Ombra: Ma buongiorno, mio giovane amico. È mattina ormai, la sveglia è suonata, il Sole si è alzato, il gallo ha cantato. Dovresti prepararti per andare a scuola, ma ti vedo ancora qui seduto a letto. Non riesci per caso a muovere le gambe? Sei forse malato?

Giovane: No, Ombra, le mie gambe funzionano ancora bene. Il problema non è il corpo, ma la mente.

O: E quale sarebbe codesto pensiero che ti immobilizza?

G: Vedi, giusto oggi è il mio compleanno.

O: Che ti devo dire? Auguri! E non dovresti sorridere, festeggiare? Che ci fai ancora qui fermo? È la tua nascita forse un fatto funesto, il cui anniversario ti turba? Hai per caso paura di parenti indesiderati che vengano a farti gli auguri?

G: No, no, il problema non è quello. Almeno, non solo.

O: Che fortuna esser ombra, e non aver parenti… Quale sarebbe dunque il motivo per star così fermo, quasi già morto, nel giorno della vita? Sembra quasi che il vivo sia io e tu l’ombra.

G: Il fatto è che non riesco a non chiedermi se non sarà questo il mio ultimo. Compleanno, intendo.

O: Che vuoi dire? Hai forse in progetto di ucciderti da te stesso?

G: No, nulla del genere.

O: E spiegati, allora.

G: Ogni anno questo giorno mi alzo, felice; a scuola il professore mi chiede sempre se io mi senta cambiato, e se mi sentirò cambiato anche l’anno prossimo o quello dopo. Ma cosa mi dice che io ci arriverò a un altro compleanno, l’anno prossimo? Se non ricordo male, l’altro giorno, nella via qui vicino, c’è stato un incidente d’auto: il ragazzo che guidava, mio coetaneo, è morto. Lì, sul colpo, in una frazione di secondo. Non so neanche se ne sia accorto.

O: Una tragedia, questo è sicuro. Ma continuo a non cogliere cosa abbia a che fare con il tuo compleanno.

G: Quel ragazzo di sicuro quel giorno, salendo in auto, non se lo aspettava, di morire.

O: E dunque?

G: E dunque, neanche io, finora, mi sono mai aspettato di morire.

O: E sei forse mai morto? Perché a me sembri ancora piuttosto vivo. O ci vedo forse male?

G: Io sono ancora vivo. Ma per quanto? Pensa a quel mio parente, mesi fa. Stava bene, si era svegliato sul suo letto, come me, si era vestito, aveva preso il caffè… Un giorno come gli altri. Poi, mentre si dirigeva al lavoro, un infarto improvviso. Morto.

O: Neanche lui, di sicuro, quel mattino si era svegliato e si era detto: “oggi ho proprio voglia di avere un infarto”.

G: Esatto. La Morte arriva per tutti, raramente uno se l’aspetta.

O: La Morte ha di meglio da fare, che avvisare di star arrivando.

G: Io finora non mi sarei mai aspettato di morire, di non vedere il domani. Ma neanche loro: e son morti. Tutti loro si credevano vivi, erano pieni di pensieri, volontà, dubbi, sogni, preoccupazioni, speranze… Le possibilità del domani parevano infinite. Ma in un istante, tutte le promesse fatte loro dalla Vita sono state strappate. L’infinito, azzerato. E subito sono diventati cadaveri. Cosa mi dice che io vivrò domani, che vedrò un altro giorno?

O: Semplice: nulla. Appena svegliato, potresti soffocare col tuo tè. Uscendo di casa, un’auto ti potrebbe investire. Arrivando a scuola, potresti scivolare e cadere dalle scale. Un professore potrebbe stufarsi delle tue domande idiote e della tua calligrafia illeggibile e strangolarti una volta per tutte. Davvero, ogni momento che passa, tu potresti morire. Dopotutto, la Vita non ha firmato alcun contratto in cui prometta un’esistenza lunga e piena di piaceri: quella che percorri, amico mio, non è mica una strada diritta e sicura, dal traguardo delineato, lontano e ben visibile. Ti trovi in un campo minato. Corri per sentieri bui, a ogni svolta che fai, potrebbe esserci un baratro, la fine della corsa. Pensavi forse che, visto che finora hai visto morire solo altri, e mai te stesso, non ne fossi anche tu capace? Caro mio, tu sei bravo a morire quanto chiunque altro.

G: Ciò che mi dici non mi rassicura affatto. Per quanto ne so, se mi alzo da questo letto, sono morto.

O: Ma via, non dire sciocchezze! Rassicurati: stando su quel letto, sei tanto morto quanto là fuori. La Morte ha forse paura dei letti? Per quanto ne sai, questa casa potrebbe cadere ora, un razzo potrebbe colpire il tetto, una malattia mai diagnosticata potrebbe ucciderti nel sonno.

G: Questo letto è proprio un luogo mortale, mi sembra!

O: Così è ogni luogo: la tua conoscenza è molto più limitata di quanto tu creda! Vedi i tuoi piedi, quindi credi di vedere la strada: ti trovi in realtà in un mare di nebbia, e, fuorché te stesso, non vedi nulla. Letteralmente ogni cosa, ogni possibile morte potrebbe celarsi giusto di fronte a te. Ma che divertimento impagabile l’ignoto!

G: Che dovrei fare, dunque? Come dovrei camminare, sapendo che la nebbia potrebbe celare a ogni mio passo un baratro? Come dovrei vivere io, se ad ogni attimo mi sento morire?

O: Dimmi, finora ti eri mai posto simili domande?

G: No.

O: E sei forse morto?

G: Non mi sembra.

O: Ed eri dunque finora immortale, e questa nuova consapevolezza, da un giorno all’altro, ha spezzato la magia, rendendoti mortale all’improvviso?

G: Non che io sappia.

O: Allora risponderò al tuo dubbio riguardo al camminare nella nebbia: fermarsi non ti aiuterà. Per non morire, non dovresti smettere di vivere. Vivi come hai fatto finora, se ti compiace: per ora, non sembra averti ucciso.

G: È merito della mia condotta, dunque, se vivo?

O: Oh, no, assolutamente no. Non sei mai stato immortale, ma neanche particolarmente esperto nel vivere. È la prima volta che vivi, no? Se non sei mai morto finora, in minima in parte il merito è tuo. Avrai schivato un paio d’auto. Ma nella nebbia, vedi solo i tuoi piedi. La Fortuna ti ha salvato. Il Caso. Se non ti ha accoltellato un passante, se non ti sei soffocato mangiando, se il tuo cuore non si è fermato, se un razzo non ha colpito casa tua… No. Non è merito tuo. Puro, semplice Caso. Non sei più meritevole di quel tuo coetaneo o di quel tuo parente: solo, forse, più fortunato. Nella nebbia non vede nessuno. Ma se il Caso ti ha lasciato vivere finora, magari domani cambierà. È, appunto, casuale. Ognuno di voi ha una spada di Damocle che pende sul capo: nessuno sa quando cadrà. Certo, puoi tenerla in equilibrio quanto al meglio puoi, ma non puoi impedirne, prima o poi, la caduta. E quando cadrà, non sarà per voler tuo. Bensì, appunto, del Caso.

G: E che ci posso fare io, contro il Caso?

O: Mi pare ovvio: nulla, se non vivere. Pensa, invece: se questo fosse il tuo ultimo compleanno, come vorresti che fosse? Felice, pieno di bei momenti, o vuoto, con te qui seduto ad aspettare la morte?

G: La prima opzione, ovviamente. Non voglio avere rimpianti.

O: E allora esci, dunque, e festeggia questo compleanno. Potrebbe essere l’ultimo, e quindi? Fa’ in modo che, se fosse effettivamente l’ultimo, tu non te ne penta: di sicuro, morire sul letto disperandosi di ogni possibilità e impossibilità non sarebbe una buona morte. Sii felice di esser vivo ora, piuttosto che angosciato di poter morire tra un attimo. E ora va’, che già sei in ritardo per prendere il bus per la scuola. E festeggialo, questo compleanno: tanto già finora, nonostante la nebbia, hai vissuto. Ma dopotutto, io non sono che un’Ombra: sta a te decidere come vivere.