Non parteciperò
PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI
FUORI L’ITALIA DALLA GUERRA
FUORI L’ITALIA DALLA GUERRA
Al 55° appello indetto per sabato 26 ottobre a Milano non parteciperò.
Questa decisione, evidentemente totalmente irrilevante in assoluto, è maturata a seguito di una profonda, dolorosa analisi e mi amareggia; in virtù del rapporto che mi vanto di avere, anche impersonalmente ma, ciò che più rileva, idealmente con voi tutti, mi preme illustrare, a grandi linee, le ragioni di tale determinazione presumendo che qualcuno possa essere interessato a conoscerle. La Palestina è stata scelta come vittima sacrificale -iniziale- in un processo di sgretolamento della propria etnia mirante a liberarsi, definitivamente, da parte dell’Occupazione, della presenza degli indigeni; progetto genocida le cui mira non si arresteranno a Gaza e Cisgiordania (dando per acquisita, mentre così non è, la restante parte della Palestina storica chiamata Israele) comprendendo Libano, Siria, una parte dell'attuale Iraq ed una fetta del regno ascemita: un’idea omicida partorita da menti malate un centinaio di anni fa. Come diligentemente fatto rilevare da C.sa Vittoria in ogni volantino di convocazione ai vari sabato succedutosi, questo micidiale mix di suprematismo, crudeltà, colonialismo di insediamento, criminalità seriale ha un nome: si chiama Imperialismo che vede in prima fila non soltanto come complici ma veri e propri artefici gli Stati Uniti d’America, l’Occidente, gli Stati arabi infami, e traditori più o meno istituzionali quali l’Autorità Nazionale Palestinese, tutti coesi ad imporre la dittatura del capitalismo più sfrenato e l'ingiustizia sociale fatta sistema. Senza l’appoggio sostanziale di questo stuolo di pezzi di disumanità ad un’idea genocida ab origine, la lotta per la sopravvivenza, mai venuta meno a decorrere dalla Rivolta araba del 1936/39 durante il Mandato britannico, fino all’attuale eroica Resistenza, avrebbe trovato sbocco inevitabile nella soccombenza dell’Occupazione e conseguente disfatta delle mire espansionistiche fasciste del c.d. Mondo civile. Così non è stato e sono note le ragioni, siamo alla “soluzione finale”. Constato, mio malgrado, come in ogni manifestazione di effettiva empatia a sostegno dei nostri fratelli palestinesi si fatichi, a mò di Fonzie nel noto sceneggiato di anni or sono nel pronunciare la parola “scusa”, ad affermare che gli artefici di questo scempio sono gli ebrei. Ci si trincera dietro alla definizione di “ideologia sionista” e si confondono i piani del discorso, tremanti di fronte alla prospettiva di essere accusati di antisemitismo. Entrare in quest’ottica ribalta la realtà, si diventa più o meno consapevolmente succubi della lettura imposta da Israele, ci si assoggetta alla loro hasbara. L’ideologia sionista appartiene al popolo ebraico che se fa vanto, ammantando strumentali ragioni religiose quale popolo eletto e perciò avente diritto ad una terra abitata da altri, così auto legittimandosi ad ogni nefandezza perché approvata, perché vittima in passato di un orrendo crimine (storicamente reale a prescindere dai legami ebrei-nazismo), perché esercita il diritto a difendersi. Si finge (quanto innocentemente?) di ignorare che tutto quanto si verifica Israele ha la spudoratezza di dichiararlo, vedesi la Legge Nazionale 2018 che statuisce, tra l’altro, come l’autodeterminazione sull’intero territorio spetti unicamente ed esclusivamente agli ebrei. Decenni di discriminazioni, sopraffazioni, invasioni, insediamenti, uccisioni, rapimenti spacciati come mere carcerazioni, condanne, demolizioni, muri, campi profughi, sottrazioni vitali per un vivere dignitoso, accuse di terrorismo per coloro i quali, una moltitudine, orgogliosamente optavano per non divenire pupazzi nelle mani del mostro, questo status quo soddisfaceva gli appetiti della belva, in attesa di un ancora più lauto pasto, arrideva ai protettori -Stati magnaccia- permetteva immonde trattative con Stati una volta canaglie ma ora asserviti alla potenza del dollaro, riempiva le tasche alla corrotta cricca di Abu Mazen. Il 7 di ottobre del 2024 l’orgoglio palestinese ha dato dimostrazione che la Palestina mai si arrenderà. “Il nemico vuole che abbandoniamo la resistenza per trasformare la nostra causa in una negoziazione senza fine, ma vi dico: non negoziate per quello che vi spetta di diritto. Temono la vostra fermezza più delle vostre armi. La resistenza non è solo un’arma che portiamo con noi, è piuttosto il nostro amore per la Palestina in ogni respiro che prendiamo, è la nostra volontà di rimanere nonostante l’assedio e l’aggressione. Siamo qui per completare ciò che i primi (martiri) hanno iniziato e non ci devieremo da questo cammino qualunque sia il costo. Gaza è stata e rimarrà il cuore della fermezza ed il cuore della Palestina che non smette mai di battere, anche se la terra diventa troppo stretta per noi.
Ogni giorno sentivo il dolore del mio popolo sotto assedio e sapevo che ogni passo verso la libertà aveva un prezzo. Ma vi dico: il prezzo della resa è molto più grande, pertanto aggrappatevi alla terra come una radice si aggrappa al suolo poiché nessun vento può sradicare un popolo deciso a vivere.
Nella battaglia Al Aqsa Flood non ero il leader di un gruppo o un movimento ma la voce di ogni palestinese che sogna la liberazione. Sono stato guidato dalla mia convinzione che la resistenza non sia soltanto una scelta, ma un dovere.
Non aspettatevi che il mondo faccia giustizia per voi; ho vissuto e testimoniato come il mondo rimane muto di fronte al nostro dolore, non aspettatevi giustizia, siate giustizia.
Siate una spina nella loro gola, un’inondazione senza ritirata e non calmatevi finché il mondo riconoscerà noi come i legittimi proprietari del diritto, noi non siamo numeri nel bollettino delle notizie”.
Sono parole di Yahya Sinwar e fanno riflettere.
In un panorama che vede vilipeso il diritto internazionale dove gli emblemi delle più autorevoli Corti giurisdizionali decadono a rango di splendidi teatranti di una farsa che si fa tragedia e dove lo spartito prevede che, seguendo la medesima falsariga, i più alti esponenti delle istituzioni sbraitino a vuoto, inconsapevoli di apparire quali macchiette malvagie ed inutili, vi è ancora chi, provocatoriamente, parla di “pace”, trattative, cessate il fuoco, ritorno degli ostaggi (leggi prigionieri catturati dove non avrebbero dovuto stare) ed, addirittura, qualcuno più insolente che ignorante, si spinge ad enunciare una ripresa di trattative volte …al riconoscimento della Palestina per il sorgere di due stati.
Indecente!
Chi ha avuto, come il sottoscritto, l’opportunità e l’onore di frequentare quei posti lasciandovi il cuore ed amici fraterni con i quali, fortunatamente, ancora si rapporta, inevitabilmente si trova a
raffrontare la lucida analisi di un uomo valoroso con la realtà circostante ed al grado di frustrazione che ognuno di noi prova aggiunge un carico di disagio difficilmente arginabile.
Sono d’accordo nel non dover rappresentare ciascuno un microcosmo a sé stante bensì un piccolo ingranaggio di un meccanismo più complesso ed ammetto un mio limite: sinceramente auspicherei mi si comprendesse anche senza condividere, anzi persino contestando questa presa di posizione.
Una manifestazione a sostegno della Resistenza palestinese che ha per slogan: “Prima che sia troppo tardi” francamente, limitandomi nel giudizio, mi porta a considerare l’incipit quanto meno… intempestivo. E’ già troppo tardi!
Vengono sterminati come mosche, indistintamente da età, sesso, funzione. Nessuna pietà umana, termine che riferito a quella canaglia diviene un ossimoro, nessun occhio deve vedere, strage dei giornalisti arabi ancora presenti, nessun medico deve curare, nessun ferito deve sopravvivere, nessun paziente deve cessare di soffrire, ogni bambino può morire di fame o di sete; dracula mai sazio di sangue blocca gli sparuti aiuti che potrebbero accedere al territorio blindato ed i suoi epigoni-di religione ebraica- stazionano ai varchi per distruggere i rifornimenti oppure organizzano esilaranti tour dell’orrore per gioire della sofferenza altrui.
Tra le parole d’ordine della manifestazione di domani, ovviamente condivisibili, ne spicca, però, una e stavolta non mi limito, tale da rappresentare un vero insulto nell’affermarlo e nel riceverlo:
“Si alle trattative di pace”.
Ebbene simile slogan mi provoca l’orticaria. Certo, è un problema mio ma posso fantasticare e non vado lontanissimo, che vi sia chi provi medesimo imbarazzo?
Ritorniamo alla testimonianza di Sinwar. E’ chiaro che ci stiamo riferendo ad un personaggio che ha fatto la storia e positiva, la cui statura morale è irraggiungibile per noi comuni mortali; lo affermo senza tema di smentita proprio in quanto sideralmente distante dal modello sociale proposto da Hamas: Yahya è un esempio illuminante di Partigiano.
Il semplice accenno, nel contesto conosciuto e tuttora in atto, al termine pace equivale ad un insulto rispetto al sacrificio umano dei palestinesi trucidati, dei libanesi attaccati, dei compagni yemeniti bombardati e di tutti coloro, che a prezzo della propria esistenza, appoggiano significativamente la lotta di liberazione di chi non si arrenderà mai.
L’abbiamo detto e scandito nelle piazze più e più volte: nessuna pace senza giustizia, nessuna
giustizia senza che l’oppressore si ritiri e paghi il prezzo per le sue immense responsabilità, penali e civili. Come è possibile questa doppiezza?
Viene da pensare che quando il 27 gennaio il corteo per la Palestina, già a genocidio abbondantemente in corso, venne vietato e alcuni preferirono una più accomodante conferenza stampa all’aperto per quei giornali contemporaneamente accusati di filosionismo, mentre altri manifestarono ugualmente, ecco anche quello fosse un segnale di ambiguità.
Così come il XXV aprile, mentre alcuni occupavano una Piazza del Duomo asseritamente vietata per offrire visibilità alla causa palestinese nella giornata della liberazione, trasformatasi in parodia quando a nessun esponente della comunità palestinese fu permesso di prendere la parola, altri optarono per sfilare in un corteo cui partecipavano la brigata ebraica, gli amici di israele ed erano presenti i relativi vessilli. Ed anche, ultimamente, il 5 ottobre a Roma qualcuno si è sfilato perché questore prefetto governo gli aveva intimato di restare a casa. Oslo non si ripropone, se ancora si coltiva quest’idea significa stare dalla parte contraria agli interessi dei palestinesi. Nessuno può e deve anche soltanto supporre di poter emarginare questo popolo che offre costante prova di tenacia, orgoglio e dignità: loro e soltanto loro decideranno della propria sorte e lo faranno mai più facendosi ingannare da pseudo mediatori, ebrei come Blinken o Hochstein, oppure altrettanto in malafede come egiziani e qatarioti. Il 7 ottobre si è voltata pagina, nessuno può attendibilmente stimare i tempi, ma per Israele sarà una debacle; sta assaggiando la forza del Fronte della Resistenza, i deliranti piani di ri-occupazione di Gaza e deportazione della popolazione residua si infrangeranno contro la inevitabilità della Storia. Nessuna occupazione è infinita. Domani non sarò presente ed è lecito che qualcuno risponda: “e sto c…”
Enzo Barone