Sensibilizzazione sulla violenza contro le donne
Il 25 novembre di ogni anno ricorre la Giornata internazionale della violenza contro le donne.
La scuola secondaria di primo grado Simone da Corbetta ha scelto di non tacere e di aprire le porte alla conoscenza e all’approfondimento di questo importante tema. La 3D, guidata dalle professoresse Ylenia Ferlato e Giuliana Bonfiglio, ha organizzato a scuola una giornata sul tema: le studentesse hanno cercato su internet delle poesie che potessero ricordare a pieno l’argomento, in modo che poi, divise a gruppi, potessero raccontare ed interpretare le poesie agli alunni delle altre classi.
I compagni hanno avuto due tipi di reazioni: alcuni sono rimasti in silenzio, riflettendo su quello che avevano ascoltato; altri, pochissimi, hanno applaudito.
Per rafforzare il valore simbolico della giornata, tutti e tutte hanno indossato qualcosa di rosso. Sono stati realizzati, inoltre, dei cartelloni significativi da esibire dentro e fuori la scuola.
Il colore dominante in questa giornata, infatti, è il rosso, che non rappresenta solo il colore dell’amore e della passione, ma anche il colore del sangue versato dalle vittime di violenza. Alcuni oggetti simboli sono il fiocco rosso, scarpe rosse da donna e panchine rosse.
Per questa ragione, il Comune di Corbetta, qualche anno fa, ha deciso di sostenere la campagna contro la violenza sulle donne, installando due panchine rosse in Piazza del Popolo e nel parco comunale di Villa Ferrario. Non solo, i comitati di frazione hanno posto panchine rosse nelle loro zone.
Guardando una panchina pensiamo a un luogo dove le persone si siedono e si prendono del tempo per pensare e ragionare, ed è proprio per questo che quando ci sediamo su quella panchina dobbiamo realmente riflettere su quello che sta accadendo in tutto il mondo.
La memoria è custodita anche nella nostra biblioteca comunale: la sala multimediale è stata dedicata a Masha Amini, uccisa nel 2022 in Iran.
Matteo La Paglia, Matilde Morani, Giorgia Vacca
Un po’ di storia...
Ecco perché la Giornata internazionale della violenza contro le donne si celebra il 25 novembre
La data 25 novembre è stata scelta nel 1981 dall'Assemblea delle Nazioni Unite in memoria di un terribile fatto di cronaca nera: il 25 novembre 1960, nella Repubblica Dominicana, il dittatore Rafael Leoidas Trujillo fece perseguitare e uccidere tre sorelle, attiviste politiche: Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal. Quel giorno le tre donne, mentre si stavano recando al carcere per incontrare i loro mariti detenuti ingiustamente dal regime antidemocatrico, furono rapite, violentate, torturate e massacrate. I loro corpi vennero infine gettati da un precipizio.
Questa giornata si celebra in memoria di tutte le vittime e per sensibilizzare le donne di tutto il mondo a denunciare le violenze subite e le persone ad avere rispetto reciproco.
La violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani, è l’ultimo rifugio degli incapaci, siano essi padri, mariti, fidanzati, amici o sconosciuti.
Il 25 novembre, infatti, segna l’inizio di sedici giorni di attivismo contro la violenza di genere che culminano il 10 dicembre nella Giornata mondiale dei diritti umani.
Nel 2009 è nato anche il numero di telefono 1522, numero verde antiviolenza a cui rispondono psicologi, assistenti sociali e medici che raccolgono le denunce e cercano di attivare la protezione necessaria alle donne colpite.
Nella Giornata del 2023 molti italiani hanno partecipato alle manifestazioni mossi dal dolore provato nell’assistere impotenti a fatti recenti che hanno visto l’assassinio di ancora molte donne.
Matteo La Paglia, Matilde Morani, Giorgia Vacca
Un deserto pieno di vita
Era il 1° dicembre quando Massimo Vignoli, padre di una ragazza precedentemente alunna della scuola Simone Da Corbetta, con il suo carisma e la sua esperienza, è riuscito a trasportare tutta la 3E in Namibia, un Paese situato in Africa meridionale. Tutto è avvenuto grazie alla professoressa Laura Cislaghi, che è rimasta in contatto con la sua ex alunna, Margherita, ed è quindi venuta a conoscenza del viaggio in Namibia compiuto dalla famiglia. Perché non cogliere un'occasione così speciale? Vignoli ha così presentato, in una sorta di lezione di geografia alternativa, la Namibia, parlando della sua scarsa densità demografica e del fatto che per molti anni è stata dominata dai tedeschi, diventando un Paese libero solo nel 1990.
Successivamente, ha intrattenuto la classe mostrando alcune splendide immagini (scattate da lui stesso), che rappresentano pienamente la vita reale delle persone e degli animali che vivono in questo splendido Paese africano. Ha mostrato le dune con variazioni di colore in base al tipo di sabbia e all’inclinazione dei raggi del sole o che cambiano forma molto velocemente, a causa dei venti.
Tra i tantissimi luoghi naturali ha raccontato di piccoli alberi secchi posizionati nei resti di un laghetto ormai prosciugato, vi sono poi splendidi parchi naturali (come il Namib e l’ Etosha) molto protetti da regole ferree, come, ad esempio, il coprifuoco. Infatti non lo si può visitare oltre il tramonto e a piedi: si deve affittare una macchina apposita, condotta da una guida. Ha poi parlato del comportamento degli indigeni: quando la famiglia Vignoli, accompagnata da una guida ha fatto visita a una tribù, era il capo (l’abitante più anziano al quale era permesso sedere sull’unica sedia del villaggio) che comunicava con la guida che faceva da traduttore in inglese. Erano presenti molti bambini, con profondissimi occhi.
All’inizio, le persone erano diffidenti nel farsi scattare le foto, perché non capita spesso di vedere gente non africana anche a causa del fatto che le strade sono ancora sterrate. Erano timide e imbarazzate, ma dopo un po' sono entrate tutte in competizione per farsi scattare una foto. Una cosa molto interessante è il fatto che non c’erano uomini nel villaggio, perché erano a caccia per procacciarsi del cibo. Questo racconto è riuscito a lasciare a bocca aperta tutti gli studenti ed anche la dirigente Aurora Gnech, che, incuriosita, ha deciso di partecipare.
Noemi Bianchini, Ottavia Cattaneo e Lisa Passero
Venerdì 26 gennaio tutte le classi seconde della Scuola secondaria di primo grado Simone da Corbetta hanno affollato la sala polifunzionale per assistere ad un incontro importante, organizzato per ricordare il genocidio degli ebrei, avvenuto nel corso della Seconda guerra mondiale.
Sul palco, la dirigente, Dottoressa Aurora Gnech ha aperto la conferenza, ricordando l’istituzione della Giornata della Memoria. Quindi, due rappresentanti dell’ANPI hanno parlato delle leggi razziali istituite in Italia nel 1938, che privarono gli ebrei di ogni diritto.
Quindi, ha avuto inizio il racconto commosso e toccante della vicenda della famiglia Molho, fatto da Simone, il nipote di Dino, uno dei protagonisti, che all’epoca della vicenda era un ragazzino. I Molho si salvarono grazie a dei cittadini di Magenta, non ebrei, che a rischio della propria vita li nascosero in un rifugio ricavato nel magazzino di una fabbrica. In questa “casa segreta” Dino, sua sorella Ester, il padre Salomone e la madre Anna trascorsero 14 mesi, fino alla liberazione, il 28 aprile 1945.
Tutti i ragazzi e le ragazze hanno seguito la storia narrata da Simone con grande partecipazione, in un rispettoso silenzio.
Questo evento ha fornito agli alunni la possibilità di comprendere quanto la libertà sia un grande ed infinito valore. Del resto, conoscere questa vicenda ha rappresentato un momento prezioso per divenire consapevoli degli errori del passato, per evitare che questi si possano ripetere.
Conoscere ciò che è stato diventa un dovere, per noi nuove generazioni, ma per farlo è importante aprire occhi e menti, ascoltare in maniera critica la storia, senza dimenticare mai che la memoria siamo anche noi, che abbiamo il compito di conoscere e far conoscere la verità, proprio come è accaduto oggi nella nostra scuola.
Noemi Bianchini e Anna Rizzo
Che emozioni hai provato quando tuo nonno ti ha raccontato per la prima volta questa storia?
“Per me è stato sempre difficile affrontare il tema della Shoah, perché sono cresciuto in un contesto in cui ero l’unico ebreo. Mi sono effettivamente sempre sentito diverso e ascoltare queste storie, devo dire, è abbastanza doloroso: tuttavia, sono sempre stato molto fiero del fatto che mio nonno raccontava la sua storia e andava nelle scuole a portare la sua testimonianza. Quello che provavo era un sentimento doloroso, tristezza ma anche fierezza nei suoi confronti. Quando ho scoperto come venivano trattati gli ebrei circa ottant'anni fa, per me, è stato un momento difficile e sconfortante. Mi sono spesso chiesto che sentimenti provasse una persona nei campi di concentramento. Continuavo sempre a domandarmi: Perché? Era come se nella mia testa apparisse una grande scritta, a caratteri cubitali nera, con su scritto “Perché”.
Quindi fin da quando eravate piccoli tu e Miriam conoscevate la vicenda di vostro nonno ?
“Sì, non c’è stato proprio un momento preciso in cui mio nonno me lo ha confidato, ma più che altro sono venuto a sapere nel tempo quali sono stati gli orrori della Shoah, tutto quello che è successo, e quello che comunque mio nonno non ha vissuto, perché la sua storia non è tragica, non essendo stato deportato; lui, più che un sopravvissuto, è uno scampato ai campi di sterminio per gli ebrei”.
Come ti sei sentito a raccontare questa vicenda davanti ai ragazzi di una scuola? Per te era la prima volta?
"Sì, era la mia prima volta in una scuola e davanti a così tante persone e all’inizio mi sono sentito in difficoltà, perché la Giornata della Memoria non è un argomento facile di cui parlare, specialmente a ragazzi. Ero molto emozionato”.
Tu e tua sorella Miriam siete ebrei?
“Noi siamo ebrei, anche di religione ebraica, italiani, nati in Italia.”
Come vi sentite voi due, come nipoti di Dino Molho, vi sentite delle star, siete orgogliosi ? Pensate mai al fatto che, se non fosse per le persone che hanno salvato vostro nonno, voi, adesso, non sareste qua?
“Mio nonno è stato molto fortunato ma non ha avuto meriti. Mi sentirei una star se fossi il figlio di chi l’ha salvato, poiché sono state pochissime le persone così coraggiose da mettere a repentaglio la propria vita per salvare degli ebrei. Quindi, le star sono loro, per me è un onore poter raccontare questa storia, che è una vera e propria testimonianza.”
Durante il tuo discorso hai accennato al fatto che tuo nonno aveva fatto costruire un monumento a Magenta: dove è situato?
“Sì, questo monumento si trova in via Diaz, a Magenta, esattamente dove sorgeva lo stabilimento in cui mio nonno e la sua famiglia si erano rifugiati: nello stesso posto hanno costruito una stele, un monumento, per ricordare chi lo ha salvato. La città di Magenta è molto fiera di annoverare tra i propri cittadini dei Giusti fra le Nazioni, che sono sei. Sono tanti considerando che in tutto il mondo sono ventimila. L'inaugurazione di questa stele è avvenuta una quindicina di anni fa.”
I nomi della famiglia che ha salvato vostro nonno sono scritti nel museo dello Yad Vashem in Israele ?
“Sì, è stato piantato, per ognuna delle sei persone che ha salvato mio nonno, un albero nel Giardino dei Giusti, il bosco di alberi piantati per ogni giusto fra le Nazioni.”
Anche la sorella di vostro nonno è rimasta in vita?
”Sì, si è sposata; è morta giovane per una malattia e non l’abbiamo mai conosciuta, però i discendenti sono nostri cugini.”
Tu pensi che sia importante raccontare il dramma vissuto dagli ebrei?
“Penso sia importante ricordare proprio perché non è accaduto in un mondo così diverso dal nostro. Quindi, dobbiamo esseri consci del fatto che, con una desensibilizzazione e con una campagna di denigrazione costante, l’uomo può arrivare a fare cose di cui poi può pentirsi: è inconcepibile, ma non dobbiamo dire che non potrebbe succedere di nuovo, come diceva Primo Levi: chi dimentica il proprio passato è condannato a ripeterlo.”
Tu insieme anche a Miriam, pensi di andare in altre scuole a raccontare la vicenda di vostro nonno?
“Noi non siamo testimoni e non siamo nemmeno portavoci, parliamo della nostra singola esperienza. Siamo ragazzi come voi che semplicemente discendono da qualcuno che è stato salvato durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale. Siamo persone normali e non abbiamo chissà quale esperienza da raccontare: se in futuro venissimo chiamati, in particolare qui nella zona di Corbetta, io accetterei come ho fatto in questo caso. Ho apprezzato moltissimo che io sia stato invitato a raccontare questa storia.”
Avete avuto la possibilità di conoscere la famiglia che ha salvato vostro nonno?
“Purtroppo no, ma abbiamo conosciuto Dina, una bambina che ai tempi di mio nonno aveva la sua stessa età. Gli unici che abbiamo potuto conoscere sono quelli che, all’epoca, erano bambini durante la guerra, perché comunque quando mio nonno raccontava la sua vicenda, era già ottantenne.”
Noemi Bianchini e Anna Rizzo
Una prof. che ha lasciato il segno. Eleonora Preti era solo da qualche anno alla scuola media Simone da Corbetta, dove insegnava lettere, ma ha saputo dare un importante contributo, partecipando attivamente al Team Digitale e avviando l’esperienza del giornalino Praticamente. A settembre, dopo aver vinto il concorso, è passata al liceo Bramante e, ora, ci racconta la sua esperienza.
Com’è stato il passaggio da una scuola media ad un liceo?
“Sicuramente è stato impegnativo. Sono due mondi molto diversi sotto tanti punti di vista: il rapporto con gli studenti, la gestione della classe, il rapporto con i colleghi, anche il numero di persone è diverso. Il liceo in cui lavoro è più grande rispetto alla vostra scuola. E’ stata una scelta che ho fatto in maniera consapevole e che mi ero data come obiettivo del mio percorso professionale. Non rimpiango gli anni trascorsi nella scuola media e ritengo che l’esperienza maturata sia preziosissima”.
Come si trova in questa nuova scuola? Si è pentita di aver cambiato?
“Mi trovo complessivamente bene, nonostante i grandi cambiamenti che ho elencato prima. Non sono pentita, è stata una scelta fatta in modo consapevole e su cui ho riflettuto molto. Penso di poter sfruttare al meglio le mie abilità e valorizzare il mio percorso di studi in un ambiente liceale, ma non sentivo la necessità di "scappare" dalle medie. La mia esperienza alle scuole medie rimane importante, perché lì ho iniziato a lavorare e ho imparato ad insegnare. E’ anche il luogo in cui ho instaurato bellissimi rapporti con colleghi ed ex colleghi, che ancora oggi continuano ad esserci. Anche se ogni tanto sento un po’ di nostalgia non mi sono pentita della mia scelta”.
Le mancano i suoi vecchi alunni?
“Sono solo due le mie classi rimaste. Sì, mi mancano, soprattutto una di quelle due classi, dato che l’avevo presa dalla prima e non pensavo di lasciarla in terza. Era la prima classe che mi è stata assegnata come insegnante di ruolo e che ero convinta di portare fino alla fine della terza. Questo insegna come la vita può essere imprevedibile e che, anche quando si prepara tutto nei minimi dettagli, le cose possono cambiare. Mi sento in colpa per averli lasciati in un anno così importante, ma capita di dover affrontare scelte professionali che non si possono rimandare”.
Che materie insegna e con quale metodo?
“Insegno italiano e una materia che alle medie non esiste, geo-storia. Potrei insegnare anche latino, ma quest'anno non mi è stata assegnata alcuna classe per questa materia. A me piace sperimentare, come sanno bene i miei ex alunni: non mi piace fare la solita lezione frontale dove il docente spiega e gli alunni hanno un ruolo più passivo, preferisco coinvolgere attivamente i ragazzi con lavori di gruppo o lavori in digitale. Qui alle superiori bisogna conciliare la voglia di sperimentare con un orario più concentrato, con la necessità di seguire la programmazione e con la preparazione che hanno i ragazzi. Perciò pur continuando a sperimentare, alterno modalità più tradizionali, soprattutto con le quinte”.
Dal punto di vista tecnologico la sua nuova scuola le sembra più avanzata?
“Rispondo senza problemi con un secco "no". Ero abituata bene a Corbetta, che penso sia la scuola in cui io ho insegnato più attrezzata dal punto di vista delle dotazioni tecnologiche. Tra l’altro io facevo parte del Team Digitale, quindi mi occupavo degli acquisti da fare. Questa cosa mi manca molto, perché invece qui al liceo Bramante, ad oggi, nelle aule ci sono ancora vecchissime LIM che io usavo tanti anni fa e non ho a disposizione tablet; d’altra parte essendo i ragazzi più autonomi è più facile che siano loro a portare i dispositivi necessari per la lezione”.
Com’è stata l’esperienza del giornalino?
“Bellissima. E’ uno dei primi progetti che ho contribuito a realizzare insieme alle professoresse Ylenia Ferlato e Giuliana Bonfiglio da quando sono diventata docente di ruolo. Il giornalino esisteva già anni fa, noi abbiamo contribuito a rifondarlo su richiesta dei ragazzi del CCR in una chiave moderna e a dargli una diffusione sul web. E’ stato bello non solo perché si raccontano vicende di Corbetta, ma anche per far mettere in gioco i ragazzi. Il primo anno fu ancora più difficile a causa della pandemia. Al Bramante c’era il giornalino ma da 3 anni non riesce più a partire il progetto perché non c’è più un docente di riferimento. Mi hanno proposto di rimettere in piedi il giornalino ma ho rifiutato. Forse l’anno prossimo”.
Ha qualche consiglio da dare ai ragazzi che stanno vivendo questa esperienza?
“Prendetela come un’esperienza di crescita, un passatempo e divertitevi perché non si fa il giornalino per diventare giornalisti, ma per avere un atteggiamento curioso. Vivete questa esperienza dal punto di vista scolastico per imparare nuove cose, ma anche dal punto di vista sociale, come fare amicizia con quel compagno che non avevi mai calcolato! Fate nuove conoscenze e prendete questa esperienza sul serio”.
Si trova meglio con i ragazzi più grandi o con quelli più piccoli?
“Mi trovo meglio a lavorare con i ragazzi più grandi, perché hanno più maturità e si può fare un lavoro di confronto critico, un dibattito che alle medie non puoi avere perché, appunto, gli allievi sono più piccoli e hanno meno esperienza e meno capacità di astrazione. Mi manca il tempo di fare qualcosa e mi manca la possibilità di sperimentare indipendentemente da quello che fanno gli altri professori”.
Secondo lei è più facile portare dei ragazzi all’esame di terza media o alla maturità?
“Sono due cose completamente diverse. A me piaceva molto l’impostazione dell’esame di terza media negli ultimi anni, cioè il fatto di mettere al centro il percorso di un alunno. Infatti il colloquio orale era proprio un bel momento perché vedevi raccogliere i frutti di un intero triennio. Alla maturità vedo prevalere le conoscenze. Secondo me l’esame per com’è impostato lascia meno espressione alla personalità del singolo. Mi piaceva di più l’esame di terza media per questo aspetto”.
Insomma, davvero un bel cambiamento per la nostra professoressa, che speriamo possa lasciare anche al Bramante la speciale impronta che ritroviamo, ogni giorno, nella nostra scuola!
Gabriele Di Nuzzo e Gaia Serati