Il racconto 

della Storia





Nel corso della storia si sono susseguiti numerosi conflitti, spesso scaturiti da situazioni di tensione sia tra stati diversi che all'interno dello stesso stato. I motivi di tali tensioni sono stati spesso ignorati a favore di una politica bellicosa, risoltasi in gravi crisi umanitarie, politiche ed economiche. 

Una delle situazioni di crisi peggiori che l’attualità sta attraversando è sicuramente quella che si è sviluppata in Afghanistan. Dopo l’invasione statunitense iniziata il 7 ottobre 2001 il territorio afgano è stato occupato dagli U.S.A. fino al 2021. Stando a quanto detto da Barak Obama, che aveva annunciato il ritiro delle forze armate nel 2014, entro il 2016 sarebbe dovuta sparire qualsiasi traccia di milizie statunitensi sul suolo afghano, ma nonostante ciò, rimasero all’incirca 5.500 unità oltre il limite di tempo precedentemente stabilito. 

Nel 2019 viene siglata tra Stati Uniti e talebani la pace di Doha, che sancisce come data di ritiro definitivo dei contingenti armati statunitensi il 31 agosto 2021.

Durante l’abbandono del paese da parte delle forze occidentali, il 15 agosto 2021 il governo centrale, sostenuto dalla Comunità Internazionale, cade in mano ai talebani, lasciando la nazione inerme di fronte al totale assoggettamento da parte di quest’ultimi. 

Il neonato governo, che prende il nome di Emirato Arabo d’Afghanistan, impone fin da subito una politica severa e oppressiva di stampo islamista radicale, imponendo la lettura della sharia, discriminando le donne, limitando il loro diritto di studio e lavoro e colpendo la minoranza sciita degli hazara. L’Afghanistan viene colpito anche da una profonda crisi economica, dovuta alla mancanza di moneta circolante e fondi, soprattutto a causa del congelamento dei beni della Banca centrale afgana negli U.S.A. e nei principali stati europei. Questi fattori trascinano immediatamente il paese di fronte a una catastrofe umanitaria evidente agli occhi di tutto il mondo. Il principale tentativo di smorzarla viene fatto dall’ONU, che attraverso Antonio Gutierres, segretario generale, chiede lo scongelamento dei beni sopracitati, avvenuto parzialmente (circa 3,5 miliardi di dollari su 7) da parte degli Stati Uniti.

Il 15 agosto 2022, ad un anno dalla nascita dell’Emirato Arabo d’Afghanistan, l’Onu ha dichiarato che le vittime civili documentate ammontano a 2106, 217 sono i casi di punizioni crudeli, disumane e degradanti e 118 i casi di uso eccessivo della forza, insieme a centinaia di violazioni dei diritti umani. 

In questo ventennio di controllo statunitense, nonostante i miliardi investiti sul suolo afgano, Washington non è riuscita a costruire le fondamenta per un governo stabile e duraturo. Delle ingenti spese sostenute, hanno beneficiato ben poco la popolazione, accorpata in slum intorno a Kabul, e i servizi di sicurezza afgani, costituiti per lo più da soldati provenienti da zone diverse del paese e da numerosi infiltrati della “resistenza talebana”.

L’Afghanistan, nell’era recente, è diventato il più grande esportatore di eroina al mondo, costituendo all’incirca il 90% del mercato mondiale e a testimonianza della grave crisi umanitaria vi è anche il fatto che un giovane afgano su dieci sia dipendente dall’oppio. 

Ciò che è mancato, o è stato ignorato, è la profonda divisione che regna nel paese, da tempo vittima di una crisi politica, economica e umanitaria. Infatti il territorio è diviso in regioni che differiscono per etnia, cultura e religione. Le spese si sono concentrate principalmente, più precisamente per il 95%, sulle armi e non sulla creazione di un governo stabile e unitario. Questo va contro ogni punto da noi ritenuto importante per costruire una pace positiva e duratura, raggiungibile solo tramite la costruzione di un governo funzionante non corrotto, di un ambiente sano per l’attività economica tramite investimenti, l’attuazione di un’equa distribuzione delle risorse e la tutela della libertà di espressione.