PUCCINI, LUOGHI E SUGGESTIONI - Testo del documentario (1995)

Queste sono le terre di cinque generazioni di Puccini... le rocciose Apuane: cime che si ergono verso il cielo a mo’ di stampa cinese... dirupi ammantati di un ghiaccio che, al primo sole, si scioglie in torrenti che scendono rapidi verso la verde valle del Serchio.

Sotto l’ombra di questo grande muro di sasso c’è un paesino immerso fra i boschi di castagni... Celle dei Puccini ...

Fin dal ’500 i Puccini sono vissuti in questa casa e, da ragazzo, durante le vacanze estive, il compositore de La Bohème scorrazzava libero per le silenziose strade di pietra e per i sentieri deserti delle colline d’intorno...

Di quel Giacomo sono rimaste tante suggestioni: il pianoforte della Butterfly, il primitivo grammofono e tanti altri cimeli...

Ma qui si ricordano anche gli avi di Giacomo e in particolare il suo omonimo trisavolo che, agli albori del ’700, lasciò le vigne e i frutteti di Celle e, scendendo la mulattiera, s’avviò lungo la strada che costeggia le serpeggianti acque del Serchio, verso Lucca...

Lucca era allora capitale di una piccola ma antichissima repubblica: gioiello dell’arte romanica e rinascimentale, con le sue mitiche “cento chiese” e una grande tradizione musicale alla quale ben cinque generazioni di Puccini avrebbero contribuito insieme ad altri insigni musicisti quali: Luigi Boccherini, Niccolò Paganini, Giovanni Pacini e Alfredo Catalani.

Qui, nella Casa-Museo Puccini a Lucca, dove padroneggia lo stemma di famiglia, quei primi Puccini ci guardano dalle loro lucide tele:

Giacomo Senior, capostipite della dinastia, organista del Duomo e Maestro della Cappella Palatina, e la sua sposa, la bella Angela Maria Piccinini.

Loro figlio Antonio ereditò gli incarichi paterni e avviò suo figlio, Domenico, ad una carriera musicale di notevole successo.

La produzione, pucciniana includeva messe, mottetti, cantate drammatiche ed opere.

Importante il ruolo che svolgevano anche nelle prestigiose stagioni d’opera al Teatro Pubblico.

In questo bell’appartamento nel pieno centro di Lucca, che testimonia il benessere e il prestigio della famiglia, visse Michele Puccini, figlio di Domenico, ottimo violinista e direttore d’orchestra oltre che direttore del Conservatorio locale.

Michele sposò Albina Magi, anch’essa nata in una famiglia di musicisti.

Un esplosione di gioia doveva salutare la nascita del sestogenito, il 22 dicembre 1858: finalmente un maschio destinato ad ereditare la tradizione di famiglia. Il bambino che nacque in questo letto, oggi conservato alla Casa Museo di Celle, fu battezzato Giacomo Antonio Domenico Michele Secondo ed era destinato ad essere l’ultimo e il più grande dei Puccini musicisti.

Orfano di padre a soli cinque anni, fu avviato prestissimo allo studio della musica, nonostante le ristrettezze in cui la famiglia versava.

Fu cantore nelle chiese locali e già a quattordici anni prestava la sua opera, come organista, nell’oratorio delle Benedettine di San Giuseppe e San Girolamo, e nell’imponente chiesa cittadina di San Pietro Somaldi.

Come tanti altri musicisti prima di lui, lasciò la sua firma, incisa nel legno, sopra la tastiera.

Per racimolare qualche soldo per la famiglia, suonò anche gli organi più modesti nella parrocchia rurale di Mutigliano e nella terra dei suoi avi, a Pescaglia e nell’amata Celle.

A Bagni di Lucca, luogo a cui il compositore sarebbe rimasto affezionato per il resto della vita, da giovane, faceva qualche precario guadagno, durante la stagione termale, suonando il pianoforte nelle sale da ballo.

Ma, quando poteva, frequentava i teatri di Lucca dove s’innamorò del mondo illusorio dell’opera. Si dice che fu la novità e l’impatto drammatico di un’Aida vista a Pisa, a far scattare in lui l’ambizione di diventare musicista di teatro.

A due passi da casa, qui nella Chiesa di San Paolino, il pubblico ascoltò, per la prima volta, la sua Salve dal ciel Regina e la sua composizione di diploma, una grandiosa Messa a 4 voci. Sono partiture giovanili che tradiscono fin troppo chiaramente la vocazione operistica dello studente ventenne...

Giacomo, non poteva rimanere stretto tra le mura dell’antica città come organista e compositore di musica sacra. Aiutato da una borsa studio spiccò il volo verso Milano...

Vita da Bohème... fame... freddo... la miseria... ma anche la Galleria di notte... il mondo di Verdi, di Boito, di Catalani, della potente Casa Editrice Ricordi e del grande tempio della musica: La Scala...

Il giovane compositore, incoraggiato dal suo insegnante Ponchielli, creò, per il Concorso Sonzogno, Le Villi, un opera-balletto fantastica, che si conclude in tragedia, sullo sfondo di una gelida e spettrale Foresta Nera.

Respinto dal concorso... il piccolo capolavoro trionfò al Teatro dal Verme di Milano nel 1884.

Puccini venne salutato come “il compositore... che l’Italia aspetta da tempo”.

Ma la gioia dell’acclamazione pubblica fu ben presto smorzata da un grande dolore...

Morì la madre di Puccini. Vedova a 37 anni, aveva lottato tutta la vita tra grandi ristrettezze per assicurare a ciascuno dei suoi figli una buona educazione e una professione dignitosa...

Tutti l’adorarono e fu con profondo rimpianto che la seppellirono qui, nel cimitero monumentale di Lucca.

Giace sotto questa semplice lapide, accanto a Michele, morto quasi vent’anni prima.

Tra Giacomo, sconvolto e vulnerabile, e Elvira Bonturi in Gemignani, una ragazza lucchese, sposata con figli, nacque una disperata passione: fuggirono al nord... e vissero sul fìlo del rasoio, con i creditori all’uscio.

Aiutato da Giulio Ricordi, Puccini lavorava insieme a Fontana, librettista de Le Villi, ad una nuova opera: Edgar.

Ma l’improbabile melodramma medievaleggiante non ebbe che un’accoglienza tiepida. Deluso e sfiduciato, Puccini si ritirò a Vacallo in Svizzera per musicare Manon Lescaut.

Ma la tragedia lo colpì di nuovo.

Il fratello Michele, emigrato in Argentina a Jujouy, ferì un potente locale in duello. Fuggito a Rio, morì di febbre gialla. Affranto, Puccini tornò nella sua Lucchesia e, cercando consolazione, trovò in Torre del Lago, il luogo che gli sarebbe diventato... gaudio supremo... paradiso... eden...

Di giorno rideva, scherzava e giocava a briscola con i pittori e cacciatori che frequentavano le pittoresche sponde del lago e, di notte, dava voce ed anima al disperato amore del Cavalier Des Grieux e Manon Lescaut.

Successo, soldi, fama! Il trionfo di Manon segnò, per Puccini, la fine definitiva della vita bohèmienne e, proprio in quel momento, egli scelse di ripercorrere, in musica, la propria travagliata gioventù...

Se La Bohème è la Parigi degli anni ’40 dell’800, è anche la Lucca e la Milano di Puccini studente...

Ciminiere stagliate contro il cielo nuvoloso, “olezzo” di frittelle nel giorno di festa, lattivendole e contadini che si danno appuntamento a San Michele a mezzodi...

Un’attico freddo e squallido... e le scale strette e buie illuminate dal lume vacillante della candela: sono tutti ricordi nostalgici di una gioventù ormai perduta.

L’allegro Quartiere Latino dipinto da Puccini, per chi conosce Lucca, ricorda la Pizza San Michele la notte della Festa di Santa Croce o durante l’annuale Fiera Natalizia...

Puccini, uomo di mondo, di fama internazionale, rimase un tipico lucchese: attaccatissimo alla sua terra e al senso della proprietà... Afflitto da quello che chiamava “male del calcinaccio”, si mise a costruire una casa da gran signore qui, sulle colline, a Chiatri, da dove imperava, come un’aquila, sopra il Lago di Massaciuccoli.

In quest’elegante dimora, tra gli oliveti e i casolari diroccati della campagna circostante, Puccini sognava la “villa campestre” di Mario Cavaradossi, il pozzo nel giardino, il passo che “sfiorava l’arena” e il “fruscio di vesti” di Floria Tosca...

Nella Roma di Puccini si confondono i luoghi consueti del compositore.... La sua città eterna giace tra le colline Toscane, dentro il verdeggiante anello delle mura di Lucca.

A cento metri dalla casa natìa, una pila d’acquasanta di prezioso marmo di Carrara e una madonna... dal sorriso enigmatico...

È al tocco delle campane del villaggio versiliese di Bargecchia, che il barone Scarpia porge alla bella Tosca la mano, intinta nell’acqua santa...

Nella città di Pietro le trombe squillano all’alba... la statua dell’arcangelo sovrasta il pittore Cavaradossi mentre scrive il suo ultimo addio a Floria Tosca...

Le porte sbarrate... le mura... le interminabili gallerie della prigione che salgono attraverso la tomba di Adriano per sbucare sui baluardi di mattone rosso di Castel Sant’Angelo... immaginati qui, a pochi passi dalla casa dove Puccini visse da ragazzo...

Puccini fu grande viaggiatore ma, ovunque andasse, in gita alle Piramidi, a New York, a Buenos Aires, a Londra, a Parigi, a Berlino, a Vienna... la sua mente tornava a Torre del Lago...

Al suo “laghetto blu, tutto cinto di bambù, abitanti 120, 12 case” e così, costruì, sul sito della sua prima dimora torrelaghese... metà casa metà stalla... la villa che gli sarebbe diventata anche tomba e sacrario...

Di modeste proporzioni, è un ambiente caldo ed accogliente. Una casa toscana il cui interno richiama il fiorentino medioevale e rinascimentale così di moda ai primi del ’900.

Alla sua decorazione collaborarono gli amici pittori Plinio Nomellini e Ferruccio Pagni.

Il caminetto vanta i bei disegni orientaleggianti e le graziose maioliche di Galileo Chini, artista eclettico, allora tra i maggiori esponenti dello stile Art Nouveau in Italia.

È una casa che trasuda la personalità di Puccini: un gusto semplice ma raffinato, vario, come i tanti interessi del compositore... Bugatti e Tiffany... accostati all’artigianato europeo e nord africano e ai manufatti clnesi e giapponesi...

Il Caruso di Troubetzkoy convive felicemente con le umili statuine di gesso per le quali, i figurinai lucchesi, erano conosciuti in ogni angolo del mondo.

Tanti trofei del teatro... qui presenti tutte le grandi dive che interpretarono le sue eroine... e, nella stanzetta contigua, tutto l’equipaggiamento dell’altra sua passione dominante: la caccia!

Il piccolo salotto era perfettamente attrezzato: un pianoforte con smorzatori sulle chiavi per colui che amava lavorare avvolto nel silenzio della notte. Una sedia girevole e un tavolo a fianco... così bastava girarsi per dar forma grafica alla miriade di idee che gli “zampillavano per la testa”.

Fissando quest’orizzonte, dove le colline somigliano a quelle della baia di Nagasaki... tra le magnolie di Lucca e i frutteti della Val di Serchio, Puccini si fece... “giapponologo”.

Si procurava stampe, vasi, manoscritti di melodie folcloristiche. Si informava sulla vita e sulle tradizioni nipponiche... Visitò la moglie dell’ambasciatore giapponese e l’attrice nipponica Sada Jacco per osservare da vicino la parlata e le movenze delle donne giapponesi...

Studiava, attraverso queste registrazioni primitive, l’intonazione della voce giapponese e le forme tradizionali di racconto drammatico...

Così “dal lucido fondo si stacca”, con grazia e nobiltà, la figura della quindicenne geisha, Cio Cio San.

Nessuna spesa fu risparmiata, né sulla promozione, né sul primo allestimento dell’opera, eppure Madama Butterfly fu salutata, alla Scala, con una bordata di fischi ed urla...

Puccini la definiva “l’opera più sentita e più suggestiva ch’io abbia mai concepito...” e, a distanza di pochi mesi, il grande soprano Solomea Kruscenizkj, portò, la partitura revisionata, al trionfo, prima al Teatro Grande di Brescia, e poi in tutti i maggiori teatri del mondo.

Forse era durante un’alba come questa che Puccini portò a termine la struggente veglia nottuma della sua eroina.

Puccini era ormai diventato il compositore più fotografato della storia... Assillato dalle richieste di dediche ed autografi... festeggiato dai suoi connazionali in tutto il mondo.

In realtà il Puccini compositore era diventato l’industria Puccini e la Casa Editrice Ricordi sosteneva la sua produzione con tutti i crismi.

Già Bohème era stata accompagnata da un battage pubblicitario straordinario, con cartoline dedicate ai vari momenti dell’opera. Lo stesso trattamento fu riservato a Tosca e a Madama Butterfly con una magnifica serie di disegni di Metlicovitz in puro stile Liberty.

Nacque una straordinaria produzione di calendarietti profumati, regalo dei parrucchieri e barbieri ai buoni clienti... oleografie suggestive... e perfino letti, decorati con scene tratte dalle opere! Le compagnie italiane d’opera, il disco a cilindro e il 78 giri portavano Puccini negli angoli piu remoti del mondo.

Fascinoso uomo di successo. I suoi lauti guadagni gli permisero di appagare la sua passione per le auto ultimo modello, motoscafi piccoli e grandi, e perfino la motocicletta con sidecar.

Eppure, era una figura solitaria, perseguitata da attacchi di malinconia e stati di nevrosi profonda...

Appassionato lettore, la sua vita era un’affannata ricerca di nuove ispirazioni e, quando non stava sbirciando tra gli ultimi romanzi e commedie, i suoi luoghi preferiti erano il Caffè Caselli a Lucca, oggi di Simo, dove poteva discutere le nuove tendenze emergenti in arte e letteratura... e il Caffe Margherita a Viareggio dove l’orchestrina strimpellava le sue melodie in sottofondo.

Ovunque si trovasse Puccini andava a teatro. A New York vide un dramma “western” di Belasco che evocava le Montagne Nuvolose del Nevada durante la febbre dell’oro. Un mondo duro, popolato da poveri emigranti ...e lo filtrava attraverso l’esperienza delle cose familiari... il gelo ed i pini dell’ Abetone...

...l’emigrazione dei più disperati e coraggiosi figurinai della Garfagnana che partirono per l’America, unico bagaglio: gli strumenti per il loro povero artigianato.

È una storia a lieto fine quella di Minnie... la “Fanciulla del West” e del bandito Ramerrez, alias Dick Johnson.

Ma fu una partitura macchiata di sangue...

Puccini, uomo notoriamente seducente, nutriva un affetto puramente paterno per la piccola serva di casa, Doria Manfredi... ma la moglie Elvira, accecata di gelosia, la umiliò pubblicamente con accuse infamanti e la ragaza si avvelenò.

La tragedia ispirò quest’ epitaffio di un semplice poeta vernacolare torrelaghese:

“Tu che un angel somigli o anima bella

Martire in terra della gelosia

Ma in cielo splendi quale aurea stella

Nel coro delle vergin, casta e pìa...”

Quanti paralleli con la piccola Suor Angelica... che si uccide per la disperazione, ma viene consolata dalla miracolosa visione della Vergine che le porge il figlio morto.

Allo stesso arco creativo appartiene il tetro Tabarro, melodramma crudo ispirato alla vita degli scaricatori della Senna, abbrutiti dalla sofferenza e dall’impossibilità di strappare alla vita un brandello di felicità. Di questa vita, dove la giornata è “già buia dal mattino”, è facile ravvisare le suggestioni del mondo attorno a Puccini.

Con Gianni Schicchi, ultimo pannello del Trittico pucciniano, brillante ed impietoso ritratto satirico della famiglia, non solo toscana, Puccini crea un mondo intero, da pochi versi dell’Inferno di Dante.

Intanto il mondo stava cambiando...

Puccini, malgrado il suo amore per l’innovazione tecnica e scientifica, vedeva la distruzione che le nuove tecnologie avevano recato durante la grande guerra...

La sua oasi di pace, “gaudio supremo”, “paradiso”, “eden”, “vas spirituale”, “ reggia”... era diventata un’inferno industriale, con l’apertura della vicina torbiera...

Così si trasferì a Viareggio, costruendo, tra mare e pineta, questa, l’ultima e la più grandiosa Villa Puccini...

Qui rinunciò a un mondo reale, ormai diventato troppo doloroso, per soffiare vita dentro le creature di un suo ultimo viaggio onirico...

Sognava una principessa “piccola, piccola”, una “donnina viperina, con un cuore strano da isterica”... un impavido “principe ignoto”... tre ministri fantastici e grotteschi ispirati alla commedia dell’arte... e, una piccola schiava, che muore suicida...

Così Puccini ripercorreva il proprio iter esistenziale attraverso i simboli di una fiaba orientale: Turandot.

Da questo pianoforte, oggi conservato presso il Museo della Fondazione Puccini di Lucca, il compositore traeva le note enigmatiche della sua ultima opera...

Un lavoro lento e faticoso... una battaglia contro il tempo che Puccini era destinato a perdere...

Le lungaggini dei librettisti, un costante mal di gola da fumatore accanito... la terribile sentenza dei medici... e la decisione di sottoporsi a radioterapia a Bruxelles.

Prima di partire fece due ultimi pellegrinaggi:

Prima all’amatissima Celle, per scoprire una lapide dedicata alla sua famiglia e salutare la gente e i luoghi d’infanzia... e poi... un ultimo addio alla casa di Torre... e, fissando le silenziose acque del lago, disse all’amico librettista e regista Giovacchino Forzano: “un giorno vorrei vedere una mia opera qui... dove l’ho scritta...”

Poi il viaggio verso nord... con il terribile presentimento che la marcia funebre di Liù, sarebbe stata anche la sua...

Sottoposto ad una primitiva radioterapia... Puccini, spirò a Bruxelles, il 29 novembre 1924, per un arresto cardiaco... lasciando Turandot incompiuta...

Il suo volto, sereno e disteso, fu immortalato, in gesso, da un umile figurinaio di Bagni di Lucca.

Turandot, completata da Franco Alfano, trionfò alla Scala il 25 Aprile 1926. A pochi mesi di distanza ebbe lo stesso esito al Metropolitan.

Il 29 novembre del ’26 Puccini tornò a riposare, per sempre, qui, nella sua casa di Torre... circondato dalle cose a lui familiari e dai ricordi dei suoi successi, la sua tomba custodita da una candida musa di marmo bianco.

Nel 1930, il sogno di Puccini divenne realtà... Si inaugurò il teatro viaggiante del Carro di Tespi, con una rappresentazione di La Bohème qui, dove era stata concepita...

Prima della recita, la compagnia venne a rendere omaggio alla tomba poi, uscendo nel giardino dove era stato collocato il pianoforte del maestro, il direttore, Pietro Mascagni, vecchio compagno di studi di Puccini, toccò le note di... “Tu che di gel sei cinta...”

La voce di Rosetta Pampanini salì nel silenzio della piazza gremita e nacque, nel cuore della gente, l’idea di un festival dedicato al più amato compositore d’opera di tutti i tempi...

Le voci dei grandi cantanti... un teatro immenso sotto la volta stellata con il fondale delle silenziose acque del lago e... una musica, che è l’espressione di un connubio unico... tra un uomo... e le suggestioni dei suoi luoghi...

Vivien A. Hewitt - 1995