Pazienza
La calma del mare, l’attenzione e la meticolosità nel procedere nello scavo archeologico, la collaborazione e i meccanismi di un gruppo di lavoro: elementi che si basano tutti su una cruciale pazienza.
Ogni dettaglio di una nuova area prende via via significato, grazie a un attento studio e interesse mentre si trasforma, anche agli occhi dell’osservatore comune: da semplice perimetro delineato da massi irregolari a vero e proprio pezzo di storia.
Strato dopo strato, da semplici frammenti ceramici fino a ritrovamenti di intere necropoli, riaffiorano civiltà e culture. Tutto ciò avviene grazie alla pazienza, fonte di continuità e disciplina che rende il lavoro dell’archeologo stimolante anche quando si apre uno scavo ancora ricoperto da terra ed erbacce.
Sia gli archeologi che noi studenti, nuovi in questo campo, abbiamo dovuto applicare un’elevata dose di pazienza e perseveranza: i direttori di scavo nello spiegare e rispiegare quanto faceva parte del nostro compito, noi studenti, invece, abbiamo affinato questa dote nell’aprire la nostra mente a un’esperienza totalmente fuori dal comune.
Giacomoico
Costanza
La costanza e la determinazione degli archeologi che ci hanno seguito e sostenuto nel corso della settimana, mi hanno fatto capire quanto si possa essere disposti a vivere in condizioni spesso disagevoli, pur di concretizzare la propria passione più grande. Ho apprezzato la sensibilità e l'empatia costanti che hanno riservato a noi, studenti alle primissime armi, nonostante fossero spesso affaticati dal duro lavoro che spettava loro. Ho trovato negli archeologi delle persone amiche, pronte ad ascoltarti in ogni occasione, mai stanche dei nostri racconti. Insieme alla gratificante avventura vissuta a Egnazia, porterò nel cuore la fermezza e la disciplina degli archeologi, qualità che cercherò di applicare nel futuro percorso che sceglierò di intraprendere.
Sofia
Crescere e imparare
Grazie ai seminari serali organizzati dagli archeologi, ho iniziato a vedere il lavoro in maniera differente. Gli incontri sono stati un’opportunità per ampliare le mie conoscenze e capire come si sente chi questo lavoro lo fa da anni. È stato anche grazie alla passione degli archeologi, che ho imparato ad apprezzare sempre più ciò che stavo facendo e a immergermi davvero nell’ambiente lavorativo.
Due aspetti, in particolare, hanno contribuito a rendere questa esperienza migliore: il primo è stato il desiderio di trovare qualche reperto interessante, il secondo è stata la soddisfazione di vedere, alla fine di ogni giornata lavorativa, una situazione negli scavi visibilmente diversa da quella del mattino. Questo mi rendeva felice perché sentivo che il mio sudore non era vano. Anche il clima piacevole di disponibilità e comunicazione che si è creato tra archeologi, universitari e studenti ha favorito la nascita di nuove amicizie, che hanno reso ancora più piacevole il lavoro.
Pietro
Contro la malinconia
Sono saldamente ancorati alla mia esperienza di vita i momenti di lavoro più duri: credo che la loro genuinità mi abbia rieducato alla serenità. Una volta ho letto che, per percepire lo scorrere del tempo, è necessario impiegarlo in attività lente, meccaniche. È assolutamente vero: è bello scavare e impegnare le mani mentre i pensieri ti affollano la mente. Ho sperimentato l’ubiquità, tornavo pienamente padrone del mio spirito al momento del caffè, quando l’impagabile dottoressa Silvestri me ne offriva un po’ dalla sua borraccia.
Questo viaggio mi ha aiutato a sentirmi parte di un gruppo, a farmi benvolere senza farmi notare, con discrezione. Ha poi lenito lo scoraggiamento e la malinconia che di solito mi comunicano le rovine: la cisterna su cui stavamo scavando è stata strappata alla sua esistenza da scatola vuota dalla vitalità del mio gruppo. La conferma del grande potere posseduto dall’essere umano, capace di dare o togliere colore alle situazioni.
Emanuele
Passione
L’esperienza a Egnazia mi ha insegnato tanto sotto molteplici aspetti: fatica, determinazione, passione e amicizia sono state per me le parole chiave di questo viaggio.
L’archeologia è una disciplina che richiede notevole sforzo fisico: la fatica e la stanchezza si sono sicuramente sentite. Tuttavia, abbiamo imparato alcune nozioni di questa materia e avuto la possibilità di sperimentare il duro lavoro. Inoltre, osservando gli archeologi lavorare, non ho potuto fare a meno di notare i sorrisi che illuminavano i loro volti: erano felici delle nuove scoperte, della compagnia, di condividere il loro sapere con noi. E’ senza dubbio un lavoro interessantissimo e particolare, e per questo sono grata di aver aderito a questo progetto: non a tutti capita un’opportunità di tale rilevanza, soprattutto a questa età. Ciò che ricorderò per sempre sarà sicuramente che nulla è faticoso se si è guidati dalla passione.
Isabelle
Libertà
Di tramonti ne ho visti tanti, ma quelli ammirati a Egnazia hanno un valore e un significato che vanno oltre la semplice bellezza di un sole che cala all’orizzonte. Questo tramonto è stato catturato in un istante con il telefono e potrebbe sembrare simile a tanti altri che si possono trovare online dove, probabilmente, ce ne sono anche di più spettacolari. Per me, però, questo racchiude qualcosa di molto più profondo: il senso della libertà. La mia esperienza a Egnazia mi ha dato la rara opportunità di vivere fuori casa da solo, nella più completa autonomia, affrontando ogni piccola difficoltà con le mie forze. Ogni giornata era lunga, a volte estenuante e piena di sfide ma, un po’ alla volta, mi sono sentito più leggero. In quei giorni ho avuto solo due preoccupazioni: il lavoro agli scavi e la gestione del bungalow. Anche queste, giorno dopo giorno, si sono trasformate in momenti piacevoli. E così, grazie a quei tramonti, i miei pensieri si sono fatti più sereni, e io, in un modo che non so spiegare, mi sono sentito davvero libero.
Matteo
Stupore e scoperta
“Lo stupore è la molla di ogni scoperta”, scrisse Cesare Pavese. Ed è proprio questa scintilla trasmessa dallo stupore che ci spinge a scavare sempre più a fondo, per far venire alla luce frammenti di vite passate, destinate ad arricchire il presente e illuminare il passato.
Durante il lavoro sullo scavo, per me il momento di svolta è arrivato il penultimo giorno di lavoro: dopo la rimozione di alcuni grossi massi, il mio gruppo di liceali è stato incaricato di rispolverare l'area per scattare alcune foto per la documentazione del terreno. Proprio mentre stavo ripulendo la mia area, ho scorto, poco distante, a sud della via Traiana, un piccolo cerchio rotondo in superficie che, con delicatezza, ho preso e mostrato alla responsabile del saggio. Dopo una minuziosa osservazione il tanto atteso verdetto: una moneta! La soddisfazione di aver trovato un oggetto così prezioso, risalente all'incirca all'età di Diocleziano (III secolo d.C) è stata un insieme di tante emozioni: dallo stupore, all’incredulità fino alla riverenza. Tenere tra le mani un oggetto che ha attraversato i secoli e, al contempo, è stato maneggiato da tante persone vissute in un’epoca così lontana dalla nostra, mi ha fatto riflettere sull'esperienza vissuta. La campagna di scavo presso l’antica Egnazia mi ha messo in contatto con il mondo che ho sempre studiato solo nei libri e che con tanto stupore ho toccato con mano per la prima volta. Ho sempre visto il mondo antico attraverso le parole dei grandi filosofi e oratori, come Platone e Cicerone, ma ora ho scoperto il suo cuore pulsante, fatto di comunità che rivelano tuttora tesori inestimabili.
A Egnazia ho fatto fatica e ho dovuto resistere alla stanchezza che colmava le prime giornate lavorative ma, grazie alla perseveranza, sono stata pienamente ricompensata.
Elena
Sorriso
Il mare sullo sfondo. So dove mi trovo.
Mi guardo intorno: l’orizzonte tremola per l’insolita calura settembrina. A fianco a me i miei compagni -dopo una settimana li avrei chiamati amici- aspettando che arrivino gli attrezzi. Attendiamo.
Il vento soffia, sento il mare infrangersi sugli scogli. Settembre è prepotente.
Mi chiedo se sia il momento di finire la mia pausa. Guardo lo scavo, mi rialzo.
Ricomincio a scavare e la mia mente viaggia: chissà quante persone sono passate sopra questo esatto punto! Ho capito che l’edificio è una basilica; l’abside è ben visibile. Pulisco, metto in evidenza l’entrata e la sabbia annebbia i miei occhi.
Siamo giunti alla fine. Mi sento vuota. È strano il silenzio attorno a me, è strana l’ampiezza del mio salotto, è strano cenare sola con il mio cane.
Ma ricorderò tutto con il sorriso.
Questi i miei pensieri. Genuini e sconnessi, come li sento risuonare nella mente mentre scrivo. Potrei consegnare una rielaborazione più strutturata e convenzionale su ciò che Egnazia mi ha insegnato; ma la realtà è che ciò che mi porto a casa è felicità, sorrisi, risate, amicizie. Piccoli momenti, gesti, semplice quotidianità e volti. Mi guardo indietro e capisco che non potrei mai esprimere l’affetto viscerale che provo per questi ricordi. Li terrò stretti, così come le amicizie. Egnazia mi ha lasciato con il sorriso, la malinconia e la voglia di vivere nel modo più totale.
Emma
Dialoghi e incontri con la storia
Scavando in un sito archeologico, unità stratigrafica dopo unità stratigrafica, non si può sapere a priori di chi si farà conoscenza, se, cioè, attraverso i ritrovamenti in cui si abbia la fortuna di imbattersi, dialogheremo con un umile artigiano o con un ricco esponente del patriziato locale -del resto, sic transit gloria mundi.
È la variegata realtà sociale di una cittadina di medie dimensioni quella in cui ci si immerge ogni mattina, presi in mano gli strumenti del mestiere; una realtà formata da una classe media dedita al lavoro, sulla quale si fondava la prosperità dell’impero, ma spesso tralasciata dalla letteratura perché considerata “ordinaria”. Eppure, è per noi stra-ordinaria, perché è la classe in cui più direttamente possiamo proiettarci nel contesto del mondo antico, constatando, in maniera tanto lampante quanto ovvia, le differenze che ce ne separano in termini di confort e progresso tecnologico, ma anche, ad una riflessione più profonda, tutte le similitudini che ci uniscono come uomini a coloro che questa vita l’hanno vissuta prima di noi, cosicché riusciamo a comprenderli pienamente con una sorta di humanitas capace di applicarsi anche a distanza di millenni di storia: una connessione diretta, istintiva, che si può comprendere a patto di sottrarre un reperto alla polvere di un plurisecolare oblio. Così, quando, per esempio, ci si imbatte in un'antica moneta, con lei si materializza di fronte a noi anche chi lì l’ha lasciata. Ed è come se quest’ombra, di colpo uscita dall’Ade, ci chiedesse: “Prova a indovinare chi ero. E come mi sono guadagnato quella moneta? Cosa volevo farci? Volevo forse investirla per la salute dei miei figli? O magari speravo di poterla scommettere al gioco? Com’è accaduto che io la perdessi in questo punto?”. Sono, certo, domande destinate a rimanere senza risposta, ma nel porsele ci immedesima in un cittadino d’altri tempi e si ribadisce in modo indelebile una consapevolezza emersa nello studio della letteratura: mai l’indole dell’uomo, i suoi desideri, le sue pulsioni interiori e le sue paure, pur sempre influenzate dalle contingenze storiche, sono mutate sul piano profondo.
Vittorio
Ritorno
I colori. È quello che sicuramente mi è rimasto più impresso nella mente dopo la mia seconda esperienza allo scavo di Egnazia. I colori di un paesaggio vivo, quasi surreale, di cui facevamo parte; un paesaggio in grado di metterci in contatto con la dimensione dell’Egnazia del passato.
Partecipando alla campagna di scavo ho capito che è proprio questa l’essenza dell’esperienza di Egnazia: non siamo operai che scavano su un cantiere, ma veri e “esploratori della civiltà”. Il senso di ciò che è svolto durante gli scavi è ricostruire vite, usanze, costumi di altre persone vissute decine e decine di secoli prima di noi; è un modo per entrare in vivo contatto con un mondo ormai estinto, di cui non rimangono che piccoli frammenti. Ma sono quei piccoli frammenti che permettono di comprendere il passato del mondo in cui viviamo; la possibilità dunque di toccarli con mano è veramente qualcosa di assolutamente unico e irripetibile: è questo il motivo che mi ha spinto a rivivere l’esperienza, e questa volta in maniera più consapevole.
Egnazia, però, oltre che un luogo di scoperta, è un luogo di pace e di spensieratezza. Personalmente ho sempre visto il saggio XVI, dove operavo, come una sorta di “locus amoenus”; la sua lontananza dagli altri saggi mi ha sempre affascinato. Quando lavoravo lì mi sentivo veramente libero; percepivo nell’aria l’energia per continuare gli scavi che sempre più si rivelavano proficui.
E in tutto questo, la spensieratezza, facilitata dalla compagnia di chi ha condiviso con me questa esperienza, è stato un altro aspetto determinante; ho stretto nuove amicizie e vissuto momenti che certamente rimarranno indelebili nella mia memoria.
Rispetto all’anno precedente ho sicuramente affrontato l’esperienza con una consapevolezza diversa; sapevo già cosa mi aspettava ma, nonostante questo, certe sensazioni ed emozioni sono rimaste intatte. Per questo motivo certamente consiglierei alle future classi prime di partecipare a questa esperienza: sia perché la ritengo un’opportunità irripetibile, ma anche perché è senza dubbio estremamente formativa per un percorso di studi classici.
Lorenzo
Nuove amicizie
L'icosaedro di Egnazia
Visita a Monopoli con Achille Chillà