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Benvenuti nella Scuola Bombardieri. Sono il comandante, Enrico Maltese. Allo scoppio della guerra ero stato inviato in Francia, dove avevo studiato l’artiglieria da trincea, inventata per la nuova guerra. La rivoluzione industriale aveva cambiato il mondo. Un esempio di quel trapasso fu la Grande Guerra, che iniziò con slancio garibaldino, tra corazze e baionette, per finire con tecniche di infiltrazione, tra aerei e carri armati.

Anche l’Artiglieria si sviluppò alimentandosi della rivoluzione industriale, condividendone le evoluzioni meccaniche, metallurgiche e chimiche.

Nuovi affusti elastici che assorbivano i tormenti del rinculo, nuovi acciai per canne più resistenti e nuovi esplosivi, aumentarono in modo esponenziale la gittata delle bocche da fuoco e la potenza dei loro proietti. I cannoni, che fino a qualche decennio prima si accompagnavano alle schiere dei fanti in piccoli campi di battaglia, dovevano ora essere schierati in profondità, lontano dalle prime linee, potendo tenere sotto tiro, da lontano, vaste aree. I brevi colpi, che una volta erano diretti “a vista”, diventati ora lunghissimi, andavano oltre l’orizzonte degli artiglieri. La precisione ne risentì, tanto che divenne pericoloso sparare vicino alle proprie linee, per il rischio di colpirle. Il fuoco pesante dei cannoni, non era più facilmente disponibile ai fanti, che si trovarono improvvisamente soli. Divenne necessario inventare armi che permettessero il lancio di bombe secondo le necessità della prima linea.

Contemporaneamente, i contendenti dovettero abbandonare la guerra di manovra per mantenere il controllo delle posizioni espugnate a ridosso del nemico, mentre la fanteria restava immobile, senza possibilità di reazione, a causa delle raffiche delle mitragliatrici e il tiro dell’Artiglieria. Gli eserciti più dinamici e battaglieri d’Europa, nella necessità di trovare protezione, realizzarono nel terreno, una fitta rete di fortificazioni campàli. In breve tempo e per centinaia di chilometri, in tutti i fronti, sorsero trinceramenti sempre più profondi e solidi, con parapetti bassi e poco visibili, dove le truppe, erano pressoché invulnerabili. Tra le opposte linee gli uomini erano protetti da siepi di filo spinato, invalicabili se non distrutte. Durante gli attacchi, il reticolato rallentava e tratteneva le truppe allo scoperto, in balia del fuoco di sbarramento avversario. Data la mancanza di potenti artiglierie mobili a tiro curvo, occorreva trovare un mezzo offensivo capace di sconvolgere le trincee avanzate avversarie e soprattutto, spazzare via i reticolati, e ridare ai fanti quel pronto fuoco pesante.

I reticolati divennero la miglior difesa dagli assalti e per contro, un ostacolo insormontabile negli attacchi. All’epoca si sperimentarono diversi espedienti per permettere il passaggio attraverso le siepi di reticolato. La prima soluzione fu l’uso di pinze taglia fili, ma la densità e la profondità dei grovigli faceva si che l’operazione richiedesse molto tempo, mentre gli uomini rimanevano esposti al tiro di armi automatiche. Furono impiegati anche graticci, tavole, o scale, poggiate sopra l’ostacoli per scavalcarli. Anche la volonterosa e coraggiosa opera dei portatori di tubi di gelatina, in breve si dimostrò inutile. Con lo scopo di fornire protezione agli assaltatori, che uscivano allo scoperto per queste operazioni, furono adottati scudi mobili e corazze. Furono proposti e sperimentati anche vari sistemi per strappare i fili, ma nell’azione, mano a mano che venivano a essere interessati più fili, la forza trattrice veniva “spesa” tra infinite resistenze.

Anche i proietti d’Artiglieria si dimostrarono inefficaci perché costruiti con grossi spessori di metallo che l’esplosione doveva ridurre in schegge. Tutte queste schegge però non riuscivano a recidere le siepi di filo spinato, e le esplosioni non le spostavano. Erano necessarie esplosioni molto più grandi, per liberare il terreno dai grovigli di reticolato.

Per la fanteria, la mancanza di fuoco pesante, pronto, agli inizi venne in parte compensata con il massiccio impiego di bombe a mano e da fucile, i cui limitati effetti e le brevi distanze a cui potevano essere lanciate, costituivano i principali svantaggi per cui trovarono effettivo impiego, solamente a contatto con l’avversario.

Per rispondere alle esigenze della nuova guerra, furono proposte armi robuste, di ridotte dimensioni, da piazzare in postazioni quanto più possibile interrate e mascherate nelle trincee di prima linea, capaci di lanciare a brevi distanze con tiro curvo potenti bombe. Queste armi, genericamente definite artiglierie da trincea, avevano le stesse caratteristiche delle arcaiche bombarde in uso tra il XIV e il XVIII secolo e per questo furono sommariamente battezzate Bombarde e i loro serventi Bombardieri. All’inizio del conflitto nessun esercito aveva bombarde in servizio. Le esperienze prima della guerra avevano avuto principalmente uno scopo orientativo, non avendo chiare le reali necessità della nuova guerra. Improvvisate coi più semplici sistemi di costruzione ed evolute in seguito, le Bombarde cominciarono da subito a farsi valere nella nuova guerra. Con la comparsa di questa nuova specialità, ogni nazione belligerante istituì un centro con il compito di studiare i più opportuni criteri d’impiego dei vari tipi di lanciabombe in servizio, organizzare reparti organici da destinarsi al servizio, perfezionare i materiali in uso in modo da rendere più sicuro il loro impiego, sperimentare lanciabombe di nuova concezione, costituire un centro di rifornimento di uomini e di materiali per il servizio delle bombarde, addestrare inoltre gli uomini all’uso di queste e delle bombe a mano. In Italia dopo il poligono di Cirié, Brazzano a Cormons e Spilinbergo a Udine, il 17 novembre 1915, il Comando Supremo stabilì che la nuova scuola dovesse sorgere a Santa Lucia, perché in posizione equidistante dall’arco delle linee del fronte e in prossimità di un’importante arteria ferroviaria. Di più, la zona prescelta oltre a disporre in larga misura di alloggiamenti e locali da adibirsi a usi diversi, aveva grandi spazi da poter adibire a poligono per effettuare esperimenti ed addestramento . In Francia si istituì il centre d’instruction artillerie da tranché presso la scuola d’artiglieria di Bourges, che continuò a mantenere stretti rapporti con la mia scuola. Per l’Austria Ungheria la casa madre dell’Artiglieria da trincea fu il distaccamento lanciabombe degli zappatori del genio, costituito il 23 maggio 1915 nel poligono di Siegersdorf a Steinfeld.

La Scuola dei Bombardieri del Re aveva sede proprio qui a Mandre, in questo complesso agricolo dei conti di Collalto, sorto sul luogo di una antica masserizia medievale con casale e molino. Era chiamato dai bombardieri il “transatlantico”. Dava alloggio a circa 200 ufficiali ed oltre un migliaio di gregari. Accanto ai granai adibiti a camerate che contenevano 1.102 posti letto, sorsero anche gli uffici di batteria, sale per conferenze e un salone per la mensa ufficiali in questo salone, dove si vedono ancora, sbiadite decorazioni con fregi murali, topografie dell’Europa e del fronte, oltre a molti magazzini entro grandi tettoie e baracconi in legno. Il centro era pieno di vita e ovunque si trovavano accampati od accantonati i fieri bombardieri. I corsi d’istruzione dei bombardieri avevano durata di circa un mese, un periodo più che sufficiente per apprendere l’impiego di quelle rudimentali armi, ma necessario per organizzare ed affiatare elementi così disparati. Gli aspiranti bombardieri, provenienti da diversi reparti, venivano istruiti sui varie tipi di bombarde, le loro caratteristiche di tiro, lo specifico munizionamento, le manovre per il trasporto e l’installazione. Alla teoria illustrata in classe si accompagnava la pratica nel campo di prova che qui era a Susegana, steso lungo il letto del fiume. Alcuni magazzini a Nervesa, completavano l’impianto.

Le bombarde avevano una breve canna, articolata su di un basamento a piattaforma. Erano di costruzione economica e soprattutto di facile uso, caratteristiche necessarie al largo impiego fatto da fanti non acculturati. La forza del lancio era normalmente ottenuta dall’esplosione di polveri piriche, ma non mancarono armi ad acetilene o addirittura pneumatiche, in cui la bomba veniva soffiata via con dell’aria compressa, o addirittura sistemi nervo-balistici.

Data la corta gittata, la pressione nella canna all’atto dello sparo, era ridotta a un decimo circa di quella usualmente sviluppata nei cannoni, cosa che permise di costruire canne più sottili e quindi leggere. La “dolcezza” dello sparo, liberava dalla necessità della sistemazione di organi elastici per l’assorbimento del rinculo e ritorno in batteria dell’arma, ed inoltre logorava meno la canna rispetto alle normali artiglierie.

Le bombarde lanciavano bombe, dall’anatomia differente dai proietti d’artiglieria, genericamente detti granate. Le bombe avevano l’involucro più sottile e in rapporto al peso una maggiore quantità di esplosivo. Date le pareti sottili, gli esplosivi usati per caricarle, dovevano essere poco sensibili agli insulti meccanici e termici, per evitarne l’innesco accidentale allo sparo o nel maneggio. Mentre la forma dei proietti d’Artiglieria si riproponeva cilindro-conica, le bombe si presentarono anche con altre forme. Per il loro innesco furono inventate delle spolette “universali” con cui la bomba poteva esplodere comunque avesse impattato.

La propaganda è l’attività di propugnare idee e informazioni, con lo scopo di indurre atteggiamenti e azioni, che beneficiano coloro che la organizzano. In pratica, è l’arte di proporre una realtà falsata. Chi usa la propaganda, conosce i desideri e i bisogni delle persone, promette loro di esaudirli, con l’intento di esaudire i propri desideri. L’antitesi alla propaganda è la pura e semplice esposizione dei fatti nella loro completezza, la descrizione della realtà nella sua interezza.

La prima guerra mondiale segnò l’inizio dell’impiego massiccio della propaganda. L’opinione pubblica ha sempre giocato un ruolo fondamentale nelle scelte sociali, in tutti i tempi, ma l’opinione pubblica del Novecento, per via delle evoluzioni sociali, economiche e politiche, aveva assunto una dimensione enorme rispetto al passato, tanto da dover essere gestita in modo organico. Con lo scoppio della guerra, la mobilitazione militare fu accompagnata da un altrettanto grandiosa mobilitazione politica e mediatica per lo sviluppo del mito della “guerra giusta”. La propaganda e censura furono istituzionalizzate creando appositi uffici dedicati al controllo delle informazioni circolanti e alla creazione di nuove, secondo le esigenze dei governi e stati maggiori. Il peso della propaganda impiegata dai vari paesi, fu inversamente proporzionale al loro livello di “democraticità”, ovvero cresceva in base al livello di partecipazione delle masse alla politica della nazione; le misure prese furono eccezionali in Inghilterra e negli Stati Uniti, modeste in Italia e mediocri in Russia e Austria-Ungheria.

Per ottenere la distruzione dei reticolati e preparare l’attacco, era necessario impiegare una grande quantità di bombarde. In difesa le terrorizzanti esplosioni delle bombe furono sfruttate con successo, per colpire e disordinare le truppe radunate dietro i trinceramenti, e per battere le pieghe del terreno e i camminamenti, dai quali potevano giungere i rincalzi all’avversario. Nei momenti di calma, cominciarono ad essere usate anche per inquietare il nemico nei suoi appostamenti, specialmente di notte, per impedirgli di riattare o perfezionare i suoi lavori, e per controbattere le bombarde avversarie.

Generalmente le batterie dovevano essere piazzate davanti alle trincee della fanteria, per poterne sfruttare al massimo la breve gittata, ed anche per evitare che tiri imperfetti provocassero danni.

Nell’agosto 1916, nella battaglia di Gorizia, ai miei bombardieri fu chiesto un salto di qualità. Alle normali funzioni, ed a quelle che si erano aggiunte nella difesa, venne assegnato anche il nuovo compito di appoggiare le ondate di fanteria durante l’avanzata. Avrebbero dovuto spingersi senza esitazione in avanti, appena avvenuta l’irruzione, per guarnire le posizioni appena conquistate, appoggiare lo sforzo in profondità, e contrastare i ritorni controffensivi degli austroungarici. Dovendo procedere su terreno scoperto, lungo itinerari noti agli avversari, e avendo poco tempo per preparare e fortificare le nuove piazzole di tiro, il fuoco di repressione dell’Artiglieria dei difensori sortì notevoli effetti; ma il sacrificio per quella battaglia non fu vano.

In seguito comparvero delle bombarde “a lunga portata” con cui fu possibile battere agevolmente le successive linee di resistenza nemiche. Se nel tempo, la portata delle armi aumentò progressivamente, per contro le difese si svilupparono sempre più in profondità; proprio sulle seconde e terze linee infatti, si ritirava la fanteria per sfuggire al fuoco di preparazione e dalle quali venivano poi lanciati violenti contrattacchi per riconquistare il terreno perduto.

Data la loro efficacia, le bombarde divennero in breve il principale obiettivo dell’Artiglieria avversaria, che effettuava una caccia spietata alle piazzole di lancio. La premura di sottrarle a questi tiri, impose di impiegarle, per quanto possibile, a sorpresa, con tiri rapidi e densi. Per evitare che la loro posizione fosse individuata, lo sparo doveva essere fatto in luoghi riparati, dentro profonde trincee, o sfruttando i mascheramenti naturali del luogo. Furono prescritti tutti gli accorgimenti per trarre in inganno l’avversario sulla vera posizione delle armi, come ad esempio, gli spari di castagnole. A ogni arma erano assegnate diverse piazzole in cui spostarsi, per indurre in errore gli osservatori avversari, per agevolare il tiro su obiettivi diversi, e consentire di sottrarsi al fuoco dell’Artiglieria.

In caso di attacco avversario, sotto l’incalzare di un’avanzata, il peso delle armi non consentiva un agevole ripiegamento, ed anche il loro pericoloso schieramento, necessariamente avanzato, implicava l’abbandono dei pezzi alla più piccola inflessione della linea di contatto. Era prescritto che i bombardieri non avessero nessuna preoccupazione per la sicurezza o l’eventuale perdita di qualche bombarda, che sarebbe stata largamente compensata dalla maggiore consistenza della difesa.

Le vecchie guerre risorgimentali si consumavano velocemente, su piccoli campi di battaglia, dove tutte le forze erano esposte. Gli avversari si cercavano sulla breve linea dei combattimenti, e ogni battaglia dichiarava vincitori e vinti.

La grande guerra si propose invece con un fronte che si stendeva per chilometri, dove le forze messe in gioco erano immani. Le battaglie non erano brevi e si susseguivano su di un terreno da conquistare palmo a palmo in un logorio continuo in cui, chi risparmiava le forze difendendosi durava di più; la linea si contorceva riposizionandosi senza dichiarare vincitori o vinti.

Per vincere si doveva cambiare modo di pensare. Analizzando l’esperienza di innumerevoli attacchi contro obiettivi limitati e incursioni nelle trincee, ci si accorse che impiegando pochi soldati ben addestrati, si riusciva a superare la terra di nessuno e violare le linee avversarie in alcuni punti, aprendo grossi varchi nei sistemi difensivi, penetrandovi in profondità e rompendo lo stallo tattico, senza gravi costi di vite e materiali. Non era necessario spingere il nemico per piegare tutta la corda del fronte, bastava romperla per farla collassare.

Le piccole squadre divennero in breve le nuove unità tattiche, guidate da sottufficiali con piena autonomia. Rotta la linea, successive e più dense ondate, affrontavano quindi l’avversario ormai confuso e frammentato, per riprendere la guerra di movimento, affondando nelle retrovie e dilagando in profondità. Questo nuovo tipo di assalto richiedeva un largo impiego di armi di accompagnamento, capaci di fuoco pesante, per colpire ed eliminare i posti di resistenza che via via si coagulavano e costituivano il principale ostacolo all’avanzata. Sul fronte italiano questo accadde la prima volta a Caporetto. Il fuoco di preparazione, al quale parteciparono i lanciabombe germanici, ebbe un successo tale da consentire alle fanterie di superare le posizioni italiane in tempi brevissimi, mentre i leggeri lancia bombe accompagnavano l’assalto con tiri veloci e precisi, sui centri di resistenza profondi ancora efficienti. La vecchia guerra risorgimentale, divenuta di posizione era finita, sostituita dalla nuova guerra di movimento.

I lunghi tempi per la messa in batteria, il limitato brandeggio, la lentezza delle operazioni di tiro e la difficoltà di trasporto delle ingombranti e pesanti munizioni, limitavano il rendimento delle bombarde, nel combattimento manovrato oltre le linee. Il contributo di quelle pesanti, poteva limitarsi solo alle fasi iniziali del fuoco di preparazione; solo quelle leggere erano in grado di seguire l’assalto e svolgere azioni di fuoco efficace e rapido contro bersagli in movimento.

Con la guerra di movimento le bombarde divennero inutili e scomparvero. A testimonianza di questa specialità della Grande Guerra, rimasero in uso i mortai d’assalto, che continuano ancor oggi a trovare giustificazione sui campi di battaglia. Quelli che erano i bombardieri di allora, sono oggi i mortaisti.


Gli ordigni, al posto dell’esplosivo, possono essere caricati con liquidi speciali. In pratica possono essere usati per trasportare sull’avversario gas mortali o inabilitanti. Le granate d’artiglieria furono adattate allo scopo, ma avevano il grave difetto di riuscire a trasportare poca sostanza. Per avere effetto i gas devono essere relativamente concentrati e permanere in luogo quanto serve. Queste caratteristiche si contrappongono all’uso in spazi aperti, dove la concentrazione si diluisce e la volatilità li disperde. Per creare una nuvola efficace, usando granate, era necessario tirarne contemporaneamente una grande quantità, ovvero era necessario disporre di molte bocche da fuoco e moltissime munizioni. Nel tempo ci si accorse che le bombe delle bombarde, dalle pareti sottili, avevano una maggiore capacità di carico. Per ovviare alla quantità di armi necessarie per gli invii in massa, furono sviluppati dei sistemi di lancio detti proiettori. Si trattava di corte canne dalle pareti sottili, interrate in serie e raccolte in uno spazio limitato, che lanciavano contemporaneamente delle bombole, sulle linee nemiche.

A Caporetto, con il collasso del fronte, tra il 30 ottobre e l’8 novembre 1917, la Scuola Bombardieri di Susegana, ed il Deposito di Nervesa, dopo aver distrutto quanto non poteva essere portato via, si sono trasferiti direttamente ed in velocità rispettivamente a Sassuolo (Modena) ed a Scandiano (Reggio Emilia), oltre ad un piccolo distaccamento a Pavullo, riproponendo la struttura della precedente sistemazione, tra Susegana, Mandre e Nervesa.

Nel frattempo, sulle terre rivierasche cominciava la trasformazione. Tutte le case diverranno ricoveri e posti di soccorso, mentre trincee, come varici sinuose, traverseranno gli orti, si accomoderanno nei fossi, tessendo una ragnatela fin sotto la riva che diverrà un baluardo fortificato. La prima linea correva lungo le rive del fiume e dietro stava il grosso delle truppe, protette dall’osservazione e dal tiro. I ricoveri erano scavati sulle rive e attrezzati con quanto trovato nei paesi abbandonati, che l’Artiglieria pian piano smantellava. Chi era rimasto sula riva sinistra, affrontò un anno di occupazione e fame. I profughi della riva destra, furono sparpagliati per l’Italia.