3 Luglio 2024

La Lectio divina si divide in '5 momenti'

1. Lectio

2. Meditatio

3. Oratio

4. Contemplatio

5. Actio

Inizio della Preghiera


Una preghiera alla Trinità per disporsi alla preghiera

L'anima mia vi adora, il mio cuore vi benedice e la mia bocca vi loda, o santa ed indivisibile Trinità: Padre Eterno, Figliuolo unico ed amato dal Padre, Spirito consolatore che procedete dal loro vicendevole amore.

O Dio onnipotente, benché io non sia che l'ultimo dei vostri servi ed il membro più imperfetto della vostra Chiesa, io vi lodo e vi glorifico.

Io vi invoco, o Santa Trinità, affinché veniate in me a donarmi la vita, e a fare del mio povero cuore un tempio degno della vostra gloria e della vostra santità. O Padre Eterno, io vi prego per il vostro amato Figlio; o Gesù, io vi supplico per il Padre vostro; o Spirito Santo, io vi scongiuro in nome dell'Amore del Padre e del Figlio: accrescete in me la fede, la speranza e la carità.

Fate che la mia fede sia efficace, la mia speranza sicura e la mia carità feconda. Fate che mi renda degno della vita eterna con l'innocenza della mia vita e con la santità dei miei costumi, affinché un giorno possa unire la mia voce a quella degli spiriti beati, per cantare con essi, per tutta l'eternità: Gloria al Padre Eterno, che ci ha creati; Gloria al Figlio, che ci ha rigenerati con il sacrificio cruento della Croce; Gloria allo Spirito Santo, che ci santifica con l'effusione delle sue grazie. Onore e gloria e benedizione alla santa ed adorabile Trinità per tutti i secoli.
Così sia (sant'Agostino).

1. LECTIO (5 minuti)

Preghiera

Signore Gesù, Figlio del Dio vivo

Parola fatta carne che illumini

ogni uomo, insegnami ad ascoltare,

ciò che Tu mi dici nella Sacra Scrittura,

e a scoprirvi il Tuo vero volto

e quello del Padre tuo.

Guida
In questa prima tappa prendo la mia Bibbia non come un libro qualsiasi ma come lo scrigno,
che contiene la Parola con la quale Dio vuol parlare di me.
Ascolto una persona vivente che mi rivolge un messaggio personale.
Lo ricevo come se lo ascoltassi per la prima volta.
Mi sforzo di coglierne il senso nel modo più pieno possibile.
Mi incontro con la luce di Dio: Essa prende dimora nella mia intelligenza e la illumina. 

Vangelo

Gv 20,24-29

Mio Signore e mio Dio!


+ Dal Vangelo secondo
Giovanni 

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Parola del Signore
Lode a te o Cristo


Resta in Silenzio e lascia che la Parola letta entri nel tuo cuore...

2. Meditatio (15 minuti)

Preghiera

Signore Gesù, Figlio del Dio Vivente,

insegnami a masticare e assimilare

la Parola viva del Tuo Vangelo,

affinchè essa mi trasformi e renda

il mio spirito pienamente conforme

a ciò che Tu sei e a ciò che Tu vuoi.

Guida
Invoco lo Spirito Santo perchè venga in soccorso della cecità della mia mente.
Nell'umile implorazione della luce e nell'adesione della fede, scruto la Parola con attenzione nuova.
Scopro come le idee di Dio siano diverse da quelle degli uomini e mi accorgo di quanto sia necessario lasciare che la Parola trasformi le mie convinzioni, per conformarle sempre di più alle idee di Dio. In questa seconda tappa acconsento a cambiare la mia mentalità e la mia volontà, per aderire alla mentalità e alla volontà di Dio.

2. Oppure, clicca qui per leggere il Commento esegetico di Silvano Fausti

Vangelo Gv 20,24-29


IL SIGNORE MIO E IL DIO MIO

24 Ora Tommaso, uno dei Dodici,
quello detto Didimo (= gemello),
non era accanto a loro
quando venne Gesù.

25 Dicevano dunque a lui gli altri discepoli:
Abbiamo visto il Signore.
Ora egli disse loro:
Se non vedo
nelle sue mani l'impronta dei chiodi
e non getto il mio dito nell'impronta dei chiodi
e getto la mia mano
nel suo fianco,
non crederò affatto.

26 E, otto giorni dopo,
di nuovo erano dentro i suoi discepoli
e Tommaso accanto a loro.
Viene Gesù,
a porte sprangate,
e stette (in piedi) nel mezzo e disse:
Pace a voi.

27 Poi dice a Tommaso:
Continua a portare il tuo dito qui e vedi le mie mani;
e continua a portare la tua mano e gettala nel mio fianco.
E non continuare a diventare incredulo,
ma credente. -

28 Rispose Tommaso e gli disse:
Il Signore mio e il Dio mio!

29 Gli dice Gesù:
Perché mi hai visto, hai creduto:
beati quelli che non videro e credettero.


1. Messaggio nel contesto

«Il Signore mio e il Dio mio!», dice a Gesù Tommaso, detto Didimo. Quest'espressione costituisce l'apice della fede in Gesù, proposta anche a noi attraverso l'annuncio dei primi che lo hanno visto e accolto. Didimo significa gemello: è gemello di ciascuno di noi, increduli come lui, chiamati a diventare gemelli di Gesù mediante la fede.

Tommaso non c'era quando gli altri lo videro; ed è tentato di non credere alla loro testimonianza. VuoI vedere di persona il Signore. Gli sarà concesso, ma all'interno della comunità. Però Gesù gli rimprovererà di non aver creduto alla testimonianza altrui e proclamerà beati coloro che, a differenza di lui, crederanno senza aver visto.

Questo racconto conclude il cammino di fede dei primi discepoli, aprendolo a quanti in futuro crederanno sulla loro testimonianza. Oltre a sottolineare l'identità tra il Risorto e il Crocifisso, il testo sviluppa il rapporto tra «vedere e credere», appena accennato nel v. 8 a proposito dell'«altro discepolo».

Tommaso non solo ha dubbi sul Risorto, come anche gli altri che l'hanno visto (cf. Mt 28,17; Lc 24,11.38.41), ma esclude il valore stesso della testimonianza. È il primo fallimento dell'annuncio pasquale, anzi il secondo, dopo quello di Maria Maddalena riportato da Lc 24,11. Non accettare per principio la testimonianza di- strugge ogni relazione e rende impossibile ogni trasmissione di conoscenza: senza fiducia ragionevole nella parola dell'altro, non esiste l'uomo, la cui natura è relazione e cultura.

Tommaso ama Gesù: è disposto a morire accanto a lui (11,16) e vuoI sapere dove va, per essere dove lui è (14,4s). Ma, quando il Signore viene dai suoi, insieme a Giuda è l'unico dei Dodici che manca (v. 24). Si può supporre che fosse assente perché, forse più coraggioso degli altri, ha osato uscire all'aperto, da solo o con altri più intraprendenti, come Cleopa e il suo compagno (Lc 24,13ss). Si trova fuori dalla comunità dei fratelli che vedono il Risorto e accolgono il suo Spirito. Anche lui vuole vederlo: è in gioco la sua vocazione di uno dei Dodici, chiamato ad essere testimone diretto del Crocifisso risorto (cf. At 1,21s). Per testimoniarlo deve poter dire: «L'ho visto anch'io!» (cf.1Cor 15,8-11).

È un bene per noi che sia stato assente; così comprendiamo meglio che cosa sia la fede. Gesù si mostra a Tommaso; ma dice pure che siamo più beati noi che crediamo senza averlo visto (cf. anche 1Pt 1,8!). Sia per i primi che per i successivi discepoli, la fede è identica nella sostanza. Il modo però nel quale si attua è necessariamente diverso. I primi, essendo contemporanei di Gesù, l'hanno visto; per questo hanno creduto e possono testimoniarlo. Noi, che veniamo dopo, non possiamo vederlo, ma possiamo credere in lui mediante la testimonianza di chi era prima di noi. L'esperienza dei primi compagni di Gesù ha un aspetto unico e irripetibile, un altro comune e trasmissibile. Unico è il fatto che l'hanno visto. Comune invece è la loro esperienza di fede, che con l'occhio dello Spirito legge come segno della «Gloria» ciò che vedono con gli occhi di carne. Ogni evento passato, pur essendo irripeti bile, è tuttavia trasmissibile per mezzo della parola, la cui funzione è rendere presente ciò che è assente. Come i fatti raccontati, anche il racconto dei fatti è segno della Gloria. Chi accoglie la parola che li testimonia, si trova davanti al Signore della vita che gli parla.

Il tema del testo è la fede, che sempre vuol «vedere e toccare» il Signore. Ma c'è un vedere e toccare materiale, riservato ai contemporanei di Gesù, che vale solo nella misura in cui si aderisce a lui. Infatti l'hanno visto e toccato anche quelli che l'hanno messo in croce! C'è invece un vedere e toccare interiore proprio di chi crede in lui e lo ama: è la comunione con lui, che trasforma la vita. Incontrare il Risorto non significa solo che lui è risorto, ma essere risorti con lui, vivo e presente nella comunità con il dono del suo Spirito.

I suoi contemporanei hanno visto e toccato il suo corpo. Noi oggi lo vediamo nella Parola che lo racconta e lo tocchiamo nel Pane, memoriale della sua passione per noi. «Anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così» (2Cor 5,16b): lo conosciamo secondo lo Spirito, che ci fa vivere di lui e come lui. Per questo lo vediamo e tocchiamo anche nei fratelli, con i quali forma un unico corpo. Il Figlio, salito al Padre, torna a noi nella Parola, nel Pane e nell'amore dei fratelli, per salire con tutti al Padre.

Il testo inizia dicendo che Tommaso non era con gli altri quando videro il Risorto. Per questo non crede se non vede e non tocca (vv. 24-25). Il Signore, otto giorni dopo, viene tra i suoi discepoli e dice a Tommaso, mentre è insieme agli altri, di guardare e toccare le sue ferite (vv. 26-27). Tommaso risponde: «Il Signore mio e il Dio mio». Alla sua fede di uno che crede perché ha visto, Gesù contrappone la beatitudine di coloro che crederanno senza aver visto (vv. 28-29). È la nostra beatitudine. Infatti noi crediamo sulla parola di coloro che lo hanno visto e raccontato nel Vangelo, perché anche noi possiamo accedere alla fede in Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio, e avere in lui vita eterna (vv. 30-31).

Il c. 20 termina con la prima conclusione del Vangelo, che dichiara l'intenzione dell'autore: egli, che ha visto Gesù, lo testimonia a noi che non l'abbiamo visto, perché pure noi aderiamo a lui per avere vita, la sua vita. Chi scrive il quarto Vangelo sa di essere l'ultimo teste oculare. Con lui si chiude l'epoca di chi ha visto il Verbo della vita e si apre il cammino di chi crederà senza aver visto (cf.1Gv 1,1-4).

La Parola eterna di Dio, diventata carne in Gesù, è tornata Parola nel racconto del Vangelo per farsi carne in ogni carne e offrire a tutti la possibilità di diventare figli di Dio (cf. 1,12). Così dice il Prologo, dichiarando ciò che avviene al lettore: il Verbo è sempre all'opera per creare e salvare l'uomo e, in lui, 11'\creazione tutta. Ciò che fu il corpo di Gesù, ora è per noi il racconto evangelico: mostrandoci la carne del Figlio, ci dona lo Spirito del Padre. Infatti mostrare, o rivelare, significa donare se stessi.

Nel succedersi degli incontri con il Vivente, Gv 20 delinea le tappe del nostro cammino di fede: attraverso l'ascolto della Parola contempliamo il sepolcro vuoto con Pietro, vediamo i segni e crediamo con il discepolo amato, incontriamo personalmente il Signore con Mariam, riceviamo lo Spirito e la missione con gli altri discepoli, vediamo e tocchiamo il suo corpo come Tommaso.

Gesù risorto è apparso ai primi nella sua carne crocifissa, perché potessero conoscerlo e aderire a lui e, a loro volta, testimoniarlo a noi.

La Chiesa ha la beatitudine di aderire a lui mediante la testimonianza dei primi, per avere la sua vita di Figlio che ama il Padre e i fratelli.


2. Lettura del testo

v. 24: Tommaso, uno dei Dodici. In Giovanni il termine «Dodici» ricorre solo qui e altre due volte dopo il dono del pane (6,70); l'espressione «uno dei Dodici» è riservata, oltre che al traditore (6,70b), solo a Tommaso. Giovanni non racconta la chiamata dei Dodici, né offre la lista. In genere usa il termine «discepoli», dal significato più ampio, applicabile a chiunque aderisce a Gesù e alle sue parole.

quello detto Didimo (= gemello). Didimo in greco, come Tommaso in ebraico, significa gemello, che fa un paio con l'altro, anche in senso spregiativo. Tommaso è gemello di molti fratelli. Innanzi tutto di Giuda: come lui rischia di perdersi nella notte dell'incredulità, tagliato fuori dalla comunità al cui centro sta il Crocifisso risorto. Inoltre è gemello nostro: è nella situazione di tutti noi, che non eravamo con quelli che hanno visto il Signore e siamo chiamati alla fede dalla loro testimonianza. Infine è anche gemello di Gesù, il suo alter ego, la sua anima gemella. Infatti è disposto a morire al suo fianco (11,16), a differenza di Pietro disposto a «dare la vita per» lui (13,37). Ama Gesù e vuole seguirlo fino alla morte. Ignora però che non la morte, bensì la vita è la parola definitiva. Non sa che Gesù non muore: torna al Padre proprio mettendosi in comunione con i fratelli, obbediente alla loro condizione umana fino alla morte, e alla morte di croce (cf. FiI2,8). Ora, attraverso le sue ferite, lo conoscerà come la via della verità che porta alla vita (cf. 14,5s). Per ora il suo è un amore senza speranza, la dannazione peggiore che ci sia. Solo quelli ai quali il Padre ha concesso di sedere alla destra e alla sinistra del suo trono, accanto a lui sulla croce, vedono la morte come Gloria (cf. 19,18; 17,24).

non era accanto a loro. Tommaso, non essendo con i fratelli, non incontra il Figlio. È solo. Se nella creazione tutto è bello e buono (Gen 1,4.10.12.18.25.31), ancor prima del «peccato originale» Dio dice che non è né bello né buono che l'uomo sia solo (Gen 2,18). L'isolamento è il male originario. Radice di ogni male è infatti vivere il proprio limite come luogo di solitudine invece che di relazione con gli altri e con l'Altro.

Mentre gli altri erano nel cenacolo, ammucchiati dalla comune paura, Tommaso, il gemello, ha osato uscire, sprezzante del pericolo. Con il suo agire contraddice il suo nome. Paradossalmente proprio lui, il cui nome implica «essere con il suo simile», non è accanto agli altri. Non è solidale con loro: non condivide la loro fra- gilità e paura. Per questo si esclude dagli altri, tagliando la relazione con loro. È gemello di quella parte più profonda di noi stessi che non accetta il limite, ma, con la forza della disperazione, reprime la paura stessa, chiudendosi in una solitudine tanto eroica quanto distruttiva. Non crede alla vita: vive la morte come unico orizzonte possibile. In questo è gemello di ogni uomo che, da Adamo in poi, è schiavo della paura, palese o inconfessata, della morte (cf. Eb 2,14s).

quando venne Gesù. L'evangelista riserva l'espressione «aver visto il Signore» alla testimonianza diretta dei primi discepoli (cf. vv. 18.20.25). Nel racconto preferisce mettere in risalto il fatto che Gesù viene e sta in mezzo a loro, per farsi riconoscere attraverso la Parola e i segni della passione impressi nel suo corpo. Evidenzia così quell'aspetto della fede che è comune a loro e a noi.

v. 25: abbiamo visto il Signore (cf. anche vv. 18.20). L'annuncio dei discepoli, identico a quello di Mariam (v. 18), richiama il loro primo incontro con Gesù: «Abbiamo trovato il Messia» (1,41.45). Ora «trovare il Messia» diventa «vedere il Signore». In questo ultimo incontro si compie ciò che è iniziato nel primo.

«Abbiamo visto il Signore» è l'annuncio della comunità. Vedere il Signore, fondamento della vita nuova, comporta il passaggio dalla paura alla fede, dalla tristezza alla gioia, dalla morte alla vita, dalla chiusura alla missione, dall'accusa al perdono. Visio Dei, vita hominis: vedere Dio è la vita dell'uomo. Il fuoco brucia, la luce illumina: l'incontro con il Risorto fa risorgere. La comunità vive perché ha incontrato il Vivente. Trasformata in lui dall'incontro con lui, è in grado di testimoniarlo. È infatti una cosa sola, con lui e con il Padre, nell'unico amore: ha accolto lo Spirito e vive della sua gloria, che testimonia al mondo (cf. 17 ,22s).

se non vedo nelle sue mani l'impronta dei chiodi. «Impronta» in greco è typos, che deriva dal verbo «colpire» e significa anche «sigillo». Il «colpo» dei chiodi impresso sulle sue mani è «sigillo» della sua identità e autentificazione del suo potere ( = mano) di Crocifisso.

Tommaso non crede a chi ha visto. Non accetta la testimonianza della Parola e dello Spirito; non riconosce la vita nuova della comunità e non si inserisce in essa. La credibilità del Figlio e del Padre è affidata ai fratelli che vivono la comunione dell'amore reciproco (cf. 17,20-23). Lì incontriamo il Verbo diventato carne. La fede viene dall'annuncio di chi prima di noi ha incontrato il Signore ed è risorto a vita nuova. Chi lo accoglie, fa la medesima esperienza. È quanto dicono alla Samaritana i suoi concittadini (4,42).

Tommaso vuol «vedere» e «toccare», per far parte dei «Dodici», testimoni del Risorto. A lui, come poi a Paolo (cf.1Cor 15,8-11), sarà concessa questa esperienza. Ma ciò che conta, dirà Gesù a Tommaso, non è averlo visto per quel breve periodo in cui si è fatto vedere. Non è possibile a tutti essere nel posto dove sgorga la sorgente; ma chiunque ha sete può bere di quell'acqua viva che ormai scorre su tutta la terra. Chi fu presente dove è scaturita, la canalizza fino a noi con la sua testimonianza, perché ognuno possa dissetarsi. L'esperienza personale del Risorto, concessa a tutti, è accogliere la Parola e lo Spirito della comunità, testimonianza viva del Vivente.

e non getto il mio dito nell'impronta dei chiodi, ecc. Tommaso, oltre che vedere, vuole anche toccare: gettare dito e mano nelle ferite del Crocifisso. È segno di incredulità, ma anche desiderio di certezza e di comunione più profonda con il mistero delle sue piaghe. Esse non saranno chiuse fino a quando non vi sia entrato l'ultimo degli uomini, tutti feriti a morte dalla paura della morte. Anche qui il gemello rivela un'audacia notevole.

non crederò affatto. Tommaso, dicendo di non credere se non vede di persona, anticipa per contrasto le parole del Risorto: «Beati quelli che non videro e credettero» (v. 29). Tommaso è gemello di quella parte di noi che accetta anche la morte, destino supremo dell'uomo, ma non crede alla possibilità di un amore che vinca la morte. È disposto però a essere smentito dai fatti, se sono contrari alle sue certezze. Onestà intellettuale tanto necessaria quanto rara.

v.26: otto giorni dopo. Ha lo stesso significato della nostra espressione «oggi otto», che significa «tra una settimana». È quindi ancora il primo giorno della settimana, il giorno «uno» dei sabati (v. 1), «quel giorno» che è il giorno del Signore: è la domenica, quando la comunità si riunisce per celebrare l'eucaristia (cf. At 20,7; Ap 1,10; Didaché 14,1). È insieme il giorno primo e ottavo, quell'unico giorno senza tramonto, fonte di vita senza fine. Tutto è ormai illuminato dalla luce del Risorto. Non a caso nel capitolo seguente, che racconta la terza manifestazione (21,1.14), non si indica più alcun tempo. Ormai viviamo sempre in quel tempo. Nella liturgia infatti iniziamo la lettura del Vangelo con l'espressione «in quel tempo», perché il racconto ci ri-presenta l'evento, facendoci contemporanei a esso. L'eucaristia è il luogo per eccellenza in cui si incontra il Risorto. Bisogna «far eucaristia in ogni cosa» (1Ts 5,18), perché la nostra esistenza concreta diventi il vero culto spirituale gradito a Dio (cf. Rm 12,1).

di nuovo erano dentro i suoi discepoli. «Dentro» non è più un luogo di tenebra e paura (cf. v. 19), ma di comunione nella pace e nella gioia, dove il frutto dello Spirito fiorisce e matura in missione, perdono e testimonianza. È quel «dentro» di chi, essendo figlio, è inviato verso il «fuori» del mondo, per continuare l'opera di Gesù. In questo luogo i fratelli vivono il memoriale del Figlio, che li rende «uno» e li proietta fuori, testimoni del Padre comune presso il mondo intero.

Tommaso accanto a loro. La domenica precedente non era presente (cf. v. 24). Anche se non condivide la loro fede, ora è tra i fratelli, uniti e vivificati dall'incontro con il Signore. Qui potrà fare anche lui l'esperienza del Figlio e diventare suo «gemello».

viene Gesù (cf. vv.19.26; 21,13). Gesù viene sempre l'ottavo giorno, quando la comunità si riunisce per celebrare la memoria del suo amore. E così viene di continuo, fino a quando ascenderà al Padre con tutti i suoi fratelli (v. 17; cf. 21,22.23).

a porte sprangate. Le porte sprangate non sono più segno di paura (cf. v. 19), ma di separazione dal mondo: i discepoli, anche se sono «nel» mondo, non sono «dal» mondo (cf. 15,19; 17,15s); per questo sono inviati «al» mondo.

stette (in piedi) nel mezzo (cf. v. 19). Gesù sta in piedi, ritto. È la posizione del Vivente, il cui corpo «giaceva» nel sepolcro (v. 12). La parola greca «stare», in un suo composto, significa «ri- sorgere» (an-ìstemi: stare su). Il morto giace, posto a parte; il Risorto sta ritto, nel mezzo.

pace a voi (cf. vv.19.21) La venuta e il saluto del Signore sono riferiti come nel racconto precedente. Egli si rivolge innanzi tutto alla comunità intera - dice infatti: «Pace a voi» -, nella quale ora c'è anche Tommaso. Si suppone che l'autore, citando l'inizio dell'esperienza precedente, intenda riportarla con ciò che segue, nella sua globalità. Ogni incontro con il Vivente ci fa vivere «quel giorno», godendo degli stessi doni.

v. 27: poi dice a Tommaso. Dopo essersi manifestato alla comunità, Gesù si rivolge personalmente a Tommaso. Non vuole infatti perdere nessuno di quelli che il Padre gli ha dato (cf. 17,12). Rivolgendosi a lui, mostra che non solo conosce i pensieri del suo cuore, ma che era presente quando lui esprimeva la sua incredulità e il desiderio, ritenuto impossibile, di vederlo e toccarlo. Gesù è umile: si mette a disposizione di Tommaso, della sul: sorda chiusura agli altri e alla vita. Questa condiscendenza lo renderà disponibile a credere in lui, fino a giungere al punto più alto dell'espressione di fede.

continua a portare il tuo dito qui e vedi le mie mani, ecc. Gesù esorta Tommaso a realizzare il suo desiderio: toccare e vedere il segno dei chiodi che lo hanno sostenuto sulla croce, la ferita della lancia che gli ha aperto il fianco. La presenza del Risorto è sempre connessa con le sue ferite, ricordo della sua passione, memoria perenne del suo amore per noi.

Se Tommaso può mettere il dito nel buco dei chiodi e gettare la mano nel foro della lancia, è perché le ferite restano misteriosamente aperte anche dopo la risurrezione: sono la porta sempre spalancata attraverso la quale Dio esce verso noi e noi entriamo in lui.

L'esortazione è rivolta anche al lettore, gemello di Tommaso. Come lui, anche noi siamo chiamati a toccare e vedere il corpo del Figlio, per entrare in comunione con lui. Vedere le ferite del Crocifisso, immergerci e battezzarci in esse, significa per noi respirare l'amore più forte della stessa morte, trovare la fonte della vita. Come la vista e il tatto hanno mosso il cuore dei primi discepoli, dando loro una vista e un tocco spirituale, così la Parola mette in moto i nostri «sensi spirituali», per vedere e toccare il Signore. Anche noi possiamo così contemplare la gloria del Verbo fatto carne, l'Unigenito dal Padre (1,14), la gloria di quell'amore per noi che è prima della fondazione del mondo (17,22-24).

Questo incontro tra Gesù e Tommaso richiama l'ultimo della serie dei primi incontri, quello con Natanaele (1,48-51). In entrambi si passa dall'incredulità iniziale alla fede.

non continuare a diventare incredulo, ma credente. Il Signore dice a Tommaso di smettere di diventare incredulo e lo esorta a diventare credente. Credenti o non credenti non si nasce, ma si diventa. In noi ci sono due semi: la fiducia del Figlio e la sfiducia del divisore. Portano rispettivamente alla vita o alla morte. Sta a noi coltivare l'uno o l'altro. Se ci dividiamo dagli altri, coltiviamo inevitabilmente la sfiducia. Questo è comunque per tutti il punto di partenza, dato che non si può partire che da dove si è. Se però stiamo accanto agli altri, cominciamo a coltivare la fiducia.

v. 28: il Signore mio e il Dio mio! Tommaso prorompe in un grido. L'espressione (cf. Sal 35,23, LXX) indica il passaggio dall'incredulità alla fede: Gesù è proclamato Signore e Dio. Nei cc. 1-19 i discepoli lo chiamano Signore 16 volte (6,68; 11,3.12. 21.27.32.34.39; 13,6.9.25.36.37; 14,5.8.22), sempre in discorso diretto. Nei soli cc. 20-21 lo chiamano Signore per ben 14 volte, 7 in discorso diretto (20,15.28; 21,15.16.17. 20.21) e 7 in discorso indiretto (20,2.13.18.25; 21,7bis.12).

Il Signore, che è anche lo Sposo da amare e il Maestro da imitare (cf. v. 16), è colui che lava i piedi ai discepoli (13,13s). Questo titolo gli spetta pienamente dopo la risurrezione, quando è finalmente capita la sua regalità di Crocifisso. Gesù è il Kyrios, il sovrano dell'universo, che riconosciamo nel buco dei chiodi e nel foro del costato, accesso definitivo al mistero di Dio. Il termine «Signore» traduce in greco il «Nome», YHWH. Per Tommaso Gesù è il Signore «mio» e il Dio «mio»: è ormai la sua vita. L'aggettivo possessivo sottolinea il legame di affetto: il mio diletto è per me e io per lui (Ct 2,16; 6,3; 7,11). In questa appartenenza d'amore reciproco si realizza il progetto di Dio sull'uomo.

Questa acclamazione di Tommaso richiama il «mio Signore» di Maria (v. 13) e le parole a lei rivolte da Gesù: «Dio mio, Dio vostro» (v. 17b). Ora si capisce l'esclamazione iniziale di Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu il re d'Israele» (1,49).

Qui Gesù è chiamato per la prima volta Dio da una persona, come il prologo l'ha proclamato fin dall'inizio (1,1.18). In Giovanni è usualmente chiamato «il Figlio di Dio» o «il Figlio» (cf. 1,34.49; 3,16.18, ecc.). Accusato di farsi uguale a Dio (5,18), di farsi Dio (10,33), Gesù si rivela come il Figlio, uguale al Padre (5,23), una sola co- sa con lui (10,30). Infatti è «Io-Sono» (8,58), che tale si rivela nel suo innalzamento sulla croce (8,28).

Gesù è Signore e Dio. Quel Dio che nessuno mai ha visto, si è rivelato nelle sue ferite d'amore. Gesù aveva detto: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (14,9).

Tommaso proclama la divinità del Figlio, uguale al Padre. La certezza gli viene dall'aver visto e toccato le mani e il fianco di Dio, un Dio che non può essere che Crocifisso. Un Dio che muore per amore è la morte di ogni dio che l'uomo afferma o nega: è rivelazione della Gloria, che ridà senso all'assurdo del nostro morire e del nostro vivere.

Siamo al vertice della fede in Gesù, alla quale il Vangelo vuoI portare il lettore. v. 29: perché mi hai visto, hai creduto. Tommaso, come Maria e gli altri, ha visto il Signore. Ma non basta vederlo. Maria lo vedeva, ma non lo riconosceva. Il disce- polo prediletto invece, senza vederlo, solo osservando i segni, crede in lui, prototipo di quelli che verranno dopo.

È necessario che i primi discepoli abbiano visto e riconosciuto Gesù risorto, per poterlo testimoniare. Tommaso fa parte di loro; per questo il Signore si è fatto vedere da lui. Però non c'era quando gli altri lo videro; per questo è anche simile a noi, chiamati a credere attraverso la testimonianza altrui. Tommaso è l'anello di congiunzione tra i primi e noi, che sperimentiamo il Risorto attraverso il loro annuncio (cf.1Gv 1,1-4).

beati quelli che non videro e credettero. I verbi in greco sono all'aoristo perché, quando l'evangelista scrive, i suoi lettori erano tra quelli che credettero senza aver visto. Può però anche trattarsi di un «aoristo gnomico», che esprime una sentenza che vale in ogni tempo. Allora significa: «Beati i non vedenti e credenti». Ciò non significa che la fede è cieca. Al contrario: i credenti, in quanto non vedenti, hanno una fede incondizionata e i non vedenti, in quanto credenti, hanno una vista più penetrante degli altri. Hanno infatti aperto l'occhio del cuore, che solo vede la realtà.

Questa beatitudine è per noi, lettori del Vangelo, che esultiamo di gioia indicibile e gloriosa, perché, pur non avendo visto il Signore, lo amiamo (cf. 1Pt 1,8). È la beatitudine della fede, che si completa con l'altra beatitudine: «Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica» (13,17). Anche noi sappiamo queste cose:

Gesù ci ha lavato i piedi ed è il Signore: è morto e risorto per noi. La nostra beatitudine non è fare un incontro straordinario con lui, ma, grazie all'ascolto della Parola, condurre una vita nuova nell'amore, camminando come lui ha camminato (lGv 2,6). Noi, come il discepolo prediletto, crediamo nel Risorto. Lo vediamo nei segni lasciati dalla sua risurrezione nella comunità che lo testimonia con la vita e con l'annuncio: essa è un sepolcro vuoto di morte e pieno di vita. Lo vediamo e tocchiamo spiritualmente attraverso la Parola, che ci fa entrare nelle sue piaghe e ci invita al suo banchetto (cf. 21,12s), per nutrirci di lui e vivere di lui (cf. 6,54).

Queste parole del Risorto aprono il futuro a ogni esperienza di lui. Il finale del Vangelo non ci presenta l'andarsene di Gesù. Egli non si separa da noi. È invece sempre presente in noi nella memoria della sua passione, dalla quale scaturiscono pace e gioia, missione e Spirito di perdono. Essa ci inserisce nell'esperienza di fede dei discepoli che ci hanno preceduto e ci rende capaci di essere suoi testimoni davanti al mondo intero.

Da qui l'importanza dell'eucaristia, «fonte e culmine di tutta la vita cristiana».

Se è vero che la Chiesa fa l'eucaristia, è altrettanto vero che l'eucaristia fa la Chiesa. Quando un cristiano la trascura o ci va solo per precetto, è come uno che non mangia o lo fa solo per comando. Se non è già morto, poco gli manca.


3. Pregare il testo


da notare:


4. Passi utili:

Sal 16; Gv 1,1-14; 17,20-23; 1Pt 1,6-9; 1Gv 1,1-4


5. Per i giorni precedenti

1. Per sapere il Vangelo dei giorni precedenti ti consigliamo di utilizzare l'utilissimo sito www.lachiesa.it, per sapere il Vangelo del giorno che ti interessa.


2. Vi proponiamo quattro canali su Telegram sui Vangeli commentati da Silvano Fausti:

 a. Vangelo di Matteo
b. Vangelo di Marco
c. Vangelo di Luca
d. Vangelo di Giovanni


*Di seguito ti diamo anche i quattro file sui Vangeli commentati da Silvano Fausti. Basta cercare il brano che ti interessa per leggere i commenti. (il file è abbastanza corposo, pertanto bisogna avere un po' di pazienza nell'aprirlo).

꧁ f i n e ꧂

3. Oratio (10 minuti)

Preghiera

Signore Gesù, Figlio del Dio vivo,

insegnami a parlare al Padre

con il quale Tu dialoghi continuamente

nel vincolo dello Spirito Santo.

Accendi il mio cuore con l'Amore

che ti unisce al Padre e sii Tu stesso

in me una continua preghiera.

Guida
In questa terza tappa mi sforzo di parlare a Dio con tutto il cuore, chiamandolo in aiuto della mia impotenza.
E' il momento di domandare alla Vergine Maria di comunicarmi la sua preghiera, fatta di fiducia e di amore.
Mi dispongo con un cuore puro e con fede, in un silenzio adorante, con l'animo coraggioso che vuole ricevere l'Amore della Trinità, ed oso invocare Gesù in mio soccorso.
Mi faccio insegnare da Lui a pregare il Padre nel loro Spirito d'Amore.
Infatti, il mio cuore impara a parlare a Dio se si lascia inondare dell'Amore di Cristo.

Resta in Silenzio e parla con Dio....

4. Contemplatio (10 minuti)

Preghiera

Signore Gesù, Figlio del Dio vivente,

scava nel mio cuore una sete d'amore

così grande che il Tuo Spirito mi faccia

partecipare alla comunione D'Amore

con le Tre Persone Divine,
in quel silenzio che trascende
ogni parola e ogni sensazione.

Guida
- Se ho lasciato che la Parola, letta e meditata, illumini a lungo gli occhi del mio cuore e della mia mente,
- se mi sono lasciato interpellare in profondità dal senso della Scrittura fino a maturare un desiderio di intimità costante con Dio,
- se ho pregato con fiducia infinita per i miei fratelli e per tutta la Chiesa,
allora Dio risponde.
Egli infonde nel mio cuore una certa incapacità di continuare a riflettere in modo discorsivo sulla Sua Parola e mi concede una sorta di partecipazione al fuoco di comunione d'amore "al di là di ogni cosa", che brucia senza inizio e senza fine all'interno della Santa Trinità.

Resta in Silenzio e lascia che Dio ti parli....

5. Actio (3 minuti)

Preghiera

Signore Gesù, Figlio del Dio vivo,

vieni Tu stesso in me e porta

a pieno compimento la luce divina

che ho ricevuto dalle Sacre Scritture.

Insegnami ad essere pura trasparenza

di Te in ogni qualsiasi azione

della mia vita.

Guida
Per darmi il dono di un'intima conversazione continua con Lui, il Signore si aspetta da parte mia che moltiplichi in ogni circostanza slanci di desiderio e di comunione con il Suo Amore.
E' questo un esercizio non difficile e distraente: di ora in ora, nel corso delle mie giornate, nel mezzo delle mie molteplici attività, al centro stesso delle mie fatiche, preoccupazioni, dolori, mentre si svolge il corso pesante e dispersivo del mio lavoro, posso-se voglio riprendere per qualche istante il ricordo dell'ultima lectio divina o risvegliare il desiderio della prossima.
Si dedicano pochi minuti per esprimere nel silenzio del proprio cuore, il proposito di tornare, durante la settimana, sulla Parola letta e meditata, per mettere in pratica almeno una decisione presa durante il dialogo con Dio.

Questo esercizio consente di rimanere sempre in conversazione con Lui

Benedizione Finale

Benedizione sacramentale

Il Sacerdote, inginocchiato davanti al Santissimo dice

Ci hai dato Signore, un pane disceso dal cielo

I fedeli rispondono:

che porta con se ogni dolcezza

Il sacerdote conclude con questa preghiera

Preghiamo.
Signore Gesù Cristo,
che nel mirabile Sacramento dell'Eucaristia
ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua,
fa' che adoriamo con viva fede
il Santo Mistero del Tuo Corpo e del Tuo Sangue,
per sentire sempre in noi i benefici della redenzione.
Tu sei Dio e vivi e regni con Dio Padre
nell'unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.
Amen

Segue la Benedizione con l'Ostensorio e la recita del Sia Benedetto

Dio sia benedetto
Benedetto il Suo Santo Nome
Benedetto Gesù Cristo vero Dio e vero uomo
Benedetto il nome di Gesù
Benedetto il Suo Sacratissimo Cuore
Benedetto il Suo preziosissimo Sangue
Benedetto Gesù nel Santissimo Sacramento dell'altare
Benedetto lo Spirito Santo Paraclito
Benedetta la gran Madre di Dio Maria Santissima
Benedetta la Sua Santa e Immacolata Concezione
Benedetta la Sua gloriosa Assunzione
Benedetto il nome di Maria Vergine e Madre
Benedetto San Giuseppe Suo castissimo sposo
Benedetto Dio nei Suoi angeli e nei Suoi santi.

Il sacerdote ripone l'Ostia consacrata nel tabernacolo


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