Nuovi Mondi,

andata e ritorno

Storie di emigrazione dalle Valli del Taro e del Ceno

Nuovi Mondi, andata e ritorno.


PREMESSA

La storia di emigrazione che ha caratterizzato e segnato in modo indelebile le Valli del Taro e del Ceno, così come tutta la montagna in Italia e che ha visto circa 20 milioni di persone lasciare il proprio paese e approdare soprattutto nel nord Europa e nelle Americhe, pone all’attenzione il tema assai rilevante del contributo costituito dal patrimonio culturale degli emigrati e alla costruzione dell’identità culturale dei paesi di arrivo.


I movimenti migratori hanno inciso profondamente sulla cultura: non solo di chi si spostava, ma anche di chi rimaneva nella terra di origine. Popolazioni che erano rimaste per secoli legate se non a un singolo villaggio quantomeno a un'area molto ristretta, sono state proiettate in un altrove distante da tutti i punti di vista. Si sono trovati, dopo lunghi viaggi che tutti hanno vissuto come esperienze nuove, se non traumatiche, letteralmente dall'altra parte del pianeta, o comunque in paesi diversi per costumi e lingue.

Intere famiglie di diverse estrazioni sociali, alla ricerca di un futuro più stabile, in fuga dalla fame e dalla precarietà, sono partite con pochi abiti, qualche ricordo, pochi oggetti e tra questi oggetti molto spesso c’era uno strumento musicale. Molti di loro, assai di frequente, non conoscevano la scrittura ma erano in grado di suonare e di ricordare a memoria i pezzi musicali della tradizione popolare appenninica. Questo enorme patrimonio immateriale ha raggiunto l’Europa e le Americhe, “Nuovi Mondi” dove ha continuato, per un certo periodo ad essere eseguito come in patria e ad essere ascoltato da una platea nuova che pian piano lo fatto proprio diventando parte integrante di una nuova cultura creata dalle diverse contaminazioni culturali.


Tutti questi cambiamenti si sono fatti sentire anche in patria, per la continuità dei rapporti tra paesi di arrivo e paese d'origine: una continuità mantenuta attraverso quel potentissimo mezzo di comunicazione che è il denaro, le famose “rimesse” inviate a casa dagli emigranti e che hanno costituito per molto tempo una voce importante del bilancio italiano; attraverso la scrittura (in un'epoca di ancora prevalente analfabetismo, proprio le migrazioni ottocentesche furono tra i maggiori promotori del leggere e scrivere); più tardi attraverso il telefono; e attraverso i racconti di chi tornava e la singolare lingua che portava.

Sono nate nei paesi d'arrivo culture spesso miste, che gli stessi compaesani faranno fatica a riconoscere e comprendere: dialetti rimasti quali erano decenni o secoli prima e insieme modificati dall'incontro con la nuova lingua, attaccamento a tradizioni che “al paese” sono da tempo scomparse, tradizioni “inventate”. A dimostrarlo le abitudini culinarie, e la musica, caratterizzate spesso da nuovi apporti ma difese come segno d'identità

Gli emigranti lungo le rotte transoceaniche abitualmente cercavano, come scrive Robert Louis Stevenson, di “rallegrarsi la via con il violino e la fisarmonica”. Non occorre insistere sulle motivazioni che spiegano questo attaccamento degli emigranti agli strumenti musicali del proprio paese; il groviglio di sentimenti che sta dietro la scelta di avere con sé una fisarmonica è ben intuibile dalla lettera che un emigrato italiano, di nome Mansueto, manda alla madre nei primi anni del Novecento: «Carissima madre, oggi è il giorno della befana, io mi trovo in buona salute, sto qui e non mi manca gnente ma poi passavo meglio quando stavo lì perché ci avevo più divertimenti e qui non sorto di casa, mi pare di essere mezzo tonto; la paga è buona per me perché non guasto gnente solo che alzarmi e vestirmi; io vi dico voglio una armonica, lo direte allo zio Sabino che lui la manderà apprende e quando viene Arturo la darete a lui; scoltate la voglio 12 bassi che lui lo sa, li darete i soldi che io alla fine del mese vi manderò un tremila lire o più secondo come il cambio, avete inteso come dovete fare,altro non so cosa dirvi, vi saluto, vostro figlio Mansueto». L’importanza degli emigranti per la vendita di “armonici” e organetti è confermata fin dal 1898 da Paolo e Settimio Soprani, i due maggiori produttori di Castelfidardo. Intervistati da un giornalista del periodico «Italia», i fratelli Soprani infatti dichiarano: «nel modesto bagaglio degli emigranti italiani che si recano in Europa o in America spesso è nascosto con cura il prediletto organino di Castelfidardo, sul quale è impresso il nome delle nostre Ditte. Lo si sente, lo si apprezza e le domande di acquisto piovono da ogni parte».

Il progetto intende focalizzare l’attenzione sulle tre maggiori zone di arrivo dei nostri migranti: Il Sud America, il Nord America e il Nord Europa.