concorso "racconti...da paura!"

Ed ecco a voi la vincitrice del concorso... Complimenti!!!👏👏

Partecipa anche tu al concorso di racconti di paura! Guarda il video!!!!🧟🧛

Pubblichiamo qui di seguito i racconti ricevuti:

tre giorni da incubo

I miei genitori erano andati in Scozia per motivi lavorativi ed io ero rimasta a casa da sola. Li avevo convinti dicendo che avendo 13 anni me la potevo cavare benissimo da sola. Loro acconsentirono con fatica a patto che per il pranzo e la cena fossi andata da mia nonna che abitava proprio sotto casa mia.

Il primo giorno in casa da sola passò  veloce come un razzo e ad un tratto si fece sera, cenai da mia nonna e tornai a casa pronta per guardare la mia serie TV preferita su Netflix con pop corn e coca cola. Non ero arrivata neanche a metà episodio perché avevo voglia di guardare un Horror, mio padre non vuole assolutamente che io ne guardi uno finchè non sarò maggiorenne, ma visto che non era a casa, quella era l’occasione giusta. Avevo voglia di guardare “Annabelle” dato che tutte le mie amiche dicono che è molto bello. Il film era appena iniziato ed ero abbastanza tranquilla, ma questo stato d’animo finì quando mi accorsi che sopra la mensola dove era riposta la TV mancava la bambola che mia madre adorava. Mi guardai in giro, ma nulla. Quando ritornai in salotto e mi sedetti di nuovo nel divano, il film aveva iniziato a trasmettere una musichetta molto inquietante. D’istinto girai lo sguardo e vidi seduta accanto a me la bambola che mi fissava inquietante, non l’avevo messa io lì. Aveva occhi blu impassibili di porcellana e un vestitino grazioso di pizzo marrone, in testa portava un cappellino abbinato al vestito e una boccuccia rossiccia a cuoricino spiccava nella sua pelle candida. La cosa più sensata da fare in quel momento era rimetterla al proprio posto e fare finta di nulla.

Il giorno dopo pioveva a dirotto, il vento frusciava sulle fronde degli alberi e nuvoloni neri ricoprivano il cielo. Dopo essermi alzata e vestita andai in salotto e vidi una cosa terrificante: la bambola aveva in mano un coltello e mi fissava con il suo sguardo sinistro con la lama dritta puntata  verso il mio cuore. Non ci pensai due volte, la presi e senza alcuna traccia di rimorso la schiantai per terra. Mille pezzi di porcellana caddero sul pavimento, mia mamma si sarebbe infuriata, ma l’importante era che una stupida bambola di porcellana aveva smesso di perseguitarmi. 

Era arrivato finalmente l’ultimo giorno, non ce la facevo più. Anche se la bambola era stata annientata la notte precedente finchè dormivo avevo sentito tanti rumori e una voce che rimbombava nella testa che diceva “Ti ucciderò…”. Mi ricordo che la voce era bassa e spenta, ma allo stesso tempo meccanica. Non ci pensai più quando mi trovai seduta sul divano con un buon latte caldo. Ero arrivata all’ultimo sorso, ma mi sentii soffocare, provai a sputare quello che avevo in bocca e ne uscì fuori un occhio coperto di saliva. Terrificata lo guardai bene e capii che era un occhio strano ed infatti quando lo presi in mano effettivamente si capiva che non era un occhio umano, ma sembrava di porcellana. Era quello della bambola. Urlai scappando e andai da mia nonna. Stetti con lei tutto il giorno e dopo essermi calmata mi sentivo pronta a tornare a casa. Era stato uno sbaglio perché proprio nella parete della mia camera con del sangue c’era scritto: ”Ti tengo d’occhio”. Mi veniva da piangere in quel momento però ad attirare la mia attenzione fu una piccola immagine sfocata di una bambola con in mano un coltello insanguinato che mi guardava sorridendo. Sappiamo tutti chi era. Stavo per svenire, ma fortunatamente l’orologio segnò le 23, ero felice perché erano tornati i miei genitori, allora andai ad aprire e davanti a me non c’erano loro ma una bambola di porcellana. Era giunta la mia fine, lo sapevo. Non feci in tempo a scappare, il coltello si conficcò nel cuore.

Gaia B. 2^D

Una strana bambola

Era un venerdì pomeriggio ed io ero a casa da sola.

Fuori il cielo era grigio e in lontananza si vedevano delle grosse nuvole scure: probabilmente a breve avrebbe iniziato a piovere.

Visto che ero appena tornata dall’allenamento, decisi di andare a farmi una doccia, ma mentre ero sotto il getto d’acqua calda sentii suonare il campanello. Mi asciugai e mi vestii in fretta e poi andai a vedere chi avesse suonato, sperando che fosse arrivato il pacco che avevo ordinato qualche giorno prima. Inizialmente non vidi nessuno, ma quando abbassai lo sguardo mi accorsi che per terra c’era una cesta con dentro una bambola di porcellana. Decisi di portarla dentro così, quando mia sorella sarebbe tornata a casa, l’avrei regalata a lei.

La bambola aveva i capelli biondi, dei bottoni neri al posto degli occhi, un cerchietto bianco in testa e indossava un vestitino rosa confetto con delle scarpette abbinate.

Presi un sacchettino da regalo, la infilai dentro con cura e infine lo sigillai con una spillatrice.

Poi andai in camera e mi misi a dormire.

Mi ero addormentata da poco quando  un potente tuono mi svegliò. Alzai lo sguardo e vidi la bambola seduta nella mensola davanti al mio letto. Non capii come fosse possibile, visto che l’avevo incartata poco prima, ma pensai che me la fossi immaginata e mi addormentai nuovamente.

Dopo qualche ora sentii dei rumori provenire dalla cucina al piano di sotto, scesi le scale e andai a vedere se mia madre era tornata dal lavoro.

Con mia sorpresa trovai la bambola con un coltello da cucina in mano. Scappai, ansimante e terrorizzata, nel bagno di sopra e mi ci chiusi dentro. Provai a chiamare mio padre per dirgli di venirmi a salvare, ma lui non rispose. Ma proprio quando digitai il 112 sulla tastiera il telefono si spense.

Sentii dei passi nelle scale e capii che era lei, ormai non avevo più speranza di sopravvivere.

Ad un certo punto vidi un coltello conficcarsi dall’altro lato della porta e, quando la lama si sfilò dal legno, intravidi due bottoni neri dalla piccola fessura. 

Pensai di poter scappare dalla finestra, ma poi mi ricordai che ero al decimo piano e se mi fossi buttata da lì sarei morta comunque.

Dopo altri colpi violenti la bambola riuscì ad aprire la porta e l’ultima cosa che vidi fu il coltello da cucina trafiggermi il petto e il suo vestito rosa confetto macchiarsi di rosso.

Cloe B. 2D

Mai fidarsi degli sconosciuti

I miei genitori erano andati via da poco, così decisi di guardare un film horror. Dopo qualche minuto, proprio quando il film si stava facendo interessante, sentii uno schianto fuori dalla finestra. Le mie gambe iniziarono a tremare e provai una sensazione di pericolo, ma del resto non potevo restare impassibile al rumore che avevo sentito… decisi di andare a controllare. Attraversai il giardino fangoso e arrivai al margine della strada dove vidi una macchina bianca attraversata da un palo della luce. Corsi verso l'auto mentre la pioggia si faceva ancora più forte: aprii la porta  e vidi due uomini molto strani. Il guidatore sembrava uscito dal film che stavo guardando: era alto, magro, un po' ricurvo e  con radi capelli bianchi che contrastavano con la lunga barba bianca; l'altro invece, sembrava abbastanza normale anche se, quando ho cercato di svegliarli scuotendoli di qua e di là, quando aprirono gli occhi, mi accorsi che erano rossi, di un rosso malvagio, ma cercai di convincermi che fosse stato solo un effetto della luce.

 Una volta che ripresero coscienza li chiamai dentro casa per aiutarli, quando sarebbero stati meglio avrei chiamato i soccorsi. Appena ebbero varcato la soglia della porta dissi: “Accomodatevi, intanto vi preparo qualcosa da bere, se volete continuate con il…” Interrompendomi bruscamente l'uomo barbuto mi chiese: “ Ehm… posso andare in bagno?” acconsentii anche se un po' irritato e andai a preparare un te' caldo.

 All'improvviso sentii dei tonfi provenienti dal bagno mentre in salotto si sentiva urlare a causa del film. Corsi verso il bagno, le luci si spensero. Aprendo la porta, con la poca luce della Luna che entrava, intravidi una specie di diavolo: un uomo un po' ricurvo, con la pelle rossa come il fuoco, ai lati della bocca si vedevano spuntare due denti affilati che sembravano delle lame, ma la cosa più inquietante erano quelle corna ricurve che spuntavano dai pochi ciuffetti bianchi che aveva. Mi sentii ghiacciare il sangue nelle vene e iniziai ad arretrare, mentre lo facevo colpii qualcosa o meglio qualcuno… un uomo dagli occhi rossi, si stava trasformando in un mostro con la pelle bianca piena di tagli e graffi e sibilava qualche parola sconosciuta. Mentre si stavano avvicinando, un lampo illuminò la casa, la pioggia era riuscita a penetrare dal soffitto, facendo una piccola pozzanghera al centro del salotto. Le due creature si misero a  sghignazzare e si lanciarono verso di me.

Il mostro rosso con quelle corna enormi e la coda che scodinzolava di qua di là, mi strinse forte al suo petto mentre quello pallido pieno di ferite disse con voce rauca: “ Per te è la fine” e mi guardò in modo torvo. 

Il diavolo mi passò gli artigli tra i capelli staccandomene uno ad uno, girandomi mi accorsi che il  mostro bianco era sparito! Una luce accecante uscì dal bagno e una figura bianca fluttuante venne verso di me, poi all'improvviso un forte colpo, come un pugno in pancia, mi fece cadere a terra.

La luce del Sole mi svegliò. “Forse questa orrenda esperienza è stata solo un sogno” pensai… ero sudato e decisi di andare a fare la doccia. Mi incamminai, ma ad un certo punto calpestai una piccola pozzanghera, al centro del salotto, piena di capelli…


Noemi T. 2D

PORTATORE DI MALE

Nel lontano 1537, una mattina tagliavo la legna nel bosco a fianco della mia villa, le pareti erano ingiallite dal tempo, la maggior parte delle finestre erano rotte, alcune stanze avevano il soffitto ammuffito e le porte erano basse. Tutta la villa era circondata da una fitta foresta. Quel giorno c'era una nebbia fitta fitta illuminata dai pochi raggi di sole che passavano tra le foglie degli alberi. Quella  mattina ero molto stanco e finito di raccogliere la legna per stare al caldo mi sedetti sul divano. Dopo poche ore, sentii un urlo straziante proveniente dalla foresta. Subito mi allarmai ma non mi preoccupai troppo. Alla mattina mi svegliai con un languorino e andai a cacciare, avvistai un cerbiatto e mi avvicinai furtivamente puntandogli il fucile. Mi distrassi per un attimo da un urlo di dolore, quando mi rigirai il cervo era davanti a me e mi sbalzò addosso all'albero. Mi saltò addosso, io presi velocemente il fucile e gli sparai due colpi, riuscendo ad ammazzarlo. Alzatomi vidi che non era un cervo normale, aveva diversi graffi in faccia e sul corpo e gli occhi erano completamente bianchi. Tornai a casa zoppicando, presi uno straccio e me lo strinsi forte sulla ferita. Mi sdraiai sul divano e addolorato svenni. Quando ripresi coscienza le mie ferite erano diventate verdi e profonde, ero più alto e grosso, le mie labbra lasciarono spazio a dei denti lunghi e affilati e vedevo sgranato. Avevo dei muscoli che mi permettevano di correre molto velocemente e la pelle diventava sempre più grossa e rugosa. ad un certo punto mi sentii attratto da una voce stridula accompagnata da urli, uscii e come per istinto corsi verso il luogo dove c'era il cadavere del cerbiatto. Avvicinandomi alla carcassa, vidi una decina di di sagome vestite con dei mantelli neri che stavano prelevando la carcassa e li seguii. Era da circa mezz'ora che li stavo seguendo e li vidi entrare in una capanna, sull'entrata c'erano due contadini armati di forcone. Tutto d'un tratto, come se non controllassi il corpo corsi verso la capanna, i contadini mi andarono contro, gli sbattei uno contro l'altro e i loro crani si ruppero lasciando un lago di sangue. Entrato nella capanna vidi che le sagome stavano dando da mangiare al cervo che era all'interno di un cerchio di sale, per terra c'era scritto “portatore di male” col sangue. Mi misi con tanta cattiveria ad ucciderli tutti, ma il cervo resuscitato era già scappato. 

A quel punto, con i cadaveri a terra e il corpo pieno di schizzi di sangue ritornai prendere il controllo del mio corpo e stremato tornai a casa. Entrai a casa, mi riposai e pensai chi fossero quelle  strane figure nere. 

La mattina seguente mi svegliai di nuovo con quelle urla strazianti, uscii, feci qualche passo e vidi l’ incredibile: c' erano almeno una ventina di quelle sagome che squartavano e azzannavano  tutto quello che trovavano. C’erano volpi con le budella di fuori e persone, tutti immersi in un mare di sangue, di colpo due di loro mi presero per le braccia e mi iniziarono a trasportare dentro alla capanna. Lì vidi che uno di loro prese un coltello e mi pugnalò allo stomaco, un dolore immenso, riuscii a scappare per un miracolo. Ad un certo punto, ormai lontano, il mostro che era in me svanì, cascai a terra e per un po' non riuscii più a camminare. Dopo essere arrivato in città andai nell’ infermeria e mi curai tutte le ferite, ero sopravvissuto al male.

 Scritto da Elia F., Lorenzo C. e Andrei L. 2C


                                                                                                                                                       

la suora

Tutto ebbe inizio nel 1989. Ero una bambina  curiosa e intelligente, con dei genitori che mi trascuravano molto a causa dei loro impegni lavorativi.

Un giorno ci trovammo costretti a trasferirci in un altro paese. Arrivati nella nuova casa, da subito notai un  manicomio che sembrava abbandonato da molto tempo, con dei graffiti inquietanti  disegnati soprattutto nella parete principale e un giardino pieno di piante secche. Qualche giorno più tardi, mentre stavo finendo di sistemare la mia cameretta con gli ultimi arredi, il  telefono cominciò a squillare . Erano uno dei miei nuovi amici, conosciuti in quei giorni. Mi chiese di uscire, così domandai ai miei genitori il permesso. Loro risposero: "Sì vai pure, tesoro, ma non allontanarti troppo”.

Io, contenta, andai a prepararmi. Indossai un bel paio di pantaloni della tuta, una felpa  e delle  scarpe sportive. Dopo qualche minuto gli amici suonarono il campanello e io mi fiondai ad aprire la porta. Una volta uscita, mi portarono a fare un giro per il paese, per farmelo conoscere meglio. Mi presentarono molta gente nuova e  simpatica, ma al ritorno, la nostra attenzione tornò tutta su quel manicomio abbandonato. Ci impiegammo un paio d'ore prima che tutti si convincessero ad entrare. Una volta attraversato il cancello, mi ritrovai in mezzo a quel giardino secco e dalla  strana atmosfera triste e cupa. Dopo averlo esplorato, entrammo  finalmente nell'edificio. Al suo interno le mura erano coperte da graffiti  inquietanti che mettevano i brividi. Il pavimento era  grigio e  completamente sporco. Ci bastarono pochi passi per capire la grandezza di quel  luogo, non saremmo riusciti a visitarlo tutto in un giorno. Decidemmo di esplorare soltanto il pian terreno. A sinistra c'era una piccola stanza con 2 piccoli lettini  rotti, con accanto le flebo ancora piene di liquido.  All'improvviso i miei occhi si riempirono di orrore: sotto il letto c'era una pozza di sangue, larga almeno 1 metro, sembrava sangue fresco.  Spaventati ci dirigemmo di corsa verso la porta d’ ingresso, ma non si aprì in alcun modo . Agli altri  venne un attacco di panico ed io cercai di tranquillizzarli , dicendo loro che con pazienza avremmo trovato un modo.

Ma dopo vari tentativi  ci arrendemmo.  Non sapevamo cosa fare. Pensai che avremmo dovuto cercare un’ altra uscita, così andai a esplorare le altre stanze, ovviamente nessuno volle seguirmi quindi andai da sola . Camminai  per molti minuti e per ogni passo che facevo la paura aumentava. All'improvviso vidi una strana scia di impronte umane  di medie dimensioni, le seguii fino ad arrivare in un altra  stanza, sentii una scarica di freddo  nel vedere le pareti  tutte ricoperte di sangue con un simbolo satanico. Improvvisamente dietro di me sentii una strana presenza, ma quando mi girai non c'era nessuno, quindi continuai la mia esplorazione . Passarono ore ed ormai era diventata notte, quindi ritornai indietro per ritrovare i miei amici, ma tutto ad un tratto il mio cuore si fermò sentendo un urlo fortissimo provenire dal punto da cui ero partita, allora iniziai a correre il più veloce che potevo ma purtroppo quando arrivai non c'era più nessuno, solo una pozza di sangue gigantesca, ma nessuna traccia dei miei amici. Iniziai a piangere perché avevo capito che se loro erano morti tra poco sarebbe toccato anche a me e quindi avrei dovuto trovare al più presto un modo per uscire . La mattina seguente decisi di andare a cercare degli oggetti che mi sarebbero stati utili per andare via  di lì, dopo un po' di ore di ricerca mi accorsi che nel muro c'era una scia di impronte di mani ricoperte di sangue che conducevano ad una piccola stanza, quando ci entrai all'interno vidi una scena dell'orrore, c'erano alcuni pezzi di miei amici, mani piedi, addirittura le teste. Scappai via dal disgusto e dalla paura, talmente veloce da farmi inciampare brutalmente sul pavimento rompendomi una gamba, provai ad alzarmi ma ogni sforzo era completamente inutile. All'improvviso vidi una figura in fondo al corridoio che piano piano si avvicinava a me, quando fu abbastanza vicina  mi resi conto che quella era una suora, ma quando vidi che quell'essere aveva la bocca piena di sangue ed che al posto degli occhi aveva dei buchi mi dimenticai della gamba rotta ed mi alzai, iniziai a correre, girai in un angolo e quando mi guardai le spalle non c'era più nessuno. Senza pensarci due volte iniziai a correre verso l'ingresso, e per qualche motivo la porta era aperta.

Ma quando misi un piede fuori la mia mente mi suggeriva ripetutamente di ritornare dentro ad uccidere quella creatura, per vendicare i miei amici.

Ritornai dentro, presi il martello che avevo trovato precedentemente, ed andai alla ricerca di qualche oggetto che mi potesse servire contro la suora, camminai per ore ed il dolore alla gamba si faceva sentire sempre più forte. Non ce la facevo più, quindi mi dovetti fermare in un piccolo stanzino, all'interno c'era un tavolo con dei cassetti. Li aprii tutti per vedere se ci fosse qualcosa di utile, ma trovai soltanto un piccolo crocifisso. Mi riposai per una giornata intera, per poi il giorno dopo andare alla ricerca di altri oggetti. Visitai ogni stanza ogni piccolo lato di quel posto infernale, ma niente, non trovai più nulla .

D’un tratto la suora si fece rivedere, ma quest'ultima mi disse : "I tuoi amici sono morti , ma ora tocca anche a te ". Mi iniziò ad rincorrere , ma io ero stanchissima ed avevo un dolore atroce alla gamba. Caddi per terra, mi aveva quasi raggiunta. Con le mie ultime forze presi in mano il crocifisso, allungai la mano verso di lei e dissi : "Vai all'inferno!!”. Lei iniziò a fare dei versi strani ed il suo corpo si spezzò in mille pezzi .

Ce  l'avevo fatta ! L'avevo sconfitta, avevo vendicato i miei amici .

Strisciai  fino ad arrivare alla porta d'ingresso, per poi uscire dal cancello. Arrivai a casa, ed i miei genitori mi chiesero: "Dove sei stata, stavo per chiamare la polizia, e cosa ti è successo alla gamba?”.

Le risposi che ero caduta mentre provavo la bici di uno dei miei amici .

Mia madre mi portò subito all'ospedale, mi ingessarono la gamba e mi fecero mangiare e riposare.

Dopo qualche giorno annunciarono la scomparsa dei miei amici.

Mi fecero qualche domanda poiché ero stata l'ultima persona ad essere stata con loro e io dissi di non saperne nulla. Ritornai a casa mia e nessuno mi chiese più nulla e tornò tutto alla normalità.


Scritto da Giulia F. e Carlotta M.  2C

IL MISTERO RISOLTO O QUASI

C'era una volta in un quartiere di Detroit un ragazzo di 16 anni, che viveva in povertà senza un padre perché l’aveva abbandonato quando era ancora piccolo.  Questo ragazzo non aveva amici perché era molto timido e aveva difficoltà a fare amicizia, soprattutto dopo essersi trasferito.

Un giorno di novembre arrivò a scuola con un paio di pantaloni bucati poiché un cane, andando a scuola, l'aveva inseguito e gli aveva morso il ginocchio rovinargli così i pantaloni. Durante la quinta ora andò in bagno dove sfortunatamente trovò i suoi 2 peggior nemici dato che lo picchiano e gli misero la faccia dentro al water.  Trovando un flacone di candeggina nell’armadietto del bidello gliela versarono direttamente in faccia  provocandogli ustioni e delle gravissime irritazioni. I due bulli se ne ritornarono in classe.

Il ragazzo ancora in bagno piangeva disperato ma dentro di lui, l’odio per quei bulli cresceva ogni secondo di più. Vide una finestra aperta e senza pensarci due volte scappò dalla scuola e si rifugiò in un piccolo bosco lì vicino.

Dopo circa un paio d'ore che era lì da solo uno dei due ragazzi stava passando per raggiungere casa sua dato che erano appena usciti da scuola e senza pensarci il ragazzo bullizzato prese un bastone che si trovava per terra con il quale prese a bastonate il bullo fino alla morte. Era sorpreso di quello che aveva fatto ma era soddisfatto perché voleva vendetta. Voleva nascondere il corpo ma non sapeva dove decise quindi di accendere un falò e bruciò il corpo.

Arrivò a casa ma prima di entrare si mise il sacchetto della merenda in testa così da nascondere la faccia sfregiata.

Quando entrò in casa la madre gli fece la predica perché era stato fuori troppo tempo senza avvisarla. Dopo la ramanzina lo mandò in camera senza mangiare da quanto era arrabbiata. Lui era furioso perché lei non sapeva cosa gli era capitato quel giorno.

Quella stessa notte andò in cucina per bere un bicchiere d'acqua. 

Vide con la coda dell'occhio un coltello affilato nell'isola della cucina ancora sporco di carne. Lo prese è senza fare un minimo rumore andò in camera della madre. Gli andò a fianco mentre dormiva e, lentamente iniziò a conficcargli il coltello in pancia: tutto l’intestino gli stava uscendo dalla ferita. La madre faticò a dire le ultime parole ma il ragazzo gli tappò la bocca e gli conficcò il coltello nella gola. In casa non c'era posto dove nascondere il cadavere quindi lo tagliò in tanti pezzi che ripose nel frigorifero.

Il giorno successivo si recò al ristorante dove lavorava il secondo bullo. Entrò in cucina e vide il ragazzo che stava friggendo delle patatine. Richiamò la sua attenzione facendo cadere una posata per terra i due si guardarono intensamente, l'assassino lo prese per i capelli e gli infilò la faccia nell'olio bollente.

Dopo qualche minuto che si stava divertendo a torturare a morte il ragazzo, due poliziotti entrarono nella nella sala e gli puntarono le armi addosso.

Da quel giorno non si seppe più nulla  dell'assassino ma nemmeno dei due poliziotti.


Christian B. e Matteo M. 3^B

UN'ESPERIENZA ALL'ORFANOTROFIO 

Ciao, mi chiamo Zach e sono un semplice ragazzo di 16 anni, sono alto 1,75m, ho gli occhi verdi e i capelli castani. 

Quest' oggi mi piacerebbe raccontarvi una delle mia più strampalate avventure.

Era una grigia giornata di ottobre e dovevo vedermi con un paio di miei amici di nome Josh e Matilde.

Erano ormai le 8:30 e dopo aver mangiato, sono andato in un bar in cui Matilde e Josh mi stavano aspettando. Avevamo deciso che quella notte saremmo andati in un orfanotrofio abbandonato trovato nella periferia di Stonefield (la nostra città).

Arrivati, ci siamo resi conto della vastità , era davvero immenso.

Decido di addentrarmi, prendo la torcia, appena dentro non sento strani rumori, se non per il fischio del vento e il fruscio delle foglie.

Era pieno di stanze ma in particolare una mi ha colpito: non era come le altre, aveva la luce accesa, era una luce fredda; io Matilde e Josh entrammo ma non appena misi il piede nella stanza , un cigolio, lasciai stare i rumori perché mi accorsi di una sedia su cui era appoggiata una bambola ma non era una bambola normale: aveva un bottone al posto di un occhio, era rosa fluo ed aveva molte cuciture sulla testa.

Matilde in tanto ci stava parlando, non so il perché ma è come se la bambola stesse capendo ciò che Matilde diceva.

Si era alzato un vento incredibile e facevamo fatica a sentire ma tutto d’un tratto… 

Un urlo, non era un urlo scherzoso ma un urlo di terrore, uno stridulo, uno che penetra. Era Josh.

Il vento si abbassò, io e Matilde eravamo terrorizzati, ci siamo messi a cercarlo, Matilde provò a chiamarlo.”JOSH! JOSH!” Dai esci non è uno scherzo. Nessuna risposta, solo il rumore delle foglie. Nulla, io e Matilde non potevamo scappare, in fondo era un nostro amico. Matilde ha detto: ”Potremmo andare al prossimo piano, magari è lì!” Siamo andati al piano di sopra e abbiamo trovato un ascensore, siamo entrati ma non c'era nulla ma quando siamo usciti era come se fosse tutto in disordine, le lampade erano appese a delle catene cigolanti ed i carrellini girati, ma forse un'ultima cosa , forse la più importante: un'altra stanza sempre con la luce accesa, superato il corridoio pieno di strani rumori io e Matilde siamo entrati, non appena varcammo la soglia sentimmo sbattere la porta. La luce si spense poi si riaccese, ma non potevamo credere ai nostri occhi. Era Josh ma era pietrificato…! Io e Matilde urlammo poi la luce iniziò a sfarfallare, poi sentii dei passi goffi, poi un altro urlo questa volta era più acuto e penetrante, pensai subito a Matilde ma non ero sicuro… poi le luci si riaccesero. Come previsto Matilde c'era o meglio era pietrificata era sopra a Josh come se fossero 2 statue. Appena me ne resi conto mi salì un brivido.

La luce iniziò a sfarfallare, la vista mi si accecò e vidi 2 grandi e sanguinosi occhi rossi, stavo per svenire ma l’istinto mi ha detto che più li guardavo più mi sarei lasciato assuefare.

Così sbattei le palpebre per perdere il contatto e vidi un vampiro che aveva il potere di pietrificare le persone; era grasso con i capelli lunghi e una tunica nera con dei dettagli rossi.

Cercai per terra qualcosa con cui combatterlo, poi mi alzai e vidi una finestra: quello che pensavano poteva funzionare. Ma ero ad un passo dalla morte quindi tanto valeva provare.

Corsi verso il vampiro, finché lui rideva andai davanti alla finestra, lui cercò il contatto visivo e fissò il suo riflesso, il vampiro si pietrificò e non appena lo fece Matilde e Josh si risvegliarono e scappammo via più in fretta possibile.

Ed eccomi qui, ormai sono passati più di 5 anni, Matilde e Josh stanno bene e spero che il racconto vi sia piaciuto!


Federico R. 2B

Pensaci due volte

Come tutti i giorni ero andato al cimitero a salutare mia moglie Margaret, finito di cambiare l’ acqua ai fiori misi il cotone e l'ago che usava per cucire i peluche per mia figlia .

Tornai a casa per preparare il pranzo a mia figlia Serena, aveva appena 4 anni ma era molto sveglia, sapeva riconoscere quando non mi doveva parlare per via di attacchi di rabbia verso essa, dovete sapere che mia moglie morì nel parto, i medici riuscirono a salvare solo la bambina.

Dovetti assumere una tata per i primi mesi, non riuscivo a immaginare che mia moglie, la mia amatissima moglie, avesse dato la vita per quella bamboccia. Non riuscivo a sopportarla, sembrava sempre spensierata ed io non lo potevo accettare, aveva ucciso mia moglie!

Nei giorni seguenti la evitai e iniziai a darmi all’alcol e diventai sempre più irritabile, andai a sfogarmi in camera di mia moglie, anzi la camera che avevamo costruito insieme, ci piaceva arredare stanze, farle diventare nostre come se fosse il nostro paradiso. Nei giorni successivi andai più volte al cimitero, piangevo e bevevo per tutto il tempo. Iniziai a mettere le mani addosso a mia figlia ma niente di chè. Una sera dopo mangiato andai nella stanza di Margaret; era tutto buio, come sempre, entrai e chiusi la porta, la stanza rimase silenziosa, si sentiva solo il fruscio delle foglie, la finestra era aperta, sentii il mio respiro molto forte come se sovrapponessero due respiri, e se c’ erano due respiri?

Sentii come delle mani che mi toccavano le gambe, erano gelide, presi la prima cosa che trovai, mi girai e senza pensarci due volte, pugnalai, pugnalai e pugnalai finché non mi fece male il braccio, a quel punto smisi e accesi la luce, abbagliato guardai la sagoma, era piccola con capelli lunghi e biondi, a quel punto la riconobbi, era mia figlia.

Non mi sentivo dispiaciuto, anzi quasi rincuorato; la presi e la misi nel sotto della culla di camera sua così da farle capire come si sentiva essere da soli come Margaret.

La sera stessa andai a letto con ancora le mani sporche di sangue e mi addormentai senza problemi. I giorni successivi arrivarono gli sbirri più e più volte ma non trovarono mai nulla di sospetto. Continuavo a bere in abbondanza e andavo sempre meno al cimitero, la cosa che una volta mi faceva sentire bene ora la odiavo; non ci pensavo più a Margaret, pensavo solo al pupazzo sopra la culla, era la prima volta che lo vedevo, somigliava in tutto e per tutto a me, era in lana, la stessa lana che usava Margaret per fare i pupazzi a Serena. Nei giorni successivi successero cose alquanto strane, comparve un ago sulla culla, lo stesso ago che misi nella tomba di Margaret, era infilzato nella mano di quel pupazzo, in quell'istante sentii un forte dolore alla mano, me la guardai e… stava sanguinando. Era  comparsa dal nulla, mi successe più volte: sul braccio sul fianco e sulla gamba, era come se il pupazzo mi potesse controllare. Tentai più e più volte di sbarazzarmi di lui ma niente, tornava sempre in mezzo alla culla.

Non mi arresi, allora presi una forbice e la impugnai, mi incamminai verso la stanza di Margaret. Aprii la porta, c’erano le finestre aperte, le foglie secche volavano per la stanza, feci qualche passo e vidi il pupazzo, allora con tutta la rabbia che avevo lo presi e… non riuscii più a muovermi, il pupazzo mi immobilizzò, nella stanza entrò una folata di vento che fece volare le foglie intorno al pupazzo. Il pupazzo si stacco dalla mie mani, iniziò a volare e si avvicinò alle mie orecchie e mi disse: ”Perché lo hai fatto” ”Volevo solo giocare” ”Non me lo meritavo” ”Basta!” gli urlai, ma lui continuò ”la mamma non avrebbe voluto questo" "Basta basta basta bast” non ebbi tempo di finire la frase che l’ ago perforò il petto del pupazzo e col suo anche il mio.


Niccolò A. 2B

Il furgone bianco

In una piccola cittadina, abitava un bambino di nome Mauro a cui piacevano tanto le caramelle e adorava anche andare allo stadio in curva sud. Allora si portava sempre in uno zainetto qualche fumogeno rosso per fare un po’ casino quando usciva. In quel periodo giravano notizie di bambini rapiti da furgoni in tutte le  città, dicevano che questi rapitori giravano l’Italia a bordo di un furgone, i bambini non erano mai stati ritrovati e una ragazza di circa 14 anni affermava che i rapitori gli si erano affiancati mentre passeggiava da sola per strada.

Sentita la notizia tutti i genitori si allarmarono, arrivarono all’idea di tenerli chiusi in casa se non per andare a scuola. Anche i genitori di Mauro non volevano farlo uscire, ma mentre erano al lavoro, lui ne approfittò e uscì di nascosto con i suoi amici. Si era fatta sera, il sole stava tramontando, si poteva quasi vedere la luna e stava calando la nebbia. Lui e i suoi amici si salutarono e iniziò a tornare da solo a casa, subito pensò alla ramanzina che gli avrebbe fatto la mamma, ma anche ai rapitori. Più ci pensava e più andava veloce per tornare a casa il prima possibile, si ritrovò quasi a correre e come farlo apposta stavano arrivando. Dei fari lo puntavano da dietro mentre il fischio dei freni gli spaccava le orecchie. Da una camminata veloce si ritrovò a correre, correre, sempre più veloce… ma il furgone era più veloce di lui, allora i rapitori gli si piazzarono davanti e un uomo incappucciato scese dal furgone con un sacco, glielo mise in testa, lo prese e lo caricò nel furgone. Per le strade a parte i rumori del furgone si sentivano solo le urla soffocate di Mauro nel retro del furgone. Erano ormai passati 30 minuti e lui continuava ad urlare, allora gli arrivò un calcio da uno dei rapitori che lo costrinse a stare zitto, fino alla meta di arrivo. Passò circa 1 ora, Mauro provò a sbirciare fuori dal sacco e vide quasi una dozzina di altri bambini che: o dormivano, o tremavano dalla paura. Il tragitto sembrava non finire mai, quando all’improvviso si fermò il furgone. I rapitori li fecero scendere tutti. Li chiusero abbandonato. Appena entrarono videro quasi un centinaio di bambini, se non di più. Li fecero sedere per terra, chiusero a chiave il capannone e ripartirono con il furgone. Tutti i bambini erano nel panico… c’erano bambini che: piangevano, tremavano, altri che stavano impazzendo, poi però c’erano bambini che volevano trovare un modo per scappare. Mauro non aveva intenzione di stare lì un minuto di più. Spararono qualche idea, tra cui: arrampicarsi fino ad una finestra, scassinare una serratura, scavare un tunnel sotterraneo…

Ma le bocciarono tutte, in quanto: non avrebbero saputo come scendere dalla finestra dato che era molto alta, nessuno sapeva scassinare una serratura e non sapevano come scavare un tunnel. Ma a Mauro tornò in mente che aveva dei fumogeni nello zaino e poteva usarli come segnale. Allora misero uno sopra l’altro alcuni scatoloni e Mauro ci salì sopra, si avvicinò il più possibile alla finestra e accese tutti i fumogeni che aveva. All’improvviso una nube rossa riempì il cielo, ci volle un po’ prima che qualcuno lo notasse ma dopo quasi 4/5  minuti il fumogeno iniziava a spegnersi, però arrivò una signora di nome Imelda, alla quale dissero di chiamare la polizia e detto fatto, in 30 minuti arrivò la polizia e si nascose dentro al capannone. Quando arrivarono i rapitori aprirono il capannone per metterci dentro altri bambini, ma 3 poliziotti gli saltarono addosso, arrestandoli e potando i bambini dalle loro famiglie. 


Giovanni N. 2B

THE BLOOD MASk

Era una sera come tutte le altre e Ryan cenò con i suoi genitori. 

Si trovò con dei suoi amici alle 21:00 in piazza, quando furono tutti riuniti decisero di fare il gioco della bottiglia e venne fuori proprio Ryan. Come obbligo dovette andare in una casa abbandonata nel bosco. Appena entrò sentì un brivido alla schiena… Era tutto a  soqquadro, vide una sagoma passare in fondo alla stanza, si girò di colpo e puntò gli occhi sul quadro appena caduto. Scappò al piano di sopra ed era tutto tranquillo.

Entrò in una stanza e vide un uomo rannicchiato, ma nel frattempo sentì un rumore, allora scese e vide che i suoi amici si erano trasformati in zombie! Iniziarono ad inseguirlo però, ogni persona che toccavano diventavano anche loro zombie. Corse fino a casa sua ed entrò subito, chiamò i suoi genitori che erano appena andati a dormire e gli raccontò tutto. Presero la macchina e andarono dal saggio della città che fortunatamente sapeva il rimedio.Dovevano andare nell’ultimo posto in cui li aveva visti e fare il rito che c’era scritto nel libro che gli aveva dato. Entrarono in una stanza di una casa abbandonata e fecero tale rito, però quando furono alla fine sentirono da fuori gli zombie che stavano arrivando allora uscirono ma da dietro spuntò un uomo con un mantello nero e una maschera bianca dove la bocca e gli occhi erano ricoperti di sangue. Li prese, li portò dentro e da quel momento nessuno li vide più uscire…


Mattia C., Gioele G. e Gabriele B. 2C

 MY SISTER    

In un freddo giorno di novembre la famiglia Garcìa si trasferì a Madrid in una casa malfamata vicino a un ospedale bruciato. Dopo aver sistemato i bagagli la figlia minore Julia andò a esplorare il vicinato e incuriosita da quel vecchio ospedale, decise di entrarci.

Si fece sera e la sorella maggiore Anita, non vedendo la sorellina, iniziò a preoccuparsi e decise di andarla a cercare. Anita a un certo punto si ritrovò davanti all’ ospedale e con la coda dell’ occhio vide una sagoma familiare. Quando entrò fece un balzo dalla paura vedendo la sorella pietrificata con un’ espressione fredda in volto. Julia subito dopo chiese scusa per averla spaventata e per non essere tornata a casa. Le due sorelle, tornate per l’ ora di cena, per non far preoccupare i genitori, gli dissero che Julia si era persa a giocare con i bambini del vicinato.

Nei giorni a seguire Anita notò la sorellina meno energica del solito, pallida e silenziosa. Subito non ci fece molto caso perchè pensava fosse per il trasloco. 

Una tarda notte Anita si svegliò improvvisamente e vide col chiarore della luna che entrava dalla finestra una strana sagoma nera umana vicino al suo letto.

Era terrorizzata.

Anita decise di non muoversi e di non fiatare… aveva il cuore in gola e non sapeva cosa fare.

Ad un certo punto questa strana sagoma si sdraiò lentamente sul letto della sorella, allora Anita si fece coraggio e accese la luce della lampada e vide sua sorella dormire tranquillamente sotto le coperte.

A quel punto Anita pensò che fosse la sua immaginazione e si addormentò.

La notte seguente si risvegliò a causa di uno strano respiro così accese la luce e vide vicino al suo letto sua sorella con gli occhi ribaltati la bocca aperta e stranamente sospesa nell'aria a circa un metro da terra. Anita gridò con tutta la sua forza quindi i genitori Gabriel e Alejandra corsero fino alla loro camera ma non riuscirono ad aprire la porta, ad un certo punto Julia svenne e cadde a terra e la porta si aprì. I genitori entrarono nella stanza e trovarono una figlia a terra e l'altra terrorizzata e in lacrime sul letto.

La figlia più grande cercò di raccontare con fatica quello che aveva visto ai genitori e loro la tranquillizzano e nel frattempo Julia riprese conoscenza senza però ricordare nulla.

Per un paio di giorni tutto tornò nella normalità, 

però durante la notte Anita si alzò per andare a bere un po’ di acqua, arrivata alla fine della casa rivolgendo lo sguardo alla cucina vide una scena raccapricciante.

La sorella davanti al frigo aperto mangiava della carne cruda come se non mangiasse da giorni,

Julia sentendo i passi di Anita si voltò di scatto verso la sorella, gli occhi di Julia erano più neri del buio. Anita si pietrificò vedendo la sorellina che era diventata una belva feroce. Anita si accorse che dopo un breve ma intenso sguardo rivolto verso la carne, si rimise a mangiare. Anita con la restante voce che le rimaneva si mise ad urlare più forte possibile, i genitori si svegliarono e davanti a loro trovarono Julia svenuta e Anita terrorizzata, ma la cosa che impressionò i genitori era la piccola inzuppata di carne e sangue. Da quel momento iniziarono a sospettare qualcosa . Il giorno dopo le ragazze andarono in una scuola non tanto distante dalla casa per non far preoccupare i loro genitori. Appena le figlie uscirono di casa, i genitori si guardarono e iniziarono a parlare dello strano comportamento della figlia minore. Il padre Gabriel pensava che stesse solo facendo i capricci per il cambio della casa quindi decise che quando Julia sarebbe tornata a casa l'avrebbe sgridata. Subito dopo arrivò una chiamata dalla scuola che riferiva i comportamenti aggressivi della figlia minore verso i compagni e che dovevano subito mandarla a casa.

Quando la figlia tornò a casa il padre la fece sedere sul divano e iniziò a dirle di smetterla di comportarsi in quel modo, Julia quindi perse il controllo e con uno sguardo staccò la testa al padre uccidendolo. Anita nel mentre, sapendo dei comportamenti della sorella, volle capire cosa fosse successo alla sorella e con il suo computer entrò nell’ospedale ma scopri che quello non era un vero ospedale ma un vecchio manicomio dove venivano rinchiusi i malati di mente, tra cui un cannibale di cui si diceva che il suo spirito fosse rimasto rinchiuso nella struttura. Da lì Anita capì che la sorellina era stata posseduta da questo cannibale quindi corse a casa ma giunta lì si trovò davanti a una scena raccapricciante… il padre era steso a terra senza testa e immerso in un mare di sangue e la madre con lo stomaco sbranato e la casa distrutta all’ interno . Anita a quel punto decise che l’ unico modo per fermare il cannibale era bruciare tutto insieme come il manicomio , dopo aver chiuso porte e finestre del piano terra , prese coraggio e si mise a cercare la sorella. Dopo aver controllato ogni angolo della casa, l’ ultima stanza era quella della sorella. Aperta la porta si ritrovò la sorellina per terra in lacrime con quel vestitino che prima era bianco come la neve e ora era ricoperto di sangue. Julia si alzò e corse verso la sorella a braccia aperte con uno sguardo terrorizzato. Anita scoppiò in lacrime accogliendo la sorella in un abbraccio di pochi istanti.

Subito dopo l' abbraccio Julia si mise le mani in testa e iniziò a tirarsi i capelli urlando di smetterla e pochi secondi dopo ritornarono gli occhi neri e senza vita della notte scorsa.

La sorellina si allontanò e subito dopo si scaraventò addosso alla sorella, Anita prese di colpo la lampada vicino a lei e la buttò in testa a Julia, facendola svenire.

Quando Julia si svegliò vide Anita spargere benzina per tutta la casa allora lei si mise ad urlare, la sorella, nonostante l'enorme fastidio continuava a spargere carburante per casa e quando ebbe finito prese un accendino e diede fuoco alla casa. Mentre la casa prendeva fuoco, senza una via di uscita Anita prese la piccola tra le braccia e Julia iniziò di nuovo a gridare e morirono tutti immersi tra le fiamme. Quando i pompieri arrivarono era ormai troppo tardi, tutta la famiglia era morta e le urla di Julia erano l'ultima cosa che si sentì quella notte.

Ora in quella città vagano le loro anime disperse.

                        

Anna A., Giulia S. e Alessandra S. 2C

Una vacanza in montagna

Un’ allegra famiglia stava andando in vacanza in montagna. Perdendosi finirono in una fattoria tutta di legno che stava cadendo a pezzi. Lì trovarono  un vecchio che accettò di ospitarli per una notte. Aveva dei capelli bianchi e occhi rossi, il che era molto strano.  

Perlustrando la casa arrivarono in cantina.

Scovarono qualcosa di insolito nascosto sotto un telo. Tolto quello, ci trovarono una capsula il cui vetro era appannato. Uno dei due bambini premette il pulsante della capsula e ne fuoriuscì un essere spaventoso. Era verde, con denti aguzzi e occhi rossi. Il bambino rimase paralizzato dalla paura e l’alieno lo mangiò senza lasciare neanche le ossa. Il fratello, inorridito e con il sangue gelato riuscì a scappare, a raggiungere e ad avvertire i poveri genitori.  

Tutte le uscite erano sbarrate, non c'era più via di scampo. Videro il vecchio e gli chiesero come fuggire. “ Ma non c'è più nessuna via d'uscita” disse il vecchio e si trasformò in un orribile alieno anche lui. Persero ogni speranza. L’alieno divorò voracemente il padre, mentre il figlio e la madre salirono le scale tremando. Finirono in bagno, dove si chiusero dentro. Entrambi erano terrorizzati. Aprirono a fatica la finestra e il ragazzo, disperato, senza pensarci troppo, si buttò. Gli alieni però, poco prima che lo raggiungesse anche la madre, la presero e la azzannarono senza pietà. 

Il bambino, triste poiché era l’ultimo rimasto della sua famiglia, riuscì a fuggire in strada e a chiedere un passaggio ad un camionista.

Proprio quando si sentiva al sicuro, guardò nello specchietto e vide gli occhi dell’autista, erano rossi come il fuoco…    


Iacopo P., Nikita S. e Andrea P.  classe 2^C  

Il fantasma del manicomio

Siamo tre ragazzi di 2^C: Elia C., Francesco P. e Bryan H. e per scrivere il nostro racconto horror ci siamo ispirati alla leggenda dell’ex manicomio di Granzette,in provincia di Rovigo. Buona lettura!


In una caldissima sera d’estate, io e la mia famiglia, stanchi dopo una lunga camminata in mezzo al bosco, abbiamo deciso di alloggiare in un hotel: al di fuori sembrava quasi in disuso date le sue orribili condizioni. Il tetto aveva lamiere antichissime e rovinate, nei muri si vedevano dei mattoni consumati dal tempo, le finestre avevano vetri rotti, quasi inesistenti e sopra, all’ingresso, vi era una vecchia insegna con scritto “Benvenuti all’hotel della monaca”. 

Appena siamo entrati le porte si sono chiuse dietro alle nostre spalle e siamo sobbalzati dalla paura. Ci siamo trovati davanti ad un bancone dove c’era una persona che ci ha dato le chiavi della camera 153. 

Per raggiungere la nostra camera dovevamo attraversare un lunghissimo corridoio con 320 posti letto tutti in disordine. Appena abbiamo trovato la nostra camera, siamo entrati e abbiamo visto di tutto: c’erano ragni e ragnatele sulle finestre e negli angoli, insetti mostruosi sotto i letti e dentro agli armadi, delle piccole macchie di sangue sparse per la stanza, ma la cosa che ci inquietava di più era una scritta che malediceva gli intrusi dicendo: "Lasciate ogni speranza voi che entrate”. Per quella notte abbiamo deciso di rimanere perché la mattina dopo saremmo comunque ripartiti. Ma la notte è stata orrenda: si sentiva il rumore del vento che sbatteva sulle finestre, un rumore che proveniva dal corridoio, ma la cosa più spaventosa erano delle urla agghiaccianti che non ci fecero dormire tranquillamente. Il mattino seguente siamo tornati da quel vecchio, che ci aveva dato le chiavi la sera prima, e gli abbiamo chiesto da dove venissero le urla.

Il padrone ci ha spiegato che prima quell’hotel era stato un manicomio dove  venivano curati i malati di mente. Nel 1997 era stato chiuso ma i residenti, certe volte, hanno sentito delle urla che associavano a quelle dei malati di mente morti in quel manicomio.

Ci ha raccontato anche di una monaca, che nell’anno di apertura della struttura lavorava all’interno. 

La  donna aveva scoperto l’esistenza di un un tesoro nascosto dai nazisti prima del 1945. Con il tempo, divenne ossessionata da esso e continuò a cercarlo finché, appena lo trovò decise di chiudersi dentro la stanza e lasciarsi morire dentro, visto che era molto vecchia.

La monaca era così bassa e gobba da sembrare uno gnomo da giardino, aveva un corpo magro e sottile con un viso allungato coperto da uno spesso velo che ombreggiava la sua faccia per non far vedere a tutti il suo aspetto mostruoso. Aveva un enorme crocifisso di legno rugoso, appeso al collo, con una corda consumata che aveva molti nodi per aggiustarla; in mano portava un rosario con tre perle perchè le altre le aveva perse con il tempo, indossava una lunga e sporca tunica che trascinava per tutto l’edificio, la veste era di un color giallastro con molti buchi poiché era molto usurata e come scarpe degli zoccoli di legno che facevano dei rumori assordanti.

Ora vagava per la struttura abbandonata. Ogni notte da cento anni andava nella stanza del tesoro per vedere se era ancora lì nascosto. 

Quel pomeriggio eravamo andati al piccolo paesino di Granzette per fare delle spese.

Quando siamo tornati era ormai sera e quindi siamo andati direttamente a letto a dormire. Quella notte non sono riuscito a dormire perché pensavo ancora alla storia della monaca e perchè ho sentito di nuovo le grida, ma siamo rimasti in silenzio. La mattina ci siamo svegliati per colpa di un grido assordante che sembrava quello di un maiale al macello, siamo corsi a vedere e abbiamo trovato il cadavere squartato del padrone dell'hotel con affianco un biglietto scritto con il sangue dove era riportata questa frase: 


           “Ho attraversato oceani per trovarti, non guardare mai indietro.   

              Il passato è un deserto di orrori.” 

                                                                               -LA  MONACA- 


In quel momento abbiamo avuto un brivido dall’orrore, ci siamo guardati intorno e abbiamo sentito solo un fruscio provenire dalle finestre malandate dell’edificio.

Dopo questo fatto abbiamo deciso di scappare dall’hotel, ma non siamo riusciti ad allontanarci troppo, perché ci siamo trovati davanti ad una sagoma bianca, quasi invisibile che ci osservava attentamente come se ci volesse uccidere. Siamo scappati ma era talmente veloce che sembrava quasi che non camminasse. Siamo entrati nel manicomio e per sbaglio ci siamo infilati in una stanza dove c’era un odore strano, poco dopo ci siamo accorti di un cadavere squartato che solo dopo abbiamo scoperto essere quello del padrone.

Vicino a quello ce ne erano almeno altri cinque. Erano poveretti che avevano fatto la stessa fine in quell’ orrendo “hotel”. Dopo poco, ci accorgemmo che in un angolo vicino ad un armadio c’era una monaca, identica a quella che ci stava inseguendo, morta da moltissimi anni. Abbiamo cercato di aprire le porte, ma non ci siamo riusciti perché il fantasma le aveva chiuse dall'esterno con delle travi di legno massiccio. Ad un certo punto ci siamo seduti perché avevamo già capito di essere i prossimi ad incontrarla nell’aldilà con tutte le sue vittime…         


Elia C.  Francesco P.  Bryan H.  Classe 2^C

Rumori nella notte

E’ una piovosa serata d’autunno, sto guardando un film con mamma e papà. Pepe, il mio cagnolino, sonnecchia sopra le mie gambe. Finito il film mamma mi dice di andare a letto: domani c’è scuola. Mentre mi cambio mi cade dalla tasca il mio inseparabile fischietto per cani con scritto Tom, il mio nome: basta un soffio e Pepe corre subito qui.

Questa notte, stranamente, non riesco a dormire, mi giro e mi rigiro nel letto ascoltando il rumore della pioggia che batte sui vetri sempre più forte. La luce fioca che viene dallo spiraglio della porta illumina un pezzettino di stanza. Nel frattempo smette di piovere, c’è un silenzio irreale, fino a quando da fuori sento un rumore come di passi. Il rumore è sempre più forte e più vicino. Ad un certo punto sento uno scricchiolio provenire dalle scale… il cuore mi batte nel petto come un tamburo. Resto immobile nel letto, faccio respiri grandi e profondi per non farmi sentire. Dallo spiraglio  della porta vedo un’ombra che oscura la luce. Si spalanca la porta e una sagoma nera si avvicina: non mi esce una parola, sono paralizzato. Il terrore e la paura hanno preso il comando. La sagoma prende uno straccio con un odore strano, me la mette nel volto, poi il vuoto… Mi risveglio in una specie di  capannone arrugginito: è la prima volta che vedo dal vivo un posto del genere, sembra abbandonato da tanto tempo. Mi guardo intorno e vedo che ci sono altri ragazzi che avranno dodici anni, come me. Le gocce di pioggia rimbombano nell’edificio formando per terra piccole pozzanghere. Sento i pianti sommessi dei miei compagni di sventura.

Di solito sono un ragazzo timido ma ora la timidezza la devo tenere da parte e dobbiamo pensare a un modo per scappare. Mentre discutiamo mi sento pungere da qualcosa e solo lì mi ricordo del mio fischietto. Ecco come avremmo fatto a scappare! Ogni giorno prendo il mio fischietto speranzoso, mi affaccio alla finestra e fischio più forte e più a lungo che posso. Al quarto giorno c’è chi non ce la fa più: siamo stremati, abbiamo freddo, siamo bagnati dalla testa ai piedi, la pioggia non cessa di cadere, fino a quando sentiamo dei cani abbaiare e una voce che urla “ Polizia”. Noi stiamo fermi e aspettiamo i soccorritori: una lacrima di felicità mi solca la guancia. 

Ed eccomi qua a guardare un film con mamma, papà e Pepe che mi sonnecchia sulle gambe. 


Mattia Z.- Classe 2^B 


Un’ orribile trasformazione

Harry è un ragazzo che da poco si è trasferito in una vecchia e umida casa con la sorella.

Lui è aracnofobico e una notte subirà un’ orribile trasformazione.

L’orologio batteva le due di notte, Harry non riusciva ad addormentarsi, non tanto per la vecchia e umida casa, ma per la presenza di insetti, in particolare, i ragni.

Osservava i pertugi della stanza ascoltando il tic tac delle lancette provando a chiudere gli occhi.

D’un tratto un forte prurito lo colpì, quindi si grattò la schiena sentendo un forte bruciore. Andò in bagno per vedere cosa provocasse tutto questo.

Harry davanti allo specchio provò ribrezzo per quello che vide: nella schiena due lunghi graffi con delle zampe che fuoriuscivano da essi, una distesa di peli neri stava lentamente crescendo su tutto il suo corpo; Harry si mise le mani in testa e tutti i capelli cascarono al suolo; nel centro del suo dorso c’erano due macchie rosso sangue.

Si stava lentamente trasformando nella sua più grande paura, ma per la vergogna, alla sorella, non disse nulla, forse, la scelta peggiore che potesse prendere in quel momento.

Harry tornò a letto, sperava fosse tutto un sogno ma così non fu.

La mattina seguente la sua orribile metamorfosi si era compiuta: era  diventato una vedova nera.

Harry, pur essendo un ragno, era perfettamente consapevole di tutto quello che faceva, anche se faceva dei movimenti spontanei che non riusciva a controllare. 

Nella stanza si sentì un rumore; era un ronzio di una mosca e per sua natura si avvicinò ad essa, che si posò in un angolo del muro. In un attimo la afferrò con le sue zampe anteriori e se la mangiò,  disgustato per quello che aveva appena fatto.

Si mise nell’angolo più lontano dalla porta aspettando che la sorella entrasse per chiederle aiuto.

Harry era schifato per tutto ciò che faceva, si chiedeva cosa avesse fatto di male per meritarsi tutto questo, quando… La sorella aprì la porta, Harry provò ad urlare ma non ci riuscì, allora si diresse verso di lei.

Arrivato quasi sotto alla sorella, iniziò a girarle  intorno, e lei, appena si accorse di avere un ragno pericoloso vicino provò a pestarlo; l’ istinto di Harry lo portò a morderla e lei dopo poco cadde a terra; le sue ultime parole furono: "Harry aiutami…”

Da quel momento, solo il silenzio regnó nella stanza.

Gioele D.R. 2B 

IL CRIMINE PERFETTO

capitolo I      La vendetta 

Molti anni or sono, in un piccolo paese nei pressi di Manhattan, viveva uno scienziato mentalmente instabile. Un giorno un avvocato di nome Johnson gli fece causa e lo mandò in carcere per aver fatto degli esperimenti su cavie umane senza il loro consenso sganciando del veleno in una metropolitana. Passarono una decina di anni e lo scienziato venne scagionato e cominciò a sperimentare una scienza che avrebbe riportato in vita i morti, per poi vendicarsi contro l’avvocato Johnson. Per un errore di programmazione gli zombie cominciarono a rivoltarsi contro tutte le persone tranne contro il loro creatore e non solo contro l’avvocato. Negli articoli di giornale si leggeva: "Non avvicinatevi al bosco dei 100 Acri”, "C'è stata un‘altra sparizione nel bosco dei 100 Acri”.  Quando l’avvocato Johnson venne a sapere che era stato lo stesso scienziato che lui aveva mandato in prigione a creare quella apocalisse, se ne scappò in Francia. Arrivato a Parigi uno zombie travestito dal suo autista lo torturò e lo strangolò.

CAPITOLO II  LA DOMINAZIONE DEL MONDO 

Gli zombie impararono come torturare tutte le persone del mondo. Dopo 20 anni di questa tirannia, l’umanità si rivoltò contro il dittatore. Purtroppo furono tutti quanti giustiziati per insurrezione contro lo scienziato. 

Carlo G.   Simone P.   Leonardo T.   Lorenzo T. 1^F

CORDELIA TRECCE ROSSE

Cordelia era una dolce, generosa ed onesta ragazzina di 15 anni, un po' bullizzata per il colore dei suoi capelli.

Un giorno iniziò a raccontare delle storie paurose per farsi apprezzare dai suoi compagni di classe. I suoi racconti iniziarono mano a mano a piacere sempre di più. L’ultima storia che raccontò traumatizzò tutti gli ascoltatori: parlava di una ragazzina con i capelli rossi che una notte  fu trovata impiccata nel corrimano dai suoi genitori. Due mesi dopo la storia si avverò: proprio Cordelia la mattina del 1 Novembre del 1700 fu trovata impiccata al corrimano delle scale di casa sua, attaccata ad esso con le sue lunghe trecce. Quando i genitori videro cos’era successo non ci credevano; erano disperati, non sapevano cosa fare e si chiedevano perché la loro figlia si fosse suicidata. Chiamarono la polizia e dopo un’indagine molto accurata emerse la verità: Cordelia era stata uccisa. Le voci che riguardavano la morte di Cordelia si diffusero per tutta la scuola; così che iniziarono a parlarne anche i professori. In particolare c’era una ragazzina, Arianna, che non partecipava ai discorsi sulla sua compagna e anzi sembrava ne fosse infastidita. Le indagini erano arrivate ad una svolta: un piccolo guanto rosso a pois bianchi era stato trovato sulla soglia della finestra della camera della povera Cordelia. Stranamente appartenevano alla ragazza più timida della classe che si chiamava Priscilla e che fu subito messa in carcere. Da quella sera strani episodi iniziarono a verificarsi quando arrivava il buio. Lo spirito di Cordelia si aggirava per le vie del paese fermandosi a guardare dentro la finestra della camera di Arianna. I vetri tremavano, strani venti spalancavano le finestre e facevano sbattere le porte. Arianna non trovava pace, stava diventando pazza anche perché questi segni li percepiva solo lei. Una notte Cordelia si vendicò definitivamente, mentre Arianna stava dormendo arrivò il suo spirito senza testa e iniziò a tirarle i capelli dicendole che solo se avesse confessato sarebbe finita questa tortura. La ragazza fu spinta dallo spirito in camicia da  notte fino alla casa dello sceriffo  dove confessò i suoi crimini raccontando anche che aveva sottratto il guanto alla compagna di classe per  renderla colpevole del malefatto. La povera Priscilla fu mandata a casa, ma dallo spavento di quanto vissuto non parlò mai più.

Ad Arianna in prigione i capelli diventarono rossi e tutti i suoi compagni di cella la chiamavano Pel di carota. La vendetta di Cordelia era finita!!!!! 


           Anna D. P.   Linda C.  Agata C.  1'F

Halloween 2070

Sono sola, chiusa nella mia macchina, nascosta sotto al sedile posteriore, coperta da un telo nero e attenta più che mai che nessuno possa vedermi o sentirmi. Guardo fuori dal finestrino da una piccola fessura del telo e vedo che sono circondata dal MALE… com’è potuto succedere, lo sapevo che da quest’ora sarebbe successa la catastrofe! E per colpa di quella maledetta ruota bucata non sono riuscita ad arrivare a casa per barricarmi al sicuro! E pensare che la nonna mi raccontava che ai suoi tempi Halloween era solo una divertente festa in maschera dove i bambini andavano per le strade a chiedere dolcetti e caramelle… ma poi, non si sa per quale misterioso e inspiegabile motivo, il 31 ottobre 2040,  a mezzanotte in punto, tutti i bambini travestiti da simpatici mostri si trasformarono in vere, orripilanti e paurose creature: mummie, zombie, streghe, vampiri, licantropi… e da lì ogni anno, ogni 31 ottobre a mezzanotte in punto apparivano per invadere le strade e portare terrore e morte intorno a loro.

Non riesco a non guardare un’altra volta fuori dal finestrino e vedo un uomo nella mia stessa situazione…nei suoi occhi il terrore, lo stesso che attanaglia anche me. Accanto alla sua macchina, a terra c’è una testa in una pozzanghera di sangue che le dipinge di rosso i  lunghi capelli e accanto a questa uno zombie pronto ad impossessarsi del suo cervello. Sento delle urla di terrore, stringo forte gli occhi per non vedere ma è impossibile non sentire . I brividi mi avvolgono, il cuore mi esplode nel petto e sento tremare ogni parte del mio corpo… ho paura. 

In fondo all’ angolo ODDIO! Un lupo mannaro sta divorando un uomo…c’è sangue ovunque… è tutto nero, non riesco a muovermi, perdo i sensi. 

Mi sveglio. Sono viva?... Sono viva. Quasi non ci credo, è tutto finito e io ci sono ancora . Esco dalla macchina, mi guardo attorno e con il sorgere del sole vedo mucchietti di cenere sparsi qua e là, nel silenzio di ciò che è rimasto. 

Poco alla volta tutti i sopravvissuti escono dalle loro case… ci guardiamo senza dire una parola.

Ce l’ avevamo fatta!


Greta R. 2^A