Testi critici

Le emozioni di un passante

Cara Teresa, passavo, mi sono fermato ancora. Ho visto, ho sostato e ancora rivisto le stoffe e le sovrapposte velature, i segni su cui poggia la pittura e le figure che sorreggono le forme, il cuore al centro del viaggio. E le increspature che rimandano al mare. O alla terra delle tue colline.

La fanciulla corre verso l’odore di un luogo amato, un sapore, un sentimento o fugge dalla bruttezza del mondo? I corpi nella tunica laica si danno appuntamento nel cuore tentando di ricomporre l’originaria unità di maschile e femminile oppure si rincorreranno in periferie assenti di paesaggi e di cieli?

L’una e gli altri sono forse il pretesto per svelare le segrete convulsioni dell’emozione?

In quel cuore semplice e profondo hai posto il luogo della bellezzache non ha bisogno di decorazione o illustrazione quando tecnica e immagine smettono di essere “espedienti” e raccontano ad una voce il sentimento dell’intuizione poetica.

Così, nella tua scatolina di latta degli attrezzi è possibile rinvenire memorie di assenza e fantasie di attesa, ossuti silenzi, luci freddi e anime scure e, se la vita è pure un sogno, teneri piaceri e favole belle, in ogni posto e sempre, pronte a sedurre.

Osvalo Fanella

Sassoferrato - settembre 2019

Ma.terials Re.cycling Ne.w Fa.shion 25 giovani creativi provenienti da 5 Accademie e Scuole Superiori di Belle Arti europee, dal 17 al 25 settembre presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata, sono alle prese con materie disparate per uno workshop finalizzato al progetto di moda. Carta, reti metalliche, plastiche varie, vecchie stoffe, materiali di scarto destinati alla discarica vengono reinterpretati, trasformati e valorizzati, riscattati dalla perdita e dall’abbandono, restituiti ad una rinnovata dimensione di senso. Risorti![1] Riciclo: un imperativo del mondo contemporaneo, imposto dall’eccesso dei consumi, dallo spreco delle risorse, dalla gestione esclusiva delle risorse secondo un modello ormai apertamente in crisi che ha portato all’inquinamento del pianeta, alle catastrofi ambientali, alla povertà di paesi e popoli in un mondo che sta soffocando sotto i propri rifiuti, al generale ripensamento dei modelli produttivi e di consumo del mondo occidentale e dei suoi stili di vita.Attualmente e da una decina d’anni si parla diffusamente di design e di moda ecosolidale, una tendenza che si avvale di materiali di riciclo e prodotti naturali per promuovere un basso impatto ambientale, ma è indicativo come, molto tempo prima che si affermassero le istanze ecologiste e le “decrescite felici”, proprio dall’arte siano venute le indicazioni più significative in questa direzione. Da quando Pablo Picasso inserì nel 1912 il famoso frammento di tela cerata nella sua Natura morta con sedia impagliata, al ready-made duchampiano, al Merzbau di Schwitters, al sacco sdrucito e lacerato di Alberto Burri – solo per indicare alcuni fondamentali passaggi storici – si è innescato nell’arte un meccanismo di apertura e di risalita “dal basso” delle cose e degli oggetti del mondo, in un processo di avvicinamento e azzeramento del distacco tra l’arte e la vita. Perché nel contemporaneo l’arte “si fa con tutto”[2], e non per il solo gioco immotivato dell’invenzione ma per “naturale riflesso del mondo in cui si vive, si produce, si consuma, ci si scambiano le informazioni”.“Recuperare e conservare i rifiuti – scriveva Lea Vergine[3] –, cercare di trattenerli, di farli sopravvivere strappandoli al vuoto, al nulla, alla dissoluzione cui sono destinati, il voler lasciare un’orma, una traccia, un indizio per chi resta, tocca una dimensione psicologica che è anche politica […] essi sono uno sviluppo di simboli: sono rischio e fascinazione, catastrofe annunciata e seduzione, bellezza del brutto e memoria dell’umano”. La natura, la materia tutta è un principio morfogenetico, questo valore iniziale del materiale è sentito in particolare dall’arte figurativa, il contatto fisico dell’artista con il materiale è un momento di “passione” creativa, medium per percepire e dare corpo ai propri pensieri e trasmetterli con la complicità di un corpo inerte ma sentito in metamorfosi. Il contatto con la materia libera l’invenzione, il lessico personale, da vita a nuovi mondi, appoggia la narrazione di se stessi e delle cose attraverso l’elaborazione della forma rivelatrice, in virtù di quell’experience di cui parla Focillon[4] e della stessa “vocazione formale” delle materie.Trasformare i rifiuti in oggetti per un nuovo uso non significa dunque rinunciare alla bellezza, come se questa risiedesse esclusivamente nella perfezione, nella brillantezza, nel luccichio delle cose preziose, ma rintracciare la bellezza nell’imperfezione e nell’opacità, che sono aspetti più vicini alla natura e al nostro essere umani, una bellezza che reca in sé i residui della vita che è stata in quelle cose. Ecco allora che da un progetto artistico scaturisce una investigazione più ampia che dall’estetica tocca le problematiche etiche, ambientali, sociali, politiche, in una condivisione di istanze che accomuna questi giovani, arrivati ognuno con la propria identità e la propria cultura. Ecco che un laboratorio sperimentale diventa un’occasione per riflettere, seppure sotto gli scintillanti riflettori del fashion, sulle scottanti criticità attuali e, perché no, sul nostro destino. Loretta Fabrizi
[1] Cristina Morozzi, Oggetti risorti. Quando i rifiuti prendono forma, costa&nolan, 1998.[2] Angela Vettese, Si fa con tutto. Il linguaggio dell’arte contemporanea, Laterza, 2010[3] Lea Vergine, Trash, quando i rifiuti diventano arte, Trento, Palazzo delle Albere, 1997.[4] Henri Focillon, La vita delle forme, 1934.

Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore.

Italo Calvino

Una parola condensa tutta l’arte di Teresa Marasca, che si snoda fra il disegno e la ricerca sui colori e i materiali, sugli accostamenti e le intuizioni poetiche e figurali: la leggerezza.

Con la leggerezza Marasca dipinge e ricama carte, tessuti e tele per dare ai materiali il profilo dell’anima, in un disegno libero che muta ogni volta, sorprendendo l’osservatore: la forma è sempre quella del cuore, ma le sue declinazioni fanno vibrare emozioni profonde e sempre diverse.

Emergono così i cuori di ricami di stoffa, i lunghi rotoli di racconti interiori, le scritture, le operazioni di Land art o i lavori su tela, paesaggi dell’anima liberati dal dolore.

Marasca indaga la struttura invisibile, l’armonia delle cose: l’opera diviene un “evento” in cui si materializza l’incontro sempre diverso di colore luce e materiali. Non descrive la superficie delle cose, scava nella sostanza, portando alla luce anche le tonalità del vissuto personale.

È difficile usare un’icona consueta come il cuore per mostrare e condividere sentimenti sempre nuovi che affiorano alla coscienza: Marasca riesce invece a portare a compimento quest’azione in maniera straordinaria, superando d’un balzo i limiti dell’ovvietà percettiva.

Abstract da una presentazione di Lucia Cataldo