di Gabriele Pato

MULLAH OMAR

Mullah Mohammad Omar, morto a Karachi nel 2013 ad un’età di 52 o 53 anni, fu il più importante leader dei Talebani che governarono l’Afghanistan tra il 1994 e il 2001. Giunto al potere come salvatore del paese, capace di porre fine alla sanguinosa guerriglia portata avanti dai signori della guerra in seguito al ritiro delle truppe sovietiche, instaurò un regime brutale basato sulla più rigida interpretazione della legge islamica. Per lunghi anni il suo governo diede riparo a Osama bin Laden, leader di Al Qaeda, e diversi esperti internazionali ritengono che il Mullah Omar fosse la mente che ideò gli attentati dell’11 settembre 2001. Figura schiva e misteriosa, Omar si tenne sempre a distanza dai riflettori e morì senza essere mai stato fotografato e senza aver mai rilasciato un’intervista ai media occidentali. Molti aspetti della sua vita restano tutt’ora completamente oscuri e le poche immagini conosciute che lo ritraggono sono di bassa qualità e di dubbia veridicità. Tuttavia, grazie alle numerose interviste rilasciate da persone a lui vicine e da altri leader talebani negli ultimi due decenni, è possibile ricostruire a grandi linee la sua vicenda.

Una biografia ufficiale pubblicata poco tempo fa dagli stessi talebani afghani, dichiara che sia nato nel 1960 a Nodeh, un villaggio nei pressi di Kandahar, da una famiglia di braccianti appartenenti alla tribù Hotak, a sua volta parte dei Ghilji, la più grande etnia tribale pashtun. In seguito all’invasione sovietica del 1979, la sua famiglia si spostò a Tarinkot, nell’Afghanistan centro-meridionale, dove presto morì suo padre, lasciando al giovane Omar le responsabilità di capo famiglia. In cerca di un lavoro, si spostò nuovamente nella provincia di Kandahar, dove divenne mullah, persona a cui viene affidata la conduzione delle preghiere rituali, e dove istituì una piccola scuola religiosa. Nel frattempo, si unì ai combattenti del movimento Hizb-e Islami, uno dei sette gruppi mujaheddin nella regione di Peshawar, con cui lottò prima contro i sovietici e poi contro il regime comunista di Mohammed Najibullah. In questi anni venne ferito gravemente quattro volte e perse l’occhio destro.

Dopo la caduta di Najibullah il paese si divise in territori controllati dalle milizie dei signori locali, le quali si foraggiavano economicamente vendendo beni, terre ed esseri umani ai trafficanti pakistani. Nel 1993, un folto gruppo di giovani studiosi del corano – Taliban – si organizzò e prese le armi contro gli oppressori. Secondo varie testimonianze, Omar venne scelto da subito come capo e, grazie alla sua fede e alla sua fermezza, guidò un gruppo trenta giovani quasi disarmati riuscendo a sconfiggere i signori di Kandahar e a liberare un gruppo di ragazze tenute in ostaggio. Questa impresa leggendaria contribuì ad accrescere la sua fama e ad allargare il gruppo dei suoi seguaci. Nell’ottobre 1994 il suo seguito contava oltre 200 soldati e, grazie ad una serie di successi, a dicembre dello stesso anno raggiunse il numero incredibile di 12000 volontari.

I talebani proseguirono l’avanzata e nell’arco di tre mesi conquistarono ben 12 province, dove imposero la loro strettissima interpretazione della legge islamica. Dopo due anni di stallo, nel 1996 organizzò un grande incontro tra tutti i mullah afghani, i quali gli concessero il titolo di Amir, Comandante dei Fedeli, con il quale partì alla conqusita di Kabul, che conquistò il 16 settembre dello stesso anno e dove fondò l’Emirato Islamico dell’Afghanistan. Da questo momento, Omar chiuse il paese all’occidente – che inizialmente sostenne i talebani in chiave anticomunista – arrestando diplomatici stranieri, proibendo l’ingresso alle ONG e sostenendo economicamente e militarmente il terrorismo internazionale. Nel 2001, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, dichiarò pubblicamente che «il jihad è diventato un dovere per ogni musulmano». In seguito all’invasione delle truppe NATO, si nascose nelle regioni montagnose al confine con il Pakistan e da lì coordinò la resistenza e ordinò la distruzione dei Buddha di Bamyan.

Rimase nascosto e in completo silenzio fino al 2009, quando si espresse per la liberazione di un comandante dei servizi segreti pakistani rapito e tenuto in ostaggio dai talebani. Secondo fonti affidabili, morì nel 2013 in un ospedale in Pakistan, lasciando tre mogli e cinque figli.

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- Massimo Fini, “Il Mullah Omar”, Marsilio Editori, 2011.

- Speciale TG1 “L’Afghanistan dei Talebani”: [https://www.youtube.com/watch?v=jn0v10ESNj4](https://www.youtube.com/watch?v=jn0v10ESNj4)