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Bologna, 1 marzo 2011
Al Magnifico Rettore dell’Università di Bologna
Prof. Ivano Dionigi
Via Zamboni, 33. 40126 Bologna
e per conoscenza:
Al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dott.ssa Avv. Mariastella Gelmini
Viale Trastevere, 76/a. 00153 Roma
Al pubblico
Caro Rettore,
gli episodi di plagio accademico, quando non vengono affrontati, danneggiano i colleghi onesti e tutta l’istituzione. Al riguardo, l’Università di Bologna non ha fatto il proprio dovere.
Segnalo alla Tua attenzione tre casi. Il primo è il noto "caso Zamagni", che emerse in seguito alla pubblicazione di un articolo del Prof. Federico Varese nella rivista Belfagor, nel quale il collega dell’Università di Oxford mostrò che il Prof. Stefano Zamagni era responsabile di più di un episodio di plagio (sulla questione si veda anche il resoconto di Maurizio Viroli a pg. 134-5 del suo recente “La libertà dei servi”, Laterza, 2010). Il secondo riguarda un manuale universitario (autori i colleghi Proff. Flavio Delbono e Stefano Zamagni, con un contributo del Prof. Corrado Benassi), pubblicato da Il Mulino (Bologna) nel 1997. Di questa vicenda si ebbe eco sulla stampa nel corso del 2009, quando il Prof. Flavio Delbono, allora candidato alla carica di sindaco di Bologna, fu interpellato in merito da un suo avversario politico.
Per ultimo, ti segnalo una voce che circola da tempo. In un documento allegato descrivo la vicenda così come viene raccontata e indico il modo, semplice, in cui l’Università potrà appurare l’eventuale presenza di responsabilità da parte di un collega.
È utile chiarire il contesto di questa mia lettera odierna. Oltre dieci anni orsono presi le distanze rispetto al silenzio che seguì le rivelazioni del Prof. Federico Varese, con una lettera che da allora è pubblica su Internet. Tale silenzio, estesosi sino ad oggi, secondo alcuni si dovrebbe al fatto che il plagio accademico è una pratica diffusa in Italia, i cui responsabili agirebbero, come il Conte Zio del Manzoni, con il fine di “sopire, troncare”. Non intendo giudicare questa teoria. E’ certo che le peggiori ipotesi trovano spazio, anche se non giustificazione, se con distacco si considera la decisione dell’Università di Bologna di chiudere gli occhi per non osservare collettivamente quel che, individualmente, era ed è noto tutti.
A distanza di tempo, si sono create le condizioni (la mia presa di servizio, oggi, come professore di “prima fascia”) perché, in una posizione non più ricattabile, possa non più suggerire, ma pretendere, che l’istituzione cui appartengo compia il proprio dovere. Chiedo all’Università di Bologna:
Di accertare i fatti che ho segnalato;
laddove sia necessario, di decidere le sanzioni opportune;
di valutare l’opportunità di creare un organismo, ora evidentemente assente, in grado di garantire l’integrità dei suoi docenti.
Un sincero saluto,
Lucio Picci
Allegati.
Prof. Lucio Picci
Dipartimento di Scienze Economiche
Facoltà di Scienze Politiche "Ruffilli", Forlì
Università di Bologna
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