di Lorenzo Balma

ROJAVA: IL KURDISTAN SIRIANO

“Noi popoli che viviamo nelle Regioni Autonome Democratiche di Afrîn, Cîzire e Kobane , una confederazione di Curdi, Arabi, Assiri, Caldei, Turcomanni, Armeni e Ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta”

(Prefazione della Carta del contratto sociale del Rojava)

Nel 2005, in seguito alla caduta del regime di Saddam Hussein e in virtù dell’aiuto offerto dai Peshmerga curdi alla coalizione NATO durante la seconda guerra del Golfo, il Kurdistan meridionale iracheno ottenne - dopo decenni di repressione violenta sotto il regime - uno status di forte autonomia rispetto al governo di Baghdad, garantito dalla nuova costituzione federale. Poi, tra 2010 e 2011, le cosiddette primavere arabe e in particolare la guerra civile scaturita in Siria, hanno messo in crisi lo status quo geopolitico in tutto il Medio oriente e nell’Africa settentrionale, che si manteneva più o meno stabilmente dall'epoca della Grande guerra, quando furono firmati gli accordi di Sykes-Picot (1916) e il trattato di Losanna (1923), sistema che però metteva in luce il fallimento occidentale nel creare solide istituzioni democratiche nella regione. In questo contesto, gli abitanti del Kurdistan occidentale, desiderosi di replicare l’esperienza di autonomia dei "cugini" iracheni anche nella Siria settentrionale, si trovarono presto schiacciati tra l’incudine e il martello: da un lato la Turchia di Erdoğan, che aveva fatto della lotta all'indipendentismo curdo una delle sue principali battaglie politiche; dall'altro il regime ba'thista di Assad, che da anni reprimeva le minoranze della Siria settentrionale escludendole da ogni aspetto della vita civile.

La guerriglia civile in Siria e Iraq, preceduta da un’imponente sollevazione sociale - veicolata per la prima volta dai social network - generò un mosaico di forze in gioco di difficile interpretazione, in cui potenze occidentali, forze conservatrici al potere e ribelli appartenenti tanto ai quadri militari quanto alla società civile, cercarono ognuna di rafforzare la propria posizione tessendo e disfacendo alleanze e rendendo gli equilibri politici sempre più instabili. La guerra che si generò fu una guerra multidimensionale, un conflitto incomprensibile senza tener conto dell’azione militare turca lungo i propri confini meridionali, nonché con l’avanzata dell’autoproclamatosi Stato islamico, organizzazione fondamentalista islamica salafita, wahhabbita e jihadista, che mirava ad instaurare un califfato in Iraq e nella Grande Siria o Bilād al-Shām, regione storica che comprende Turchia meridionale, Siria, Libano, Giordania, Palestina e Israele. Nel frattempo anche nel Rojava ci si organizzava, in ambito sia civile che militare, per la costituzione di una nuova entità statale.

Il culmine della guerra civile siriana, ovvero la guerra ad Aleppo e Damasco, rappresentò anche il culmine della “rivoluzione silenziosa” del Kurdistan Occidentale, in cui i curdi si affrancarono dal regime di Bashar Al Assad e, il 19 luglio 2012, le Unità di difesa popolare dello YPG coadiuvate dalle milizie del PKK turco riuscirono ad occupare la totalità del Rojava, combattendo vittoriosamente contro le milizie di Daesh (anche se in alcune aree lo scontro prosegue tutt’oggi), ma mantenendo pressoché inalterate le strutture statali siriane e il loro funzionamento.

Erdoğan, preoccupato da possibili insurrezioni nel Kurdistan turco, dichiarò immediatamente che non avrebbe mai permesso la nascita di uno Stato autonomo nel Nord della Siria lungo i propri confini. Nel 2016, in una conferenza ad Istanbul, mentre lamentava il trattamento subito dalla Turchia nel trattato di Losanna del 1923 e invocava i vecchi fasti dell’impero Ottomano, mise in chiaro l'obiettivo di un'espansione della propria sfera di influenza se non addirittura di una possibile espansione territoriale: “Il futuro deve essere pianificato sulla base di una profonda analisi della storia" disse il presidente turco: "La Turchia sarà ricostruita come un paese più grande, con l’aiuto di Allah”.

Schiacciate tra le mire espansionistiche Turche, la brutalità del regime siriano appoggiato sostenuto dalla Russia e da Teheran, e la follia teocratica dello Stato islamico, la proposta curda nel Rojava si presentava come un modello alternativo di gestione democratica e federale per tutta la regione siriana. L’amministrazione del Rojava, divisa nei tre cantoni di Cizre, Afrin e Kobane si basa sui progetti elaborati dal leader curdo Abdullah Öcalan, detenuto dal 1999 nel carcere di massima sicurezza dell’isola di Imrali, in Turchia. Tale progetto, basato sull'idea di una confederazione democratica, va oltre i confini imposti dai vecchi trattati, mirando a distruggere l’idea tradizionale di Stato-nazione basato su un'omogeneità etnica, linguistica e religiosa, ripristinando ufficialmente la condizione di multiculturalismo e diversità caratteristica del Medio Oriente. Lo scopo del confederalismo democratico è la creazione di un sistema istituzionale basato su concetti quali democrazia, parità dei sessi, ecologia e laicità, all'interno del quale una popolazione libera possa rendersi attivamente partecipe presso le assemblee locali confederate, organizzate e coordinate attraverso un sistema di rappresentanza gerarchica in vari livelli locali, provinciali, regionali e nazionali. Questo sistema di organizzazione sociale assemblearea, democratico e decentrativo si contrappone in maniera palese al governo iper-centralizzato e oppressivo di Assad, rivelandosi l’unica alternativa di governo esistente.

L'autonomia del Rojava si basa su una carta costituzionale, conosciuta come Carta del contratto sociale del Rojava, che regola i rapporti tra la popolazione, i cantoni in cui è suddivisa la regione e le istituzioni. Divisa in nove sezioni (principi generali, principi fondamentali, diritti e libertà, il progetto di autonomia democratica: l’assemblea legislativa, il consiglio esecutivo, il consiglio giudiziario, l’Alta commissione per le elezioni, la suprema corte costituzionale, regole generali) sancisce gli stessi diritti per tutte le etnie residenti nella zona, favorendone la convivenza pacifica. Tuttavia già nella prefazione si comprende come il progetto confederativo del Rojava rappresenti una fase embrionale della rivoluzione, che lavora per abbattere la dittatura baathista in tutta la Siria a favore di una libera cittadinanza rappresentata da libere istituzioni:

“Con questa Carta, si proclama un sistema politico e un’amministrazione civile fondata su un contratto sociale che possa riconciliare il ricco mosaico di popoli della Siria attraverso una fase di transizione che consenta di uscire da dittatura, guerra civile e distruzione, verso una nuova società democratica in cui siano protette la convivenza e la giustizia sociale"

Particolare attenzione nella carta è dedicata, oltre alla complessa organizzazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, in maniera imparziale, indipendente e bilanciata, ai principi di ridistribuzione della ricchezza, al principio di sviluppo sotto una morale ecologica e in un’ottica di rispetto dell’ambiente e delle risorse, oltre che al ruolo delle donne nella società. Sono questi i principi altamente rivoluzionari (soprattutto in un area culturalmente reazionaria) che rendono la carta del Rojava un faro di democrazia dal basso e di uguaglianza in tutto il Medio Oriente.

“Noi, popoli delle Regioni Autonome, ci uniamo attraverso la Carta in uno spirito di riconciliazione, pluralismo e partecipazione democratica, per garantire a tutti di esercitare la propria libertà di espressione. Costruendo una società libera dall’autoritarismo, dal militarismo, dal centralismo e dall’intervento delle autorità religiose nella vita pubblica, la Carta riconosce l’integrità territoriale della Siria con l’auspicio di mantenere la pace al suo interno e a livello internazionale.”

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