Scritti di UQA
(Ultra Quarantenni Anonimi)
(Ultra Quarantenni Anonimi)
La rivoluzione è sessuale
U.Q.A. (Ultra Quarantenni Anonimi)
Premessa
Giuro che quando ho steso questi appunti non avevo ancora letto Sputiamo su Hegel e La donna clitoridea e la donna vaginale dell’immensa Carla Lonzi. Ulteriore prova del ritardo culturale e politico in cui versano i sedicenti rivoluzionari di stampo marxista, compreso me ovviamente. Aver frequentato per decenni ambienti politici di sinistra e non aver mai ricevuto da nessuno il suggerimento di leggere Sputiamo su Hegel è davvero un fatto inqualificabile, che però dice tante cose sulla politica.
Sulla rivoluzione (sessuale)
Mi è finalmente chiaro che la rivoluzione sessuale e la rivoluzione politica non sono cose separate. Se le donne non saranno libere dal patriarcato l'umanità non sarà libera dal capitalismo. Non ha senso, dal punto di vista rivoluzionario, distinguere il piano economico dal piano sessuale e di conseguenza concepire la lotta contro il capitalismo come qualcosa che si gioca e che produce conseguenze esclusivamente sul piano della proprietà dei mezzi di produzione. Quello è uno dei piani, probabilmente molto importante ma forse non l’unico possibile. Ci interessa allora capire da quante altre faglie possa irrompere una rottura con ciò che si impone come unica forma del reale, soprattutto in un momento in cui la proprietà dei mezzi di produzione non viene neanche più presa in considerazione quale elemento politico.
Eppure capita in continuazione, che la relazione tra il piano economico è quello sessuale resti completamente oscura. Il discorso corrente intorno alla rivoluzione non contempla mai questi due aspetti congiuntamente, nascondendo allo stesso tempo come l’enfasi sui mezzi di produzione materiali finisca per spingere in secondo piano l’importanza del corpo femminile quale mezzo di produzione per eccellenza. Questo nasconde anche la natura intimamente femminista di una prospettiva concretamente rivoluzionaria.
Aperta parentesi è sempre più chiara la schiacciante superiorità della femmina sul piano sessuale (e di conseguenza su tutti gli altri piani, i quali non fanno che discendere da questo). Mai avuto il dubbio che la difficoltà femminile a raggiungere l’appagamento nel tradizionale atto eterosessuale, al netto di tutti i condizionamenti di carattere sociale cui la donna è sottoposta, possa essere il sintomo di una (manifesta) inadeguatezza del maschio? un maschio costretto a sottostare ai tempi di un organo genitale a produttività limitata, a non poter godere pienamente senza correre costantemente il rischio di un’imbarazzante precocità eiaculatoria in grado di annullarlo sessualmente per lungo tempo e, cosa ancora peggiore, di farlo sentire così piccolo ed inadeguato di fronte al desiderio della propria compagna? C’è da stare certi che ogni maschio sa bene di cosa sto parlando. È come se tutti sapessero, anche se nessuno vuole dirlo, che il tradizionale rapporto eterosessuale sta sostanzialmente stretto alla femmina, la quale probabilmente soltanto per estrema sensibilità nei confronti dell’amor proprio del partner fa generalmente credere di sentirsi sinceramente appagata, o decide di concludere la tenzone anche quando in realtà è lungi dall’orgasmo pur di non umiliare il compagno, cosa che sarebbe altrimenti largamente nelle sua possibilità. Ora è chiaro come nel rapporto eterosessuale la donna sia relegata, ancora una volta, nel ruolo di accudimento del proprio uomo, con ciò mettendo costantemente in secondo piano il proprio desiderio e a cascata la conoscenza profonda del proprio corpo, che sempre più chiaramente mostra di essere una sorta di oggetto sconosciuto bisognoso di una radicale riscoperta.
Ecco allora che la rivoluzione inizia proprio dalla riscoperta delle potenzialità del corpo e del desiderio femminili ed è solo l’ignoranza sociale di queste potenzialità che ci impedisce di immaginare i miglioramenti derivabili alla condizione umana dall’effettivo dominio femminile sulle cose del mondo e sul maschio. Nel grembo del desiderio femminile finalmente liberato dai lacci del patriarcato è racchiusa la rivoluzione dei rapporti tra i sessi, la fine della sottomissione della donna e la rivoluzione sessuale che porterà a quella dei modi di produzione.
Chiusa la parentesi, facilmente attaccabile come esempio di “suprematismo” femminile, torniamo al filo principale del discorso, non senza osservare che parlare della manifesta superiorità sessuale della femmina è funzionale a scardinare la falsa convinzione, assolutamente dominante, di quello che è il suprematismo maschile invece operante e di stampo ideologico, ossia che il femminile sia di fatto il sesso debole.
Mi è capitato, forse per caso, di guardare in TV Le baccanti, adattamento in chiave moderna della tragedia di Euripide rappresentato nel teatro greco di Siracusa questa estate (2021). È stato già ampiamente sottolineato come questa lettura della tragedia di Euripide abbia costituito una sorta di riscrittura in chiave femminista della stessa. Il regista ha, con una trovata geniale peraltro già sperimentata in passato, assegnato il ruolo di Dioniso ad un'attrice donna. Probabilmente al di là delle intenzioni del regista la straordinaria interpretazione di Dioniso da parte di una strepitosa Lucia Lavia, di cui non ci si può che innamorare immediatamente, fa pensare ad una reincarnazione di Pentesilea, antica regina delle Amazzoni. Ecco allora che questo Dioniso/Pentesilea per vendicarsi della condizione in cui il patriarcato ha relegato le donne dopo la storica sconfitta delle Amazzoni e il contestuale passaggio al patriarcato, origine di ogni male, scende a Tebe per rendere folli le donne della città, di fatto spingendole ad abbandonare il proprio tetto coniugale, per ritirarsi in vita comunitaria sul monte Citerone ed apprendere le pratiche dionisiache, le quali non sembrano per niente diverse dalle antiche pratiche delle Amazzoni. Dioniso/Pentesilea sfida l'ordine costituito sottraendogli i corpi di tutte le donne, nulla di più semplice. Nessuna società può sopravvivere senza la loro presenza (Marx dice di sottrarre al capitale la forza lavoro del proletariato e di espropriare alla borghesia i mezzi di produzione materiali, Euripide in un’epoca in cui i mezzi di produzione non erano ancora un corpo senza organi separato dall’umano e da questi dipendente, si concentra sul mezzo di produzione per eccellenza ovvero il corpo femminile). Questo potere, quasi sovrumano, del corpo della donna è quindi noto all’uomo sin dall'antichità e davvero qui il parallelo con un dio generato dall’unione di Zeus ed un’umana, quindi a metà strada tra l’umano ed il divino, non poteva risultare più azzeccato. Viene da pensare che proprio in ragione di questa evidenza storica il maschio, appena ha potuto, sia corso ai riparo, manipolando il desiderio femminile per conformarlo al proprio dominio sessuale e relegando così la donna in una posizione a lui subalterna pur di non correre più il pericolo della rinascita di uno stato di stampo amazzonico, nel quale l’idea stessa del maschio dominatore non poteva avere cittadinanza. Nelle Baccanti la comunità, formata da sole donne, vive una nuova esistenza fuori dal vincolo matrimoniale e familiare. È bello pensare che Dioniso non abbia instillato nelle donne di Tebe la follia mediante un potere sovraumano, una magia divina, ma semplicemente che quello che l’ordine costituito individua con il termine “follia” non sia altro che il lucido ragionamento di un dio/dea femminista in grado di convincere, con gli argomenti, le donne di Tebe a non dover più sottostare al giogo del patriarcato tebano, preso a simbolo di tutti i patriarcati che si sono protratti nella storia dalla nascita della famiglia ad oggi. Se, tra parentesi, si analizza la prospettiva storica dal punto di vista dell’esistenza del patriarcato, si capisce bene come sia proprio questo a costituire la vera invariante storica del dominio di una parte sulle altre, la vera radice del “primato della differenza” (Monique Witting) che oggi è perpetuato dal capitalismo, ma che ha generato il capitalismo più che esserne generato. Il capitalismo come fase storica necessaria nell’evoluzione del patriarcato (come momento del patriarcato) e non questo come naturale conseguenza del capitalismo. Probabilmente se lo stato amazzonico non fosse scomparso, sconfitto dai maschi greci, non saremmo proprio arrivati al capitalismo e la storia si sarebbe potuta sviluppare lungo una faglia diversa e del tutto, oggi per noi, impensabile. In una storia diversa avremmo un diverso concetto di ciò che è "naturale". Alla fine lo stato patriarcale tebano viene sconfitto e il suo re, Penteo, orrendamente sbranato dalle baccanti in delirio (che mangiano le proprie vittime). Dioniso/Pentesilea ha avuto la propria vendetta, ottenuta, questo è il programma rivoluzionario, attraverso l'organizzazione politica di tutte le donne della società, non attraverso il coinvolgimento anche dei maschi visti come parte del potere anche se a diversi livelli di classe sociale, secondo quanto sostenuto dalla stessa Witting che considera i maschi una classe sociale a tutti gli effetti, una classe sociale nemica delle femmine. La rivoluzione agisce indistintamente contro ognuno di loro. Il potere del patriarcato va necessariamente combattuto sul piano sessuale, nel senso proprio del superamento del genere, nel senso della negazione dell'eterosessualità. Le baccanti ritirandosi in vita comunitaria sul monte Citerone in realtà pongono fine alla possibilità che si diano ancora (transitoriamente?) rapporti eterosessuali, come le amazzoni escludevano i rapporti eterosessuali al di fuori della funzione procreativa.
È questa la minaccia più terrificante che le donne possano concepire nei confronti dei loro oppressori e negli stessi confronti della sopravvivenza della specie. E tutto il programma è già contenuto nella tragedia di Euripide, la quale pur potendo sembrare tutt’altro, ad esempio una tragedia con morale religiosa, contiene in sé la condanna del patriarcato e al tempo stesso la descrizione dei mezzi per ottenerne la sconfitta politica (che è sconfitta sessuale). Il solo pensiero di questa possibilità - la fine dell’eterosessualità - manda i sostenitori della morale edipica (patraircale) in paranoia ed è sicuramente per questo motivo che Mario Mieli nel suo Elementi di critica omosessuale ad un certo punto sostiene, come in preda ad un’improvvisa rivelazione, che la rivoluzione sarà lesbica o non sarà. Le donne possono sottrarsi al patriarcato e quindi riappropriarsi del proprio destino soltanto negandosi all’oppressione maschile facendo piazza pulita della figura del maschio anche per quanto riguarda l’esperienza sessuale in cui l’incombenza del maschio condiziona necessariamente l’approccio femminile al piacere. Mario Mieli spiega bene a tal proposito come il ritorno ad un’eterosessualità possibile, nell’ambito di un avvenuto recupero della transessualità infantile, debba passare necessariamente per la negazione di un’eterossessualità normativa, o imposta come possibilità unica, e quindi attraverso un passaggio dell’umanità intera all’omosessualità, intesa come cura dall’eterosessualità forzata. In sintesi Mario Mieli, che era omosessuale, sostiene, con una sorta di ironia consolatoria e a proposito dell’orgasmo prostatico, che è inutile, dal punto di vista dei maschi, vivere nel terrore dell’ipotesi pederastica dal momento che questa potrebbe rivelarsi meno spiacevole di quanto si creda, se non addirittura desiderabile. D’altra parte perché negare funzione sessuale ad un orifizio comune tanto al corpo femminile quanto a quello maschile? Non sarà proprio l’esistenza dell’orifizio anale a rappresentare anche plasticamente ciò che invece accomuna maschi e femmine? E visto che il maschio cosciente, nel senso di colui che è convinto di essere maschio, vive nel terrore di scoprirsi invece attratto dallo stesso sesso, non è che possano essere proprio le femmine a costringerlo e a spingerlo a liberarsi di questo terrore? E, sostiene Mario Mieli: forse dopo una simile esperienza quando il maschio riscoprirà il piacere di poter riabbracciare un corpo femminile si approccerà a tale atto da un punto di vista diverso da quello di prima, ma soprattutto potrà farlo se, e solo se, le donne decideranno di concedergli, per il bene della specie, tale enorme privilegio, ossia i sessi potranno anche riscoprirsi ma su un piano di reciprocità del tutto impensabile allo stato attuale. Nella prospettiva mieliana l’omosessualità non è vista come una condizione definitiva, ma come strumento transitorio verso la transessualità cosciente della specie, che in effetti è già in essere, anche se solo per vie traverse, ma che l’edipizzazione, da Mieli ribattezzata come “educastrazione”, nega producendo l’autocostrizione (etero)sessuale, la monogamia forzata, tanto etero quanto omosessuale e all’apice di tutto ciò il matrimonio, la famiglia, ovvero la morte sessuale degli individui nel regime patriarcale, con tutti i danni collaterali quali, da un lato, la violenza del genere maschile verso tutto ciò che è percepito come diverso, altro da sé, alieno e femminile, in poche parole il fascismo, imperante come sentimento popolare prima ancora che come movimento politico reazionario e dall’altro la permanente infelicità della donna costretta in un ruolo che decide di accettare ma che non riuscirà mai amare, proprio come suo marito. A corollario di questo discorso è necessario fare delle precisazioni. Al di là anche del tipo di rapporto tra i sessi, etero, omo, o transessuale, il problema vero non è tanto nel con chi si fa sesso, ma la morale monogamica (ossessiva) che regola il sesso nel patriarcato. Già Wilhelm Reich a cui dobbiamo La Rivoluzione sessuale (profondamente criticato dal movimento femminista italiano) aveva chiarito che il problema era la monogamia, completamente innaturale per l’umanità. Ma questo dato elementare è sempre meno chiaro se si pensa che oggi ci troviamo al cospetto di alcune frange dei movimenti omosessuali che anziché lottare per la soppressione definitiva della famiglia, vero e proprio dispositivo di repressione della libertà del soggetto e di conseguenza principale responsabile della conservazione del patriarcato, a prescindere dal regime economico di riferimento, si ritrovano a lottare per avere anche loro il diritto reazionario di costituirsi in famiglia. Per certi versi il riflesso di quanto stigmatizzato da Monique Witting, che era lesbica, nei confronti dei movimenti femministi non materialisti, i quali anziché tendere alla liberazione delle femmine dal concetto reazionario di “donna” e perciò mirare alla soppressione dei generi, per altri versi ciò che per Mieli rappresenta l’obiettivo politico della transessualità sociale, si ritrovavano a difendere la diversità femminile in quanto naturale e perciò da preservare, perché “donna è bello”, a prescindere dalla condizione materiale in cui la donna è in fine costretta dal regime socio-economico dominante, nella fattispecie il capitalismo. Allora diventa urgente dire chiaramente che prima ancora della famiglia ciò che bisogna combattere strenuamente è l’idea che il sesso sia necessariamente e unicamente un atto a due, che l’amore (nome borghese per sesso) sia possibile solo verso una persona per volta e che l’esistenza debba essere ancora concepita come coclusa all’interno di un asfittico, per non dire claustrofobico ed infine incestuoso, ambito familiare, condannando i soggetti all’infelicità ed alla violenza. Tanto per sottolineare l’assurdità del rapporto di coppia basti pensare ad un film, per certi versi, completamente fallato dallo sguardo voyeuristico di un regista maschio che pretende addirittura di rappresentare realisticamente l’amore tra due donne. Si tratta del film intitolato, in francese, la Vie d'Adele, in cui al di là dell’esibizione dei corpi delle due bellissime attrici e l’insistenza ossessiva della telecamera ovviamente per la più giovane delle due, se qualcosa resta del film è il senso di completa irrealtà che promana dalla scenata di gelosia con la quale le due amanti poi rompono il proprio rapporto. Quella scena(ta), in virtù della sua totale innaturalezza probabilmente riesce, suo malgrado e proprio per questo, a comunicare una verità: ciò che pone fine al rapporto d’amore tra le protagoniste e che quindi toglie alla coppia omosessuale la possibilità di essere veramente libera e perciò di non cadere nel medesimo destino di tutte le coppie eterosessuali, è l’irrompere della gelosia, ovvero la proprietà privata dei sentimenti altrui, quale ostacolo che impedisce a questo rapporto di aprirsi verso l’esterno riconducendolo sul binario morto della monogamia e accomunandolo ad un rapporto, perciò, del tutto ordinario. Il film finisce malinconicamente con quella che sembra essere la sconfitta sentimentale della protagonista più giovane, ma che in realtà è la sconfitta di tutti nella comune sottomissione all’idea portante del patriarcato: la fedeltà al rapporto a due.
Già Engels ne L’origine della famiglia della proprietà privata e dello stato spiegava come il termine “famiglia” per gli antichi romani stesse a significare la proprietà legale del patriarca sulla prole e la moglie, proprietà legale difesa addirittura da uno dei dieci comandamenti: non desiderare la donna d’altri.
Ecco quindi che ancora una volta le suggestioni portate in dote all’umanità dalle baccanti e prima di loro dalle amazzoni, già molto tempo addietro tornano a mostrare la via verso la felicità in terra. A questo punto è anche chiaro come dal momento che il punto è rivoluzionare il rapporto tra i sessi per vivere meglio, da questo, e non viceversa, ne discende naturalmente la distruzione necessaria della famiglia e qui ci si può anche fermare perché anche agli scettici diventerà, man mano, chiaro che quando non esisterà più il sesso di coppia, non potrà più esistere quel dispositivo di conservazione infernale che è la famiglia e senza la famiglia la specie dovrà organizzarsi altrimenti per sopravvivere, vale a dire in vita comunitaria cioè in comunione e, gioco forza, abolendo le gerarchie sociali, cioè le classi, e perciò i privilegi di classe, ovvero la concentrazione della proprietà privata e dei mezzi di produzione, che dovranno essere per forza socializzati e gestiti democraticamente. In altre parole del comunismo dovremo infine ringraziare le lesbiche, come suggeriva Mieli. A tal proposito mi torna in mente il bacio saffico sfoggiato da due ragazze davanti all’allora ministro dell’interno leghista. Le due ragazze hanno in seguito dichiarato di non essere legate tra loro da un rapporto d’amore, ma che davanti al simbolo istituzionale della reazione fascista e, che è la stessa cosa, patriarcale, come per un’intuizione improvvisa, hanno escogitato una protesta che potesse lasciare senza parole (letteralmente sbigottito) un ministro dell’interno filofascista ipocrita che parla male degli omosessuali ma che non riesce a non eccitarsi di fronte a due ragazze che si baciano. Le due ragazze non hanno teorizzato ma semplicemente intuito il portato sovversivo e perciò politico del loro gesto.
Bisogna allora tornare sul concetto di “comunione” che deve essere finalmente inteso non spiritualmente (o addirittura eucaristicamente) ma laicamente. Una vera comunione è comunione di corpi. Nonostante Euripide vi faccia cenno in realtà l’orgia dionisiaca non è mai indagata approfonditamente, mai rappresentata, anche perché per certi versi irrappresentabile. Ma la vita comunitaria delle amazzoni prima e delle tebane, ritiratesi sul monte Citerone poi, è una vita di comunione orgiastica che trasforma i soggetti, liberandoli dai loro condizionamenti culturali e iniziandoli ad una nuova esistenza. Una vita in cui l’individuo e tutte le sue strutture mentali si diluisce letteralmente nel corpo sociale divenendo organismo collettivo in cui la parte non può più concepire modi di sussistenza al di fuori, o addirittura contro, il tutto. Di passata è giusto sottolineare come l’immagine che Euripide offre della vita delle baccanti risponda in pieno a quella di un’umanità liberata dal lavoro, giusto per non lasciare scollegati il piano socio-sessuale, da quello socio-economico. Le donne sottratte alla schiavitù domestica del telaio e delle faccende loro riservate a Tebe, vivono felici nel rifiuto del lavoro. Dioniso infatti lascia che il latte e le altre bevande sgorghino direttamente dalla terra al semplice battere del tirso in un punto qualsiasi del terreno, che i pascoli ricchi di bestiame siano a disposizione delle baccanti che possono saziarsi immediatamente alla bisogna. Insomma se tutto è a disposizione di tutti e la natura è prodiga parimenti verso tutti, le schiavitù non hanno molto senso, a patto che esse non servano ad istituire le differenze sociali e a cascata tutto ciò che ne deriva e che tutti i tebani conoscono molto bene. La tragedia si conclude con la morte di Penteo, sbranato dalle baccanti e proprio dalla madre che, in preda al delirio orgiastico, non riconosce il proprio figlio se non dopo averlo decapitato. Ma è una tragedia di un singolo, di una famiglia, che in realtà corrisponde alla liberazione di un popolo intero dalla prospettiva mortale della guerra tra i generi. Penteo infatti voleva muovere guerra alle baccanti e massacrarle scatenando una guerra tra i maschi guerrieri di Tebe e le loro donne ormai autonome, ma è Dioniso stesso che stuzzicando la curiosità di Penteo lo induce a recarsi sul monte Citerone, travestito da donna perché non sia riconosciuto ma allo stesso tempo perché possa essere umiliato di fronte ai tebani, affinché finalmente scoperto dalle baccanti possa essere ucciso, evitando in questo modo una vera e propria guerra tra le parti. Prima di annientare Penteo, Dioniso-Pentesilea, vuole che il re dei tebani, il macho per antonomasia, il quale è tanto più furioso per la situazione creatasi in quanto causata dalle donne, si senta donna a sua volta e conosca in prima persona l’umiliazione che normalmente una donna deve sopportare per il solo fatto di esistere, di manifestarsi, in una società degli uomini. Così Penteo, l’intransigente, viene fatto addirittura travestire da donna, dovendo ammettere a se stesso che perfino in lui c’è una parte che in realtà vuole mostrarsi e vivere al di là delle sue stesse imposizioni morali. Penteo il maschilista per eccellenza, in realtà il vero debole di tutta la narrazione, curioso di scoprire come vivono le baccanti, non disdegna, alla fine, il travestimento da donna ed umiliato e sconfitto esce finalmente di scena dalla storia come dovrebbe accadere, sembra voler dire Euripide, a tutto ciò che egli rappresenta.
2021
Bibliografia
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel - La donna clitoridea e la donna vaginale.
Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale.
Wilhelm Reich, La rivoluzione sessuale, Massari editore, Bolsena (VT) 1992.
Monique Witting, Non si nasce donna.
Monique Witting, Il pensiero straight e altri saggi.