di Marco Bertuccio

LE ORIGINI DELLA CRISI SIRIANA


È il 15 marzo 2011, il cielo è limpido sopra la città di Dar’a, nel sud della Siria. Mentre nel vicino Nord Africa imperversa, con manifestazioni di piazza senza precedenti, quella che sarà poi nota come “Primavera Araba”, in Siria le proteste non sembrano attecchire. Le proteste di febbraio raccolgono scarse adesioni, sfavorite dalle aperture riformiste di Assad, la cui presunta buonafede sembra confermata dall’eliminazione dell’oscuramento dei social network voluta 5 anni prima. Ma quel 15 marzo, tutto sta per cambiare.

Baššār al-Assad governa incontrastato sulla Siria già da 11 anni, dalla morte di suo padre Hafez, “il leone di Damasco”. A capo del partito Baath, di fede alawita (considerata una “setta” dell’Islam sciita, che rappresenta appena il 12% della popolazione siriana), domina incontrastato su di un paese a larga maggioranza sunnita, discriminando sia questa maggioranza, che l’altra minoranza del paese, i Curdi. Quando nel 2011 vede attorno a sé avvicinarsi rapidamente il vento libertario da sud, capisce astutamente di doversi muovere di anticipo, per non fare la fine che stanno facendo i suoi “colleghi” in Nord Africa. Promette così riforme, convinto dell’inizio di una “nuova era” per tutta l'area "mediorientale", di cui lui si dipinge antesignano. A dimostrazione di ciò, il 10 febbraio 2011, arriva a decretare la fine della censura su internet, dimostrando la “fiducia del governo nell’uso della rete” (secondo quanto riferisce il quotidiano filo-governativo al-Waṭan). Ben presto però i siriani si renderanno conto che l’apertura è solo una scusa per individuare più facilmente i dissidenti, e bloccarli sul nascere. Già il 17 febbraio la giovane blogger Tal al-Mallūḥī viene condannata a cinque anni di carcere dall'Alta corte per la sicurezza dello Stato. La consapevolezza che le promesse di Assad sono destinate a rimanere tali, accrescono le fila della protesta. È Marzo, e il sole splende su Dar’a.

Il 15 marzo 2011, a Dar’a, capoluogo della regione agricola e tribale del Hawran (tra le più povere del paese), nel corso di una manifestazione pacifica anti-governativa, alcuni giovani scrivono sul muro di una scuola degli slogan contro il presidente Assad. All’arresto dei ragazzi, e alle prime reazioni violente delle forze di sicurezza, i manifestanti insorgono. Dopo 4 giorni di guerriglia urbana, per strada si contano i primi morti di quella che di lì a breve diverrà la guerra civile siriana. Assad, pressato, promette audacemente riforme e aperture: arriva a rimuovere dall’incarico il governatore della regione di Hawran; scioglie il governo e nomina Adel Safar nuovo Premier; riduce la coscrizione obbligatoria da 21 a 18 mesi; promette tagli alle tasse e revisione dei salari. Il tutto mentre accusa forze straniere e l’emittente Al-Jazeera di fomentare le rivolte. Promesse a voce, violenza nei fatti, sempre meno persone credono alle parole di Assad. Le manifestazioni crescono di numero, con esse la durezza della repressione. Dar’a diventa la protagonista indiscussa delle proteste, che sempre più si diffondono per tutto il paese. Da marzo a luglio è un susseguirsi di rivolte, repressioni, e, soprattutto, morti. Già a maggio si contano 1000 morti e 10.000 arresti tra i manifestanti. Anche nell’esercito crescono le diserzioni, fino a luglio, il mese della svolta.

Il 29 luglio 2011 un gruppo di ufficiali disertori crea l’Esercito Siriano Libero (ESL). L’opposizione si trasforma in esercito, la spinta riformistica in centrifuga rivoluzionaria. L’obiettivo è ora quello di abbattere il regime baatista, di fatto in carica dal 1971. Con la nascita dell'ESL gli scontri diventano molto più violenti e, al posto delle dimostrazioni di piazza, si verificano atti di guerriglia, sabotaggio e imboscate. Le manifestazioni sono ora battaglie, come quella di Rastan, combattuta e vinta dai ribelli tra 27 settembre e 1 ottobre, che riescono ad allontanare le forze governative per ben 4 giorni.

La guerra civile in Siria è ufficialmente scoppiata. Per ora le ragioni sono per lo più politiche. I più acuti osservatori già ne immaginano però il futuro ampliamento. Motivi culturali, religiosi, economici, internazionali, strategici, fanno della Siria una vera e propria polveriera pronta ad esplodere. Siamo nel novembre del 2011, e in molti osservano interessati lo svolgimento degli eventi. Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia, Iran, Israele, Turchia, Arabia Saudita sono in attesa. Al-Qaeda e Hezbollah sono già pronti a tuffarsi nella mischia. L’unica domanda che tutti si pongono è: quando? Di lì a breve, anche quella domanda avrà infine la sua risposta.