"Enduring Freedom": la guerra statunitense in Afghanistan


di Alessandro Costa

La guerra in Afghanistan è una costante ormai da quarant’anni, ricalcando sempre, mutatis mutandis, il medesimo schema: vi è una prima fase, in cui il gruppo più forte, che sia il PDPA (Partito Democratico dell’Afghanistan) nel 1978, i mujaheddin nel 1992, i talebani nel 1996 o gli americani nel 2001, conquista il potere e solitamente questa fase si conclude con la presa di Kabul, la capitale.

La seconda fase vede la formazione di una forma di resistenza a questo potere costituito: i mujaheddin negli anni ‘80 contro il PDPA, i talebani nel 1994 contro i signori della guerra, l’alleanza del nord nel 1996 contro i talebani e di nuovo i talebani aiutati da Al Qaeda dal 2001 contro la coalizione capitanata dagli USA.

E infine, la terza fase, vale a dire il cambio al vertice, spesso favorito dalla potenza straniera di turno, dall’Unione Sovietica, al Pakistan e l’Arabia Saudita per arrivare infine agli Stati Uniti.

Comprendere le cause delle mire espansionistiche di queste potenze straniere sull’Afghanistan diventa allora imprescindibile per comprendere appieno le guerre che ormai sistematicamente da quasi mezzo secolo si verificano all’interno del suo territorio.

La posizione strategica che l’Afghanistan riveste nello scacchiere mediorientale è la causa da sempre menzionata come principale da tutti i analisti del territorio, ma si rischia di trascurare altre concause, come il petrolio e l’oppio.

Si potrebbe infatti considerare che la vera pietra angolare di tutti i conflitti avvenuti in Afghanistan, negli ultimi 20 anni, sia l’oppio.

Comprendere i cicli dell’oppio ci aiuta a comprendere la stessa ciclicità e alternanza caratteristiche dei conflitti afghani. Questo sembra il punto cardine mai compreso, forse volontariamente mai compreso, da tutte le forze che hanno cercato di mettere ordine nella polveriera afghana.

A partire dagli anni ’80 fino ad oggi, l’Afghanistan è diventato il principale produttore di oppio al mondo, arrivandone a produrre oltre il 90% del totale globale e divenendo il primo vero e proprio narco-stato della storia.

L’unica eccezione al consueto succedersi di eventi riguardanti l’oppio afghano è avvenuta nel 2000, quando i talebani, molto probabilmente per essere riconosciuti dalle Nazioni Unite, vietarono la produzione di oppio, assumendo sempre più i connotati di un cartello del narco-traffico. Questo fu considerato da molti analisti un vero suicidio economico, ed è ritenuto la base della rapida capitolazione avvenuta sul finire del 2001. (Per approfondire il discorso legato all’oppio in Afghanistan consiglio il seguente articolo: Il traffico di eroina dimostra il fallimento di USA e UK in Afghanistan (osservatorioafghanistan.org)).

In molti fanno risalire le cause della guerra tra USA e Afghanistan unicamente all’attacco dell’11 settembre al World Trade Center e al Pentagono. Tuttavia, considerare unicamente questo evento come chiave di lettura non tiene conto di una serie di fattori inconfutabilmente rilevanti all’interno delle dinamiche geopolitiche che hanno innescato il conflitto. A riprova di ciò è indispensabile menzionare che già dall’agosto 2001, un mese prima dell’attentato alle Torri Gemelle, l’amministrazione Bush aveva iniziato a trattare con Massoud, capo dell’Alleanza del Nord, morto due giorni prima dell’11 settembre in un attentato dei talebani. Una riunione dei massimi segretari della sicurezza nazionale aveva, infatti, convenuto che ai talebani sarebbe stato dato un ultimatum per consegnare Bin Laden e gli altri agenti di Al Qaeda, già autori di attacchi alle ambasciate USA in Kenya e Tanzania nell’agosto del 1998. In caso di rifiuto, allora, la politica sarebbe stata quella di aiutare segretamente le forze anti-talebane e, nel caso di un ulteriore insuccesso, i segretari avevano stabilito che si sarebbe ritenuto necessario un intervento diretto dell’esercito statunitense.

Questo lascia intuire di come gli Stati Uniti abbiano solo velocizzato un’azione militare già pianificata, cogliendo al volo l’occasione data dall’attentato alle Torri Gemelle. E così il 20 settembre lo stesso Bush lanciò l’ultimatum nei confronti dei talebani, che avrebbero dovuto, “per evitare gravi ripercussioni”, consegnare Bin Laden e chiudere tutti i campi di addestramento di Al Qaeda dislocati sul territorio afghano. L’ultimatum fu rifiutato dai talebani il 21 settembre, che in seguito, quando compresero l’imminenza dell’attacco americano proposero agli Stati Uniti dapprima di processare loro Bin Laden in un tribunale islamico e poi, come ultimo disperato tentativo di evitare la guerra, proposero di fare in modo che Bin Laden fosse processato in un paese terzo. Ma Bush, ormai deciso a iniziare la sua “guerra al terrore”, rigettò le proposte talebane con la celebre affermazione “non tratto con i terroristi”.

Così il 7 ottobre 2001 ebbe inizio l’operazione Enduring Freedom, che almeno inizialmente consisteva in una serie di bombardamenti coordinati della forza aerea statunitense appoggiate da quella del Regno Unito. La capitolazione talebana fu molto rapida, e a poco più di un mese dall’inizio della guerra, il 12 novembre 2001, l’Alleanza del Nord coadiuvata da truppe provenienti da 14 stati del mondo conquistò Kabul. I talebani e i miliziani di Al Qaeda sopravvissuti alla violenta offensiva si rifugiarono nelle montagne di Tora Bora a oltre 2000 metri di altitudine, dove il 12 dicembre 2001 avvenne la celebre battaglia che consentì, fra le altre cose, la fuga di Bin Laden in Pakistan e che portò alla morte di qualche centinaio di miliziani di Al Qaeda.

A seguito della conferenza di Bonn e della Loya Jirga (grande consiglio delle maggiori forze afghane) tenutesi nel dicembre 2001, Hamid Karzai divenne il capo del nuovo governo filooccidentale di Kabul.

Per quanto riguarda i talebani e Al Qaeda, erano stati sì colpiti duramente ma non si erano estinti, e a partire dal gennaio 2002 iniziarono a riorganizzarsi sulle montagne di Shahi-Kot, vicino al confine con il Pakistan.

I principali capi talebani stabilirono che la migliore tattica per fronteggiare la schiacciante supremazia bellica statunitense sarebbe stata quella usata dai mujaheddin contro i sovietici, la guerriglia.

Venuti a conoscenza dell’immediata riorganizzazione avversaria le forze statunitensi e gli alleati afghani diedero inizio all’Operazione Anaconda, che portò ad un ulteriore arretramento del fronte talebano, che stavolta andò a stabilirsi all’interno del Pakistan, ma non portò all’obiettivo prefissato di sconfiggere definitivamente il nemico. A seguito di questa operazione, le tattiche militari talebane subirono una nuova variazione: da questo momento in poi, infatti, la tattica adottata dai miliziani divenne quella della “toccata e fuga”, aprendo il fuoco sulle forze avversarie per poi fuggire nelle retrovie, favoriti dalla permeabilità della Durand Line (termine utilizzato per indicare il confine tra Pakistan e Afghanistan). A partire dall’estate del 2002 il mullah Omar, capo e fondatore dei talebani, riprese il reclutamento di nuove milizie nelle aree del sud-est, al confine con il Pakistan a maggioranza pashtun, inneggiando alla guerra santa contro l’invasore occidentale. In corrispondenza di questa nuova fase di reclutamento vennero creati nuovi campi di addestramento al confine con il Pakistan. La maggior parte degli “aspiranti terroristi” proveniva dalle madrase, le scuole pakistane che avevano formato i talebani stessi.

La prima conferma della riorganizzazione talebana giunse agli americani solo all’inizio del 2003, quando nel mezzo di un’operazione militare di controllo, scoprirono un campo d’addestramento talebano al confine con il Pakistan. Nello stesso periodo iniziò quella che possiamo definire la nuova insurrezione talebana, con attacchi di gruppi talebani su obiettivi afghani. Nel corso dell’estate 2003, si concentrò nelle regioni limitrofe al confine con il Pakistan la più alta concentrazione di soldati talebani dalla caduta del regime, secondo alcune stime, più di mille unità. Più di 200 afghani, molti dei quali poliziotti, furono uccisi, a dimostrazione della ritrovata forza talebana, durante il solo mese di agosto.

Di risposta, l’alleanza anti-talebana organizzò un’importante offensiva nell’estate del 2005, che ancora una volta diede un importante colpo ai miliziani, senza però annientarli definitivamente.

A partire dal 2006 venne costituita l’ISAF della NATO, che piano piano iniziò a rimpiazzare le truppe statunitensi all’interno dell’Operazione Enduring Freedom, che dopo fasi alterne si concluse nel 2014, e vide come suo maggior successo l’uccisione del leader di Al Qaeda Osama Bin Laden, avviando l’Operazione Freedom Sentinel, tutt’ora in corso.

L’Operazione Enduring Freedom, fino alla sua conclusione, continuò a presentare la ciclicità che l’ha contraddistinta in tutta la sua durata. Questa ciclicità è probabilmente riconducibile in buona parte ai cicli della raccolta dell’oppio, che solitamente avviene in primavera e non a caso tutte le principali insurrezioni talebane si sono verificate in periodo estivo, quando i talebani, dopo aver venduto le migliaia di tonnellate di oppio prodotte, assoldano nuove milizie.

Interrompere quel ciclo sarebbe, probabilmente, la soluzione della guerra. Come affermato da John Sopko, Special Inspector General for Afghanistan Recostruction (SIGAR) nell’amministrazione Obama:

Il mercato dei narcotici avvelena il settore finanziario afghano e alimenta un’economia illecita in crescita”, spiegava John Sopko nel 2014. “Questa, in cambio, indebolisce la legittimità dello stato afghano fomentando la corruzione, nutrendo le reti criminali e fornendo un supporto finanziario significativo ai Talebani e ad altri gruppi ribelli.”

Parlando dell’attuale situazione della guerra in Afghanistan, le parole di Abramo Lincoln agli albori della Guerra civile americana del 1861, sembrano più attuali che mai:

There is no honourable way to kill, no gentle way to destroy. There is nothing good in war.

Except its ending.

E nello scenario attuale dell’Afghanistan la fine della guerra sembra ancora lontana…



LETTURE E APPROFONDIMENTI