SEZIONE 6

SEZIONE 6: CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

In questo studio abbiamo dimostrato che un'analisi data-driven del rischio epidemico eseguita sulle varie regioni italiane e basata su una combinazione adeguata di una serie di indicatori plausibili, fornisce una possibile spiegazione, in termini di diversa esposizione al rischio a-priori, della distribuzione altamente asimmetrica dei danni (in termini di casi gravi e decessi) causati dall'epidemia COVID-19, che - alla data del 2 aprile 2020 - sono in gran parte concentrati soprattutto nelle regioni del nord Italia, risultando invece relativamente più blandi nelle regioni del centro e del sud.

Sebbene i primi casi ufficiali di COVID-19 fossero già stati registrati alla fine di gennaio 2020 nel Lazio, vale a dire in una zona molto centrale e altamente connessa (in termini di mobilità) del paese, e più tardi, alla fine di febbraio, in Lombardia e Veneto, e considerando anche le varie ondate di centinaia di migliaia di persone che si sono spostate dalle regioni settentrionali a quelle centrali e meridionali anche prima del completo blocco governativo del paese il 9 marzo, è ragionevolmente presumere che il virus avrebbe dovuto avere abbastanza tempo per diffondersi in modo quasi omogeneo in tutte le regioni italiane (almeno molto più di quanto ci dicono i dati ufficiali). D'altro canto, in termini di effetti, l'epidemia non ha avuto un impatto omogeneo nel Paese. I dati sulla mortalità registrati alla fine di marzo 2020 mostrano un picco anomalo di decessi - probabilmente a causa della presenza di coronavirus - solo al nord ma non nel centro e nel sud del paese. Inoltre, i danni da epidemia di COVID-19 sono osservati principalmente nelle stesse regioni che hanno visto il maggior numero di pazienti ospedalizzati e deceduti anche per l'epidemia di influenza stagionale 2019-2020, che ha avuto il suo picco alla fine di gennaio 2020. La nostra analisi mostra che non è una coincidenza, dal momento che queste regioni (prima fra tutte la Lombardia, poi il Veneto, il Piemonte e l'Emilia Romagna) risultano essere ai primi posti della classifica di rischio a-priori, calcolata attraverso la combinazione di tre componenti principali (hazard, esposizione e vulnerabilità) direttamente o indirettamente correlate con una maggiore probabilità che un virus si diffonda e abbia un impatto drammatico in termini di casi gravi e deceduti.

Riteniamo che, da un lato, la metodologia proposta potrebbe essere ulteriormente migliorata con dati reali più affidabili sull'epidemia attuale. A questo proposito, sarebbe fondamentale testare periodicamente campioni casuali della popolazione al fine di stimare la diffusione in tempo reale dell'epidemia e verificare in modo affidabile i suoi tassi di mortalità. D'altra parte, la nostra analisi potrebbe anche essere molto utile per affrontare strategie politiche a-priori o a-posteriori per prevenire o controllare una possibile epidemia futura e può essere facilmente adattabile a qualsiasi zona geografica e su qualsiasi scala (regionale, nazionale, internazionale). Infine, la nostra analisi potrebbe anche essere molto utile nella fase attuale, in cui i politici stanno considerando possibili strategie per uscire dalla fase di lock-down, poiché sembra suggerire che una buona soluzione per riaprire gradualmente il paese potrebbe essere quella di tenere conto della differenza tra le regioni nella gerarchia di livello di rischio.

Questo studio è il primo tentativo di mettere insieme diversi fattori correlati a un rischio epidemico considerando ciò che è noto al momento. Ulteriori conoscenze in questa direzione potrebbero essere importanti per affinare e migliorare la metodologia proposta.


RINGRAZIAMENTI

AEB, AP e AR riconoscono il sostegno finanziario del progetto nazionale PRIN 2017WZFTZP "Previsioni stocastiche in sistemi complessi". Gli autori desiderano ringraziare Christian Mulder per i suoi preziosi commenti e suggerimenti.