La prosa di Morselli si distingue per una grande cura stilistica e una incisività che riesce a catturare l’attenzione del lettore, con una struttura narrativa non sempre convenzionale. Le sue opere hanno influenzato autori successivi e continuano a essere oggetto di studi critici. La sua scrittura, che sfida le convenzioni e gioca con i generi, ha trovato risonanza nella letteratura contemporanea, rendendolo una figura di particolare interesse.
Alcuni racconti di Morselli
Gli ultimi eroi
Il racconto di Guido Morselli intitolato Gli ultimi eroi, pubblicato su Il Mondo di Pannunzio come Irrenanstalt, esplora il tema della follia legata alla guerra e al patriottismo, utilizzando l’immagine di un manicomio come metafora della disumanizzazione della guerra. La scelta del termine “irrenanstalt”, che etimologicamente significa "istituto per i folli" o "manicomio", è centrale per comprendere la riflessione di Morselli sulla pazzia della guerra. Nel racconto, Morselli introduce la figura di Schölpke, un falegname tedesco rinchiuso in manicomio sin dal 1922, che durante la Seconda Guerra Mondiale costituisce un esercito immaginario all’interno della struttura. Schölpke, un uomo con un forte senso di patriottismo e un'ideologia incrollabile, si convince che la guerra non sia mai finita e inizia a formare una milizia con i suoi compagni di prigionia, con armi di legno e uniformi fittizie. La sua follia è non solo personale ma collettiva, coinvolgendo tutti i detenuti, soldati per un conflitto che esiste solo nella loro mente. Il racconto esplora il contrasto tra la farsa e la tragedia, temi ricorrenti nella letteratura di Morselli. La follia di Schölpke, con la sua convinzione di combattere ancora per la grandezza della Germania, diventa una metafora della guerra stessa: una lotta priva di senso, dove la pazzia è il motore di un'azione assurda, ma tragicamente reale. L'immagine di soldati tedeschi che si preparano a combattere, indifferenti al fatto che la guerra sia ormai finita, è emblematica della disumanizzazione che il conflitto porta con sé. Morselli, attraverso l’esperienza di un testimone, racconta un episodio della primavera del 1945 quando l’esercito alleato in Germania sta puntando verso Berlino. Nel tragitto viene individuata quella che sembra una caserma, in cui, a tutte le apparenze, dei soldati tedeschi stanno eseguendo esercitazioni e sembrano perfettamente operativi per resistere e combattere. In seguito questa postazione viene attaccata e i difensori non rispondono ai bombardamenti, fino a che, durante l’assalto, escono allo scoperto e vengono massacrati. I soldati, ancora convinti della loro missione, sono descritti come automi, vittime di una guerra che li ha ridotti a mere macchine da combattimento. Il punto culminante del racconto è la scoperta della verità: la caserma in cui si trovano questi soldati è in realtà un manicomio e Schölpke, insieme ai suoi "soldati", è un esempio di come la pazzia possa essere tanto radicata da creare una realtà parallela in cui la guerra continua a essere combattuta, nonostante l'evidente fine del conflitto. La scoperta dell'insegna "Irrenanstalt" da parte di un soldato alleato, che la traduce con un riso ironico e inquietante, simboleggia la rivelazione della follia che ha pervaso l'intero scenario bellico. Il testo offre quindi una riflessione amara sulla guerra presentata come una tragedia in cui la follia umana diventa la regola, un tema che attraversa tutta l’opera di Morselli. Il suo sguardo disilluso sulla realtà storica, in cui la guerra e la pazzia si intrecciano, ci invita a riflettere sulla "vanità del tutto", una delle preoccupazioni filosofiche più profonde dello scrittore. Morselli sembra suggerire che, alla fine, l'umanità stessa sia prigioniera di un circolo vizioso di violenza e follia, destinato a ripetersi.
In sintesi Irrenanstalt è una riflessione complessa e provocatoria sulla guerra, la pazzia e il patriottismo, dove Morselli mette in scena il paradosso tragico di un conflitto che persiste oltre la sua fine, alimentato dalla follia collettiva e individuale. La figura di Schölpke diventa così il simbolo di una guerra senza fine, con un'amara presa di coscienza della sua assurdità, unita a una consapevolezza che, seppur tardiva, sembra suggerire la follia come unica risposta possibile alla barbarie.
Sono sana
ll testo presenta il flusso di coscienza di una donna di trentaquattro anni, che vive da sola in un villino di periferia, circondata dai suoi gatti. La sua solitudine è accompagnata da una riflessione nostalgica sui tempi passati, in particolare sui suoi incontri amorosi, che si sono rivelati deludenti e privi di significato. La protagonista si confronta con la monotonia della propria vita, riconoscendo di aver avuto diversi uomini, di cui ricorda solo la smania affannosa nei suoi confronti, evidenziando una mancanza di connessione emotiva. Le sue esperienze amorose vengono filtrate attraverso l’ottica della psicoanalisi, con riferimenti a Freud. Tuttavia, la protagonista si distacca dal mondo delle devianze e delle inclinazioni sadomasochistiche, affermando con sicurezza di essere "normale". Sottolinea inoltre di non riconoscersi in pratiche che considera estranee, mantenendo una certa distanza da tutto ciò che è considerato estremo o problematico. Un episodio significativo coinvolge un ispettore della Lega per la Difesa degli Animali, che si presenta per indagare su alcune denunce riguardanti il presunto maltrattamento dei gatti da parte della donna, la quale si difende con fermezza, spiegando le sue scelte riguardo all'alimentazione e all'igiene degli animali, avanzando quindi giustificazioni per le sue decisioni. La donna mostra un certo orgoglio nel prendersi cura dei suoi gatti, con un attaccamento però ambivalente: da una parte essi sono oggetto di sperimentazione e dall’altra di accudimento. La protagonista esplora così i propri atteggiamenti, che sembrano coincidere con la vita interiore, e si interroga sul loro significato. La sua solitudine si fa sentire e, anche se afferma di essere soddisfatta della sua vita, si percepisce una certa vulnerabilità e ansia nei confronti del mondo esterno. La narrazione mette in evidenza il conflitto tra il desiderio di relazione e la paura di essere giudicati, creando un’atmosfera di introspezione e autoanalisi. La protagonista riflette sulla propria esistenza, sull’isolamento e sull’incapacità di stabilire legami significativi, mentre si destreggia tra la sua identità e le aspettative sociali. In questo contesto, la figura dei gatti diventa simbolica, rappresentando sia la sua solitudine che il bisogno di affetto e compagnia, in un mondo che percepisce come ostile e giudicante.
APPROFONDIMENTO
Da: Introduzione al racconto Sono sana in: G. Morselli, Gli ultimi eroi, Tutti i racconti, Il Saggiatore, 2024
“Questo racconto sembra prefigurare il romanzo-inchiesta Brave borghesi e il riferimento è abbastanza diretto, osservando la citazione: «brava borghese». Pubblicato prima su Panorama, il 15 agosto 1993, in occasione dell’anniversario della nascita di Guido Morselli (15 agosto 1912) poi nell’antologia Una missione fortunata e altri scritti, nel 1999. Il racconto, come altri di questa raccolta, così viene presentato all’interno del libro a cura di Elena Borsa e Sara D’Arienzo, I percorsi sommersi: «L’io narrante è una donna frigida, solitaria, assolutamente antiborghese e antimondana, antifemminile insomma, che viene informata da un ispettore animalista di tre accuse a suo carico, per sevizie su alcuni gatti maschi. Secondo tali denunce la donna terrebbe gli animali in soffitta, sottoponendoli a crudeli quanto curiose e sospette pratiche. Lei però ribatte singolarmente alle accuse di crudeltà, in particolare a quella di affamare gli animali. Estremamente inquietante è questa figura femminile, portatrice di una morale cinica, disincantata, assolutamente inattaccabile, eppure anche a suo modo straordinariamente umana». Come in diverse altre opere, un personaggio del racconto si chiama Walther, che sembra essere un nome feticcio per Morselli.”
Fantasia e moralità
ll racconto Fantasia e moralità di Guido Morselli, presente nella raccolta intitolata Realismo e fantasia: dialoghi, mostra la capacità dell’autore di intrecciare riflessioni filosofiche e morali attraverso elementi di fantasia, invitando il lettore alla riflessione. Nel testo Morselli affronta il conflitto tra la fantasia, intesa come capacità creativa ed immaginativa, e la moralità, vista come l’insieme dei comportamenti e dei principi etici che l’uomo dovrebbe seguire. Vi si riconoscono il tema del silenzio e della ricerca di un senso di fronte alla morte violenta, temi che saranno centrali nell’opera Dissipatio H.G.. Nel corso della narrazione viene messa in scena l’angoscia causata dalla morte umana. Infatti la storia parte con la rappresentazione di un delitto già avvenuto, con una folla intorno alla vittima. Il narratore sta passeggiando per le vie di una cittadina, quando si imbatte nel gruppo di persone che circondano il corpo del morto ucciso con un pugnale dalla piatta lama romboidale. In seguito la descrizione passa all’ambiente in cui ci si trova, richiamando così gli scenari dei tempi della peste: le strade della città sono deserte, piene di morti e di sangue viscoso per terra. La città è silente e si teme per la propria vita: è un continuo susseguirsi di una catena diabolica di delitti tutti identici. Viene poi raccontato l'incontro con Martino, un conoscente del narratore, grazie al quale egli si sente maggiormente protetto in quel contesto così surreale. Infine, raccontata in prima persona, viene presentata la follia omicida che il narratore subisce direttamente. Il tutto si rivela essere una visione e il racconto si conclude con una riflessione sulla moralità, secondo cui l’uomo agisce in una situazione di “tutti contro tutti”, dove prevale il desiderio di vendetta e rancore nei confronti degli altri. Questo mondo viene descritto come una “giungla dell’esistenza” da cui non si esce poiché governato dalla “fatalità della morte”. In questo testo Morselli ci permette di intuire come nella sua mente fosse già presente il tema della dissipatio del genere umano, in una chiara consapevolezza di come sia sciaguratamente facile sopprimere la vita.
Romana
Il racconto segue la vita di una donna di nome Romana, che è sia medico di successo che autrice, giornalista d’inchiesta. Vedova da dieci anni, è in una posizione privilegiata e affermata, ma in lei si muove una profonda inquietudine: il suo passato e le sue esperienze la portano a esplorare il tema del conflitto e dell’identità. La storia inizia con il narratore che va a trovare la protagonista, ferita da un proiettile di mitragliatrice mentre si trovava nelle alture del Golan, sul confine tra Siria e Israele, zona nella quale era ospitata alternativamente da due famiglie di contadini del posto. Dopo aver scoperto, informata dalla Croce Rossa, che le due famiglie, nonostante le somiglianze, sono una araba (quella di Ahmed ibn Yussef) e l’altra israeliana (quella di Elòe ben Yussef), decide di proporre ai due capifamiglia uno scambio di abitazione, incentivandoli con l’offerta di un premio da lei stessa procurato (per Elòe una moto, per Ahmed una falciatrice, e per entrambi un viaggio a Roma). Nonostante le tensioni per la guerra, i due accettano e l’operazione si svolge sotto l’egida della Croce Rossa che supporta il trasloco. Ne deriva, da parte delle due famiglie, una riflessione sulla somiglianza profonda dei loro bisogni e delle loro situazioni di vita. La protagonista si sofferma sull'importanza di guardare oltre le differenze culturali e politiche, suggerendo che le soluzioni ai conflitti dovrebbero essere basate su una comprensione della comune natura umana. La narrazione termina con un invito a considerare tale aspetto e a cercare strade di dialogo e riconciliazione, piuttosto che perpetuare divisioni e conflitti. La sua esperienza la porta a concludere che, nonostante le tensioni, c'è una bellezza nell'umanità, da cui le persone possono essere unite indipendentemente dalle loro origini.
APPROFONDIMENTO
Da: Introduzione al racconto Romana, in: G. Morselli, Gli ultimi eroi, Tutti i racconti, Il Saggiatore, 2024
“Il racconto - di sconcertante attualità - è stato scritto oltre cinquant'anni fa, nel 1972, anno della stesura del romanzo Dissipatio H.G., di Estate in Germania e del frammento Vendicazione. In un appunto in calce al secondo foglio del dattiloscritto, Morselli, ma più probabilmente Maria Bruna Bassi, scrive «15 gennaio». Il 1972 è un anno significativo per lo scrittore, che lascia definitivamente il podere Santa Trinita l'11 dicembre, per traslocare nella dependance della villa Morselli di via Limido a Varese, vicino alla casa dei custodi. Nel racconto, sullo sfondo delle alture del Golan, un intreccio in cui la storia di un conflitto, quello arabo-israeliano, si può arginare con un semplice escamotage, uno scambio di poderi, e in cui si riflette la storia dello scrittore che lascia la sua casa per un'altra. La guerra del Kippur si svolge dal 6 al 25 ottobre 1973, Morselli è già uscito di scena. Del 4 agosto dello stesso anno una riflessione sul Diario di Morselli: «Fino a Ezechiele, non appare nell'ebraismo l'idea di una vita ultraterrena come compenso per i giusti. Questi erano premiati, oltre che con la prosperità, con la longevità. Era dato loro di vivere in questo mondo sino a sazietà. Così Abramo è detto che morì sazio di anni».”