papa. Non ho dimenticato neanche il Sindaco di allora, il caro Giacomo Midali, “Nino Michete”, che veniva sempre a Trescore a trovare mio papà Riccardo e a prendere stracchini, e mi portava fin qui alla sua casa con il camioncino per consegnarmi poi, all’indomani, al nonno: un suo figlio, l’ultimo, lo volle chiamare come me, Umberto, e lo ritrovai poi qui a Branzi a farmi da chierichetto...

Sì, perché con mia grande sorpresa, subito dopo essere stato consacrato sacerdote il Vescovo Clemente mi chiamò e mi disse: “In attesa di averti in Seminario, ti mando a Branzi come curato estivo”; io gli feci notare che Branzi era come il mio paese, quasi natale, e che, forse, lui non lo sapeva; ma mi disse subito: “So già tutto! Ma è bene che vai lassù a respirare la tua aria e a mettere su un po’ di ciccia”: ero infatti assai magro: sembravo davvero patito!...: una sardina!, un po’ come quando ero al Monte Colle seduto fuori della “Casèra” con mio papà, con le gambe di sedano e con le orecchie a sventola.

Venni così qui a Branzi, e collaborai con don Cesare Gualandris soprattutto nella costruzione dell’Oratorio: portavo nelle gite sui monti, specialmente al Calvi, tanti ragazzini e giovani; li ritraevo con la mia “Paillard” e ne ricavavo filmati in super 8.

Fu un’esperienza bellissima: ogni angolo di Branzi mi ricorda tante belle cose e tante buone persone.

Vi sono poi ritornato in vacanza, dopo che il Vescovo Roberto, nel 2003, mi ha fatto l’inaspettato dono di essere membro effettivo del Capitolo della nostra Cattedrale: ogni mattina, in Duomo, insieme con i miei confratelli Canonici, sotto lo sguardo benedicente di S. Alessandro, nostro Patrono, e di S. Narno, nostro primo Vescovo, e sopra le tombe dei Vescovi della mia vita, celebro le lodi del Signore e il mistero eucaristico, che sono all’inizio e al centro della giornata..., e penso spesso a voi di Branzi.

Oggi celebriamo la solennità in onore della Madonna: ella sa tutte queste ed altre cose; le ho comunicate anche a voi, cari amici, perché, insieme con il signor prevosto don Alfio, vi uniate alla mia grande riconoscenza a lei e a Gesù in questi giorni del “grato ricordo”.

Insieme con voi, depongo nelle mani di Maria Santissima i nostri comuni sentimenti e le nostre umili preghiere.

1) Innanzitutto, debbo fare una pubblica confessione e una preghiera di ringraziamento.

a) La confessione: questi cinquanta anni di sacerdozio sono passati con la velocità del fulmine e sento il dovere di dire che sono assai dispiaciuto di non aver amato e servito Gesù come sempre ho ardentemente desiderato; però so per esperienza che egli è buono, mi conosce a fondo, mi capisce, e colma le mie lacune: dove non sono arrivato io, Gesù, al quale ho consacrato tutta la mia vita, mi ha addirittura preceduto ed ha sempre colmato i vuoti lasciati da me; con semplicità, aggiungo anche che, pur non avendo fatto mai abbastanza per il Signore, nel mio sacerdozio, ho agito però costantemente con molto entusiasmo, senza badare a sacrifici e con tutto l’amore di cui sono capace; anche oggi voglio ripetergli che lo amo con tutto il cuore, che ho avuto sempre grande cura dei miei numerosi parrocchiani delle diverse parrocchie in cui sono stato mandato dal Vescovo: li ho aiutati ad avere fede in lui e con loro ho celebrato le sue lodi.

b) Dopo questa confessione, ecco la mia personale riconoscenza alla Madonna perché, per grazia di Dio, senza cantarle “Recordare, pia Mater”, non ha mai perso la “memoria”, cioè non solo si è sempre ricordata di me, anzi, e anche, e meglio, mi ha sempre tenuto presente nel suo cuore.

2) Poi vorrei, insieme con voi, presentare alla Madonna i nostri sacerdoti: i parroci che si sono succeduti nel servizio pastorale qui nella nostra comunità, come don Angelo Locatelli e don Eugenio Mapelli: dal paradiso ci guidano ancora verso la casa del Signore; in particolare, però, preghiamo per don Alfio: è il buon pastore dei nostri giorni: seguiamolo, incoraggiamolo, ed aiutiamolo; e non dimentichiamo i preti nati, cresciuti ed educati qui da voi tutti, buoni cristiani di Branzi: parto da don Mario: è sempre una gioia rivederlo qui con noi; arrivo a don Andrea, e mi fermo a don Alberto, perché ora è in Duomo insieme con me: sono gli ultimi doni, in ordine di tempo, che il Signore ci ha fatto; preghiamolo di continuare a farci ancora queste belle sorprese: “Maria, Madre dei sacerdoti, prega per tutti loro”.

3) Infine, tutti insieme, concordemente, ci affidiamo alla protezione della Madonna, e le raccomandiamo i nostri bambini e i nostri anziani: la Madonna non li abbandona mai e neppure noi ci tiriamo indietro nel dolce compito di assisterli e di accompagnarli; invochiamo la Vergine Maria “Salus infirmorum” per i nostri ammalati e sofferenti ed assicuriamo a loro la nostra vicinanza spirituale e materiale.

E) 50° di Sacerdozio: Grone, Domenica 7 settembre 2014, ore 18: Vigilia della Solennità della Madonna di Grone: Celebrazione per il 50° di Ordinazione Sacerdotale

Carissimi fratelli di Grone e del Monte, in questa Messa del mio 50° di Ordinazione Sacerdotale, voglio abbracciarvi con tanto affetto e riconoscenza perché questa sera, vigilia della nostra più dolce, più cara e più solenne ricorrenza, siete qui convenuti per ringraziare con me il Signore per l’inestimabile dono del sacerdozio a me, indegnissimo suo servo, conferito.

Sono tuttora sempre più sbigottito ed incredulo che sia capitata proprio a me questa entusiasmante avventura di servire il Signore così da vicino e da suo buon amico.

Non mi sembra ancora vero!

Fu un umile parroco, don Luigi Bellini, che conobbi a Valleve, sopra Branzi, dove la mia famiglia si era rifugiata in tempo di guerra, che diede il ‘via’ alla mia storia di sacerdote; mi rivolse a bruciapelo questa semplice domanda: “Non ti piacerebbe fare il prete, da grande?”, e io gli risposi: “Sì”, e lui mi raccomandò di pregare la Mamma di Gesù, fu un crescendo di pensieri, di riflessioni e di preghiere fino alla decisione di entrare nel Seminario di Clusone.

Da allora una folla di buone persone mi incoraggiò in questa scelta e facilitò il mio cammino verso l’altare.

Quando comunicai a mio papà Riccardo la mia scelta, ricordo che si mise in ginocchio davanti a me, con me ringraziò il Signore, e mi benedisse: come potrò mai dimenticare, insieme a moltissimi altri, un gesto tanto inaspettato e commovente?

Purtroppo, quando avevo appena 15 anni, 60 anni fa, il mio amatissimo papà morì, a soli 45 anni: fu un dolore terribile, ma io mi convinsi ancor più della mia vocazione; a mia mamma che me ne supplicava, dissi che avrei preferito essere messo nella bara con mio papà piuttosto che abbandonare il Seminario; certo mi dispiaceva lasciarla sola a continuare la sua impegnativa attività, ma fui irremovibile.

Così mia mamma Maria divenne il capo famiglia e, per dieci anni, portò avanti l’attività della latteria; poi, nel 1964, venni ordinato sacerdote, e da quel momento, fu l’inseparabile compagna del mio cammino: lasciò la sua casa e la sua faticosa attività per seguirmi, e diventò la “serva del Signore” (Cfr. Luca 1, 38); si stabilì con me, ovunque fossi mandato dall’ubbidienza al Vescovo, e non mi lasciò più fino alla notte del suo ultimo respiro.

Papà Riccardo, dal Paradiso, e mamma Maria in casa sono sempre stati i miei angeli custodi e hanno preso parte a tutte le mie gioie, agli inevitabili disagi e dispiaceri, all’emozione indescrivibile della mia Ordinazione Sacerdotale, al 25 anniversario di essa, ed ora... alle nozze d’oro con la Chiesa di Gesù.

Questa sera, con grande emozione, voglio ricordare tutti coloro che, qui a Grone e al Monte, mi hanno accolto e seguito come parroco; parecchi sono entrati nel mistero della risurrezione di Gesù: li nomino così come mi vengono nel cuore e sulla lingua. Parto dai fabbriceri Gigio e Angelì, che mi hanno sempre incoraggiato, ed arrivo ai Sindaci Gabriele Marchesi, Angelo Trapletti e Angiolino Zappella; poi menziono Spera [cercava ai buoni parrocchiani una gallina, o un coniglio, per il Parroco...: cucinava e preparava pranzi succolenti...: le penne e le pelli le buttava via]; come dimenticare suo fratello Salvo, tanto buono e pio e sempre vincente su ogni calamità?; e poi il caro Silvio “postì” [aveva organizzato varie cene e mi aveva invitato con tanti altri amici; mi aveva detto che si mangiava il coniglio..., poi faceva: “Miao, miao” e confessava che era un gatto... molto buono!]; un ‘memento’ particolare lo faccio per Angelina Oberti di Via Sabotino, benefattrice della nostra chiesa e anche di me; così pure la Santina Micheli, la Caterina di Via Sabotino, la Esterì, la Rosa del Benedetto e la Gelmina, la Maria del Bepi e dell’Angelo, la Anna del Mosè, la Dora, il venerando Guido Corali, tutti i nostri saggi anziani, e non dimentico mai Severino Bernasconi e tutti gli altri innumerevoli collaboratori e cooperatori generosi ed instancabili nelle fatiche pastorali qui a Grone e al Monte...: là incontravo, per esempio, il “Gigino” [gli avevano rubato i suoi risparmi e commentò: “Si vede che gli servivano!”], il Pietro e il GianPaolo Corna [affermati organaro l’uno e pittore – scultore l’altro], la Francesca Meni, il Martino Trapletti e la sua chiesina con mons. Antonio Pesenti, che ora riposa fra quella gente semplice e buona che egli ha servito per molti anni con tanta dedizione.

Guardando indietro, debbo riconoscere che la vostra ammirevole laboriosità e la vostra sempre sorprendente intraprendenza si sono unite ai miei sforzi nel servirvi da parroco; insieme abbiamo vissuto, in 7 anni, momenti di reciproca intesa, di intenso lavoro, di luminose realizzazioni (restauro del tetto della chiesa e ripristino della chiesina ipogea [Geom. Gigi meni] del trono, della statua e del vestito della Madonna e corredo completo di tovaglie con pizzi di Cantù, nel 2° millennio della sua nascita [La Maestra Carolina Trapletti e la infermiera Rachele Oberti si chiudevano nella mia cameretta a vestire la Madonna e mi mandavano via dicendomi: “Non sono cose da uomini!”..., poi tutte le donne che premurosamente tenevano il decoro dei vari altari della nostra chiesa], recupero di parte della “Torre”, privilegio di avere tra noi le Suore per l’Asilo parrocchiale, arricchimento prezioso delle sculture del mio Sandrino Flaccadori che sono ancora qui sul presbiterio a testimoniare la sua singolare genialità e la pietà di tutti quanti noi di Grone, e la Via Crucis sul sagrato); ed abbiamo condiviso con il cuore lacrimante giornate tragiche e piene di dolore (Dolores, Tino, Antonio e Adriana): con noi, però, c’era sempre il Signore, e non mancava mai la Madonna.

Qui a Grone ho avuto la grazia di conoscere, stimare e accogliere con venerazione i sacerdoti nativi P. Giovanni Flaccadori, P. Antonio Marchesi e P. Serafino Corali: li ho sempre presenti: i volti dei nostri cari defunti li vedo in tutte le Messe che celebro; i vostri volti mi passano davanti agli occhi, uno per uno: siete stati sempre molto... troppo... buoni con me; a tutti la mia sincera e perenne gratitudine: quanti ricordi, come dicevo, lieti e anche tristi, ci legano vicendevolmente! Per parte mia, avrei voluto rimanere sempre qui in mezzo a voi; invece il Vescovo mi ha mandato a Curnasco; dopo 18 anni a Curnasco, il Vescovo Roberto, nel 2003, mi ha fatto l’inaspettato privilegio di essere membro effettivo del Capitolo della nostra Cattedrale: ogni mattina, in Duomo, insieme con i miei confratelli Canonici, sotto lo sguardo benedicente di S. Alessandro, nostro Patrono, e di S. Narno, nostro primo Vescovo, e sopra le tombe dei Vescovi della mia vita, celebro le lodi del Signore e il mistero eucaristico, che sono all’inizio e al centro della giornata..., e, come potete immaginare ed esserne certi, penso spesso a tutti voi, alle nostre contrade e vie, così diverse e così attive.

Questa sera celebriamo la Messa della viglia della solennità in onore della Madonna: ella sa tutte queste ed altre cose; le ho comunicate anche a voi, cari amici, perché, insieme con il signor prevosto don Giacomo Cortesi, vi uniate alla mia grande riconoscenza a lei e a Gesù in questi giorni del “grato ricordo”; in particolare desidero esprimere il mio ‘grazie’ al Signore, a Maria Santissima, e a tutti voi per il meraviglioso dono con cui siamo stati favoriti del caro don Fabio Trapletti che ora è parroco a Lallio: ha avuto la vocazione qui nella nostra chiesa e il suo sacerdozio è stato fecondato dal sacrificio del papà Giovanni, della mamma Denise, e del fratello Massimo.

Insieme con voi, depongo nelle mani di Maria Santissima i nostri comuni sentimenti e le nostre umili preghiere.

1) Innanzitutto, debbo fare una pubblica confessione e una preghiera di ringraziamento.

a) La confessione: questi cinquanta anni di sacerdozio sono passati con la velocità del fulmine e sento il dovere di dire che sono assai dispiaciuto di non aver amato e servito Gesù come sempre ho ardentemente desiderato; però so per esperienza che egli è buono, mi conosce a fondo, mi capisce, e colma le mie lacune: dove non sono arrivato io, Gesù, al quale ho consacrato tutta la mia vita, mi ha addirittura preceduto ed ha sempre colmato i vuoti lasciati da me; con semplicità, aggiungo anche che, pur non avendo fatto mai abbastanza per il Signore, nel mio sacerdozio, ho agito però costantemente con molto entusiasmo, senza badare a sacrifici e con tutto l’amore di cui sono capace; anche oggi voglio ripetergli che lo amo con tutto il cuore, che ho avuto sempre grande cura dei miei numerosi parrocchiani delle diverse parrocchie in cui sono stato mandato dal Vescovo: li ho aiutati ad avere fede in lui e con loro ho celebrato le sue lodi.

b) Dopo questa confessione, ecco la mia personale riconoscenza alla Madonna perché, per grazia di Dio, senza cantarle: “Recordare, pia Mater”, non ha mai perso la “memoria”, cioè non solo si è sempre ricordata di me, anzi, e anche, e meglio, mi ha sempre tenuto presente nel suo cuore: soprattutto qui a Grone ho imparato da voi ad essere devoto e riconoscente alla Madonna.

2) Poi vorrei, insieme con voi, presentare alla Madonna i nostri sacerdoti: i parroci che si sono succeduti nel servizio pastorale qui nella nostra comunità: dal paradiso ci guidano ancora verso la casa del Signore; in particolare, però, preghiamo per don Giacomo: è il buon pastore dei nostri giorni: seguiamolo, incoraggiamolo, ed aiutiamolo.

3) Infine, tutti insieme, concordemente, ci affidiamo alla protezione della Madonna, e le raccomandiamo i nostri bambini e i nostri anziani: la Madonna non li abbandona mai e neppure noi ci tiriamo indietro nel dolce compito di assisterli e di accompagnarli; invochiamo la Vergine Maria “Salus infirmorum” per i nostri ammalati e sofferenti ed assicuriamo a loro la nostra vicinanza spirituale e materiale.

* Grazie e buona festa in onore della nostra comune Mamma celeste.

* Dopo la Messa vedremo lo spettacolo pirotecnico: una volta dissi a Mario Meni, che raccoglieva offerte per tale manifestazione: “Forse, quest’anno se ne potrebbe fare a meno...: tutti soldi che vanno in fumo in pochi istanti...; teniamoli per qualche muro o opera che resti nel tempo”. Mi guardò e mi diede una lavata – pettinata che non vi so dire..., con i riccioli.

F) Solennità della Madonna del Rosario: Celebrazione per il 50° di Ordinazione Sacerdotale: Curnasco, Domenica 12 ottobre 2014, ore 18 = alla Messa

Carissimi fratelli di Curnasco, in questa Messa voluta dagli amici e dal Prevosto don Stefano, che ringrazio sentitamente, per il mio 50° di Ordinazione Sacerdotale, voglio abbracciarvi tutti con tanto affetto e riconoscenza perché questa sera, nella dolce, cara e solenne ricorrenza della Madonna del Rosario, siete qui convenuti per ringraziare con me il Signore per l’inestimabile dono del sacerdozio a me, indegnissimo suo servo, conferito.

Penso con commozione che proprio in questa circostanza, il 13 ottobre 1985, allora voluta dall’indimenticabile don Giacomo Carminati, feci il mio ingresso ufficiale tra di voi come parroco, e che, ancora nella medesima suggestiva celebrazione mariana, vi salutai, nel 2003, per entrare a far parte del Capitolo della Cattedrale di Bergamo.

Sono tuttora sempre più sbigottito ed incredulo che sia capitata proprio a me l’entusiasmante avventura di servire il Signore così da vicino e da suo buon amico.

Non mi sembra ancora vero!

Fu un umile parroco, don Luigi Bellini, che conobbi a Valleve, sopra Branzi, dove la mia famiglia si era rifugiata in tempo di guerra, che diede il ‘via’ alla mia storia di sacerdote; mi rivolse a bruciapelo questa semplice domanda: “Non ti piacerebbe fare il prete, da grande?”, e io gli risposi: “Sì”, e lui mi raccomandò di pregare la Mamma di Gesù; fu un crescendo di pensieri, di riflessioni e di preghiere fino alla decisione di entrare nel Seminario di Clusone.

Da allora una folla di buone persone mi incoraggiò in questa scelta e facilitò il mio cammino verso l’altare.

Quando comunicai a mio papà Riccardo la mia scelta, ricordo che si mise in ginocchio davanti a me, con me ringraziò il Signore, e mi benedisse: come potrò mai dimenticare, insieme a moltissimi altri, un gesto tanto inaspettato e commovente?

Purtroppo, quando avevo appena 15 anni, 60 anni fa, il mio amatissimo papà morì, a soli 45 anni: fu un dolore terribile, ma io mi convinsi ancor più della mia vocazione; a mia mamma che me ne supplicava [questo particolare lo feci conoscere nel 1989 in occasione del mio 25° di sacerdozio che voi festeggiaste in modo commovente ed encomiabile], dissi che avrei preferito essere messo nella bara con mio papà piuttosto che abbandonare il Seminario; certo mi dispiaceva lasciarla sola a continuare la sua impegnativa attività, ma fui irremovibile.

Così mia mamma Maria divenne il capo famiglia e, per dieci anni, portò avanti l’attività della latteria – caseificio; poi, nel 1964, venni ordinato sacerdote, e da quel momento, fu l’inseparabile compagna del mio cammino: lasciò la sua casa e la sua faticosa attività per seguirmi, e diventò la “serva del Signore” (Cfr. Luca 1, 38); si stabilì con me, ovunque fossi mandato dall’ubbidienza al Vescovo, e non mi lasciò più fino alla notte del suo ultimo respiro qui a Curnasco il 7 gennaio 1996.

Papà Riccardo, dal Paradiso, e mamma Maria in casa sono sempre stati i miei angeli custodi e hanno preso parte a tutte le mie gioie, agli inevitabili disagi e dispiaceri, all’emozione indescrivibile della mia Ordinazione Sacerdotale, al 25 anniversario di essa, ed ora... alle nozze d’oro con la Chiesa di Gesù.

Questa sera, con grande emozione, voglio ricordare tutti coloro che, qui a Curnasco mi hanno accolto e seguito come parroco; parecchi sono entrati nel mistero della risurrezione di Gesù: li nomino così come mi vengono dal cuore e sulla lingua. Parto dall’amico Natalino Ghislandi che mi volle bene come un fratello e che mi fu sempre vicino nei momenti difficili, come io fui poi vicino a lui; così pure la cara Ancilla Colombo tanto rispettosa e devota, tanto umile e ubbidiente nei miei confronti, tanto zelante e generosa con la nostra chiesa; arrivo a Paolo Colombo, a Rinaldo Caironi, a Giovanni Butta, perito tragicamente nei boschi dell’Alta Valle Brembana; come potrei poi dimenticare Erminia Speranza, Giovanna Tironi, Mario Pini, Giuliano Callioni, Luciano Invernizzi, Mistrini Magghie, Andrea Gibellini..., e tanti altri ancora?: li incontro e li vedo specialmente quando celebro la Messa: i nostri defunti sono qui non per farci paura, ma per rafforzare la fede nella risurrezione istantanea, totale e pasquale di tutti noi.

Quante brave persone mi hanno aiutato nel mio ministero di 18 anni! Ne nomino solo alcune: le affezionate e precise sagrestane Vittorina e Maria Colleoni, con l’onnipresente Stefano Milesi, il folto gruppo delle donne che curavano la pulizia e il decoro della chiesa, quelle che si onoravano di tenere, quasi con santa gelosia, i diversi altari..., il Pasquale Viscardi (Ciali), la Rachele e la Lidia del povero Mario Adobati, sempre puntuale anche alla catechesi domenicale.

Mi hanno incoraggiato e sorretto i ragazzi, i giovani, gli uomini e le donne dell’Oratorio, i catechisti, gli operatori pastorali, i vari gruppi impegnati nelle diverse attività, il consiglio per gli affari economici e gli altri consigli, la redazione del Bollettino Parrocchiale e quelle pazienti donne che lo distribuivano casa per casa, i membri della Curnaschese, del GS Curnasco, dell’AVIS – AIDO, dei Caduti, dell’Aeronautica con il Maresciallo Roberto Iurato, dei Bersaglieri con l’indimenticabile Cav. Bianco Giovanni, della Banda del Bepo, e della Schola Cantorum..., tutti quanti i nostri saggi anziani e tutti gli altri innumerevoli collaboratori e cooperatori generosi ed instancabili nelle fatiche pastorali qui a Curnasco, senza omettere di citare le singole persone che frequentavano la casa parrocchiale per essere utili in ogni necessità (come la indimenticata Regina e il marito signor Emilio), specialmente nella caritatevole assistenza a mia mamma, e dimostravano stima e fiducia in me; così pure non voglio omettere nell’elenco parziale del mio “grato ricordo” i signori Bombardieri che ornavano gratuitamente la chiesa con composizioni floreali stupende, e lo Stefano Poli, il nostro Ferruccio, il GianLuigi dello Zenone, il Cesco e il Pietro Adobati, il Sandrino Colombo che, nei primi tempi, aveva fatto tanto per l’Oratorio, eccetera...: comunque tutti dovete sentirvi ricordati e ringraziati: nessuno è escluso, o dimenticato!

E poi voglio confessarvi che ho in mente e nel cuore solo il bene ricevuto... ed è stato veramente molto: una montagna! I volti di tutti mi passano davanti agli occhi, uno per uno: siete stati sempre molto buoni... troppo buoni... con me; a tutti la mia sincera e perenne gratitudine: quanti ricordi, come dicevo, lieti e anche tristi, ci legano vicendevolmente! Per parte mia, avrei voluto rimanere sempre qui in mezzo a voi; invece il Vescovo Roberto, nel 2003, mi ha fatto l’inaspettato privilegio di essere membro effettivo del Capitolo della nostra Cattedrale: ogni mattina, in Duomo, insieme con i miei confratelli Canonici, sotto lo sguardo benedicente di S. Alessandro, nostro Patrono, e di S. Narno, nostro primo Vescovo, e sopra le tombe dei Vescovi della mia vita, celebro le lodi del Signore e il mistero eucaristico, che sono all’inizio e al centro della giornata..., e, come potete immaginare, penso spesso a tutti voi, alle nostre contrade e vie, così diverse e così attive.

Guardando indietro, debbo riconoscere che la vostra ammirevole laboriosità e la vostra sempre sorprendente intraprendenza si sono unite ai miei sforzi nel servirvi da parroco; insieme abbiamo vissuto, in 18 anni, momenti di reciproca intesa, di intenso lavoro, di luminose realizzazioni (ripristino dell’Oratorio, restauro radicale e completo della chiesa e della sagrestia con ogni suo arredo, mantenimento e ampliamento dell’Asilo con la realizzazione del Micronido); abbiamo condiviso con il cuore lacrimante giornate tragiche e piene di dolore: Bombonati, Denis e Christian...: con noi, però, c’era sempre il Signore, e la Madonna, alla quale siamo molto devoti, ci ha sempre elargito la sua protezione e consolazione; abbiamo avuto la grazia di conoscere, stimare e accogliere con gioia e con venerazione i sacerdoti nativi mons. Mansueto Callioni, mio amico da sempre; mons. Virginio Invernici, don Giacomo Invernizzi, don Camillo Mistrini, don Ivan Alberti, i Padri Franco Oberti, Luigi Alberti, e Giovanni Benetti (e ricordo anche fratel Germano Bonacina); e poi quelli che collaboravano direttamente nella pastorale, come mons. Gianfranco Rota Graziosi, Don Santino Pesenti, Don Pietro Assolari, mons. Antonio Locatelli, mons. Ubaldo Nava, ecc., e anche i diaconi divenuti poi preti, come don Gilberto Sessantini, ecc.

Questa sera celebriamo la Messa della solennità in onore della Madonna: ella sa tutte queste ed altre cose; le ho comunicate anche a voi, cari amici, perché, insieme con il signor prevosto don Stefano Bolognini, vi uniate alla mia grande riconoscenza a lei e a Gesù in questi giorni del “grato ricordo” per il 50° di ordinazione sacerdotale. Così sia. Amen.

Curnasco, Domenica 12 ottobre 2014, ore 18 = dopo la processione

1) Innanzitutto, prima della benedizione e del gesto di venerazione alla Madonna con il bacio della Reliquia, debbo fare una pubblica confessione e una preghiera di ringraziamento.

a) La confessione: questi cinquanta anni di sacerdozio sono passati con la velocità del fulmine e sento il dovere di dire che sono assai dispiaciuto di non aver amato e servito Gesù come sempre ho ardentemente desiderato; però so per esperienza che egli è buono, mi conosce a fondo, mi capisce, e colma le mie lacune: dove non sono arrivato io, Gesù, al quale ho consacrato tutta la mia vita, mi ha addirittura preceduto ed ha sempre colmato i vuoti lasciati da me; con semplicità, aggiungo anche che, pur non avendo fatto mai abbastanza per il Signore, nel mio sacerdozio, ho agito però costantemente con molto entusiasmo, senza badare a sacrifici e con tutto l’amore di cui sono capace; anche oggi voglio ripetere a Gesù che lo amo con tutto il cuore, che ho avuto sempre grande cura dei miei numerosi parrocchiani delle diverse parrocchie in cui sono stato mandato dal Vescovo: li ho aiutati ad avere fede in lui e con loro ho celebrato le sue lodi.

b) Dopo questa confessione, ecco la mia personale riconoscenza alla Madonna perché, per grazia di Dio, senza cantarle “Recordare, pia Mater”, non ha mai perso la “memoria”, cioé non solo si è sempre ricordata di me, anzi, e anche, e meglio, mi ha sempre tenuto presente nel suo cuore: anche qui a Curnasco ho insegnato ed imparato ad essere devoto e riconoscente alla Madonna.

2) Poi vorrei, insieme con voi, presentare alla Madonna i nostri sacerdoti: i parroci che si sono succeduti nel servizio pastorale qui nella nostra comunità: dal paradiso ci guidano ancora verso la casa del Signore; in particolare, ci saluta don Franco Cavalieri, mio immediato predecessore; però questa sera, vi esorto a pregare per don Stefano: è il buon pastore dei nostri giorni: seguiamolo, incoraggiamolo, ed aiutiamolo.

3) Infine, tutti insieme, concordemente, ci affidiamo alla protezione della Madonna, e le raccomandiamo i nostri bambini, i ragazzi, i giovani: sono sempre il centro dei nostri interessi e delle nostre attese.

E non dimentichiamo i nostri anziani: la Madonna non li abbandona mai e neppure noi ci tiriamo indietro nel dolce compito di assisterli e di accompagnarli; invochiamo la Vergine Maria “Salus infirmorum” per i nostri ammalati e sofferenti ed assicuriamo a loro la nostra vicinanza spirituale e materiale.

* Ed ora il grato saluto e, per intercessione della Madonna, dei Santi Nazario e Celso e Zenone, la benedizione a tutti quanti voi, cari fedeli fratelli di Curnasco, che, parafrasando una espressione cara a mons. Guglielmo Carozzi, siete la parrocchia più bella del mondo!

50° di Sacerdozio (Per ‘Alere’)

Germen plantationis meae, opus manus meae = germoglio della mia piantagione, lavoro delle mie mani” (Isaia 60, 21).

Sono cinquanta anni che ascolto e medito, sempre più sbigottito ed incredulo che capitasse proprio a me, questa espressione e molte altre belle parole che il Signore mi ha rivolto, e ancora mi ripete ogni giorno, chiamandomi al sacerdozio.

Nella ricorrenza del 50° della mia ordinazione sacerdotale, mi limito a ricordare don Luigi Bellini, il prete che, a Valleve, preparandomi alla Cresima (allora la si amministrava in tenera età, prima della Comunione), mi donava ogni volta un ‘santino’, e, un giorno, mi domandò a bruciapelo: “Non ti piacerebbe fare il parroco?”, e mi raccomandò di pregare la Mamma di Gesù; lo feci aiutato dalla mia nonna paterna a cui avevo confidato tale segreto: ella mi regalò pure una statuetta della Madonna.

Da allora una folla di buone persone mi incoraggiò in questa scelta e facilitò il mio cammino verso l’altare.

Non posso dimenticare la gioiosa aspettativa di mio papà Riccardo che, purtroppo, morì giovanissimo, 60 anni fa, ad appena 45 anni, e mi vide sacerdote dal Paradiso, e nemmeno l’umile servizio di mia mamma Maria, la ‘serva del Signore!’, che mi è stata sempre accanto con tutto il suo affetto fino al suo ultimo respiro.

Innumerevoli sono i sacerdoti che mi furono di esempio; alcuni li ho esaltati nella biografia di mons. Luigi Cortesi, figura luminosissima del nostro Clero (Un Sacerdote al servizio della Verità, Editrice Corponove 2013); tutti quanti li vedo ogni mattina nella celebrazione della Messa insieme con i defunti delle comunità parrocchiali della mia vita sacerdotale.

Questi cinquanta anni sono passati con la velocità del fulmine e sento subito il dovere di dire che sono assai dispiaciuto di non aver amato e servito Gesù come sempre ho ardentemente desiderato; però so per esperienza che egli è buono, mi conosce, mi capisce, e colma le mie lacune; con semplicità, aggiungo anche che, pur non avendo fatto mai abbastanza per il Signore, ho sempre agito però con molto entusiasmo, senza badare a sacrifici e con tutto l’amore di cui sono capace.

In fondo al cuore c’è il rammarico di non essere riuscito ad essere più buono e a fare di più e di meglio per Gesù al quale ho consacrato tutta la mia vita; ma c’è anche tanta riconoscenza alla Madonna perché, per grazia di Dio, senza cantarle Recordare, pia Mater, non ha mai perso la “memoria”, cioé non solo si è sempre ricordata di me, anzi e anche e meglio, mi ha sempre tenuto presente nel suo cuore.

Sincera sgorga da tutto il mio essere la preghiera: “Perfice quem plantavit dextera tua, et respice super filium hominis quem confirmasti tibi = proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, e guarda il germoglio che ti sei coltivato” (Salmo 79, 16).

Mi auguro che tanti amici si uniscano alla mia umile implorazione in questi giorni del ‘grato ricordo’.

don Umberto Midali

50° di Sacerdozio (Duomo, venerdì 30 maggio 2014, ore 8.15)

Carissimi confratelli Canonici e voi pii fedeli, in prima battuta, insieme con tutti voi, voglio ringraziare di cuore mons. Giovanni Bui che, con signorile sensibilità e delicatezza, ha provveduto a questa celebrazione del mio 50° di ordinazione sacerdotale e a tante cose che esso comporta: grazie!

Nei ringraziamenti, la precedenza assoluta, però, spetta al Signore che mi ha chiamato alla sua sequela e al suo servizio fin da bambino.

Ogni giorno che passa mi sorprendo sempre maggiormente sbigottito ed incredulo che capitasse proprio a me di essere considerato da Gesù ‘germoglio della sua piantagione, lavoro delle sue mani’ (Cfr. Isaia 60, 21).

Ricordo che nel lontano 1945, a Valleve, don Luigi Bellini, mentre mi preparava alla Cresima (allora la si amministrava in tenera età, prima della Comunione), mi donava ad ogni incontro un ‘santino’: un giorno, mi domandò a bruciapelo: “Non ti piacerebbe fare il prete?”; gli risposi: “Sì”, e lui mi raccomandò di pregare la Mamma di Gesù; lo feci aiutato dalla mia nonna paterna a cui avevo confidato tale segreto: ella mi regalò pure una statuetta della Madonna davanti alla quale pregavo ogni sera.

Da allora una folla immensa di buone persone mi incoraggiò in questa scelta e facilitò il mio cammino verso l’altare.

Non posso dimenticare la gioiosa aspettativa di mio papà Riccardo che, purtroppo, morì giovanissimo, 60 anni fa, ad appena 45 anni, e mi vide sacerdote dal Paradiso, e nemmeno potrò mai dimenticare l’umile servizio di mia mamma Maria, la ‘serva del Signore!’ (Cfr. Luca 1, 38), che mi è stata sempre accanto con tutto il suo affetto fino al suo ultimo respiro.

Innumerevoli sono i sacerdoti che mi furono di esempio; alcuni, specialmente i superiori e gli insegnanti di Seminario, li ho esaltati nella biografia di mons. Luigi Cortesi, figura luminosissima del nostro Clero (Un Sacerdote al servizio della Verità, Editrice Corponove 2013); tutti quanti li vedo ogni mattina nella celebrazione della Messa insieme con i defunti delle comunità parrocchiali della mia vita sacerdotale.

Nella ricorrenza del 50° della mia ordinazione sacerdotale, esprimo al Signore tutta la mia riconoscenza per il dono che mi ha elargito, attraverso il Vescovo, di essere membro effettivo del Capitolo della nostra Cattedrale: qui ho ritrovato mons. Conelio Locatelli, mio antico Padre Spirituale a Clusone, e mons. Luigi Pagnoni, Vicerettore negli anni del Liceo qui a Bergamo; insieme con S.E. mons. Bruno Foresti, già Vescovo di Brescia, sono gli unici superstiti dei tempi della preparazione al sacerdozio.

In seno al Capitolo, vivo la bella esperienza di sentirmi in famiglia: vi aleggiano i preziosi ed insostituibili sentimenti di reciproca stima, amicizia, e ‘comunione fraterna’: ci vogliamo bene, andiamo d’accordo, ci sopportiamo a vicenda anche nei nostri difetti, sentiamo il desiderio di migliorarci nel nostro servizio sacerdotale e di darci reciprocamente buon esempio, che, tra l’altro, ci viene soprattutto dai ‘diversamente giovani’.

Ogni mattina, ringrazio Gesù che mi concede di riunirmi ai miei confratelli Canonici, anche con l’indimenticabile caro mons. Balicco e mons. Arrigo Arrigoni: con grande gioia interiore, ci sentiamo proprio ‘un cuore solo e un’anima sola’ (Atti degli Apostoli 4, 32), celebriamo le lodi del Signore e il mistero eucaristico, che sono all’inizio e al centro della nostra giornata: tutto questo sotto lo sguardo benedicente di S. Alessandro, nostro Patrono, e di S. Narno, nostro primo Vescovo, e sopra le tombe dei Vescovi della nostra vita.

Questi cinquanta anni sono passati con la velocità del fulmine e sento subito il dovere di dire che sono assai dispiaciuto di non aver amato e servito Gesù come sempre ho ardentemente desiderato; però so per esperienza che egli è buono, mi conosce, mi capisce, e colma le mie lacune; con semplicità, aggiungo anche che, pur non avendo fatto mai abbastanza per il Signore, ho sempre agito però con molto entusiasmo, senza badare a sacrifici e con tutto l’amore di cui sono capace.

In fondo al cuore c’è il rammarico di non essere riuscito ad essere più buono e a fare di più e di meglio per Gesù al quale ho consacrato tutta la mia vita; ma c’è anche tanta riconoscenza alla Madonna perché, per grazia di Dio, senza cantarle ‘Recordare, pia Mater’, non ha mai perso la “memoria”, cioé non solo si è sempre ricordata di me, anzi e anche e meglio, mi ha sempre tenuto presente nel suo cuore...: questa, sono certo, è pure la certezza di ognuno di noi.

Sincera sgorga da tutto il mio essere la preghiera: “Perfice quem plantavit dextera tua, et respice super filium hominis quem confirmasti tibi = proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, e guarda il germoglio che ti sei coltivato” (Salmo 79, 16).

Mi auguro che tanti amici si uniscano alla mia umile implorazione in questi giorni del ‘grato ricordo’: grazie di nuovo a tutti: a Gesù e a voi!

55° di Sacerdozio (Per il Prevosto Don Stefano di Sorisole, 2019: Bollettino Parrocchiale: Bergamo, 16 ottobre 2014)

Molta gente di Sorisole la conosce perché da anni abita nella nostra comunità. Vuole brevemente tracciare il percorso della sua vita?

* Innanzitto devo precisare che dal 2003 ho fissato la mia residenza in Sorisole, in Via Don Ribbi, 19. Però non è appropriato affermare che vi “abito”, perché il mio domicilio abituale è a Bergamo nella Casa dei Canonici del Capitolo della Cattedrale, Passaggio Ca’ Longa, 3. A Sorisole vengo quasi tutti i giorni perché qui ho Carlo, Luciana e Bruno Zoccoli che mi preparano il cibo quodidiano che a Bergamo non potrei avere: dopo la morte di mia mamma Maria, non ho nessuno che mi accudisca se non loro; ogni sera, dopo la cena, però ritorno a Bergamo sicché, al mattino, sono sul posto per celebrare la Messa in Duomo insieme con gli altri Canonici. Qui a Sorisole lavoro quasi tutto il giorno al Computer per predisporre i libri di cui parlerò più avanti.

Fatta questa precisazione, confesso con fierezza che sono assai soddisfatto ed onorato di trovarmi a Sorisole: qui non poche volte sono invitato dal Prevosto per le Cresime, per le celebrazioni di feste solenni, o anche per aiutare nel ministero...; conosco varie persone, tutte persone semplici, cordiali, squisite, meravigliose; condivido con alcuni di loro il mio “hobby” preferito: gli uccelli; parlo volentieri con tutti quelli che mi succede di incontrare...; insomma, mi trovo a mio agio.

Ultimamente, siccome gli anni passano velocemente, e intravvedo le difficoltà che verranno dall’età che avanza galoppante, ho pensato che lascerò Bergamo per stare sempre qui in mezzo ai cari sorisolesi.

Sappiamo che lei ha pubblicato diversi libri. Come si relaziona il ministero sacerdotale con quello di uomo di cultura?

Beh! Uomo di cultura è decisamente troppo, anche se debbo ammettere che la passione per lo studio mi ha sempre accompagnato sin da bambino, e specialmente in Seminario. Quando il Vescovo Roberto mi scelse come Canonico del Capitolo Cattedrale e Monsignore, mi disse: “In tal modo potrai dedicarti ai tuoi studi e, in particolare, alla conservazione del ricco patrimonio culturale di Mons. Luigi Cortesi”.

Ecco, questo ora è il lavoro quotidiano che mi impegna di più, e mi tiene attivo – “giovane”, e pieno di interessi. I frutti li potrete conoscere consultando Don Umberto Midali - Google Sites: vi sarà possibile non solo aggiornarvi sulle pubblicazioni fino ad ora prodotte, e che ho donato anche alla nostra Biblioteca Comunale, ma altresì conoscere i passi più importanti del percorso della mia vita.

Durante importanti feste liturgiche la vediamo indossare un abito un po’ diverso da quello del semplice prete. Quale è il suo ruolo all’interno della Diocesi e come si diventa Monsignore?

Come si diventa Monsignore? Non lo so neppure io. Mi è capitato, e sono ancora incredulo a tutt’oggi: non so quali meriti abbia io più di tutti gli altri miei confratelli sacerdoti che hanno faticato e lavorano instancabilmente nel campo del Regno di Dio, e che io stimo assai migliori di me, perciò li amo e li venero.

Quando il Vescovo Roberto, tutto compiaciuto, mi comunicò la sua volontà di nominarmi Canonico e Monsignore, gli obiettai: “Ma mi sta prendendo in giro?”.

Diventò rosso di fuoco, e capii che forse lo stavo offendendo, e così accettai senza più obiettare la sua decisione.

L’abito rosso – paonazzo (o anche la veste nera filettata di rosso), la fascia, e la croce pettorale [con l’immagine di S. Alessandro] sono le insegne ufficiali dei Canonici; quando, in Duomo, ci sono le grandi ricorrenze, la divisa è ancora più ricca e solenne perché si tratta di accogliere aall’ingresso il Vescovo ed assisterlo nelle cerimonie.

Per il suo incarico pastorale oscilla tra Sorisole, la Cattedrale e le diverse Parrocchie della Diocesi. Quale visione si è fatto della nostra Parrocchia?

Un’impressione, anzi una convinzione, più che ottima.

Così è per tante comunità che ho avuto, ed ho la fortuna, di visitare per il servizio pastorale.

Però per Sorisole, lo devo ammettere, ho un debole.

Penso che ancora ai nostri tempi durino, e si stiano manifestando, qui da noi, i frutti dell’opera del nostro “Preòst Sant”, Don Rubbi: la nostra Chiesa è molto attiva e vivace perché da lui ha ricevuto impulso ed ancora riceve aiuto.

Il popolo di Dio che è in Sorisole sta camminando sulla via tracciata da tanti buoni pastori degli anni passati [parecchi di essi li ho conosciuti personalmente] ed ora dal dinamico Don Stefano.

Noi di Sorisole [e questo è un dato che ci fa particolarmente onore] abbiamo dato alla Chiesa numerosi sacerdoti, religiosi e missionari.

Quest’anno lei festeggia 55 anni di Ordinazione Sacerdotale. Come considera la vocazione sacerdotale e quale augurio ci vuole affidare?

Per il mio 55°, cari Sorisolesi, oso chiedere alla vostra amabilità comprensione e carità; aiutatemi a ringraziare il Signore per il ministero che mi ha affidato e per quel poco di bene che sono riuscito a compiere, e chiedete insieme con me, pietà e misericordia per quanto non ho fatto bene, per ciò che ho omesso...

A proposito di vocazioni, vi confido che ogni volta che mi reco in qualche Parrocchia, chiedo sempre ai chierichetti e ai bambini – ragazzi in genere, se non hanno mai pensato di diventare Sacerdoti, e li esorto a pregare la Madonna, la Mamma di Gesù, che li illuminerà nell’individuare la via da seguire. Diverse volte ho avuto occasione di suggerire al Vescovo Francesco di rivolgere la medesima domanda agli innumerevoli chierichetti e bambini – ragazzi che incontra nelle sue visite alle nostre comunità.

Ritornando sul tema della nostra Parrocchia, prego per i sacerdoti di ieri, di oggi, e di domani.

* Prego per i sacerdoti di ieri: sono tanti e di diversa caratura spirituale; sono passati in mezzo a noi, ci hanno fatto conoscere ed amare Gesù, hanno fatto tanto bene...; ora sono in Paradiso e noi li ricordiamo con riconoscenza, e li invochiamo come nostri angeli tutelari presso il Signore.

* Prego per i sacerdoti di oggi. Innanzitutto per il nostro Prevosto Don Stefano: mi voglio congratulare con lui per tutto il bene che ha già operato in mezzo a noi: vedendolo sempre presente e dinamico, vedo in lui Gesù stesso completamente disponibile a tutte le ore, per tutti, e in tutti i luoghi...: davvero rende presente il Signore, e davvero, come ogni altro Sacerdote, “è un uomo mangiato” (Cfr. Antoine Chevrier [* Lione, 26 aprile 1826; + Lione, 2 ottobre 1879], Le veritable disciple, ed. Prado, Lyon 1968, p. 101): vive proprio le parole della consacrazione: “Prendete e mangiate... Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”; auguro, dunque a Don Stefano di continuare con il fervore, con l’entusiasmo, e con la semplicità che lo contraddistinguono nel ministero di “Buon Pastore” delle nostre anime.

* Infine, prego ed opero per i sacerdoti di domani: siamo giunti al “punto dolente”: infatti, siamo tutti sconcertati ed addolorati per l’impressionante diminuzione delle vocazioni sacerdotali: ci rivolgiamo a Gesù e gli gridiamo: “Non ti interessa che domani non ci saranno più buoni e tanti pastori nelle nostre comunità? Che cosa fai? Dormi?”. Gesù ci risponde: “Svegliatevi voi, piuttosto, e pregate perché il padrone della messe mandi operai (Cfr. Matteo 9, 37 – 38); svegliatevi e siate severamente ed autorevolmente intransigenti sui principi e sui valori della famiglia unica – totale – stabile – indissolubile, aperta alla vita, e al servizio di Dio e del prossimo; coltivate la formazione delle nuove generazioni ai valori della donazione gioiosa, della immolazione totale, del sacrificio disinteressato”.

Riassumo queste considerazioni sulle vocazioni con le parole e con l’augurio di S. Agostino: “Dio voglia che non manchino ai nostri giorni buoni pastori; Dio non permetta che ne rimaniamo privi; la sua bontà misericordiosa li faccia germogliare e li costituisca a capo delle Chiese...; se vi sono delle buone pecore [cioé delle famiglie, dei genitori, e dei fedeli veramente cristiani], vi saranno anche buoni pastori, perché dalle buone pecore si formano i buoni pastori” (Cfr. Discorsi, 46, 29 – 30).

55° anniversario di Ordinazione Sacerdotale

(Per il Bollettino Parrocchiale di Trescore Balneario – 2019)

In occasione del 55° anniversario di Ordinazione Sacerdotale, ho deciso di festeggiare, più che la mia persona, i sacerdoti che, in Trescore, mi hanno fatto tanto bene contribuendo in vario modo alla mia formazione al Sacerdozio.

Incomincio dal Prevosto Don Giuseppe Mojoli: io direttamente non l’ho conosciuto questo sacerdote, perché è volato in Paradiso proprio alla vigilia della mia Prima Comunione che avvenne il 15 maggio 1947. Chi me lo ha fatto conoscere ed amare come fulminea fulgida ed indelebile luce della mia infanzia è stata mia mamma Maria. Mi parlava di lui frequentemente, lo considerava e me lo dipingeva come un santo; mi raccontava anche un episodio del tempo in cui io, appena nato, sopravissuto per miracolo ai travagli di un parto difficilissimo, non mi nutrivo: fece ricorso al Prevosto per una benedizione speciale, e lui le disse: “Va’ a casa, Maria, che il tuo Umbertino si nutrirà e vivrà”; inoltre, mi ricordava le omelie e le dottrine di Don Mojoli, ed evidenziava che erano ricche di citazioni dei Santi Padri.

Di questo mio insigne Prevosto conservo come reliquie varie opere di S. Gerolamo, S. Ambrogio, S. Ireneo, S. Ilario di Poitiers, ecc.: me le aveva cedute l’allora Don Leone Algisi, che è sempre nel mio cuore: era compaesano e mio apprezzatissimo Professore in Seminario.

La tomba di Don Mojoli era sempre ornata di fiori freschi e di quadretti con le iniziali “G.R.”: la gente era assai devota a questo sacerdote singolare, e ricordo che, quando il suo successore Don Giovanni Pellegrinelli fece affrescare dai pittori Manini (padre e figlio) la cupola della prepositurale, mia mamma, durante una ‘congrega’ delle donne, ardì richiamarlo energicamente perché, fra i vari personaggi, non aveva fatto ritrarre il ‘suo’ Don Mojoli.

A quell’epoca, Don Mario Mosconi, era il curato maggiore. Alcuni ricordi: al mattino presto, gli servivo Messa; con voce squillante pronunciava le sue omelie dal pulpito e le iniziava sempre: “Carissimi fratelli...”; dirigeva la “Schola Cantorum” dall’alto della tribuna dell’organo ed eseguiva soprattutto la Messa Pontificale Prima del Perosi; mi confessò alla vigilia della mia Prima Comunione. Avrebbe, almeno questa è la leggenda metropolitana, desiderato diventare Prevosto di Trescore; invece fu mandato Parroco a Vigano S. Martino, dove morì improvvisamente sulla strada mentre leggeva il Breviario.

Don Giovanni Pellegrinelli fu il successore di Don Mojoli. A me bambino, appena lo vidi, venne spontaneo considerarlo persona simpatica e degna di molto affetto. Mi colpì subito la sua passione per il decoro della prepositurale, per la precisione e la puntualità nelle celebrazioni che voleva sempre solenni e partecipate da me e dai miei compagni chierichetti prima e seminaristi poi. Mi chiamava “Midalino” e a me pareva di essere il suo prediletto; veniva spesso a casa mia in Via Minella, 3; mia mamma, appena lo vedeva in arrivo, apostrofava mio papà Riccardo: “Te, poarì, tè se spesègheret a trà fò ol blochèt di asègn...”: lei, più che sorella della generosità abbondante, era piuttosto parente stretta della “Contessa Tenaia = tenaglia = tirchia = crosta...”. Mio papà, invece, davvero faceva cospicue offerte al Signor Prevosto [mi aveva insegnato ed esigeva che lo chiamassi sempre “Sciùr Preòst”]: quella indimenticabile e più abbondante, fu la cifra donata, per sua libera iniziativa, per una delle 10 campane della chiesa di Trescore, e, sulla lapide dedicata ai benefattori, volle che si incidesse non il suo, ma il mio nome; ho controllato di recente e vi si legge ancora: “U. Midali”; mi piace pensare che, quando suonano le campane della chiesa del mio paese per chiamare i fedeli alle sacre convocazioni, una “voce” è la mia, e continuerà a risonare anche quando io sarò entrato nella Pasqua eterna di Gesù. Del Prevosto, anzi del mio “Sciùr Preòst”, ricordo che, anche dopo l’Ordinazione Sacerdotale, il 27 dicembre di ogni anno, insieme con mia mamma, mi recavo da lui per porgergli gli auguri di buon onomastico. Nutrivo per lui stima e riconoscenza: quando il Vescovo Roberto mi disse che intendeva nominarmi Canonico del Capitolo della Cattedrale e Monsignore, gli espressi il mio rincrescimento che tale onore non fosse mai stato conferito a lui che lo aveva sempre desideratro ed atteso invano.

Al Santuario della Madonna del Castello era cappellano Don Severo Bortolotti che mi insegnò ad essere chierichetto e che poi rincontrai come Prevosto in Loreto di Città Bassa, Rettore del Seminario, Vicario Generale [quando mi comunicò la nomina a Parroco di Grone, mi disse che quella buona gente voleva un Parroco che cantasse bene...] e Canonico: nella casa canonica di Passaggio Ca’ Longa, 3, a Bergamo, in Duomo, occupo l’appartamento che fu suo per diversi anni, sino alla morte: debbo dire che, anche per questo, è un sacerdote proprio sempre “di casa”.

A sostituirlo venne Don Giuseppe Bonomi: invece di “Don Giosep”, lo chiamavamo, “San Giosep”: era veramente un uomo di Dio; il suo primo servizio lo svolse nell’accoglienza e nelle processioni della “Madonna Pellegrina”; non era predicatore, a causa di una leggera balbuzie, ma ha lasciato una lezione a tutti come Confessore assiduo, instancabile, paziente, buono, misericordioso..., assolutamente come Gesù [era anche mio Confessore]; quando ero Cerimoniere in Duomo, da giovane chierico, Mons. Geremia Pacchiani mi parlava spesso di lui, ne tesseva le lodi, e sottolineava che il troppo confessionale gli aveva minato la salute. Indimenticabili sono i primi venerdì del mese: in Vespa, e più avanti, in “600”, assai volentieri, io lo portavo dagli innumerevoli ammalati per la Confessione e per la Comunione.

Un altro storico ed esemplare curato è Don Felice Colleoni: visse completamente dedito all’Oratorio, ai bambini, ai ragazzi e ai giovani; era povero, e da povero viveva. Aveva il “tricorno” così logoro che si afflosciava, e io non riuscivo mai a porgerglielo quando si siedeva al “banco dei parati” alle Messe Solenni; pensai allora di acquistargliene uno nuovo; perciò, con l’incoraggiamento di mio papà, mi recai a Bergamo, ma il mio viaggio andò a vuoto perchè non sapevo la misura giusta; allora ritornai alla carica: con una “geniale pensata” attorcigliai uno spago all’interno del berretto in parola; lo presentai al rivenditore, e, finalmente, l’impresa ebbe risultato positivo. Don Felice accettò il mio dono con un sorriso tra l’ironico, il commosso e il compiaciuto. Mi voleva bene e mi chiamava “Umba”; quando mi confidavo con lui per alcuni crucci, lui che era “Felice” di nome, ma, di fatto, aveva le sue croci che lo obbligavano ad essere “infelice”, mi accennava ai suoi di crucci e mi congedava bonariamente con questa battuta: “Ol ‘Marturì’ de la Badèa a l’è mort per i fastode di oter”. Era contento che mia mamma, in questo caso, meno “crosta”, regalava stracchino e burro a sua mamma; le sue sorelle Bambina e Giuseppina mi aiutarono a scrivere a macchina certi miei “lavoretti” che svolsi durante le vacanze.

Anche Don Pietro Pandolfi lasciò la sua impronta nella mia formazione. Abitava nella casa adiacente alla chiesina di S. Bartolomeo, dove io ero stato da bambino, ospite di Don Lorenzi, che ricordo vagamente, ma che prego sempre insieme con Don Mojoli. Il ruolo di Don Pietro era quello di Cerimoniere: dirigeva le funzioni con maestria ed eleganza; indossava una cotta speciale del Settecento e portava il bastone argentato del maestro delle cerimonie: anche alla nostra Prima Messa fu presente. La sua fisionomia mi è sempre rimasta impressa perché, tra l’altro, assomigliava tanto al S. Pietro dei “Busti” del Filiberti e alle altre raffigurazioni della nostra chiesa. Si ricordò di me quando era Parroco di S. Antonio d’Adda: mi chiamò in diverse circostanze per la predicazione e per le Confessioni. Quando mi recavo nella sua parrocchia, era fiero di mostrarmi i restauri che egli via via andava facendo con tanta passione e competenza.

Don Giuseppe Stival fu il successore in San Bartolomeo di Don Pandolfi; era alto di statura e appariva ritto e fiero nel portamento; aveva acquistato l’automobile “Anglia” e noi seminaristi lo canzonavamo quando ne suonava il claxon perché aveva un suono buffo e divertente. Quando a Berbenno mi venne a mancare il Prevosto Don Guido Radici, lo cercai nella sua casa e gli chiesi se gli sarebbe piaciuto venire nella Parrocchia di Berbenno. Mi disse che sarebbe venuto volentieri non fosse altro perchè vi ero io come curato. Nel ritorno, mi presentai al Vescovo Clemente [era oramai sera e stava recitando il Rosario]: il Vescovo mi accolse amabilmente, e io gli riferii del colloquio con “Don Bepino”, ma, con la sua proverbiale franchezza, mi disse che toccava a lui e non a me nominare i Parroci. Però il giorno dopo Don Stival fu convocato in Curia ed ebbe la nomina di Prevosto di Berbenno. Subito venne in casa mia e gli mostrai la canonica e la chiesa; poi venne a Berbenno con Pasqualì Gualini per studiare il riscaldamento della casa parrocchiale. Gli organizzai una bella festa di ingresso e di accoglienza. Purtroppo non posso dire che sia stato riconoscente per le mie iniziative ed attenzioni. Si ammalò e, visitandolo all’Ospedale, mi domandò scusa “per avermi trattato male”, così mi disse piangendo.

Infine non posso dimenticare Don Carlo Ruggeri. Quando venne a Trescore, noi seminaristi lo classificammo come “prete ricco”, perché aveva un paio di scarpe all’inglese. Era molto spiccio nella celebrazione della Messa, e anche nell’amministrazione del Sacramento della misericordia: mio papà lo volle subito “rodaggiare”, e andò da lui a confessarsi...: ritornato a casa sembrava un po’ deluso perché disse che fu una cosa brevissima, come consegnare una lettera e poi essere spedito via subito. Per noi seminaristi prima, e preti novelli dopo, aveva sincero apprezzamento e venerazione. L’ultima volta che lo vidi, era già 98 – 99enne, mi baciò le mani come il giorno dell’Ordinazione. Partecipai al suo funerale tra la commossa e riconoscente partecipazione di tutta Trescore.

Ho voluto rendere omaggio a queste venerate persone che ora sono certamente nello splendore eterno della Risurrezione di Gesù: con loro è intercorso un rapporto di grande famigliarità e di amicizia, pur nel grande rispetto che mi aveva insegnato mio papà Riccardo per i ministri di Dio. Sono i protettori di tutta la nostra comunità cristiana di Trescore. Confido che continuino ad assisterci tutti quanti, a sostenere pure me, insieme con Mons. Bertuletti e Mons. Facchinetti, ai quali porgo i miei sinceri complimenti ed auguri per questo comune felice traguardo. Mons. Umberto Midali

56° anniversario di Ordinazione Sacerdotale

(Per il Bollettino Parrocchiale di Trescore Balneario – 2020)

Mons. ANGELO MELI

L’anno scorso, in occasione dei miei 55 anni di ordinazione presbiterale, ho ricordato i sacerdoti che, in Trescore, mi hanno fatto tanto bene contribuendo in vario modo alla mia formazione al Sacerdozio. Avevo “dimenticato per un caso fatto apposta” la figura di Mons. Angelo Meli (1), perchè mi ero proposto di parlarne a parte e un po’ più diffusamente.

Lo faccio oggi nella “memoria” del 50° della sua morte.

Io lo conobbi a Trescore, quando ero un ragazzino, più per la fama di cui godeva presso i concittadini che personalmente; invece lo conobbi per contatto diretto nel Seminario di Bergamo da giovane Seminarista: la prima ed incancellabile impressione fu di un Sacerdote non solo dottissimo, ma anche e soprattutto pio e santo.

Precedentemente aveva insegnato Scienze Bibliche con rara competenza e con esposizioni brillantissime ricordate dagli innumerevoli alunni formati e divenuti preti alla sua scuola.

Quando, invece, negli anni 60, fu incaricato di insegnare Retorica ai Teologi oramai prossimi al Sacerdozio, lo seguii con interesse nell’insegnamento di questa disciplina e ricordo ancora con profonda commozione la preparazione, la perizia, e il fervore con cui esponeva le sue convinzioni; in particolare non dimenticherò mai l’insistenza con cui si soffermava sul tema della “parresìa = παρρησία = franchezza nell’annunciare”.

Di queste lezioni è rimasto l’articolo La sacra predicazione di Mons. Angelo Meli in un ciclostilato dell’Ufficio Catechistico Diocesano del 6 settembre 1961, Prot. N° 1386, a cura di don Angiolino Nodari (2).

Da chierico, con i miei condiscepoli, mi recavo spesso in Santa Maria Maggiore per ascoltare le sue Omelie, e, soprattutto, anche par assaporare la famose “Sette Parole” che concludevano il Quaresimale.

Anche da giovane Sacerdote ebbi l’occasione di incontrarlo più volte: quando apparivano su “La Domenica del Popolo” i miei articoli a carattere biblico – liturgico, mi fermava per strada, fuori del suo “regno”, Santa Maria Maggiore, davanti alla sua casa, si complimentava con me, e non mi lasciava mancare le sue sapienti osservazioni e i suoi preziosi consigli di specialista in materia, ed aveva sempre una parola incoraggiante, accompagnata da un amabile sorriso, che mi incitatva a proseguire nell’attività giornalistica.

Mons. Meli, fisicamente, non si faceva notare per il suo aspetto: era un tipo mingherlino, smilzo, dai lineamenti ben delineati e delicati; era di salute debole, e mi ricordo che parecchi insegnanti del Seminario, suoi colleghi ed estimatori, mi avevano ripetuto spesso che questo mio egregio compaesano sarebbe stato un eccellente Vescovo se non avesse seriamente compromesso le precarie condizioni fisiche con il molto, anzi... troppo, lavoro.

Mons. Meli era assai affiatato e legato da intima amicizia con il Vescovo Adriano Bernareggi, iniziatore e direttore dell’Enciclopedia Ecclesiastica, e con Mons. Luigi Cortesi.

Si tratta di un brillante ed inseparabile “trio” caratterizzato dal molto, anzi... troppo, lavoro; “trio” che incise indelebilmente sulla vita culturale – religiosa della nostra terra in quegli anni.

Mons. Meli aveva avuto come alunno Mons. Luigi Cortesi: nell’anno scolastico 1933 – 1934, a lui aveva suggerito, o richiesto, una specie di esercitazione nel campo dell’esegesi dal titolo: Isaia strenuo difensore della fedeltà teocratica; gli aveva pure consigliato, o comunque approvato, lo studio I Salmi messianici.

Già nel 1937, aveva incaricato il giovane Sacerdote Cortesi di lavorare a un Dizionario che la Vallardi, con cui era in contatto e in collaborazione scientifica, avrebbe pubblicato, e lo invitò ad essere congiuntamente suo cooperatore.

Mons. Meli ebbe un ruolo di rilievo nell’impresa titanica dell’Enciclopedia Ecclesiastica (3): ne fu condirettore e collaboratore assiduo e diligente; curò sempre i reciproci contatti tra il Vescovo Bernareggi, la moltitudine dei redattori e l’Editore Vallardi; svolse il suo impegno di ricercatore e di scrittore con indefessa costanza, sempre teso a miglioramenti con “meticolosità e correttezza ammirabile(4), e fu amministratore oculato e preciso, anche con vividi raggi di umana e cristiana comprensione, di solidarietà, e di “squisita carità”, come ebbe a testimoniargli, con “stima e amore”, Faustino Salvoni da Milano: infatti, gli confessò che egli era stato “l’unico ad averlo aiutato nei momenti della miseria più nera(5).

Alla testa di tutta la poderosa opera ci fu, dall’inizio, solo lui, e subito dopo anche Mons. Cortesi: lavoravano gomito a gomito: innanzitutto, avevano il compito di predisporre ed elaborare vari “Elenchi” – “Repertorii” ed appunti in vista di una visione completa della pubblicazione; inoltre, erano incaricati ed impegnati ad individuare, nel vasto panorama degli esperti allora sulla piazza, quelli che potevano essere i collaboratori; li interpellavano e facevano loro pervenire gli “Elenchi” – “Repertori” delle varie voci dell’Enciclopedia Ecclesiastia pregandoli di scegliere e di determinare quelle che intendevano stendere, redigere, e inviare.

Ambedue erano dotati di alta competenza, avevano gusto letterario, ottime capacita di scrittura, anche immancabili doti organizzative, e facilità nei rapporti interpersonali.

Dovevano, in qualità di redattori editoriali, leggere i manoscritti – dattiloscritti pervenuti, selezionare quelli meritevoli di pubblicazione, rivederne contenuto e stile, suggerire agli autori stessi le dovute modifiche, o apportarle direttamente essi stessi, prima di passarli alle figure professionali, quali grafici e correttori di bozze, in vista della pubblicazione da parte dell’Editore.

Ai tempi effervescenti delle presunte apparizioni della Madonna a Ghiaie di Bonate, Mons. Meli fu nominato membro della Commissione costituita da Bernareggi il 28 ottobre 1944 per l’esame dei fatti dal punto di vista teologico; inoltre, il Vescovo, come avvenne per Cortesi, gli affidò il delicato incarico di leggere, analizzare ed evadere le parecchie lettere da lui ricevute per tale faccenda; il nostro illustre concittadino fu presente, insieme con Mons. Luigi Sonzogni, all’autenticazione della trascrizione manoscritta che Cortesi fece di un brano della lettera di P. Petazzi, al termine della quale, c’è la postilla: “Copia conforme, Bergamo 30 dicembre 1945. Firmato Magoni, presenti Meli e Sonzogni”; Meli, in amichevole sintonia ed intesa con Cortesi, gli dava assistenza, consigli e suggerimenti; un giorno si meravigliò, insieme con lui, per il fatto che Adelaide Roncalli, dopo essere stata per qualche giorno a casa sua, fosse stata trasferita alla Sagesse; inoltre, ricevette una lettera di P. Federico dell’Addolorata, Passionista, in cui lo scrivente, tra l’altro, esponeva le sue perplessità e domande circa la sentenza di S.E. Mons. Bernareggi [Decreto Vescovile del 30 aprile 1948, in “La Vita Diocesana”, aprile 1948, p. 75] sui fatti delle Ghiaie di Bonate.

L’Eucaristia non è solo Cristo – Vittima, ma è anche Cristo – Alimento, e la pietà eucaristica deve mantenere l’anima nostra in comunione di vita con Dio. Si lamenta la decadenza della vita cristiana in molti, troppi, cristiani. E, purtroppo, il lamento è giustificato. Il segno più evidente di questa decadenza è il deserto intorno all’altare, è l’abbandono della mensa eucaristica. Molte chiese che erano piccole sono divenute grandi, troppo grandi, perché molti non vi entrano più(Brano di manoscritto realistico e profetico di Mons. Angelo Meli, in MANOSCRITTI 8723r).

Mi sembra doveroso segnalare che il 5 – 6 Dicembre 1938, “con la nota capacità e con l’animo colmo di affettuosa ammirazione”, Mons. Meli tenne l’elogio ai funerali del Can. Prof. Luigi Raineri, suo antico insegnante “tracciandone un ritratto felicissimo(6).

Inoltre, sono al corrente che Geo Renato Crippa (Bergamo), con cuore, ammirazione ed amicizia, scrisse una “plaquette” su Mons. Meli (7).

Faccio poi presente che, nel marzo 1960, insieme con altri 12 candidati, Mons. Meli aveva presentato domanda di ammissione alla Sezione Bergamasca della Società Filosofica Italiana (8), e che egli risulta nell’elenco dei 58 Soci della stessa, al n. 42 (9).

Infine, come conclusione a questo “stelloncino”, mi piace riportare quanto affermò il nostro quotatissimo Vittorio Feltri allorché Stefano Lorenzetto gli chiese chi l’avesse presentato a “L’Eco di Bergamo”: “Monsignor Angelo Meli, il priore di Santa Maria Maggiore che aveva scoperto i resti mortali del condottiero Bartolomeo Colleoni. Mi preparò all’esame di maturità magistrale da privatista. Italiano, latino, filosofia, storia: mi insegnò tutto lui. Un giorno sbottò. ‘Te podereset fà ol giornalista’. A me tremavano le ginocchia: era il sogno della mia vita. D’istinto sarei portato a detestare i preti. Invece mi considero l’unico miscredente clericale. Provo una tale venerazione per mons. Meli che per estensione la riverso su tutti i sacerdoti. Sai, a volte capita che ti venga voglia di scrivere: questi preti bisognerebbe prenderli a calci in culo... E lì, zac, mi mordo la lingua. Perchè rivedo il priore con le calze rosse, piccolo, magro, sempre elegantissimo, fisicamente fragile. Un uccellino simile al cardinal Tonini” (1).

Mi congedo facendo presente che quando ho l’occasione di recarmi nel Cimitero di Trescore per visitare la tomba dei miei genitori e dei miei parenti, non tralascio mai di soffermarmi in meditazione e in preghiera riconoscente davanti a quella di Mons. Meli e degli altri nostri Sacerdoti che sono circondati dall’affetto di tutti noi.

Mons. Umberto Midali

––––––

(1) Meli Angelo: N. Trescore Balneario, 1 luglio 1901; ordinato a Roma il 13 aprile 1926; Studente a Roma dove conseguì la laurea in S.T. e la licenza in Scienze Bibliche (1926 – 1929); insegnante in Seminario dal 1929 al 1951 di Sacra Scrittura e di discipline sussidiarie ed affini (ebraico, greco biblico, catechetica e sacra eloquenza); Preside della Teologia (1934 – 1951); Segretario del Comitato per la compilazione dell’Enciclopedia Ecclesiastica (1937); Condirettore, Redattore e Collaboratore della stessa (dal 1942); Prelato Domestico di S. S. (1947); Priore di Santa Maria Maggiore dal 1951 sino alla morte avvenuta il 1° dicembre 1970; di mons. Meli si parla “passim, pluries et ample” in Umberto Midali, Un Sacerdote al servizio della Verità, cap. VII: L’Enciclopedia Ecclesiastica, e specialmente al § 3. Mons. Meli e mons. Cortesi Redattori.

(2) Cfr. MANOSCRITTI 2577v – 2578r.

(3) Cfr. Midali Umberto, Un Sacerdote al servizio della Verità, Corponove 2013, Cap. VII: L’Enciclopedia Ecclesiastica , pp. 141 – 145.

(4) Bernareggi a Vallardi, il 7 Giugno 1944, in MANOSCRITTI 3892v.

(5) Cfr. MANOSCRITTI 4402r: 2 Novembre 1950; MANOSCRITTI 4397v: 6 Novembre 1951.

(6) Cfr. MANOSCRITTI 8707v. 8708r.

(7) Cfr. CARTEGGIO 781: 8 maggio 1972.

(8) Cfr. MANOSCRITTI 4779v; vedi Umberto Midali, Un Sacerdote al servizio della Verità, cap. XXXV: Membro di Istituzioni e Commissioni varie, § 1. Sezione Bergamasca della Società Filosofica Italiana.

(9) Cfr. MANOSCRITTI 4782r.

(10) Lorenzetto Stefano, Tipi italiani, Vittorio Feltri, in “Il Giornale”, domenica 20 giugno 2010, p. 12 (POST MORTEM 505); cfr. Umberto Midali, Un Sacerdote al servizio della Verità, Corponove 2013, Testimonianze, § 27. Callioni mons. Mansueto, nota 1: POST MORTEM 508.

P.S.: Mi permetto di suggerire la rilettura del pregiato volumetto che il caro Dott. Mario Sigismondi preparò per il centenario della nascita di Mons. Meli e che l’Amministrazione Comunale, nel 2001 – 2002, distribuì alle nostre famiglie per le feste di Natale e Capodanno.

In “memoria” di

PIERINA MOROSINI (* Fiobbio, 7 gennaio 1931; † Bergamo, 6 aprile 1957)

Buonstampista (Articolo preparato per il Bollettino Parrocchiale di Albino: 1977)

La gioventù del nostro tempo, e anche della nostra comunità parrocchiale, sente quasi irresistibile il richiamo dei modelli di comportamento che il materialismo propone, che i mezzi della comunicazione sociale dilatano e che il luccicore del benessere rende credibili. E’ giusto che, in mezzo a questo bombardamento a tappeto che disorienta molte coscienze, venga ricordata la dolce e forte personalità di Pierina Morosini. Anche i più giovani ne hanno sentito parlare almeno una volta. Ma questo non basta: occorre conoscere questa singolare figura un po’ più profondamente.

Nata e sepolta a Fiobbio, Pierina Morosini ha avuto con Albino dei legami che non sipossono dimenticare: nel nostro capoluogo veniva a lavorare; molti di noi l’hanno conosciuta, stimata ed amata, ed ora parecchi ne invocano la protezione; nella nostra prepositurale, alla Messa prima, riceveva la S. comunione, tutte le mattine della settimana in cui doveva fare il turno dalle 6 alle 14.

Mons. Prevosto (Antonio Milesi), quale responsabile della vita spirituale, desidera che il ricordo di questa ragazza umile, laboriosa e forte nella impostazione e donazione della sua vita venga ravvivato sicché conquisti molti animi giovanili, li aiuti ad avere un ideale per cui lottare ogni giorno e li faccia così capaci di autogestirsi come uomini, come galantuomini e bravi cristiani. Perciò anche in Albino Pierina Morosini verrà commemorata a 20 anni del suo eroico sacrificio che è stato il punto culminante di tutta la sua dedizione a Dio, alla famiglia e ai fratellini, alla sua gente, agli ammalati e a tutti quelli che, come lei, si vogliono avvicinare al Signore che consola, che salva e che dà la gioia di vivere per Lui e di servirLo nel prossimo.

Il nostro Arcivescovo Mons. Clemente Gaddi, il 6 gennaio 1976, ha annunciato a tutta la Diocesi che sono state avviate le pratiche per la beatificazione di questa ragazza il cui esempio è di viva attualità anche per i giovani del nostro tempo.

L’attualità che vorrei sottolineare io personalmente è triplice:

1) Innanzitutto l’ambiente che l’ha formata: una famiglia come tante altre, con i problemi quotidiani del tirare avanti, inserita in una comunità parrocchiale dalla vita ordinaria: catechismo, preghiera, Sacramenti e disponibilità sensibile ai bisogni di tutti. A me sembra che questo aspetto debba essere sottolineato: la famiglia e la parrocchia sono ancora indispensabili per la formazione dei giovani. Fuori e lontano da esse non possono che esserci altri idoli che ingannano, che creano degli irresponsabili sfaccendati e che moltiplicano i fallimenti umani e cristiani. Ragazzi e ragazze riflettano e si chiedano chi e che cosa, all’infuori della famiglia e della parrocchia, li può promuovere ed inserire nella società come persone che hanno qualche cosa da dire e da dare; si chiedano il perché di tante notizie tristi, indaghino sul motivo di tanta irrequietezza nel mondo giovanile, scoprano le cause di tanta stanchezza, di tanta apatia e di tanto scetticismo, e si accorgano che sempre, alla base di tutto, v’è il crollo, o il rifiuto, di questi due centri insostituibili di formazione.

2) In secondo luogo colpiscono la partecipazione e la collaborazione personali di Perina: ella sapeva far silenzio in se stessa per le sue riflessioni, per le sue letture e per i suoi colloqui con Dio. Riflettere matura le persone: Pierina, nei lunghi e faticosi viaggi a piedi sul sentiero che la portava da casa al lavoro e dal posto di lavoro a casa, meditava, cresceva nel senso di responsabilità, si riconfermava sempre più radicalmente nelle sue scelte, si proponeva di essere sempre più fedele ai suoi modelli di vita (i Santi, in perticolare S. Maria Goretti), si allenava al sacrificio e si preparava a parlare, ad agire, ad uscire da se stessa con la sua testimonianza di vita cristiana, e a lasciare qualche cosa di se stessa in tutti quelli che la avvicinavano, o che ella avvicinava. Parecchi giovani, oggi, purtroppo, vogliono agire, fare, contestare e protestare, ma non si sono racimolato un adeguato e ricco bagaglio spirituale interiore, perciò sono destinati solo a far del chiasso e a non lasciare nessuna traccia di sé: lasceranno questo mondo non solo identico, ma forse anche peggiore di quando vi sono entrati.

3) In terza ed ultima battuta voglio rilevare che Pierina era operaia apprezzata e precisa. Lavorava a cottimo: lavorava per portare a casa lo stipendio; lavorava per mettere a profitto le sue doti e la sua preparazione, e perciò, anche per soddisfazione personale; lavorava per offrire la sua fatica come una riparazione dei suoi e degli altrui peccati. Era una ragazza che lavorava con onestà professionale, sapeva anche far valere i suoi diritti, si faceva rispettare, aiutava le compagne, non sperperava i soldi che guadagnava, non era schiava della moda e delle compagnie chiassose ed era sempre piena di goia. Anche in questo ha affrontato la vita con realismo, con i piedi sulla terra e con concretezza dimostrando di avere una dirittura morale che non si spezza di frone alla fatica, alle difficoltà, o alla ingiustizia, e neppure si piega ai compromessi, alle mezze misure e al disimpegno. E’, dunque, un esempio, un modello, anche per i giovani che già sono, o si preparano ad entrare, nel mondo del vavoro.

La conoscenza della personalità di Pierina Morosini non è certo riducibile a queste mie superficiali annotazioni. Meglio di me diranno le testiminianze e i ricordi personali di coloro che l’hanno incontrata e studiata da vicino e che verranno riproposti domenica 17 aprile 1977 nella nostra parrocchia a tutti i giovani di buona volontà. Ad essi, in particolare, in attesa di sentire ed imparare di più, propongo questa frase che Pierina pronunciò per spiegare il motivo della sua gioia, del suo sorriso, della sua serenità: “Posseggo Dio e questo mi basta”. Don Umberto Midali

In Funere – Memoria” di

CARLO ZOCCOLI

Maestro e Dirigente Scolastico per quasi 40 anni

Tenente degli Alpini

* Pozzaglio ed Uniti, 14 maggio 1934

Sorisole, 17 febbraio 2021

Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato” (Luca 24, 5 – 6)

Sorisole, 20 febbraio 2021

Carissimi,

mentre Carlo si rivolge a noi e ci saluta dicendo: “Ecco io oggi me ne vado per la via [strada] di ogni abitante [uomo] della terra” (Giosue 23, 14; cfr. 1 Re 2, 2), noi lo salutiamo esprimendo la certezza che egli è ora veramente riposto al sicuro nello “scrigno della vita presso il Signore” (1 Samuele 25, 29).

* In questi giorni di passione e di sofferenza, ci venivano in mente le parole che mia mamma, riconoscente a Carlo per i servigi che premuroso le prestava durante la sua lunga infermità, ripeteva a me e a Luciana: “Carlo l’è piò cristià de oter: a lé u sant!”

La fede di Carlo era profonda, robusta e onesta come il mare e come i monti sui quali amava muoversi con alpina giovanile destrezza: la fede cristiana era il dono più prezioso che aveva ereditato dai suoi genitori Antonmaria e Virginia.

* Come era impaziente e sollecito a partire per le sue escursioni sui monti anche più lontani ed alti, così era mattiniero e tra i primi a camminare e ad entrare in chiesa, la casa di Dio, con il cuore pieno di gioia: vi si recava per la Messa, e là si trovava a suo agio: la sua anima, come si esprime il Salmista, bramava gli atri del Signore..., il suo cuore, tutta la sua persona, al cospetto del Signore, esultavano nel Dio vivente (Cfr. Salmo 41, 5; 54, 15; 83, 2 – 3. 6 – 8).

* Ora Carlo è nella Risurrezione di Gesù: la fede cristiana prevede una morte totale (anima – corpo individuo = uomo), ma anche la trasformazione – risurrezione totale, immediata, irreversibile, pasquale nell’oggi eterno di Dio: “In Dio, infatti non c'è successione di giorni come se ogni giorno dovesse arrivare e poi passare. L'inizio dell'uno non segna la fine dell'altro, perché vi si trovano presenti tutti contemporaneamente. La vita, alla quale quei giorni appartengono, non conosce tramonto...; la vita beata in Paradiso niente varrebbe se non fosse eterna” (S. Agostino, Lettere, 130, 8, 15. 17 – 9, 18: CSEL 44, 56 –57. 59 – 60: Lettera a Proba); veramente le tenebre del Venerdì Santo, come è avvenuto per Gesù, si sono disciolte nell’esplosione degli splendori della Pasqua.

* Carlo era molto contento di essere qui a Sorisole: era iscritto all’Associazione Alpini, ha seguito ed illustrato la costruzione del Rifugio su al Canto Alto, le vicende del monumento della Piazza Alpini e partecipava volentieri alle loro riunioni alla Baita del Premerlino; collaborava con loro assiduamente, fino a che le forze glielo hanno permesso; e, soprattutto, era legato con forte e sincera amicizia con molti di loro con i quali si onorava di essere presente alle sfilate nazionali in vari anni e in diverse città.

* Passava le sue giornate curando il giardino e l’orto, attento ad ogni filo d’erba, fiorellino, pianticella, albero, selezionando i semi e osservando ammirato ogni germoglio e ogni frutto, comunicando tempestivamente ogni “novità” a tutti noi e portando in casa le primizie che mostrava con legittimo orgoglio: vedendolo, mi veniva in mente che anche Gesù ha amato la campagna, è stato agonizzante nell’orto del Gethsemani, è stato sepolto ed è apparso risorto nel giardino perché voleva farci capire che ci vuol riportare tutti alla condizione del primigenio orto – giardino dell’Eden in perfetta comunione con Dio e con il creato.

* Carlo era il “servo” di tutti noi: gli dissi un giorno: “Carlo, tu puoi ben ripetere le parole di Gesù: ‘Io sto in mezzo a voi come colui che serve’ (Luca 22, 27)”: teneva ordinata e pulita la casa, riparava e apportava miglioramenti e rifiniture, o anche ne tinteggiava varie parti; da provetto ‘chef’ cucinava personalmente i cibi, e la tavola era sempre pronta.

* Aveva una spiccata sensibilità nel cogliere e nel riprodurre con maestria i colori e le forme della natura, dei paesaggi, e delle stagioni; in un grosso faldone, conservo una immensa raccolta di disegni che, mese per mese, preparava per il Bollettino Parrocchiale di Curnasco dove sono stato Parroco; nel 2003, prima di lasciare la comunità che avevo servito per 18 anni, mi ha aiutato con molta pazienza a scrivere il libro illustrativo di quella gloriosa comunità; così aveva fatto precedentemente, con competenza e sensibilità storica, per la Parrocchia, per il Santuario e per l’Asilo di Stezzano lavorando nel Gruppo la Storia locale.

Carlo era un artista nato ed alimentava nell’anima la benefica, salvifica nostalgia dell’invisibile infinito: i suoi innumerevoli quadri sono appesi alle pareti delle nostre case e ce lo renderanno ancora presente e palpitante e ci ricorderanno che egli adesso, per il Signore, è lui stesso un capolavoro indistruttibile che impreziosisce la sua ricchissima galleria celeste; ora, in Paradiso, ha il possesso totale intellettivo e volitivo del Signore che è promesso a tutti noi nell’altra vita, ed è descritto come ‘luce intellettual piena d’amore; amor di vero ben, pien di letizia; letizia che trascende ogne dolzore’ (Alighieri Dante, La Divina Commedia, Paradiso, 30, 38 – 42).

* In questi ultimi anni aveva perso quasi completamente la vista; ora vede “faccia a faccia”, “così come egli è”, il Signore: “Colui che vede Dio = possiede Dio: per il fatto stesso che lo vede vuol dire che ha ottenuto tutti i beni, cioè una vita senza fine, l'incorruttibilità eterna, la beatitudine immortale, un regno senza fine, una gioia perenne, la vera luce, una voce spirituale e dolce, una gloria inaccessibile, una perpetua esultanza, insomma ogni bene” (S. Gregorio di Nissa, Omelie, 6, Sulle beatitudini: PG 44, 1266 – 1267).

* Nel commiatarmi da Carlo, che oramai è nella dimensione nuova e definitiva della risurrezione di Gesù, voglio (e anche gli altri famigliari lo vogliono) chiedergli perdono per tutte le volte che non lo abbiamo capito, apprezzato ed amato come egli ha sempre meritato con la sua presenza discreta, umile e silenziosa.

* E, per il nostro amato Carlo, tutti insieme, teniamo gli occhi della fede rivolti al Signore e celebriamo la Messa: è il ringraziamento massimo ed ottimo che innalziamo per avercelo donato; celebriamo la Messa: è il sacrificio del nostro riscatto che si protrarrà fino alla fine dei secoli per la salvezza del mondo intero: con tale sacrificio, Gesù ha cancellato e distrugge tutti peccati di noi povere creature fragili e sempre bisognose di perdono; celebriamo la Messa è la mensa del corpo e del sangue di Gesù, trasmessa a noi dagli apostoli, il banchetto imbandito da lui per nutrirci e per darci vita; celebriamo la Messa, offrendola in suo suffragio per ottenergli, anche e soprattutto per l’intercessione della Madonna, l’infinita misericordia del Signore. Amen.

NELLA FESTA DEL SACERDOZIO PREGHIAMO PER LE VOCAZIONI

(Per “Alere” = XXV di Sacerdozio: 1964 – 1989)

In occasione del venticinquesimo della mia Ordinazione Sacerdotale, sono molto restio a prendere in mano la penna e a scrivere qualche impressione o riflessione, come gentilmente mi invita a fare il caro Don Giuseppe Arrigoni.

Una sorta di pudore naturale mi impedisce di esternare i miei sentimenti; sono convinto che ognuno di noi sia veramente se stesso solamente davanti al Signore.

Egli scruta nell'intimo del nostro essere, conosce i nostri pensieri più reconditi e, allora, proprio con lui si può e si deve parlare cuore a cuore: basta lasciarsi penetrare dalla sua presenza perché si realizzi il dialogo più bello, più avvincente e più completo che coinvolge per tutta la vita.

Io parlo spesso con il Signore e mi piace ascoltarlo nel silenzio e nel raccoglimento del mio spirito.

Ricordo che fin da bambino e da ragazzo avevo questa propensione ed avvertivo questa esigenza.

Lo ringraziavo per le cose belle che vedevo attorno a me, mi confidavo con lui, e lo sentivo molto vicino; Egli mi chiamava con sempre maggior insistenza, mi insegnava e mi aiutava a dirgli di sì mettendomi a fianco tante persone semplici e stupende che non dimenticherò mai.

E così, un giorno, ho deciso di entrare in Seminario per studiare la sua Parola, per offrirgli la mia giovinezza e per dirgli con convinzione: "Et introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat iuventutem meam = e salirò all'altare di Dio, al Dio che allieta la mia giovinezza" (Salmo 43, 4).

Sono diventato Sacerdote.

Senza presunzione, posso affermare di non aver mai avuto incertezze, dubbi o ripensamenti circa la scelta fatta, perché l'aveva operata lui nei miei confronti, non io nei suoi: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Giovanni 15, 16; cfr. 6, 70).

Gli ho detto ogni giorno, ed anche oggi ripeto: "Signore, tu sai tutto di me, tu conosci che io ti amo, e vedi bene che sono tuo e che voglio essere al tuo servizio per sempre" (Cfr. Giovanni 21, 15. 16.17).

Questi venticinque anni sono passati con la velocità di un fulmine e mi sembra di poter dire che, pur avendo fatto poco per il Signore, l'ho sempre fatto però con molto entusiasmo, senza badare a sacrifici e con tutto l'amore di cui sono capace.

In fondo al cuore c'è il rammarico di non riuscire ad essere più buono e a fare di più e di meglio.

Sperimento, con umile consapevolezza, quanto siano vere le parole che il Signore Gesù mette sulle labbra dei suoi Apostoli e me le vado ripetendo in continuazione: "Siamo servi inutili!" (Luca 17, 10).

Eppure, alla sera, ad ogni sera, come mi aveva insegnato il mio compianto Professore Mons. Luigi Cortesi, nel mio esame di coscienza, pur professandomi "servo inutile", io vorrei poter dire di lasciare il mio mondo un poco più buono di quanto l'avevo trovato al mattino; così, come alla fine dei miei giorni, vorrei tanto poter affermare di lasciare il mondo un poco più buono di quanto l'avevo trovato alla mia nascita.

Così prometto, ogni volta, di impegnarmi con tutte le forze per aumentare, almeno di un poco, il volume del bene e per far diminuire, almeno di un poco, il volume del dolore e del male nella mia comunità.

Man mano crescono, o meglio diminuiscono, gli anni, e si avvicina l'"ultimo giorno" (Cfr. Giovanni 6, 39), aumenta in me il timore di presentarmi davanti al Signore a mani vuote, e si fa più pungente il pensiero di quale rendiconto finale darò di tutte le pecorelle e di tutti gli agnellini che Gesù, attraverso la volontà del Vescovo, mi ha affidato e delle persone incontrate precedentemente.

La responsabilità del prete è complessa, profonda, a vasto raggio, e molto pesante.

Devo salvare me stesso e devo curare gli interessi spirituali e soprannaturali delle anime che il Signore mi ha affidato.

Devo vigilare su me stesso perché non tradisca la consegna fattami da Gesù di annunciare, con ampiezza, con competenza e con insistenza la sua Parola, e devo tentare ogni via e ogni mezzo pastorali per svegliare gli indifferenti e i refrattari, per incoraggiare gli stanchi, per affiancare e lodare gli impegnati, per promuovere un più alto livello di fede e di vita cristiana in tutti e in ciascuno dei miei fratelli.

Devo alimentare me stesso perché non si esauriscano le energie spirituali e devo provvedere il cibo della vita divina a tutti gli amanti del Signore.

E' una fatica apostolica non indifferente, ma Gesù incalza: "Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Matteo 11, 29 – 30).

Effettivamente Gesù mi ha sempre sostenuto, mi accompagna e mi rassicura che non sarò confuso: "In te, Domine, speravi; non confundar in aeternum = in te, Signore, ho riposto tutte le mie speranze; non sarò confuso in eterno" ("Te Deum").

Gesù mi concede, ogni giorno in maggior misura, la gioia di essere circondato da amici veri, da generosi e validi collaboratori, da cristiani buoni e semplici, che sentono e spartiscono con me questa pesante responsabilità.

Nei momenti di silenzio assoluto, a notte inoltrata, quando sono proprio solo con il Signore, provo molta commozione e felicità nel pensare a tutti gli altri sacerdoti della nostra meravigliosa Diocesi.

Con la "Guida" davanti, pagina per pagina, li passo in rassegna: vedo i loro volti (li conosco quasi tutti!) e li ammiro nella loro semplicità, generosità, bontà, pietà e fedeltà esemplari.

Sono gli operai che il Signore, a tutte le ore, ha chiamato nella sua vigna e per me sono il costante punto di riferimento e di incitamento a non essere una nota stonata nell'armonia che essi, come corde strettamente unite all'unica cetra, il Vescovo, Vicario e Pastore visibile del Vescovo e Pastore invisibile, Gesù Cristo, innalzano all'unisono a Dio (Cfr. S. Ignazio di Antiochia, Ai cristiani di Efeso 4, 1 – 2).

Di ciascuno immagino le fatiche apostoliche che sono la realtà concreta che lo Spirito di Gesù suscita ed opera in seno alla sua Chiesa e penso: 'sarà certamente appena rientrato in casa da un incontro con i catechisti, con i genitori dei bambini della Prima Comunione o dei ragazzi della Cresima, con il tale o tal'altro Gruppo, avrà giusto terminato la Catechesi, starà preparando la tal festa..., e, forse, anche lui non avrà ancora cenato come me'.

Di ciascuno sento le difficoltà e condivido gli insuccessi, ma vedendoli sempre sereni e gioiosi, mi ritrovo, alla fine, assai incoraggiato e pronto ad affrontare ogni fatica pastorale.

Gesù mi dilata il cuore e lo apre alla speranza che il vivere e l'operare insieme, "un cuor solo ed un'anima sola" (Atti degli Apostoli 4, 32), porti a godere, tutti uniti e ricomposti in Dio, i frutti delle nostre molteplici e più svariate iniziative ed attività di pastori dell'unico ovile di Gesù (Cfr. Giovanni 10, 16).

Moltissimi confratelli nel Sacerdozio non appaiono più nella "Guida", perché i loro nomi, cioè le loro persone insignite della perenne dignità sacerdotale, sono scritti in Dio (Cfr. Luca 10, 20).

Io li passo in rassegna aprendo il mio cuore che è meglio di un libro stampato: i ricordi sono come un rosario interminabile che inizia con Mons. Adriano Bernareggi, conta i Superiori e i Professori del Seminario, prega Parroci e Curati, come il mio carissimo e fedelissimo Don Giacomo Carminati, e termina con Don Andrea Cottini, mio predecessore a Grone.

Mons. Bernareggi mi apparve, per la prima volta, in tutta la sua imponenza ed autorevolezza, a Valleve, in occasione della mia Cresima.

Il desiderio che coltivavo di farmi prete e che già avevo confidato al mio Parroco, Don Luigi Bellini, dopo quell'incontro, divenne più vivo ed acuto.

Rividi Mons. Bernareggi a Trescore, dove mio papà aveva voluto che io fossi il "padrino" della seconda delle dieci campane nuove che il Vescovo era venuto a consacrare.

Nel Seminario di Clusone veniva di frequente e noi piccoli lo attendevamo con trepidazione e con gioia: ricordo le sue omelie che, a detta degli intenditori di quel tempo e anche per la verità, erano molto difficili; ma io le capivo per il modo appassionato e convinto con cui pronunciava il nome di Nostro Signor Gesù Cristo.

Un giorno, a Trescore, il mio Prevosto, Don Giovanni Pellegrinelli, dopo la Messa, mi disse che il Vescovo era morente; corsi a casa e lo riferii a mio papà che stava lavorando nel caseificio; depose immediatamente lo strumento che aveva in mano, si inginocchiò, mi fece inginocchiare e, con le lacrime agli occhi, pregò e mi fece pregare a lungo; poi riprese il suo lavoro, ma continuava a mandarmi dal Prevosto a chiedere ulteriori notizie.

Ho raccontato questi particolari ricordi per segnalare la "fonte accidentale" dell'alta stima e della massima venerazione di cui circondo il Vescovo Diocesano, perciò non solo nei confronti di Mons. Bernareggi, ma anche di Mons. Giuseppe Piazzi, così saggio, mite, gentile e caro...: ogni tanto mi piace rileggere le loro Lettere Pastorali.

La "fonte sostanziale ed autentica" della fede nel Vescovo è la Parola di Gesù, compresa e rielaborata dalla Teologia: essa non può e non deve venire meno, perché intaccherebbe e comprometterebbe il suo espandersi e il suo completarsi nelle altre verità e fatti misteriosi del nostro Credo.

Mons. Clemente Gaddi è il Vescovo dell'Ordinazione, delle prime destinazioni, degli episodi, delle battute, delle chiamate e delle visite imprevedibili, vivaci ed incancellabili che ti facevano respirare aria di canonica, ti davano la carica e te lo facevano amare come il Parroco e il Papà di tutti i preti.

Sulla mitra di Mons. Giulio Oggioni ci sono queste due parole: "Episcopus = Angelus"; colui che il Signore ci ha mandato come suo Vicario e successore degli Apostoli ora ha l'Ausiliare Mons. Angelo Paravisi: prego perché siano davvero una cosa sola nell'amore a Gesù e al gregge loro affidato e perché siano una cosa sola nella stima, nella venerazione e nell'ubbidienza di noi Sacerdoti Diocesani.

Io ringrazio il Signore che mi concede la gioia immensa di cantare a lui, insieme a tutti questi degnissimi Ministri di Dio ed insieme alle pecorelle che egli mi ha affidato, il "Te Deum".

La ricorrenza del XXV di un prete è festosa riconoscenza a Gesù da parte di tutta la Comunità dei fedeli per il dono sublime del Sacerdozio e dei suoi Sacerdoti, vivi e defunti.

Vorrei che tutti ci mettessimo in ginocchio davanti a Gesù per implorarlo, con il sostegno dell'intercessione della Madonna, dei Santi e dei nostri morti, che tale suo dono, indefettibile nella Chiesa, venga, non dico elargito, ma accolto con maggior generosità da tanti nostri bambini, ragazzi e giovani della nostra terra.

Don Umberto Midali