STORIA E CULTURA

INTERVISTA IMPOSSIBILE A GIUSEPPE UNGARETTI


Buongiorno Signor Ungaretti, siamo felici di conoscerla e di poterla intervistare per il nostro giornalino. Ci scusiamo per il disturbo e la ringraziamo per la sua disponibilità. Se è d’accordo, cominciamo subito con la prima domanda.

Nessun disturbo, sono abituato alle interviste, sono felice che siate interessati a me e alla mia vita e sarò lieto di rispondere alle vostre domande.


Lei è nato ad Alessandria d’Egitto da genitori italiani. Che cosa ricorda della sua infanzia e adolescenza?

Sono nato nel 1888 ad Alessandria d’Egitto, perché all’epoca mio padre lavorava alla costruzione del Canale di Suez e questo è stato il motivo del trasferimento dei miei genitori dalla Lucchesia in quelle zone. Purtroppo a due anni dalla mia nascita mio padre è mancato proprio per un incidente di lavoro.


Da quel momento che cosa è cambiato?

Le cose si sono molto complicate, ma grazie al sacrificio di mia madre, che gestiva un forno, ho potuto studiare in buone scuole e terminare gli studi superiori. Il mio rapporto con mia madre era molto stretto, essendo per me una figura sia materna, sia paterna. A Parigi ho frequentato la prestigiosa Università della Sorbona dove ho perfezionato il mio sapere letterario, ma non mi sono mai laureato. Nel 1914, a causa della situazione politica vissuta dal nostro Paese, ho preferito tornare in Italia. La guerra mi ha portato ancora in giro. Nessuna terra è casa, ogni luogo ha un posto speciale nel mio cuore e nella mia mente, ma nessun luogo mi appartiene fino in fondo.


Lei per noi è un maestro, ma ha avuto a sua volta dei maestri quando ha cominciato a scrivere le sue prime poesie?

Nessuno in particolare, ho cominciato a scrivere poesie quando ero a scuola. Adoravo soprattutto due poeti italiani, Dante e Leopardi. E poi un poeta francese, Mallarmé. La cosa strana è che mentre mi battevo per Mallarmé, dicendo che era un bravo poeta, non lo capivo del tutto neanche io! Stimavo Leopardi perché le sue poesie contengono sempre qualcosa di difficile da comprendere, un segreto che mi incuriosiva. In Francia mi sono ispirato anche a Baudelaire e ad Apollinaire.


Abbiamo letto la sua poesia “I fiumi” e ci ha molto interessato. Come le è venuta l’ispirazione?

A pensarci mi sento ancora giovane. E’ andata così: ero a Cotici, durante la guerra, e questo luogo di dolore mi ha fatto ricordare la mia vita, così di punto in bianco mi sono messo a scrivere ricordando i fiumi della mia vita. Credo proprio che questa poesia sia quella che maggiormente la rappresenta nelle sue fasi più importanti: la nascita, l’adolescenza, la guerra.

Nella prima parte rifletto sulla mia storia, mentre nella seconda evidenzio come l’immensità della guerra renda l’uomo piccolo piccolo. I quattro fiumi rappresentano la mia vita: il Serchio le mie origini culturali, il Nilo la mia infanzia e giovinezza, la Senna il mio periodo parigino e, infine, l’Isonzo la mia esperienza come soldato.


Che cosa ha fatto quando è ritornato in Italia dalla Francia?

Era il 1914, un anno prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale: la situazione nel nostro paese era molto difficile, era spaccato in due. C’era chi pensava che l’Italia dovesse entrare in guerra e chi invece pensava che sarebbe stato meglio mantenere la neutralità.

Io ho partecipato alla campagna interventista al fianco di molti miei amici toscani e nel 1915 alla dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria mi sono arruolato come volontario.


Perché si è offerto come volontario?

Consideravo la guerra una soluzione per ottenere uno stato di uguaglianza e libertà per i popoli. Ricordo che speravo anche di ritrovare nella guerra la mia identità di italiano, essendo nato in Egitto e avendo vissuto a lungo in Francia. A quel tempo credevo ingenuamente nella guerra e nella possibilità di una vittoria nazionale e popolare.


Può raccontarci qualcosa della sua esperienza in trincea? Come ha vissuto la prima guerra mondiale?

Bella domanda. L’esperienza in trincea mi ha inevitabilmente segnato.  Io credevo nella guerra, ma è stata una tragica esperienza. La guerra mi ha cambiato profondamente, anche nel modo di scrivere le mie poesie. Le scrivevo per parlare di come mi sentivo in quei momenti.

Per spiegarvi come mi sono sentito in guerra vi reciterò una mia breve poesia Soldati: “Si sta come / d’autunno / sugli alberi /le foglie”.

La guerra si vive conoscendo a fondo la precarietà della vita. Le foglie sugli alberi  in autunno cadono per un semplice alito di vento, sono come la tua vita in guerra, appesa a un filo.

In trincea ho avuto l’angoscia di perdere la vita. Ricordo quando scrissi Veglia, in cui parlo di una notte passata vicino a un compagno morto. Questa poesia è un esempio di come mi sentivo emotivamente: mi sentivo morto, anche se non lo ero fisicamente, però sono riuscito sempre a pensare in modo positivo. L’amore per la vita che era in me veniva messo a rischio dalla guerra, ma non sono mai stato tanto attaccato alla vita come allora, pure nelle esperienze più tragiche.


Quali sono le prime raccolte di poesie che ha pubblicato?

La mie prime raccolte sono state Allegria di Naufragi nel 1919 e nel 1923 Il porto sepolto, che prende il nome dall’omonima poesia con cui ho rivoluzionato la poesia italiana aggredendo gli schemi tradizionali.

Tutte le mie opere ora sono raccolte in Vita di un uomo.


Il porto sepolto è una poesia complessa, può spiegarcela?

In realtà la poesia è breve, ma capisco che possa essere difficile capirla. Prima di tutto, per fare impazzire i lettori, ho usato una metrica tutta mia, 7 versi di misura diversa, 3 nella prima strofa e 4 nella seconda.

Il titolo è fondamentale, perché il testo inizia con Vi arriva il poeta, e il vi si riferisce proprio all’antico porto di Alessandria d’Egitto, sprofondato in mare a causa dei movimenti sismici. Sprofondare in questo porto è come sprofondare nel mistero della realtà.


Ma lei cosa pensa della poesia? Quale messaggio vuole trasmettere con le sue opere?

La mia poetica è centrata sulla sincerità e sull’impegno morale. Il messaggio che vorrei trasmettere è l’importanza della vita e dei sentimenti, anche la solitudine, il dolore, la sofferenza che la vita ti mette davanti. La poesia è un elemento fondamentale della mia vita. La concepisco come strumento di ricerca della realtà. Ritengo che la vera conoscenza non si raggiunga per via razionale o scientifica, ma per via analogica, attraverso l’accostamento di immagini, simboli, parole.

Non utilizzo nemmeno la punteggiatura nelle mie poesie, comunque riesco a dare loro un ritmo particolare utilizzando le pause, come gli “a capo” e gli spazi bianchi.


Abbiamo studiato che lei è considerato l’iniziatore dell’Ermetismo. Ci vuole spiegare meglio in che cosa consiste?

L’ermetismo è un modo di scrivere seguito da un gruppo di poeti che, seguendo il mio esempio, hanno incentrato la loro poesia, appunto come dicevo prima, sull’uso di poche parole, ma essenziali, per esprimere un concetto, parole che in certi casi hanno un significato simbolico e nascono dall’analogia e non dalla razionalità, parole che evocano sensazioni ed emozioni uniche.

Per me l’ermetismo, insomma, è stato un modo di far vivere grandi emozioni con poche parole, lasciando a chi legge la possibilità di viaggiare libero fra quelle parole fin dove arriva la sua mente.


Possiamo farle una domanda personale? Come ha vissuto il trauma della morte dei suoi familiari?

Non mi piace molto parlarne, ma visto che siete stati molto corretti nei miei confronti, vi risponderò come mi è possibile.

La domanda me la pongono in tanti; il trauma l’ho vissuto, ma lo sto ancora vivendo. Tutti i giorni, tutte le notti sogno mio fratello e mio figlio. Già quando è morto mio fratello ero disperato, ma dicevo tra me e me: beh, almeno c’è mio figlio. Poi quando è morto Antonietto la mia vita è come se si fosse spezzata e non è ritornata più come prima.

Il dolore è stato straziante. Pensavo che non potessi vivere più una vita normale senza mio figlio. Dopo la sua morte per un certo periodo ho sentito in continuazione la sua voce, quando malato e fiducioso chiedeva aiuto. Non c’è giorno che non pensi a lui e a tutti i bellissimi momenti passati insieme. Brevi ma intensi.

Qualche tempo dopo ho scritto Il dolore, la poesia in cui ho descritto come mi sentivo emotivamente in quel periodo.


Ci dispiace per la sua enorme perdita. Siamo giunti quasi alla fine dell’intervista. Ci può parlare della sua esperienza come insegnante?

Nel 1936 ero in viaggio in Argentina e mi è stata offerta la cattedra di Letteratura italiana presso l'Università di San Paolo del Brasile. Ho accettato volentieri e ho insegnato in Brasile fino al 1942. Purtroppo Antonietto è morto a San Paolo per una appendicite curata male.

E’ stato comunque un bel periodo, perché potevo trasmettere i miei pensieri, i miei sentimenti, le mie sensazioni e la mia abilità di scrittura anche ai giovani. Dopo ho insegnato all’Università di Roma; vorrei insegnare anche ora, magari mi porterebbe un po’ di felicità.

Ecco, signor Ungaretti, siamo giunti all’ultima domanda. Le è dispiaciuto non ricevere il Premio Nobel per la letteratura?

Direi sì! Sono convinto che mi sarei meritato il Premio Nobel per la letteratura. Nel 1954 ho contattato persino degli accademici e degli editori. Grazie a queste pressioni sono stato candidato varie volte, ma non ho mai ricevuto nessun premio a causa dei miei rapporti con il Fascismo. Sono molto dispiaciuto di non averlo ricevuto, non mi sembra giusto!

Grazie signor Ungaretti per averci rilasciato questa interessante intervista e per aver risposto a domande anche su aspetti privati della sua vita. Ci sembra di averla disturbata anche troppo, la salutiamo e ci auguriamo di rivederla presto, ringraziandola ancora per l’opportunità che ci ha concesso.

Grazie a voi di esservi interessati a me e alla mia vita. Sarò sempre disponibile per nuove domande. Arrivederci.


Classe 3E

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