Da che ricordassi, dopo le medie la mia intenzione era sempre stata quella di iscrivermi alla scuola normale. Non a un liceo scientifico o linguistico, e tantomeno a un qualsiasi tipo di tecnico o di professionale: in qualche modo, sapevo che la scuola normale era esattamente ciò che faceva per me.

Questa idea aveva sempre divertito i miei genitori, e continuò a farlo fino a quando, in terza media, non saltò fuori che per scuola normale io intendevo il Classico.

La bomba scoppiò durante una sera di metà novembre. Verso la fine della cena, mio padre tossicchiò con aria di importanza.

-Allora- esordì -credo sia arrivato il momento di decidere in quale scuola normale iscriverti…-

Lui e mia madre si scambiarono uno sguardo d’intesa al di sopra della caraffa, come due giocatori pronti a passarsi il pallone. O come due leoni quando decidono da che parte attaccare.

-Per fortuna nei paraggi ce n’è più di una, e tutte hanno una buona reputazione. Certo, si può tenere conto anche della scelta che faranno i tuoi amici, ma ho già stilato una piccola lista con i pro e i contro delle varie possibilità, giusto per darti un aiutino.- Mi fece l’occhiolino mentre mi porgeva un foglio su cui, con precisione maniacale, erano indicati vantaggi e svantaggi di una decina di scuole. Cominciai a leggere la lista tra un boccone e l’altro, finché non mi resi conto che qualcosa non andava.

-Quelle con l’asterisco accanto sono entrate nella graduatoria dei migliori licei della provincia, l’anno scorso- mi spiegò mamma, fraintendendo la mia espressione. -E quelle cerchiate sono le scuole che abbiamo fatto io e tuo padre. Ah, e ovviamente quella di Anna.- aggiunse, facendo un cenno per tentare di coinvolgere mia sorella nel discorso.

-Ma… sono tutti scientifici- osservai.

-Beh, certo- fece lei, disorientata.

Io la guardai altrettanto confuso. -Ma io voglio fare il classico.-

Gelo.

Dall’altro capo del tavolo, Anna si fermò con il cucchiaio a mezz’aria, mi gettò un’occhiata incredula e scosse la testa in un gesto che chiaramente significava adesso te la vedi tu.

-Il classico?- ripeté papà, come se la parola gli fosse totalmente sconosciuta.

-Ma tesoro- rincarò mamma -Avevamo sempre pensato che…-

In un batter d’occhio, tutti ci rendemmo conto dell’equivoco. Effettivamente, nessuno di noi si era mai preso la briga di chiarire quale fosse la scuola normale: io non l’avevo mai spiegato perché loro non l’avevamo mai chiesto, e loro avevano dato per scontato che si trattasse dello Scientifico, visto che era la scuola che tutti nella nostra famiglia avevano scelto.

-Ma il classico è… è…- balbettò papà quando si fu ripreso da quello che sembrava un principio di shock.

-Completamente inutile e obsoleto?- suggerì Anna.

Mamma le lanciò uno sguardo di avvertimento, ma papà aveva tutta l’aria di essere d’accordo con lei. -Il Classico non ha alcuno sbocco- sentenziò.

-A meno che tu non voglia diventare un topo di biblioteca- intervenne ancora Anna, malevola. Quando mamma la fulminò con un’altra occhiataccia, lei si limitò ad alzare le spalle. -Beh, che c’è? È vero.-

-E poi, qual è il senso di passare cinque anni su lingue che nessuno parla più da mille anni a questa parte?- proseguì papà.

-Credevamo che tu volessi studiare medicina, dopo- aggiunse mamma. -Hai cambiato idea?-

Scossi la testa a occhi bassi, senza dire nulla. Mi sentivo decisamente sotto attacco e non riuscivo a capire se i miei fossero più delusi o più preoccupati da quella decisione. Mi aspettavo quasi che da un momento all’altro controllassero se avevo la febbre.

-E allora perché non fare lo Scientifico? Ti indirizzerebbe subito sulla strada giusta.-

-Anche al Classico si studiano le Scienze- osservai debolmente.

Anna fece uno sbuffo scettico.

Ci fu qualche momento di silenzio, poi mamma decise di assumersi la parte del conciliatore, almeno per il momento: -In ogni caso, deve essere una tua scelta. Qualsiasi scuola andrà bene, per noi.-

Ma sapevo benissimo che aveva solo bisogno di un po’ di tempo prima di tornare all’attacco.

L’altro motivo che per poco non fece naufragare la mia carriera di classicista ancora prima che iniziasse fu Becca De Laurenzio, ovvero la mia cotta di terza media. Lo so, è ridicolo, ma se qualcuno all’epoca avesse anche solo cercato di farmelo notare avrei potuto saltargli addosso. Una cotta di terza media non è una cosa da prendere alla leggera, specialmente con una come Becca.

Becca era quel tipo di persona di cui tutti vogliono essere amici, e di cui quelli che non sono amici parlano alle spalle. Perché Becca non solo aveva una casa con piscina e più followers del resto della scuola messo insieme, ma anche una scorta inesauribile di gomme da masticare. In qualunque momento della giornata, lei era avvolta da un profumo di fragola così intenso da sembrare solido. Avevo una mezza idea che, se mai fossi riuscito ad avvicinarmi abbastanza a lei, sarei letteralmente andato a sbattere contro una bolla rosa.

Per questi motivi e per una lunga serie di altri, Becca era unanimemente riconosciuta come la ragazza più popolare della scuola, proprio il tipo che non mi avrebbe guardato nemmeno di striscio. Sta di fatto che secondo fonti piuttosto certe (il mio amico B.G. l’aveva sentito dire da Giuliani, che giocava nella stessa squadra di Alex, che stava insieme alla Marti, che a sua volta faceva parte della cerchia di una delle migliori amiche di Becca), Becca De Laurenzio riteneva, dall’alto della sua infinita saggezza, che il Classico fosse una scuola da -c’è altro modo di dirlo?- asociali sfigati, e l’ultima cosa che mi serviva era sembrare uno sfigato agli occhi di Becca. Il particolare che con tutta probabilità lei non sapesse neppure abbinare il mio nome alla mia faccia non influiva minimamente.

Con queste premesse, quando mi iscrissi al Classico (e non so nemmeno io con quale coraggio) avevo più incertezze che mai. E se stessi sbagliando completamente? E se Anna avesse avuto ragione e io fossi rimasto un topo di biblioteca per il resto della mia vita? E se il Greco e il Latino si fossero rivelati delle trappole mortali che mi avrebbero fatto ripetere ogni anno per tre volte?

Il primo giorno in classe non c’era nessuno che conoscessi. Sapevo i nomi di due o tre persone, ma per il resto era buio totale. Nonostante questo, andò tutto bene fino alla seconda parte della mattinata, quando ci fu detto di sederci in cerchio e di spiegare perché avessimo scelto il classico. A quel punto mi sentii sprofondare: l’ultima cosa che volevo era che tutti venissero a sapere della scuola normale, che ormai era diventata imbarazzante e stantia come un racconto per bambini sentito troppe volte.

A mano a mano che gli altri parlavano, però, mi resi conto che non ero il solo con una storia del genere. Certo, c’erano quelle due o tre persone che avevano scelto il classico per motivi più normali (sempre che si possa definire normale una persona incuriosita dal greco antico), ma tanti altri avevano ragioni diverse.

Una ragazza, per esempio, disse di aver scelto per esclusione: aveva scritto su un foglio i nomi di tutte le scuole che le venivano in mente e poi li aveva cancellati a uno a uno, finché non era rimasto soltanto il classico.

Un’altra era sempre stata determinata a studiare lingue, ma dopo la giornata a scuole aperte aveva cambiato idea tutto d’un tratto, senza quasi riuscire a spiegarsi il perché. Quando un ragazzo alzò le spalle e se ne uscì semplicemente con “masochismo?” ci mettemmo tutti a ridere, anche se la battuta era scontata. Qualcun altro aveva l’aria così smarrita che non sembrava nemmeno sicuro del motivo per cui si trovava lì.

Per farla breve, non ero il solo ad avere dubbi, anzi: i nostri dubbi, chi più chi meno, li avevamo tutti, e nella maggior parte dei casi sarebbero stati i nostri fedeli compagni per qualche altro anno almeno. Tuttavia, come aveva detto una volta una mia professoressa delle medie, avere dubbi è sintomo di intelligenza: immagino che sarebbe più grave andare semplicemente avanti con il paraocchi.

E poi, in cinque anni di liceo, qualcosa l’ho imparato.

Avevo sempre sentito dire che Greco e Latino sono lingue difficili. E sì, inutile negarlo, sono difficili, ma un sacco di gente le ha studiate senza rimetterci la pelle. Dopotutto non sono così terribili come sembrano, una volta che te le fai amiche. Ecco, forse il paragone più azzeccato sarebbe proprio con Becca De Laurenzio: prima che ti degnino di un’occhiata, devi andare avanti a corteggiarle per un po’.

Per quanto riguarda la mia paura di diventare un topo di biblioteca, posso dire che è felicemente sfumata. Saltò fuori che quella storiella che si sentiva sempre, quella che dopo il liceo classico si può scegliere qualunque strada, non era solo una diceria rifilata agli studenti per evitare che le classi restassero vuote.

Ho compagni che dopo il liceo sono andati a studiare Lettere o Storia, ma c’è anche chi ha scelto Medicina, Relazioni internazionali, l’Accademia delle Belle Arti o Ingegneria aerospaziale.

Già, perché invece l’altra storiella, quella che al Classico non si faccia matematica o che se ne faccia poca, è tristemente falsa. Per non parlare delle gioie della Fisica dal terzo anno in poi. Dire che al Classico non si fa matematica sarebbe come dire che quelli dello Scientifico non conoscono la filosofia, o che quelli del linguistico hanno solo una vaga idea di cosa sia il latino (anche se su quest’ultimo punto, in realtà, si potrebbe discutere).

Fare il Classico è impegnativo? Sì. Snervante? A volte sì.

Ma fare il Classico è anche leggere un testo di duemila e cinquecento anni fa e rendersi conto che ti avvince più dell’ultimo romanzo che hai sul comodino. È odiare il Latino il giorno prima e amarlo quello dopo. È imparare i peggiori insulti in greco antico e realizzare di non poterli urlare a nessuno, perché gli unici a capirli sarebbero i tuoi prof. È dimostrare alle persone come Becca De Laurenzio che non si tratta affatto di una scuola per asociali sfigati, e che sono quelli che lo pensano a dimostrarsi εγγεγορτυνωμένοι² .

Fare il Classico è rendersi conto che la vita è come una traduzione: se a volte si prende subito la strada giusta, altre per trovarla si ha bisogno di cambiare prospettiva, perché errare humanum est(3) .

E io? Beh, ho preso una strada completamente diversa da quella che avevo in mente all’inizio.

Ma il migliore augurio che possa fare a ciascuno è questo: di trovare la propria, e di seguirla ἄχρι τέλους³ . Fino alla fine.