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Da "Un volo di Storni" di G.Parisi

Il senso della scienza

L’enfasi sulle ricadute immediate della ricerca è una follia. È famosa la risposta di Faraday al ministro britannico che gli chiedeva a cosa servissero i suoi esperimenti sull’elettromagnetismo: «Al momento non saprei» disse, «ma è assai probabile che in futuro ci metterete una tassa sopra».


«La scienza è come il sesso, ha anche delle conseguenze pratiche, ma non è questo il motivo per cui la facciamo» diceva Richard Feynman, uno dei più grandi fisici del Novecento e forse il più simpatico.

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Ma se anche a livello planetario la scienza continuerà a svilupparsi e a trascinare la tecnologia, non c’è nessuna garanzia che questo accada anche in un Paese come l’Italia. La deindustrializzazione sistematica è il filo conduttore della nostra storia dalla misteriosa morte di Enrico Mattei (1962) in poi, assieme al sempre più marcato disinteresse della grande industria per la ricerca dopo la fine di esperienze pilota come quella dell’Olivetti. È ben possibile che i nostri governanti decidano che l’industria e la ricerca italiane debbano avere un posto sempre più secondario e che il Paese debba pian piano scivolare verso il terzo mondo.

Se consideriamo anche il lento decadere della scuola pubblica, il disinvestimento dell’impegno finanziario del governo italiano nei beni culturali (basti dire che il restauro del Colosseo è stato fatto con fondi privati e che il Fondo unico per lo spettacolo diminuisce ogni anno fino ad arrivare alla metà delle cifre stanziate vent’anni fa), ci rendiamo conto che tutte le attività culturali italiane sono in lento, ma costante, declino.

[...]

La scienza deve essere difesa non solo per i suoi aspetti pratici, ma anche per il suo valore culturale. Dovremmo avere il coraggio di prendere esempio da Robert Wilson, che nel 1969, di fronte a un senatore americano che insistentemente chiedeva quali fossero le applicazioni della costruzione dell’acceleratore al Fermilab, vicino a Chicago, in particolare se fosse utile militarmente per difendere il Paese, rispose: «Il suo valore sta nell’amore per la cultura: è come la pittura, la scultura, la poesia, come tutte quelle attività di cui gli americani sono patriotticamente fieri; non serve per difendere il nostro Paese ma fa sì che valga la pena difendere il nostro Paese».

L’eroe ar caffè (Trilussa)


È stato ar fronte, sì, ma cor penziero,

però te dà le spiegazzioni esatte

de le battaje che nun ha mai fatte,

come ce fusse stato pe davero.


Avresti da vedè come combatte

ne le trincee d’Aragno. Che gueriero!

Tre sere fa, pe prenne er Montenero,

ha rovesciato er cuccomo der latte.


Cor su sistema de combattimento

trova ch’è tutto facile: va a Pola,

entra a Trieste e bombarda Trento.


Spiana li monti, sfonna, spara, ammazza,

“Pe me – borbotta – c’è ‘na strada sola”

e 'ntigne li biscotti ne la tazza.

Sentinella (Fredric Brown)

Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità doppia di quella a cui era abituato, faceva d'ogni movimento una agonia di fatica.

Ma dopo decine di migliaia di anni quest'angolo di guerra non era cambiato. Era comodo per quelli dell'aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arrivava al dunque, toccava ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano sbarcato. E adesso era suolo sacro perché c'era arrivato anche il nemico. Il nemico, l'unica altra razza intelligente della Galassia. Crudeli, schifosi, ripugnanti mostri.

Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata la guerra, subito; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica.

E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie.

Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo, e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi e ogni avamposto era vitale.

Stava all'erta, il fucile pronto. Lontano cinquantamila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l'avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle.

E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più.

Il verso e la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s'erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d'un bianco nauseante, e senza squame.