Questa premessa aiuta a comprendere il senso del progetto Xenobot. Un team di scienziati coadiuvati dal giovane ricercatore Sam Kriegman, ha realizzato i primi robot biologici al mondo. Partendo da cellule di rana hanno creato tessuti biologici ingegnerizzati al fine di creare delle entità autonome di pochi decimi di millimetro di dimensione in grado di eseguire azioni pianificate: muoversi, ruotare, raccogliere detriti, ecc. Dal punto di vista scientifico il risultato è straordinario: i ricercatori sono riusciti a giocare con i “mattoncini lego” della vita. L’artefatto che hanno realizzato non è completamente artificiale, dato che è composto da “materia prima” tipica degli esseri viventi; ma non è nemmeno completamente naturale, dato che la strutturazione degli elementi che lo compongono è definita dai creatori. Si tratta perciò di un ibrido.
Ho collaborato con Sam e il suo gruppo per dare al progetto anche una valenza artistica. Se da una parte gli xenobot sono artefatti prodotti dall’uomo è pur sempre vero che possiedono l’imprinting della natura: si muovono nel piano con una grazia “imprevista”, generano traiettorie che sembrano mimare la gestualità di un disegnatore; hanno in loro l’estetica biologia, fatta e finita.
Come abbiamo proceduto? Abbiamo utilizzato le traiettorie percorse da una manciata di xenobot per farle riprodurre dal robot. Le traiettorie dei piccoli esserini sono state così trasformate in incisioni. Nella pratica, una telecamera posta su un microscopio ha osservato l’ambiente dove gli xenobot agivano. Un software di visione ha realizzato il tracking (misura delle sequenze temporali delle coordinate spaziali) del baricentro di ogni minuscola entità autonoma e trasmesso l’informazione a un robot dotato di bulino. Mano a mano che lo xenobot avanzava, il bulino incideva la lastra per la stampa. In questo modo, passo dopo passo, xenobot dopo xenobot, siamo riusciti a fare produrre un’incisione a punta secca ai minuscoli esserini.
Il paradigma implementativo introduce una nuova forma di programmazione. L’automazione non fa uso di algoritmi. Non c’è una macchina che ragiona. Non vi è un essere umano che, ispirandosi alla natura, realizza sistemi elettromeccanici che agiscono in autonomia. Nel nostro caso abbiamo operato direttamente sulla natura, l’abbiamo ricreata, piegata ai nostri fini, plasmata secondo un’esigenza estetica che non è stata mimata perché già presente nella materia impiegata.
È come se ci fossimo reinventati burattinai; ma non manovriamo fili attaccati a marionette passive e inanimate; gli xenobot, nelle intenzioni, sono più simili a minuscoli pinocchi trasformati in bambini.