Letteralmente traducibile con l'espressione “Mano Vuota” (Kara = Vuoto; Te = Mano), l'arte marziale nota come karate si sviluppò sull'isola di Okinawa, la principale delle isole costituenti l'Arcipelago delle Ryūkyū. La storia del karate è di difficile definizione, non essendoci documenti scritti che ne attestino l'evoluzione prima del 20° secolo. Numerose sono le teorie, sulle quali c'è un'ampia letteratura. Tuttavia, sappiamo con certezza che ciò che oggi chiamiamo karate è il frutto della commistione di più arti marziali. Hanno sicuramente contribuito alla formazione del karate odierno:
- L'Okinawa-Te, una forma di combattimento percussivo sviluppatasi a Okinawa secoli addietro, durante il periodo dell'indipendente Regno delle Ryūkyū, con probabili origini e/o influenze da ricercare nel Sud-Est Asiatico e in Cina. Il nome significa “Mano di Okinawa”, 沖縄手 in kanji.
- Diversi stili di Kung-Fu provenienti dalla Cina, impero di cui il Regno delle Ryūkyū fu uno stato tributario fino al 1879 (anno dell'annessione forzata al Giappone). I rapporti con l'impero cinese, per secoli, furono stretti e fiorenti, in particolare per quanto riguarda i commerci e gli scambi culturali.
La forte influenza cinese, si ritrova nel nome originale dell'arte, nota fino all'inizio del 20° secolo come Tōde (唐手), traducibile con “Mano della Cina”. Solo nei primi anni del Novecento, il kanji (ideogramma) che fa riferimento alla Cina (“Tō” 唐) venne sostituito con quello di “Vuoto” (“Kara” 空), dando vita al nome “Karate” (空手).
Il nome completo dell'arte è poi divenuto Karate-Dō (空手道), “Via della Mano Vuota”, dove il kanji 道 sta qui ad indicare un percorso di crescita che è non solo marziale e fisico ma anche mentale e spirituale.
La Via del karate è un percorso spendibile tutti i giorni, dentro e fuori dal dojo.
Sotto il termine “Karate”, rientrano diversi stili e correnti, con storie, influenze e protagonisti diversi.
Prima ancora che il karate fosse noto con questa denominazione, esistevano, a Okinawa, tre stili principali. Questi erano:
- Naha-Te (那覇手), “Mano di Naha”, praticato nell’area di Naha, odierno capoluogo della Prefettura di Okinawa, un tempo area portuale e zona di commerci. Qui risiedeva una notevole comunità di origine cinese, il cui apporto all’introduzione nell’isola di forme di Kung-Fu cinese è tutt’ora dibattuta. Il Naha-Te ha subito la forte influenza degli stili di Kung-Fu della Cina Meridionale, in particolare dell’area del Fujian.
- Shuri-Te (首里手), “Mano di Shuri”, era lo stile proprio della città di Shuri (oggi quartiere inglobato nella città di Naha), un tempo capitale del Regno delle Ryūkyū, sede della residenza reale e luogo della vita aristocratica e della cultura. Lo Shuri-Te ha subito maggiormente l’influenza di alcuni stili di Kung-Fu della Cina Settentrionale.
- Tomari-Te (泊手), “Mano di Tomari”, era lo stile del villaggio di Tomari (anche questo è oggi un quartiere della città di Naha). Il Tomari-Te ha subito prevalentemente l’influenza degli stili cinesi del nord, ma vi si riscontravano anche elementi degli stili meridionali.
Ognuno di questi grandi stili (talvolta più di uno) ha poi dato origine a numerosi altri stili, che oggi formano l'universo del karate.
Il Naha-Te si sviluppò grazie al maestro Higaonna Kanryō (Naha, marzo 1853 – Naha, ottobre 1915). Higaonna sensei studiò arti marziali fin da giovanissimo, dapprima a Okinawa (con Aragaki Seishō, ufficiale in servizio nel Regno delle Ryūkyū) e poi nella regione cinese del Fujian, dove divenne allievo del maestro di Kung-Fu della Gru Bianca noto come Ryū Ryū Ko. Tornato in patria dopo alcuni anni (nel frattempo, il Regno delle Ryūkyū era finito e i suoi territori erano stati annessi al Giappone), iniziò a insegnare la sua arte rendendo noti sé stesso e il nome del Naha-Te.
Allievo di Higaonna sensei era un prestante giovane destinato a entrare nella storia del Karate...
Tra gli allievi di Higaonna sensei, spicca il nome di Miyagi Chōjun (Naha, 25 aprile 1888 – Okinawa, 8 ottobre 1953). Miyagi sensei studiò a lungo con Higaonna ereditandone gli insegnamenti. Sulle orme del suo maestro, Miyagi sensei intraprese viaggi di studio nel Fujian (Cina Meridionale) da cui riportò elementi che andarono ad arricchire la sua arte.
Nel 1929, mentre il karate tentava di essere ufficialmente riconosciuto da parte dell’Impero del Giappone come arte marziale giapponese, si tenne a Kyoto un'importante dimostrazione di arti marziali nipponiche. Il maestro Miyagi, impossibilitato ad andare di persona, delegò un suo allievo: Shinzato Jinan. Al tempo, non era ancora stato scelto un nome per lo stile insegnato da Miyagi sensei, così, interrogato a riguardo dagli organizzatori dell’evento, Shinzato dovette improvvisare e, richiamandosi alle caratteristiche proprie dello stile, chiamò quest'ultimo Hankō-Ryū (半硬流), “Stile Mezzo-Duro”. Al ritorno a Okinawa, Shinzato riferì l’episodio a Miyagi sensei il quale, apprezzata l’idea del suo discepolo, chiamò ufficialmente il suo stile Gōjū-Ryū, “Stile Duro e Morbido”. Per la scelta del nome, Miyagi si ispirò a un antico documento di origine cinese noto come Kenpōhakku (拳法八句), “Gli Otto Precetti del Pugno”, al cui punto tre si legge: “Tutto nell’universo inspira morbidezza ed espira durezza”.
Miyagi sensei godette di grande fama e rispetto negli ambienti delle arti marziali di Okinawa e a lui si devono l’iniziale, forte spinta alla diffusione del karate Gōjū-Ryū, la creazione di un metodo d’insegnamento, la sistematizzazione di alcuni kata importati dalla Cina e la creazione di nuovi kata. Grazie agli sforzi di Miyagi sensei, il Gōjū-Ryū fu il primo stile di Karate a essere ufficialmente riconosciuto dal Dai Nippon Butokukai, l’ente imperiale deputato alle arti marziali, e lo stile si diffuse con successo in tutto il Giappone. Miyagi morì senza lasciare un successore ufficiale. Tra i suoi allievi principali vi erano: Shinzato Jinan (che cadde vittima della Seconda Guerra Mondiale), Yagi Meitoku (che fondò la scuola Meibukan), Higa Seikō (che chiamò il suo dojo Shodokan), Miyazato Eiichi (fondatore del Jundokan) e Toguchi Seikichi, il nostro fondatore.
Toguchi Seikichi nacque a Naha il 20 maggio 1917. All’età di sedici anni, iniziò lo studio del karate sotto la guida di Higa Seikō sensei, assistente di Miyagi sensei. Higa stesso introdusse Toguchi a Miyagi: Toguchi sensei si trovo quindi nella posizione privilegiata di studiare con entrambi questi grandi maestri.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Toguchi sensei fu inviato a Sumatra e lì cadde prigioniero di guerra. Al termine del conflitto rientrò in una devastata Okinawa dove, poco tempo dopo, insieme a Higa sensei e ad altri studenti del maestro Miyagi, costruì un nuovo dojo per quest’ultimo: fu questa la prima scuola di karate a riaprire sull’isola dopo la guerra.
Nel 1952, su iniziativa dei suoi allievi, Miyagi sensei fondò la prima associazione per la diffusione del karate Gōjū-Ryū, nota come “Gōjū-Ryū Shinkokai”. Higa sensei fu eletto vice-presidente e Toguchi sensei direttore esecutivo.
Nel 1953, Miyagi sensei morì, senza aver designato un successore ufficiale e senza aver mai conferito a nessuno dei suoi studenti alcun dan (gradi di cintura nera).
Nel 1954, Toguchi sensei fondò la sua scuola, la quale prese il nome di Shōrei-Kan, “Scuola della Cortesia e delle Buone Maniere”. Il primo dojo aprì nella città di Koza (oggi rinominata “Okinawa”, come l’omonima prefettura di cui è parte) e ben presto accolse non solo giapponesi ma anche diversi soldati americani in servizio sull’isola, la quale si trovava sotto il controllo dell’Amministrazione USA (e vi rimase fino al 15 maggio 1972).
Nel 1959, Toguchi sensei si trasferì a Tokyo, introducendo così la sua scuola nel resto del Giappone. Nella capitale, il maestro Toguchi aprì il suo dojo e fondò il Club di Karate Gōjū-Ryū dell’Università Hōsei. Toguchi sensei formò diversi maestri, grazie al cui supporto fu in grado di portare la scuola Shorei-Kan fuori dal Giappone (Nord America, India, Europa) e, nel 1969, inviò il suo allievo Tamano Toshio a New York per guidare il dojo della Grande Mela.
Continuando l'opera dei suoi predecessori, Toguchi sensei mise a punto, nell'arco di vent'anni, un sistema d'insegnamento che rese accessibile a tutti il karate. Creò nuovi esercizi di kumite (combattimento) e completò la serie di Fukyū Kata (kata di base) iniziata dal maestro Miyagi. Inoltre, realizzò alcuni kata musicali, su melodie composte dal celebre compositore di musiche tradizionali di Okinawa (e artista marziale) Yamauchi Seihin.
La grandiosa opera del maestro Toguchi venne riconosciuta dall'élite del Karate giapponese. Higa sensei e Yagi Meitoku sensei ne elogiarono i risultati e Nagamine Shōshin sensei definì il maestro Toguchi uno dei più grandi maestri della storia del karate di Okinawa. Inoltre, nel 1970, venne invitato a Tokyo dalla JKF (Japan Karate Federation) alla sua prima dimostrazione aperta, in qualità di maestro di Okinawa. In quell'occasione eseguì il kata Seipai, il suo preferito.
Toguchi sensei è annoverato tra i maestri okinawensi cui è stato conferito il grado di 10º dan (massimo riconoscimento possibile per il karate di Okinawa) e per questo appare nella Hall of Fame dell’Okinawa Karate Kaikan (centro per la diffusione e la promozione del karate di Okinawa sito a Naha).
Curiosità: per la sua grande flessibilità, Toguchi sensei fu soprannominato “Toguchi la piovra”.
«L'essenza del karate è la capacità di sorridere in ogni situazione.»
(Toguchi Seikichi)
Tamano Toshio (Tokyo, 14 settembre 1942) iniziò a seguire i corsi tenuti da Toguchi sensei a Tokyo, nel 1960. Dopo alcuni anni, si trasferì a Okinawa, dove iniziò a insegnare nel dojo di Toguchi sensei a Koza. Negli anni a Okinawa, il maestro Tamano ebbe l’opportunità di studiare l’arte del Kobudō di Okinawa (沖縄古武道), letteralmente “Antica Arte Marziale di Okinawa”, la quale prevede l’utilizzo di armi tradizionali. I suoi maestri furono due tra i più grandi della storia di quest’arte marziale: i sensei Matayoshi Shinpō e Akamine Eisuke. Dalla sintesi di questi studi, e dal proprio sviluppo personale, Tamano sensei estese il sistema Shōrei-Kan anche al kobudō, creando il metodo Shōrei-Kai.
Nel 1969, Tamano sensei venne inviato dal suo maestro a New York City per guidare il pre-esistente dojo della Grande Mela e, nel 1971, fu nominato responsabile per gli Stati Uniti d'America. Tamano sensei rimase negli USA oltre dieci anni, contribuendo a formare insegnanti e creando una rete di dojo ben consolidata.
Nel 1982, il maestro Tamano si trasferì a Milano e, l’anno successivo, Toguchi sensei lo nominò 7° dan e gli conferì il titolo onorifico di Shihan per l’impegno profuso nella diffusione della scuola. Inoltre, nel 1986, Toguchi sensei, affidò al maestro Tamano la direzione della Shōrei-Kan Europe.
Nel 1990, Tamano sensei lasciò l’Italia trasferendosi in Francia dove vive tuttora.
Toguchi sensei morì nel 1998. Con la scomparsa del suo fondatore, la scuola vide una scissione interna e Tamano sensei fu riconosciuto Kanchō (caposcuola) delle scuole europee e di parte di quelle del continente americano.
A oggi, Tamano sensei coordina e dirige le attività della Shōrei-Kan Europe, tenendo frequenti seminari in Italia, Spagna e Francia.
Al maestro Tamano si devono la creazione di nuovi kata e kumite, il diffondersi del Karate Shōrei-Kan e del Kobudo in America e in Europa, l'ampliamento del sistema Shōrei-Kan e la stesura di vari libri.
Il nostro karate è parte del budō (武道), la Via marziale giapponese che include diverse arti marziali nipponiche. Il termine Budō è traducibile con “Via della guerra” oppure “Via che conduce alla pace”. Entrambe le interpretazioni ben si sposano con le caratteristiche del budō e della scuola Shōrei-Kan: impariamo un’arte di combattimento ma con l’obiettivo di evitare ogni conflitto. In altre parole, impariamo la guerra impegnandoci per la pace. Le arti marziali facenti parte del budō non hanno come finalità l’esclusivo progresso da un punto di vista tecnico ma affiancano a quest’ultimo un accrescimento spirituale e mentale del praticante, basato su solidi principi etici e morali. Nello stesso termine Karate-Dō (空手道), l’ultimo kanji è quello di Via, inteso come percorso di crescita personale che si affianca al progresso tecnico e che dovrebbe guidarci nella nostra vita quotidiana, dentro e fuori dal dojo.
I principi di base della scuola Shōrei-Kan sono racchiusi nei sei punti del Dōjō-Kun, le regole del dojo. Si tratta di sei principi, di eguale importanza, che lo studente deve sforzarsi di far propri e di applicare in ogni situazione.
Il primo punto, “Innanzitutto, sii sempre cortese ed umile”, riflette lo spirito e il nome stesso della nostra "Scuola della Cortesia e delle Buone Maniere".
Interessante è la doppia possibilità di interpretazione del terzo punto, “Innanzitutto, impara ad essere paziente”. Qui, il termine giapponese Nintai (忍耐), tradotto come “pazienza”, può essere reso anche con “perseveranza”: una pazienza riferita, dunque, sia al singolo istante in cui tenere a freno le emozioni negative di rabbia e collera, sia alla costanza e all’impegno necessari per progredire nella Via marziale e in tutti gli ambiti della vita quotidiana che richiedono uno sforzo prolungato nel tempo. Con quest’ultima interpretazione, il terzo punto ci invita a tenere sempre davanti agli occhi i nostri obiettivi e a perseguirli, sforzandoci di superare le difficoltà che incontreremo durante il percorso.
Partendo dal secondo punto del Dōjō-Kun e passando per il sogno di Toguchi sensei, andiamo a scoprire il significato dietro il nome del nostro dojo.
Il secondo punto del Dōjō-Kun recita: “Innanzitutto, coltiva uno spirito pacifico”. Il kanji reso in italiano con il termine “Pacifico” è 和 (Wa), traducibile, tra i vari significati, con “Tranquillità”, “Armonia” e, per l’appunto, “Pace”. Questo precetto ci invita quindi a cercare la pace in senso stretto, evitando qualsiasi forma di violenza, ma anche a inseguire una vita in armonia con noi stessi e con l’ambiente che ci circonda.
Toguchi sensei aveva un sogno: voleva che la pratica e i valori del Karate-Dō contribuissero al raggiungimento della pace nel mondo. Era convinto che la Via del karate fosse una valida strada per evitare piccoli e grandi conflitti. Il sogno utopico di Toguchi sensei rimarrà, forse, irrealizzato su larga scala. Però, se è vero che ogni grande cambiamento inizia dai piccoli gesti di ognuno di noi, abbiamo il dovere, in quanto praticanti Shōrei-Kan, di tenere vivo quell’ideale, cercando di portare la pace nel nostro microcosmo.
Heiwa Dōjō significa “Dōjo della Pace e dell’Armonia”. I kanji che compongono la parola Heiwa sono 平 (Hei), “Pace” e il già discusso 和 (Wa), con cui si apre il secondo punto del Dōjō-Kun. Nel dare un nome al nostro dojo, si è scelto, quindi, sia di far riferimento a questo insegnamento specifico, sia di ricordare il sogno di Toguchi sensei.
Infine, è bene ricordare che il nostro karate è parte del budō e che questo termine è traducibile anche come “Via per arrestare il conflitto”. In altre parole, “Via per raggiungere la pace”. Il nostro nome si ricollega dunque, come a chiudere un cerchio ideologico, ai macro-cosmi in cui siamo inseriti: la nostra scuola Shōrei-Kan, “Scuola della Cortesia e delle Buone Maniere” (elementi imprescindibili per mantenere la pace e vivere in armonia) e l’universo del budō giapponese.
Impegniamoci, come membri dello Heiwa Dōjō, a realizzare la pace dentro e fuori di noi.
«Non dimenticare che il Karate-do comincia e finisce con Rei.»
Così recita il primo dei venti principi del karate dettati da Funakoshi Gichin sensei, uno dei più celebri maestri di Okinawa. Rei 礼 è il saluto, inteso come “etichetta” o “cortesia”. Se, per l’etica confuciana, Rei rappresenta il più alto valore della vita, si può dire che altrettanto valga nel budō. Rei si esprime nel gesto dell’inchino da in piedi (Ritsurei 立礼) o dalla posizione inginocchiata chiamata Seiza 正座 (assumendo il nome di Zarei 座礼). Semplice nella realizzazione gestuale, Rei cela una complessa disposizione mentale. È forma di rispetto e cortesia verso il maestro e i compagni, ma è anche un sincero impegno verso noi stessi e verso la Via del budō, la quale richiede umiltà, sforzo intenso, disciplina, perseveranza. Senza Rei, essenza dell’arte marziale, questa si riduce a mera violenza.
A Okinawa, Rei è sempre stato tenuto in altissima considerazione. Ancora oggi, nella capitale Naha, affissa alla Shureimon, una delle porte di accesso al Castello di Shuri, splende la targa che un imperatore cinese, rimasto profondamente colpito dai modi cortesi degli okinawensi, donò al Re delle Ryūkyū. La targa in questione reca la scritta Shurei no Kuni – il Paese delle Buone Maniere (o anche della correttezza, del decoro, dell’onorabilità.)
Toguchi sensei ha rimarcato il ruolo centrale che Rei ha nel budō, chiamando la nostra scuola Shōrei-Kan (尚礼舘, il secondo kanji è, per l’appunto, Rei), Scuola della Cortesia e delle Buone Maniere.
Non lasciamo che Rei diventi automatismo. Pratichiamolo sinceramente.
Tra i momenti immancabili in una lezione di arti marziali giapponesi, quello del mokusō è, probabilmente, quello che più incuriosisce e “spiazza” il neofita. Che cosa devo fare? A che cosa serve? Che cosa devo pensare? Sono solo alcune delle domande che sorgono nella mente dei nuovi arrivati. Vediamo quindi di fare chiarezza su questo momento di fondamentale importanza.
Il termine “Mokusō” è composto dai kanji 黙 (Moku) – “Silenzio” – e 想 (Sō) – “Pensiero” e può essere tradotto come “silenzio dei pensieri”. Nella pratica, mokusō diventa la porta d’ingresso (o d’uscita) tra il mondo esterno e l’arte marziale. Attraverso mokusō, si predispone la nostra mente alla pratica, lasciando fuori dal dōjō la nostra vita quotidiana che, con i suoi pensieri, non ci consentirebbe di concentrarci al meglio. Eseguito a fine lezione, mokusō ci prepara, invece, a tornare nel mondo esterno, dandoci tempo e modo di calmare la mente e di assimilare quanto si è imparato durante la pratica.
Sedetevi correttamente in seiza, respirate profondamente utilizzando il tanden e lasciate che eventuali pensieri se ne vadano come sono venuti. Il resto verrà da sé.
Spesso, in occidente, i corsi di arti marziali non sono tenuti in veri e propri dojo e, per questo, è frequente che si ignorino i complessi aspetti legati a questo luogo.
Il termine “Dojo” nasce in ambito buddhista, dove indica il luogo in cui il Buddha ottenne l’illuminazione e, per estensione, i luoghi in cui ci si dedica alla pratica religiosa. Fu attraverso i samurai del Giappone feudale, i quali si avvicinarono allo Zen, che la parola “dojo” entrò a far parte del mondo del Bujutsu (le arti marziali dei samurai) per poi essere ereditato dal budō.
Il dojo è luogo di pratica della Via e, in quanto tale, possiede ancora oggi il suo valore di sacralità. Per questo motivo, non vi si accede mai con le calzature ai piedi e, entrando o uscendo, si rivolge sempre un saluto in segno di riconoscenza.
Occorre accedere al dojo in maniera decorosa: bisogna curare l’igiene personale, le unghie devono essere tenute corte e pulite, il karategi (空手着) deve essere pulito e ordinato e bisogna privarsi di eventuali monili. Alla fine della lezione, si riordina e si pulisce l’ambiente (questa pratica prende il nome di “Sōji” 掃除). L’atteggiamento mentale deve essere sempre di predisposizione ad imparare, rispettando la Via, il sensei e i compagni. È bene evitare di parlare (o, se necessario ai fini della pratica, farlo a bassa voce) e mantenere sempre un aspetto dignitoso, evitando atteggiamenti scomposti anche quando affaticati.
Anche qualora non ci allenassimo in un dojo tradizionalmente costruito, entriamo nel dojo a nostra disposizione con spirito tradizionale e usciamone portandone con noi i valori.
Con kobudō di Okinawa (沖縄古武道 – letteralmente “Antica Arte Marziale di Okinawa”) ci si riferisce a quei sistemi di combattimento armato sviluppatisi nel corso di molti secoli nelle Isole Ryūkyū, in particolare nell’isola di Okinawa.
Esistono due tipi di kobudō: il primo, di molto più antico, si sviluppò tra i bushi (guerrieri) della corte del Regno delle Ryūkyū e faceva uso di armi quali Katana, Naginata, Tantō, Yari e altre. Questa tipologia è strettamente legata al Te di Okinawa ed è ancora oggi insegnata dalle poche scuole che tramandano quest’antica arte guerriera.
Il secondo tipo di kobudō è molto più recente e iniziò a svilupparsi attorno alla metà del 700, sebbene alcune armi furono introdotte solo a fine 800 e durante il 900. Furono sempre i bushi (e non i contadini e i pescatori, come erroneamente a lungo creduto) a sviluppare questo nuovo kobudō dalla forte influenza cinese, recandosi spesso in Cina (da dove riportarono nuove armi e tecniche) e creando numerosi kata. Le cinque armi principali di questo tipo di kobudō sono Bō, Tonfa, Sai, Nunchaku e Kama.
Le correnti principali del secondo tipo di kobudō sono cinque. Due tra i più celebri Maestri del 900 furono Akamine Eisuke (allievo di Taira Shinken, fondatore del Ryūkyū Kobudō) e Matayoshi Shinpō (allievo di suo padre Shinkō, fondatore del Matayoshi Kobudō). Il M° Tamano studiò sia con Akamine che con Matayoshi e dall’unione di queste esperienze con quella del Gōjū-ryū creò il sistema di kobudō Shōrei-Kai praticato nella nostra scuola.
Nella scuola Shōrei-Kan, ogni lezione inizia con una serie di esercizi che prendono il nome di Daruma taisō. Questo tipo di ginnastica, che conta oltre trecento esercizi, affonda le proprie origini in discipline quali lo Yoga, il Do-In, le arti marziali cinesi e il karate. Propedeutico alla pratica del karate stesso, il Daruma taisō è una forma di ginnastica adatta a chiunque, a prescindere dall’età e può essere praticato indipendentemente dalle arti marziali. Lo scopo ultimo del Daruma taisō è il benessere psico-fisico del praticante, raggiungibile attraverso una pratica costante in cui, ad ogni esercizio, si accompagna una respirazione particolare.
Le origini degli esercizi del Daruma taisō si perdono nel tempo, nello spazio e nella leggenda. Si dice abbiano contribuito allo sviluppo di questi esercizi pratiche e credenze Buddiste e Taoiste, l’imitazione degli animali e la medicina tradizionale cinese. Il termine “Daruma” fa riferimento alla figura leggendaria di Bodhidharma (“Daruma” in giapponese), patriarca del Buddismo Chan/Zen vissuto tra il V° e il VI° secolo D.C.. Di questa figura si sa poco di accertato ma la leggenda vuole che, partito dall’India, Bodhidharma si recò nel Tempio di Shaolin, in Cina, per insegnare la dottrina Chan. Qui, valutate le cattive condizioni fisiche dei monaci, insegnò loro l’Ekkin Kyō, una serie di esercizi volti al rafforzamento del corpo, di probabile origine indiana, che sarebbero poi stati la base per lo sviluppo del Kung-Fu Shaolin. Per questo motivo, la figura di Bodhidharma è tradizionalmente collegata sia alle arti marziali cinesi che al Karate di Okinawa.
Per scoprire le connessioni tra karate e buddismo, siete invitati a leggere il breve articolo in lingua inglese scritto dal M° Stinchi, disponibile cliccando sull'icona allegata.
Breve articolo del M° Stinchi sul kata musicale realizzato dal M° Toguchi e dal compositore Seihin Yamauchi.
Al fine di illustrare i potenziali benefici del metodo Shorei-Kan, il M° Toguchi era solito usare la metafora della piramide.
Alla base della struttura ci sono le fondamenta, rappresentate dai benefici fisici derivanti dalla pratica. Tonicità, forza fisica, elasticità, velocità, reattività, respirazione corretta, resistenza ed equilibrio sono un elenco non esaustivo di quanto i praticanti possono ottenere tramite un esercizio costante. Questo livello, essendo la base della piramide, è quello raggiungibile da chiunque e fin da subito. Infatti, i benefici fisici derivanti dalla pratica si manifestano nel giro di poche lezioni e sono alla portata di tutti.
Salendo di un gradino sulla piramide, arriviamo al livello intermedio. Qui, i praticanti sviluppano competenze relative alla difesa personale. Attraverso lo studio e la pratica ripetuta delle tecniche e dei principi di combattimento, si apprende un sistema di autodifesa efficace e spendibile all'occorrenza. Per padroneggiare questo livello servono più tempo, più pratica e più impegno, rispetto al livello base. La piramide si restringe, a simboleggiare il fatto che meno allievi raggiungono questo stadio.
Il vertice della piramide coincide con la crescita spirituale dell'individuo, il satori buddhista, la cosiddetta illuminazione. A questo livello, la Via del budō e il praticante sono diventati una cosa sola. L'individuo, attraverso anni di dura pratica e intensa ricerca, ha scoperto (ma continuerà a scoprire) un nuovo sé, il vero sé. Così come la tecnica tende costantemente al perfezionamento, così fa lo spirito del budōka che ha abbracciato la Via del karate fino a diventare la Via stessa. Una massima famosa nel mondo del karate è Ken Zen Ichi Nyo - il pugno e lo zen sono una cosa sola. Un altro detto ci ricorda che alleniamo il pugno per penetrare lo spirito. Secondo questi principi, il nostro essere più profondo è già dentro di noi e il karate è solo il mezzo che scegliamo per raggiungere questo Io, in un rapporto di mutua crescita. Per raggiungere l'apice della piramide servono dedizione e impegno incrollabili e, per tale ragione, solo pochi raggiungono il punto più alto.