Sulle montagne e nei boschi della Reit vivono i maghet il cui aspetto non è ben chiaro: si può dire solo che sono rossi ed assomigliano alle scintille del fuoco che si disperdono nel buio impenetrabile.
Possiedono poteri magici che permettono loro di apparire sotto forma di gallo, magari zoppo e spelacchiato, di ricco e distinto signore...Comunicano con gli insetti e amano cibarsi di funghi crudi (i “fungiàt”, cioè i cercatori di funghi, trovano spesso piccoli frammenti di fungo nei boschi, i resti del pasto dei maghèt).
I maghèt si muovono rapidi ed invisibili fra gli uomini e creano litigi. Sembrano sempre in fuga e passano dietro le cappellette che gli uomini hanno eretto lungo i sentieri.
La loro dimora sono i boschi più alti, i luoghi più impervi, e di lì fanno rotolare i massi verso il fondovalle e d’inverno provocano rovinose valanghe.
La loro malignità si scatena durante i temporali: amano sradicare ponti in particolare il ponticello sul Frodolfo a Uzza.
Le nonne raccomandano ai nipoti di guardarsi da questi esseri insidiosi, recitando alcune preghiere. Guai, invece, a lasciarsi scappare espressioni come “Diavolo!”: significava vederlo comparire in sette grandi balzi. I maghèt sono dominati da un malvagio orco della Valcamonica che li costringe a scavare incessantemente sulle pendici dei monti di Val d’Uzza per cavarne l’oro.
All’alba si devono mettere di buona lena in cammino, con il piccone ed il sacco in spalla, per raggiungere i monti della Val d’Uzza, dove, per l’intera giornata, cavano, con gran fatica, l’oro destinato alla caverna del tirannico orco. Sulla via del ritorno, sfogano il loro malumore e la loro rabbia provocando danni di ogni tipo (ponti distrutti, sentieri danneggiati, torrenti deviati, massi fatti rotolare sulle povere baite dei contadini). I maghèt sono una minaccia per i contadini della Valfurva.
I contadini tentano con le trappole, ma questi esseri sono troppo veloci per essere catturati in questo modo. Si rivolgono allora ad un anziano saggio che comprende che la furia di questi esseri malefici può essere fermata solo da una più violenta furia, quella di un tremendo temporale.
Scatena, quindi, con i suoi poteri, un temporale di inaudita violenza, proprio mentre i maghèt stanno tornando in Valcamonica: questi vengono travolti e spariscono nel vortice delle acque del Frodolfo, schiacciati da quegli stessi massi che per tanto tempo si erano divertiti a scagliare a valle.
Di loro non resta che un segno: proprio là dove il torrente se li è portati via, oggi troviamo piante di ginepro, i cui aghi sono simbolo della malvagità di quegli spiritelli, come se questi abbiano voluto lasciare agli uomini un ultimo monito: state attenti, perché possiamo sempre tornare.
E l’orco non vedendo tornare i suoi schiavetti, al termine di quella terribile giornata, se ne sta nervosamente sulla soglia della sua caverna, interamente rivestita d’oro. Si sa che l’oro attira i fulmini, ed è proprio un fulmine a colpirlo. Non è, però, incenerito, ma trasformato in una grande roccia, mentre la montagna è scossa da sussulti che non si erano mai avvertiti, finché l’ingresso della caverna viene interamente ricoperto da enormi massi, che la rendono inaccessibile. Il tesoro è ancora là nascosto.