Prefazione
Fatti e personaggi narrati in questa fiaba sono tratti da una storia vera che ogni anno prende vita e si rinnova nella nostra scuola…
Il 21 novembre, in occasione della “Giornata dell’albero” tante piccole ghiande di quercia che giacciono a terra vicino
all’ingresso della “Leonardo Da Vinci”, vengono affidate agli alunni di ogni classe, che dovranno prendersene cura e portarle a diventare giovani piante.
Riuscirà uno di questi piccoli germogli a diventare una grande quercia nel giardino della scuola?...
C’era una volta, o forse ci sarà, un paese non molto lontano e non molto diverso da qui…
I suoi abitanti, molto attenti al decoro, si preoccupavano di tenerlo sempre pulito ed in ordine:
spazzavano la strada di fronte la loro casa, gettavano i
rifiuti correttamente, curavano i giardini e insegnavano questi semplici gesti di civiltà ai loro figli. Tutto era molto armonioso…
Nel cortile della scuola svettava una grande quercia, un albero secolare che i giovani di tante generazioni avevano visto crescere.
Con le sue larghe fronde ricopriva quasi tutto lo spazio in cui i ragazzi si riunivano nei momenti ricreativi per chiacchierare, giocare e rinfrescarsi nelle giornate più calde.
Ogni anno arrivavano nuovi alunni, lei sembrava volerli proteggere con le sue fronde, li vedeva crescere, sbocciare e poi andare via.
Forse non conosceva i loro sogni e le loro speranze e non avrebbe mai saputo se si sarebbero avverati, ma la sua
immagine sarebbe rimasta ben scolpita nella loro memoria,
quasi come quella di una vecchia amica, sempre presente in ogni occasione…
“Ti ricordi quando Francesco è caduto a faccia in giù mentre rincorreva la lucertola?”
Lei c’era.
“Ti ricordi quando ti ho raccontato che ero innamorata di Alessio?”
Lei c’era.
“Ti ricordi quanto piansi quella volta che la
Professoressa di Italiano mi mise una nota?”
Lei c’era.
Sembrava immobile ed inanimata e invece le sue piccole ghiande, che cadendo formavano un morbido tappeto ai suoi piedi, si
divertivano a guardare quei ragazzi, ridevano e piangevano con loro e, intimamente, anche loro avevano un sogno: diventare grandi ed avere tanti amici con cui vivere in pace ed armonia.
Dopo essersi consultate tra loro, le ghiande si resero conto che non avrebbero potuto sopravvivere senza l’aiuto di quei ragazzi.
Ma alcuni di loro purtroppo erano distratti, non badavano alle piccole ghiande, anzi spesso le schiacciavano o nella loro fervente immaginazione, le scambiavano per palline pronte ad essere lanciate.
Nessuno aveva insegnato a quei ragazzi quanto avessero in comune.
Avevano in comune la terra su cui camminavano, l’aria che respiravano, il sole che ogni giorno li scaldava, ma
soprattutto la speranza che queste meraviglie rimanessero intatte per loro stessi e per le generazioni future.
Fu così che cominciarono ad intonare un semplice, impercettibile canto, una dolce melodia che attirò alcuni dei ragazzi che stavano attraversando il cortile della scuola; alcuni, non tutti, perché, si sa, solo chi è dotato di un animo sensibile e un cuore aperto, riesce a percepire il suono della natura e, ancor più, il suo grido di aiuto.
Dal basso verso l’alto, le ghiande cantavano la canzone della vita:
“Ragazzi, aprite i vostri occhi ed i vostri cuori, alla meraviglia che è ovunque intorno a noi,
pensate al nostro e al vostro futuro, permetteteci di diventare grandi con voi, di essere ossigeno per voi e per i vostri figli e ombra generosa nelle calde giornate d’estate”.
I ragazzi, incantati da quella musica soave e dal significato profondo che ne scaturiva, si fermarono in cerchio intorno a quel tappeto di piccole ghiande, stando bene attenti a non schiacciarle.
Attirarono l’attenzione di altri ragazzi che, vedendoli così concentrati e immobili, si avvicinarono sornioni, per spaventarli e ridere a crepapelle della loro reazione.
Ma non riuscirono nel loro intento, poiché quella musica, la voce della natura, catturò anche loro, via via che si avvicinavano, quasi ipnotizzandoli e portandoli ad unirsi al cerchio umano che diventò, così, sempre più ampio.
Quando si risvegliarono da quello che a tutti era parso uno stranissimo sogno, nessuno di loro era in grado di
affermare se ciò che avevano sentito fosse stato reale o immaginario, ma certamente tutti ebbero nello stesso
momento, la precisa consapevolezza di ciò che dovevano fare: salvare le ghiande e la natura.
E così si divisero i compiti: alcuni andarono a comprare tanti vasi colorati, altri la terra, altri raccolsero le
ghiande, altri le piantarono. Bagnarono con cura e amore la terra in quei vasi fino a quando…
…Un giorno, durante la lezione, sentirono un gioioso scricchiolio e tante risatine provenire dai vasetti. Eccole lì, le piccole piantine, fare capolino, dapprima timide e un po’ incerte, poi curiose e caciarone.
E continuarono a crescere, lentamente, ma senza sosta, circondate dall’affetto di tutti gli alunni della scuola, perché, si sa, l’amore e l’allegria sono contagiosi.
I ragazzi che per primi avevano sentito la voce della natura crebbero e cambiarono scuola, ma non
dimenticarono, prima di andarsene, di istruire le nuove leve, lasciando a loro il compito di curare le piante,
raccomandandosi di non innaffiarle soltanto, ma di parlare con loro, rassicurarle e dare loro amore e un motivo per continuare a crescere.
Quando le piantine diventarono troppo grandi per quei vasi, vennero trapiantate nella terra e riempirono ogni angolo del giardino della scuola, rendendolo così bello da attirare l’attenzione di tutti i passanti.
E oggi quel paese, non molto lontano e non molto diverso da qui, è diventato un simbolo, il simbolo della vita che
non si ferma; le piantine hanno formato un bosco bello e rigoglioso dove tutti, dai più piccoli ai più grandi, si
recano a passeggiare, godendo di quell’aria pulita e di quell’ombra fresca e rigenerante.
E…l’avete sentito?...
Nell’aria ancora si ode il canto di gioia della vecchia quercia e le risate dei cuccioli di ghianda.