di Anita De Donato
Nella parte settentrionale della Cisgiordania i combattenti hanno accesso a una maggiore quantità di armi (che spesso arrivano dal vicino confine israeliano) e la resistenza armata è più forte rispetto al resto della Cisgiordania. I motivi di questa differenziazione così marcata sono da ricercare nelle intricate dinamiche di competizione e di collusione tra diversi attori politici palestinesi e israeliani.
Nelle zone di Betlemme, Hebron, Ramallah e Jerico, gli esponenti del partito di Fatah che sono alla guida dell’Autorità palestinese nel tempo hanno assunto un forte controllo del territorio e della sua popolazione, in collusione con le autorità militari israeliane. Come mi hanno raccontato e confermato in molti, “qui l’Intelligence israeliana ha il controllo di ogni movimento e azione grazie agli informatori locali, inclusi gli esponenti delle forze di sicurezza palestinesi… l’Intelligence israeliana controlla persino la vendita illegale di armi. Contatta direttamente chi vende le armi e gli dice che può farlo a patto che non vengano usate per motivi politici contro l’esercito israeliano, ma solo in conflitti locali contro altri palestinesi o per altri motivi non politici (come nelle esibizioni durante i matrimoni). Una volta un trafficante di armi ha venduto inconsapevolmente delle armi a un palestinese appartenente al Movimento per il Jihad islamico (al-Ǧihād al-islāmī), attivo nella resistenza armata. Non è passato un giorno e l’esercito israeliano ha arrestato lui e chi gli aveva comprato le armi”.
Il controllo dell’Intelligence israeliana è diretto ed esplicito. Per fare un altro esempio, poco prima del 7 ottobre dei ragazzi del campo rifugiati di ‘Āida sono andati a fare una manifestazione nei pressi del muro di segregazione che circonda la Cisgiordania. L’Intelligence israeliana contattò telefonicamente il capo del partito di Fataḥ a Betlemme per dirgli di far ritirare i ragazzi. Temendo le ripercussioni da parte dell’esercito israeliano se non avesse accettato, il capo del partito a Betlemme mandò altri ragazzi del campo a lui leali ad intimare ai manifestanti di ritirarsi. Con successo, perché tutti sapevano chi li aveva mandati ed il suo potere.
Spesso sono le stesse forze di sicurezza palestinesi a reprimere, direttamente o indirettamente (fornendo informazioni ad Israele, ad esempio), le pratiche di resistenza dei palestinesi, in collusione con Israele, come è stato stabilito con gli Acordi di Oslo. Il controllo della popolazione locale e la repressione delle forme di resistenza a Israele hanno un’importanza centrale per il mantenimento delle posizioni di potere degli attori che sono a capo dell’Autorità palestinese, come, in primis, Mājid Faraj, il capo dell’Intelligence palestinese in Cisgiordania, il quale detiene il controllo de facto della Cisgiordania (più che Maḥmūd ‘Abbās, detto Abū Māzen, che mantiene piuttosto un ruolo rappresentativo di fronte alla comunità internazionale). Infatti, la posizione di potere di chi assume la guida dell’Autorità palestinese dipende dal consenso delle autorità coloniali israeliane, che viene concesso solo a condizione che qualsiasi forma di resistenza, spontanea o organizzata, venga repressa.
Faraj e il suo entourage sfruttano le relazioni di collusione con Israele per colpire i propri oppositori, come persone leali ai partiti politici rivali di Fataḥ - tra i quali Ḥamās (dichiarata illegale dall’Autorità palestinese) e il Movimento per il Jihad islamico (al-Ǧihād al-islāmī) - ma anche per colpire gli attori politici appartenenti al partito Fataḥ che minacciano la loro posizione. Tra questi, emerge in particolare Moḥammed Daḥlān, che compete con Abū Māzen e Faraj per il controllo del territorio e delle istituzioni dell’Autorità palestinese. Come Abū Māzen, questo attore politico appartenente al partito di Fataḥ un tempo era al fianco di Arafat e, con l’istituzione dell’Autorità palestinese, aveva assunto incarichi importanti (prima come capo della Sicurezza Preventiva nella Striscia di Gaza e poi cariche ministeriali).
Quando i suoi interessi sono entrati in conflitto con quelli del successivo presidente Abū Māzen, che per questo aveva tentato di arrestarlo, è andato a vivere negli Emirati Arabi.
Come è ben risaputo dall’Autorità palestinese e dalle Nazioni Unite, Daḥlān sostiene gruppi di combattenti nel nord della Cisgiordania (in particolare nelle città e nei campi rifugiati di Nablus, Tulkarem e Jenin), così come i combattenti di Ḥamās e del Movimento per il Jihad islamico nella Striscia di Gaza, e finanzia l’acquisto di armi provenienti illegalmente da Israele e dalla Giordania. Il suo intento è di destabilizzare l’autorità di Faraj e del suo entourage allo scopo di affermare la sua posizione come potenziale successore di Abū Māzen. Per raggiungere questo obiettivo Daḥlān sfrutta le condizioni di povertà in cui si trova, in particolare, la popolazione nel nord della Cisgiordania, per cooptare giovani palestinesi attraverso l’offerta di denaro in cambio della loro mobilitazione armata contro Israele. In questo modo Daḥlān non solo si assicura il sostegno popolare di molti palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, stanchi dei soprusi dell’esercito israeliano, ma mostra anche il suo potere di mobilitare o di trattenere le pratiche di resistenza in queste zone della Palestina.
Queste dinamiche portano alla diffusione di armi che cadono in mano a giovani palestinesi spesso inesperti e disorganizzati, la cui resistenza generalmente non influisce in modo determinante sulla lotta contro l’occupazione militare sionista, ma provoca invece estreme misure di rappresaglia, come la devastazione dei campi rifugiati dai quali proviene la maggior parte dei combattenti.
Nel corso di questa competizione politica, nel tentativo di mantenere il precario controllo della parte settentrionale della Cisgiordania e di contrastare il potere di Daḥlān, anche Faraj finanzia e sostiene indirettamente ed in modo celato gruppi di combattenti, con il potenziale rischio che possano innescarsi scontri armati tra le due fazioni. Sullo sfondo, le autorità militari israeliane alimentano e avvallano queste dinamiche che favoriscono il successo della strategia politica israeliana di dividere e imperare.
Nel frattempo, mentre i palestinesi in Cisgiordania pagano il prezzo di questi giochi di potere e quelli nella Striscia di Gaza vengono decimati dalle bombe israeliane, il progetto coloniale sionista continua. Durante le notti del 7 e dell’8 luglio, dalle loro case i palestinesi in Cisgiordania hanno visto gli abitanti delle colonie israeliane vicine festeggiare quello che il Ministro delle Missioni Nazionali israeliano, Orit Strock, ha definito come “un miracolo”, ovvero la legalizzazione di cinque nuove colonie in Cisgiordania: Evyatar (a nord), Sde Efraim e Givat Asaf (nel centro), e Heletz e Adorayim (nel sud della Cisgiordania).
ndr:
Dahlan è il rivale di Abu Mazen e degli uomini dell'Anp
È l'uomo di Mohsmed Ben Zayed, Emiro degli Emirati Arabi Uniti
Entrambi si accusarono a vicenda di aver avvelenato Arafat
Erano entrambi uomini di Arafat
Fu Abu Mazen ad avvelenarlo per conto di Sharon
Faraj è un uomo di Abu Mazen ed il vero rivale di Faraj è Hussein el Sheikh, anche lui uomo di Abu Mazen.
Hussein El Sheich fu vice segretario generale dell'OLP
è il vice di Abu Mazen dell'OLP che non è più l'OLP di prima ma solo Fatah