Per entrare nella pelle dell’altro mi travestii da virus e andai nel Lontano Oriente e incontrai il pipistrello che mi morse e incontrai il serpente e anche il serpente mi morse. In ogni Genesi c’è quasi sempre un serpente pensai e mi ammalai e da ammalato morii ma produssi tanti miei discendenti e diventai un virus uno e trino e infettai tutti quelli che incontravo. Poi mi trasferii nella parte opposta dell’Oriente e la parte opposta dell’oriente è chiamato Occidente.
A Occidente fino a quando restai a Oriente dissero che ero lontano lontano ma quando si accorsero che senza passaporto e senza visti d’ingresso e senza parlare nemmeno l’inglese ero arrivato dovunque iniziarono a parlare fitto fitto. Qui la faccenda si fa seria e bisogna prendere provvedimenti. Così dicevano a Occidente e l’unica cosa che differiva era che uno diceva che bisogna agire subito subito e un altro diceva che fretta non ce n’era e bisognava andare gradualmente seguendo i protocolli. Andare dove non si capì mai perché io sono dappertutto. Ma appena dissero che bisognava mettere le mascherine e usare i guanti i guanti e le mascherine sparirono e altrettanto subito comparvero quelli che sapevano tutto. Ad esempio sapevano che i virus sono invisibili o sapevano che i virus vengono dall’inquinamento dell’atmosfera e sapevano anche che internet era il padre dei virus e sapevano pure che una vita regolare all’aria aperta in mezzo alla natura li rendeva immuni da ogni malattia comprese quelle causate dai virus. Poi qualcuno disse che non esistevo nemmeno ed ero tutta un’invenzione per spaventare la gente con la paura della morte e per conquistare il potere.
Posso nascondere che un po’ mi arrabbiai? Non lo posso nascondere e mi arrabbiai anche di brutto. Come si permettono questi di negare anche la mia esistenza? Non possono permettersi di dire certe cose e quasi sono peggio di quelli che cercano il veleno per uccidermi e dal punto di vista di un virus un veleno che uccide i virus è una faccenda molto molto seria. Allora presi la decisione.
La decisione si può racchiudere in questa semplice dichiarazione: Dichiaro ufficialmente e solennemente e con immediata esecutività che l’Impero è fondato e con altrettanta ufficialità e solennità e immediata esecutività dichiaro che l’unico Imperatore dell’Impero appena fondato sono Io. Dopotutto era un atto contingibile e urgente vista la situazione. La situazione dell’Oriente. La situazione dell’Occidente. La situazione del mondo intero. Ma vogliamo dirla tutta? Diciamola. All’inizio avevo pensato di dichiararmi Imperatore di tutto l’universo e al principio avevo pensato di dichiararmi Dio. Ma ma. C’erano proprio due ma e non una ripetizione. Un ma all’inizio e un ma al principio. All’inizio c’era questo ma: ma se nemmeno i virus sanno se possono sopravvivere fuori dall’atmosfera della Terra è da cretini rischiare che poi in qualità di Imperatore mi tocca visitare altri pianeti e stelle e asteroidi compresi gli asteroidi 325 e 326 e 327 e 328 e 329 e 330 e senza dimenticare l’asteroide B 612 dove vive una rosa. Si sa che le rose non ci tengono a certe cose. Però gli altri e anche i re tristi e anche gli uomini vanitosi e quelli ubriachi e gli uomini d’affari e persino i lampionai e i geografi a certe usanze e riti e visite ufficiali ci tengono e anche molto.
Il secondo ma messo al principio diceva che si sa che i virus vanno dappertutto ma se è un virus ateo cosa ci va a fare in Paradiso solo per il gusto di infettare anche Dio? La risposta è evidente ed è inutile riportarla qui.
Comunque le cose dell’Impero andavano bene con un numero di contagiati al dire il vero molto soddisfacente e con tutto quello che gli umani sia ad Oriente e a Occidente avevano fatto per la salute pubblica anche il numero dei morti era tutt’altro che trascurabile. Ospedali chiusi. Mascherine introvabili. Guanti in lattice idem. Respiratori nemmeno a parlarne. Posti di terapia intensiva uno per ogni cento milioni di abitanti. I soldi e il tempo e l’intelligenza erano serviti per altre cose. Il signor Disinfettante serviva a poco e anche le mascherine e i guanti e il distanziamento sociale e tutte le altre tecniche alternative servivano e non servivano. Un virus è sempre un virus altro che storie!
Le cose andavano proprio bene altroché. Certo non si può dire il contrario. Però l’imprevisto è sempre in agguato e ecco all’orizzonte affacciarsi il signor Vaccino. Che paura che mi ha fatto prendere! Vuoi vedere che la spuntano loro mi dicevo preoccupato. Allora incominciai a infettare anche le mascherine e gli ospedali. Quei pochi ancora funzionanti. Infettai medici e infermieri quei pochi regolarmente assunti. E infettai persino farmacisti e veterinari che non si sa mai e la lotta per l’Impero continuò per molto. Per molto molto tempo. E ogni volta che vedevo spuntare da qualche parte il signor Vaccino me la davo a gambe levate. Scappavo e andavo a infettare altrove. Infettavo ancora e ancora e ancora e ancora e ancora e ancora e l’Impero era ancora mio. Fino a quando un giorno notai un gruppetto bello abbondante di verghette ben appuntite e un po’ curve e con la testa piccolina ma sulle spalle. Guardai. Mi guardarono. Nemmeno una volta ci ha usato dicevano tra di loro però io potevo udirle perfettamente. Un virus ha l’orecchio fino anche se non ha orecchie. Perché non ci ha usato nemmeno una volta si chiedevano le piccole verghe con la testa sulle spalle e ricurve e la punta all’ingiù. Sfogliai in fretta e furia un libro di grammatica e scoprii che quegli esserini si chiamano virgole e mi feci la stessa domanda: perché non le ho mai usate? E pensare che sono così comode e certe volte danno persino senso al nonsenso. Proprio in quel momento vidi apparire il signor Vaccino e dovetti dimenticare le virgole per elaborare altre strategie infettive. Era in gioco il destino del mio Impero. Notate Impero sempre scritto con l’iniziale maiuscola. E qui la storia si conclude.
Si conclude nel mondo dell’immaginazione che nel mondo reale la lotta è ancora in corso. E se volete la verità tutta la verità la verità è che Ombretta Gazzola mi ha invitato a partecipare a questo gioco di “Mettersi nella pelle dell’altro” al quale la Biblioteca Porotto e Chiara Lugli hanno dato voce. Ombretta mi aveva anche indicato cosa avrei potuto inserire nel gioco. Una mia breve scrittura del 2016 intitolata “La morte di un poeta”. Fatto sta che riproporre una cosa scritta un po’ di tempo fa e anche un po’ funebre in piena emergenza coronavirus (noto che il correttore di word lo conosce bene perché non lo segna rosso) mi è sembrata una rilocazione quasi ininfluente. Tenuto anche conto che proprio in questo periodo di coronavirus sto studiando insieme a Marco Malvaldi (ma ci teniamo a distanza di sicurezza senza assembramenti lui ha scritto il libro e io lo sto leggendo) il funzionamento della lingua che parlano gli umani e considerato anche il fatto mi dicono che uso molte virgole quando scrivo – ma è un questione di fiato tutta mia e certe volte la virgola ce la metto anche quando potrei farne a meno - mi è sembrato congruo questa scritto senza virgole (volevo scrivere “svirgolato” ma la Treccani dice che il participio passato e aggettivo suddetto ha un altro significato). Per quanto riguarda le virgole mi farò perdonare mettendo alla fine una bella sfilza di quei simpatici segnetti. E casomai il mio tampone dovesse risultare positivo niente paura. Vi lascio questa paginetta che inizia con le virgole che stanno a guardare e finisce con una virgola anche se un po’ abusiva. Ma è una pagina che non finirà mai con un punto fermo come dire che non avrà mai fine.
Opera ispiratrice "Giungerà quel raggio di sole" di Stefano Peverin
GIUNGERÀ QUEL RAGGIO DI SOLE
Giungerà quel raggio di sole
si avvicinerà a noi
accarezzerà i nostri visi
Giungerà quel raggio di sole
affiancato dal cavaliere vento
allontanerà le nubi oscure
Giungerà quel raggio di sole
le nebbie della paura si diraderanno
è, finalmente,
potremo correre nei prati
Opera ispiratrice "Come Don Chisciotte" di Ida Proto
Come don Chisciotte
Con i mulini a vento
Un quaderno come scudo
Una penna come spada
Tanti sogni infranti
Tanta rabbia dentro
Speranza mai persa
Anima mixata , shakerata
Combattuta , dilaniata
Ricerca infinita
Sorrisi
Carezze
Parole mai dette
Tu moderno don Chisciotte
Di mulini a vento ne hai sconfitto
Tra distese di parole
E plotoni di sentimenti
Opera ispiratrice "La croce delle paludi" di Eraldo Baldini
LA CROCE DELLE PALUDI
Franco seminava da giorni, e ancora una volta aveva lasciato per ultima quella lingua di terra che confinava con gli acquitrini. Lì la consistenza del fondo pareva diversa, poi c’era quella grande croce, lì piantata chissà da quanti secoli: avrebbe dovuto rifarci intorno le acrobazie già sperimentate nell’arare. Ci passò una prima volta accanto, girato indietro per controllare che la seminatrice non la urtasse; ma al successivo passaggio la macchina cozzò con fragore contro la pietra.
Fermò subito e scese bestemmiando. Si chinò a valutare i danni poi, imbestialito, si girò verso la croce e le sferrò un calcio.
Livia, ferma, guardava. «Papà!» gridò.
Con le mani sui fianchi, prendendo una decisione improvvisa, l’uomo si girò, staccò la seminatrice, estrasse dal portabagagli laterale del trattore un viluppo di catene e incominciò a imbracare la croce.
«No, no, papà!», e Livia si mise a correre.
Il rumore e il fumo aumentarono, il trattore sussultò, sobbalzò, poi d’un colpo, la croce si stradico’ scivolando lentamente dentro il fosso, spianando erba e canne.
«Non dovevi , papà. Non dovevi farlo.» Gli occhi della bambina erano spaventati e pieni di lacrime.
«E perché no?»
«Perché... perché doveva stare lì, tutti in paese lo sanno, tutti lo dicono.»
«Io faccio il contadino, mica il sagrestano! Dopo telefonerò al parroco che mandi qualcuno a prenderla e che la mettano dove vogliono: non mi importa, basta che la tolgano di qua.»
Livia faceva di no col capo senza smettere. Poi si girò e corse singhiozzando verso casa.
La brezza all’ improvviso aveva cambiato direzione. Ora veniva dalle paludi, e la luce del pomeriggio stava mutando velocemente. Le avanguardie della nebbia cominciarono a sorgere dall’acqua e a spostarsi verso i campi e verso il paese, come schiere di fantasmi silenziosi e inarrestabili. La nebbia sembrava inseguirla.
Sentiva il suo alito umido e freddo arrivare a folate e avvolgerla. Quando fu nell’aia e si girò a guardare, il mondo, verso le paludi, non c’era più.
Entrò in casa correndo, e si rifugiò in soffitta. Insieme alla nebbia stava arrivando anche il buio, e dall’abbaino la bambina guardò fuori, senza vedere altro che un muro grigio sempre più fitto e scuro.
Allora si rannicchiò in un angolo, a occhi chiusi, si cinse le ginocchia con le braccia e si accorse di tremare come se un gelo intenso stesse nascendo dentro di lei.
Eraldo Baldini
Opera ispirata LINEARI VIBRAZIONI di Rosanna D'Agostino
Lineari vibrazioni
e vite parallele.
Siamo noi che vibriamo
qui e altrove.
Nei quadri ponti
ponti portali
l'epifania
di anime vaganti.
Lineari vibrazioni
rotaie nere
per l'eternità
di luce bianca.