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ECONOMIA DI IDEE
presso il professor Stefano Zamagni
di Federico Varese.
In: BELFAGOR, ANNO LI, 302, 31 MARZO 1996, 169-186 (Pubblicato su Internet in data 1 marzo 2011 con l'autorizzazione dell'Autore e dell'Editore).
L'originale in versione PDF;
Tocqueville e il «furto», di parole nei regimi democratici. Alexis de Tocqueville, nel libro terzo di De la démocratie en Amérique (cap. XIV), notò, con l'acume di sempre, che i lettori nei regimi aristocratici sono po chi e di gusti difficili; gli scrittori, sofisticati e rispettati, difficilmente accumulano fortune grazie al commercio delle loro opere. Nelle democrazie, al contrario, il gusto è meno elevato e scrivere diventa sempre più un mestiere, l'opera un prodotto comprato e venduto nel ricco mercato delle lettere. Il «commercio» su vasta scala di idee e parole caratterizza i tempi nuovi dell'eguaglianza democratica.
Tocqueville ci ricorda che parole e idee sono (anche) una merce, al pari di altri prodotti dell'industria e dell'agricoltura. I sistemi legali riconoscono, sin dalla fine del XV secolo, il valore commerciale di questa merce e proteggono i legittimi proprietari attraverso una forma particolare del diritto di proprietà, il «diritto d'autore». Nondimeno, il bene parole e idee ha caratteristiche specifiche, che lo rendono sui generis rispetto alla gran parte delle altre merci vendute sul mercato. Una di queste caratteristiche riduce la possibilità di individuarne il furto. Se una persona subisce il furto del portafogli, tale persona si accorgerà (prima o poi) del furto. Quando la vittima metterà la mano in tasca, noterà immediatamente che il portafogli è scomparso. Al contrario, il furto di parole non toglie nulla di tangibile alla vittima: quando lo scrittore tornerà al suo tavolo di lavoro, non avvertirà la mancanza di alcunché.
Il furto di parole o idee pone ulteriori problemi: può rivelarsi difficile stabilire in modo inoppugnabile la paternità di un'idea e quindi provare il furto. Una violenta polemica è scoppiata di recente tra Sergio Romano e Massimo L. Salvadori: quest'ultimo accusava Romano di aver utilizzato un impianto interpretativo da lui elaborato. Romano ha replicato indignato e la questione non sembra essersi risolta in maniera definitiva. Una polemi ca simile è rimbalzata sulle pagine della «New York Review of Books», (21/XII/1995). Un giornalista del «New York Times», David Binder, accu sava Robert Block, dell'«Independent«» di Londra, di aver saccheggiato un profilo biografico del generale serbo-bosniaco Radko Mladic da lui scritto. Block replicava che i brani in questione riflettono la «conventional wisdom», fatti della vita di Mladic noti a tutti e non proprietà del primo autore che li ha svelati al pubblico.
Il grado di formalizzazione del linguaggio introduce un vincolo per potenziale pirata di parole altrui: è immaginabile che chi intenda copiare una formula matematica elaborata da altri abbia margini retorici piuttosto stretti e il furto sia più facile da individuare; al contrario, scrittori e romanzieri sono in grado di produrre tali permutazioni di parole (quello che i critici letterari chiamano stile) che le accuse di «plagio» cadono a volte nel ridicolo. Pare che un oscuro poeta americano, Madison Cawein, abbia pubblicato nel 1913 un poema dal titolo Waste Land. Un solerte professore canadese, Robert Iann Scott, si è precipitato ad accusare Thomas Stearns Eliot di plagio. La stessa Susanna Tamaro, velatamente accusata dello stesso reato dal «Corriere della Sera» (6/XII/1995), è molto probabilmente innocente: l'unica sua colpa, mi sembra, è di essere fin troppo una scrittrice tipica dei tempi nuovi descritti da Tocqueville nello stesso cap. XIV. («La sempre crescente massa di lettori e il loro continuo bisogno di qualcosa di nuovo assicura un mercato per libri che nessuno ha ragione di ammirare»). Spesso sono i giornali che travisano i risultati di indagini storico-letterarie sulle fonti e i materiali usati da poeti del passato (un passato, peraltro, dove la nozione di «diritto d'autore» era molto diversa dalla nostra). Maria Corri, ad esempio, ha scoperto che Dante lesse e utilizzò un testo arabo dell'ottavo secolo, il Libro della Scala, che narra il viaggio del profeta Mao metto nell'oltretomba. (Maria Corti, La «Commedia», di Dante e l'oltre tomba islamico, «Belfagor», anno L, no. 3, 31 maggio 1995, pp. 300-14). Il «Giornale» di Milano ha dato notizia del saggio della Corti con un artico lo dal titolo del tutto fuorviante: «Dante copiò l'inferno islamico per scrive re la Divina Commedia» (01/VI/1995).
Genuini furti di parole vengono nondimeno commessi anche da grandi scrittori. Di recente l'italianista Alfredo Barbina (Appunti autografi di Pirandello su Verga, «Ariel», anno IX, no. 2, maggio-agosto 1994, pp. 61-69) ha dimostrato che Luigi Pirandello si servì del libro di un giovane critico letterario, Luigi Russo, Giovanni Verga, Napoli, Ricciardi, 1920, per un discorso pronunciato il 2 settembre 1920 al Teatro Bellini di Catania in occasione dell'ottantesimo compleanno di Giovanni Verga. Il grande scrittore utilizzò — «in pin punti alla lettera», — il testo di Russo, ma dimenticò di far riferimento alla fonte e fece passare quelle osservazioni come sue. Evidentemente non immaginava che la prova del furto sarebbe emersa mol ti anni dopo proprio dal suo archivio, l'archivio di Luigi Pirandello! Un caso analogo è quello di Guido Gozzano che si impegnò in un assiduo lavoro di saccheggio delle opere dello scrittore fiammingo Maurice Maeterlinck (1862-1949), come ha a suo tempo mostrato Bruno Porcelli (Gozzano e Maeterlinck, ovvero un caso di parassitismo letterario, «Belfagor», anno XXIV, no. 6, 30 novembre 1969; pp. 653-77).
L'accademia italiana e il «furto» di parole. La tipologia delle appropriazioni – più o meno innocenti – di parole altrui è vasta anche tra gli accademici di professione. Spesso autori poco originali, che non hanno a disposizione lo stile dei grandi studiosi, manipolano — entro i limiti del linguaggio prescelto — le parole quel tanto che basta per mettersi al riparo dagli strali del tribunale. In questi casi, il severo recensore non può far altro che ricordare all'ignaro lettore l'esistenza di una fonte su cui l'autore poco originale si adagia e denunciare sciatteria e scorrettezza bibliografica. Su questa rivista Massimo Mugnai ha passato «al paragone» il volume Lo spettro ed il libertino di Giulio Giorello. Come scrive lo stesso Mugnai, Giorello ha per lo più mancato di demarcare chiaramente il suo scritto da quello di autori debitamente citati. («Giorello cita ampi brani, contrassegnati da opportune virgolette. E altrettanto opportunamente — nelle note in fondo al volume — fornisce l'indicazione bibliografica delle fonti. Sovente accade però che, chiuse le virgolette — e quindi finita la citazione — il testo continui ad essere simile a quello dell'autore appena citato». «Belfagor», XLI, no. 6, 30 Novembre 1986, pp. 698-9). Più di recente, lo storico Zeffiro Ciuffoletti dell'università di Firenze i stato accusato di simili scorrettezze da Luciano Guerci sulle pagine della rivista «Passato e Presente» (XII, 1994, no. 33, pp. 162-4).
Esistono casi in cui accademici di professione non solo non parafrasano le loro fonti, ma addirittura le riproducono alla lettera. Qui di seguito presentiamo i frutti di un vaglio cui abbiamo sottoposto tre dei moltissimi testi pubblicati dall'economista Stefano Zamagni (Rimini, 1943) che ci so no capitati sotto gli occhi per caso. Non possiamo affermare che essi siano rappresentativi della sua produzione, né possiamo escluderlo. Il risultato non lascia adito a dubbi: il professor Zamagni riproduce in maniera lettera le ampi brani scritti da altri. Nel più grave dei tre casi documentati nella seconda parte di questa nota, la fonte è Robert Nozick (Brooklyn, New York, 1938), uno dei più influenti filosofi analitici viventi, autore di Anar chy, State and Utopia (1974), Philosophical Explanations (1981), The Examined Life (1989) e The Nature of Rationality (1993). Inoltre, Zamagni ha riprodotto alla lettera lunghi brani di articoli apparsi sul quotidiano «Sole 24 Ore». Né il saggio di Nozick né gli articoli di giornale sono citati in alcuna forma nei testi di Zamagni. Invitiamo il lettore incredulo a prendere visione dei confronti testuali sin da ora.
L'agire del professor Zamagni solleva interrogativi spinosi. Innanzi tutto, perché un accademico e uomo pubblico giunge a trascrivere alla lettera ampi brani di saggi scritti da altri? Una dimensione privata, che attiene al carattere dell'individuo, esercita senza dubbio un ruolo. Si potrebbe pensare che il professor Zarnagni sia vittima di una distrazione fortissima o di un comportamento non intenzionale. Il confronto tra i testi sembra invece indicare che Zamagni abbia agito in modo intenzionale. Egli adotta strategie per minimizzare il rischio di essere scoperto: ad esempio, Nozick cita in nota un saggio inedito di William Van Orman Quine (Akron, Ohio, 1908), autore di opere di logica e filosofia analitica, come From a Logical Point of View (1953) e Word and Object (1960). Zamagni traduce per intero la nota di Nozick, ma omette il riferimento al saggio inedito di Quine, che difficilmente poteva essere in suo possesso. Inoltre, induce il lettore a credere di leggere un testo originale quando ringrazia tre eminenti economisti e un sociologo italiani «per aver discusso e commentato una prima stesura del lavoro». Qui di seguito intendiamo esplorare i rischi cui si espone un accademico di professione che agisce nel modo prescelto dal professar Zamagni e i tipi di incentivi e sanzioni che il contesto accademico italiano offre al pirata di parole.
I rischi di venir scoperti. Quali sono le probabilità che un lettore si accorga di leggere un testo non originale? La crescente internazionalizzazione della comunità scientifica rende più facile smascherare monopoli individua li su settori del sapere scientifico straniero. Il caso di Antonio Villani – professore ordinario di filosofia del diritto, rettore dell'Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli e protagonista di un clamoroso caso di plagio – è a questo proposito istruttivo. La scarsa diffusione della lingua tedesca (anche) tra i filosofi del diritto gli permetteva di utilizzare testi tedeschi che i suoi colleghi non erano in grado di decifrare. Inoltre, la generale inefficienza delle biblioteche e la scarsa mobilità dei ricercatori italiani riduceva la probabilità che il suo atto di pirateria fosse scoperto. Una volta che l'in novazione tecnologica e l'aumento della circolazione del sapere accademico hanno ridotto queste barriere, il pirata accademico corre rischi maggiori. L'errore di valutazione di Villani è stato di non prevedere che il mondo da lui conosciuto negli anni quaranta e cinquanta – con specifici vincoli alla mobilità degli individui e alla diffusione del sapere – sarebbe presto finito Nondimeno, dal suo punto di vista, la strategia ha funzionato per tre decenni. Un caso omogeneo a quello di Villani sembra essere quello dell'antropologo Ettore Biocca: secondo quanto scrive Mary Louise Pratt, il Biocca pubblica a suo nome nel 1965 un Viaggio tra gli Indi (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma, 1965-66). L'intero libro sarebbe — secondo la Pratt — uno «scandalo»: esso consisterebbe della traduzione italiana del resoconto della disavventura di una giovane donna brasiliana, Helena Valero, che fu rapita dagli indiani Yanomamo e visse per alcuni anni loro prigioniera nella foresta amazzonica. Al suo ritorno, la Valero mise per iscritto la sua storia. Biocca avrebbe sostituito il proprio nome a quello della Valero e accreditato il resoconto come frutto di un suo viaggio nell'alto Rio Negro e nell'alto Orinoco. (Mary Louise Pratt, Fieldwork in Common Places, in James Clifford e George Marcus, a cura di, Writing Culture, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 1986, p. 28).
A fianco della internazionalizzazione della comunità scientifica si assiste ad una frammentazione del sapere. Il numero di riviste per ogni disciplina cresce a tassi esponenziali e rende più improbabile che tutti leggano tutto il materiale pubblicato, anche nell'ambito di una sotto-disciplina. Questo aumenta le fonti possibili cui il pirata può attingere. Nondimeno esiste un vincolo (quello che gli economisti chiamano un tradeoff): se la fonte utilizzata è oscura e non destinata ad avere un impatto sulla disciplina, il pirata corre meno rischi, ma il suo saggio passerà inosservato. Tutt'al più verrà giudicato come un competente esercizio accademico. (Nondimeno, esistono incentivi a perseguire questa strategia se la promozione accademica dipende dalla quantità delle opere pubblicate). Se, al contrario, si copia da un auto re eminente, l'impatto del saggio sarà maggiore, ma il rischio di essere sco perti aumenta. Una soluzione interessante consiste nell'utilizzare testi che afferiscono a discipline contigue ma diverse dalla propria. Il caso Zamagni Nozick è di questo tipo. Il saggio di Nozick apparve su una rivista prestigiosa, ma relativamente poco diffusa di filosofia, mentre il saggio di Zamagni si rivolgeva ai lettori di «Note Economiche». Quanti economisti italiani leggono di norma riviste di filosofia in inglese? È possibile prevedere che gli autori interessati tematicamente ai confini tra due discipline abbiano più opportunità di copiare rispetto a quelli che studiano problemi classici di una disciplina. Un pirata razionale potrebbe scegliere temi di confine per minimizzare i rischi di venir scoperto. Zamagni ha costruito la sua reputazione accademica producendo da un lato antologie e manuali (che, per definizione, sono lavori non originali, ma riassuntivi) e dall'altro occupandosi di epistemologia dell'economia, un campo scarsamente popolato e ai confini tra filosofia ed economia.
Vi sono infine due fattori imponderabili che avvantaggiano il pirata: la memoria e il caso. L'accademico di professione legge una grande quanti tà di saggi e riviste. La probabilità che legga, in un arco di tempo ravvicinato, il pirata e la sua vittima sono basse. Più lontane nel tempo le due letture, più improbabile che il lettore ricordi. Al più, gli rimarrà la sensazione di aver già letto quelle pagine ma difficilmente riuscirà a ricostruire con esattezza la fonte. Il caso è venuto in soccorso del professor Zamagni almeno due volte. Sia il saggio di Zamagni sia quello di Nozick sono stati citati nello stesso volume, seppur da due autori diversi, apparentemente senza che nessuno si sia accorto che si trattava in larga parte del medesimo testo. (Angelo Panebianco, Introduzione, e Angelo Petroni, L'individualismo metodologico, entrambi in L'analisi della politica, a cura di Angelo Panebianco, Bologna, Il Mulino, 1989, rispettivamente p. 15 e p. 152).
La fortuna di Zamagni ha assunto forme quasi surreali nel caso del professor Raimondo Cubeddu. Costui (in II liberalismo della scuola austriaca, Napoli, Morano, 1992, pp. 212-13, nota 71) cita lo stesso brano due volte: una volta attribuendolo a Nozick e una volta a Zamagni, senza accorgersi, o perlomeno senza rivelare al lettore, l'identità dei due brani. Non solo: Cubeddu giunge a scrivere del saggio di Nozick che «si tratta di un esempio, forse il più significativo, dei fraintendimenti — ovvero uno dei motivi delle discussioni — sorti sul tema dell'individualismo metodologico», mentre quello di Zamagni è «un saggio che ha avuto una grande e positiva influenza nel richiamare, in Italia, l'attenzione sulla Scuola austriaca». Sia il giudizio sui due saggi sia la citazione dello stesso brano una volta in inglese e una in italiano appaiono – ripeto – nella stessa nota a piè di pagina. L'accostamento dei due testi risulta essere – per un lettore in grado di leggere la lingua inglese – una involontaria forma di denuncia. (Cubeddu ha poi prodotto una versione inglese dello stesso testo — The Philosophy of the Austrian School, London, Routledge, 1993 , dove rimuove la citazione di Zamagni dalla nota, ma continua a citarne il saggio in un altro punto del libro, specificatamente a p. 46).
In un unico caso il lettore non avrà dubbi sulla fonte usata dal pirata: nel caso in cui egli sia la vittima. Il pirata razionale riduce quindi il rischio indirizzando le sue mire su autori non italiani. L'efficacia di questa strategia è maggiore tanto più la lingua del pirata è marginale dal punto di vista accademico: ciò riduce ulteriormente le probabilità di un «corto circuito». È alquanto improbabile – ad esempio – che filosofi ed economisti americani, che non si occupano professionalmente di Italia, conoscano la lingua italiana. Inoltre, la lingua italiana è relativamente marginale nell'ambito degli studi economici.
Perché allora Zamagni attinge anche da articoli di giornale italiani? In questo caso il rischio è ridotto dal fatto che qui egli agisce in direzione verticale, non orizzontale: in altre parole, egli si serve di testi scritti non da eguali ma da inferiori, che hanno incentivi a lasciare l'abuso impunito.
I rischi di venir denunciati. Gli incentivi a denunciare l'abuso commesso da un accademico, una volta venuti a conoscenza del furto, è tema complesso. La domanda di fondo verte sul perché colleghi e studenti dovrebbero denunciare pubblicamente il pirata. E plausibile ipotizzare che alcuni colleghi vengano a conoscenza di alcuni frammenti copiati, ma è improba bile che qualcuno venga a conoscenza di tutto il corpo dei testi non originali. Se un potenziale ‘moralizzatore’ conosce solo alcuni episodi avrà minori incentivi a denunciare l'abuso. In genere si associa il poco al veniale: episodi minimi di furto possono essere guardati con condiscendenza. Solo una persona possiede le chiavi della cassaforte del pirata: il pirata stesso.
Vi è una categoria di persone che è plausibile sia a conoscenza di gran parte dei furti commessi dal pirata: gli allievi e i collaboratori più stretti. È alquanto improbabile che essi si dedichino ad accusare il loro maestro, per ragioni in parte legate alla natura del sistema accademico italiano. Co me è noto, il sistema accademico italiano tende a premiare la fedeltà. La fedeltà intellettuale non è di per sé un male. L'affetto e la stima nei con fronti di un «buon maestro», l'aspirazione ad innovare nel solco da lui o lei tracciato, è commendevole. a fedeltà diventa una caratteristica non benigna se anziché intellettuale è puramente accademica e si indirizza verso un pirata, piuttosto che verso uno studioso di valore. Essa elimina gli incentivi degli aspiranti docenti allo studio critico delle opere dei loro professori. Una volta promossi al rango di docente, gli allievi saranno in media più disposti al silenzio opportunista rispetto alla popolazione non selezionata. A questo punto del processo evolutivo, la spiegazione del loro comportamento non è più fondata sulla presenza o meno di incentivi, ma sul tipo di popolazione selezionata.
Si potrebbe ipotizzare l'esistenza di una competizione virtuosa tra gruppi, che spinga i membri di un gruppo concorrente a smascherare il pirata. Non dimeno, non sempre scatenare una guerra è l'opzione migliore. La ragione di ciò va cercata nella struttura delle promozioni accademiche. Una caratteristica dell'accademia italiana, che riduce il pluralismo, è la centralizzazione del sistema di reclutamento. Non è la singola università, ma l’università italiana che immette in ruolo il docente. Per questa ragione i vari docenti – spesso organizzati in «scuole» - sono costretti a contrattare tra di loro, a livello centrale, gli avanzamenti dei propri allievi. Nel corso di queste contrattazioni, gli attori in questione (i professori ordinari) contraggono una serie di debiti e crediti, che possono pagare e riscuotere solo nel tempo. Spesso capita che l'allievo del professor Rossi sia costretto ad attendere il turno successivo, poiché in questa tornata il professore Rossi, promosso a suo tempo grazie al professor Bianchi, deve saldare il suo debito promuovendo un allievo del professor Bianchi.
Questo sistema produce un equilibrio di collusione di cui l'omertà relativa ai furti di parole è una manifestazione: nessuno - neppure un capo scuola virtuoso - vuole danneggiare un partner con il quale ha crediti che può riscuotere solo nel tempo. Se l'esponente di spicco della scuola dei cor sari (il creditore-capo) va in pensione, gli allievi pagheranno i suoi debiti, ma se la sua reputazione accademica viene distrutta, nessuno dei suoi allievi potrà o vorrà mantenere i patti. Come le banche, i professori non vogliono il fallimento dei loro creditori.
Gli effetti della denuncia. Una volta che tale denuncia raggiunga il pubblico, quali effetti ci si possono attendere per il pirata? L'uomo politico più potente del mondo, il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, è stato costretto a dimettersi per aver mentito. Ciò è il risultato di una struttura normativa che considera la menzogna inaccettabile per coloro che ricoprono cariche pubbliche e di una struttura istituzionale che contempla sanzioni contro i trasgressori. Non è tanto il ruolo ed il potere di un individuo che lo mettono al riparo da denuncie, quanto il grado in cui tali denuncie possano avere effetti apprezzabili: se è noto in partenza che la denuncia sortirà un effetto, il ‘moralizzatore’ avrà incentivi ad esporsi. È difficile dare una rispo sta univoca agli effetti che una motivata denuncia può avere su un accademico italiano. Il caso del professar Villani suggerisce un parziale pessimismo: Villani si è dimesso da rettore, ma non è stato costretto a dimettersi da professore. Raggiunti i limiti di età, è andato placidamente in pensione. I casi dei professori Giorello e Ciuffoletti non sono omogenei a quelli di Zamagni e Villani; un paragone troppo insistito sarebbe infondato. Nondimeno, è opportuno notare che nessuno dei due sembra aver sofferto conseguenze apprezzabili per la loro scarsa correttezza professionale. Ad esempio, l'episodio di scorrettezza bibliografica documentato da Mugnai non ha impedito a Paolo Rossi di definire di recente Giorello uno dei «tre bei nomi» della filosofia milanese («Tuttolibri» 28/X/1995). E possibile supporre che i casi limite di furto possano intaccare la reputazione del pirata, ma è difficile prevedere quali sanzioni l'istituzione accademica sia disposta a comminare. [Nota: Per Giulio Giorello, e Paolo Rossi Monti inter alios, vedi l’olimpica e panoramica Academia praedatoria nella nostra «Limonaia». (Belf).]
In conclusione, si può supporre che sia piuttosto raro che anche un clamoroso furto di parole venga rivelato pubblicamente e, se rivelato, abbia conseguenze negative significative per il pirata. Ciò produce un effetto perverso: il pirata rimane impunito ed ha cosi un incentivo a perseverare. Questo stato di cose può portare ad un equilibrio del furto: copiare si diffonde e diventa un comportamento efficiente e mai svelato. Non sarebbe perciò sorprendente scoprire che quello del professor Zamagni sia un caso meno isolato di quel che si potrebbe credere. Tuttavia, lo stesso meccanismo che ne incentiva la diffusione, può anche rilassare le precauzioni del pirata, che finirà con il correre rischi maggiori.
NOTA BIOGRAFICA. Stefano Zamagni (Rimini, 1943) è professore ordinario di economia politica presso la faccia di economia e commercio dell'Università di Bologna e preside della stessa facoltà.. È stato consulente della Commissione Parlamentare Antimafia. È consulente permanente della Commissione Giustizia e Pace del Vaticano e ha collaborato alla stesura della enciclica Centesimus Annus (1991).
Di recente, è stato inserito da Romano Prodi tra i 'saggi' incaricati di redi gere il programma di governo per la coalizione politica dell'Ulivo. È membro dei comitati scientifici di varie istituzioni italiane, come l'ICER (International Centre for Economic Research), con sede a Torino, e della casa editrice Mondadori. È consulente della casa editrice Il Mulino.
Ha curato varie antologie (The Economics of Altruism, Aldershot, Elgar, 1995; Saggi di filosofia della scienza economica, Roma, La Nuova Italia, 1982) e pubblicato manuali di economia e di storia del pensiero economico (Micro economics theory: an introduction, Aldershot, Gregg Revivals, 1987; Stefano Zamagni e Terenzio Cozzi, Economia politica, Bologna, Il Mulino, 1993). È noto per un volume su Nicholas Georgescu-Roegen (1906), economista di origine romena, emigrato negli Stati Uniti nel dopoguerra, inventore di un metodo per decomporre le serie temporali in componenti cicliche (Georgescu-Roegen. I fondamenti della teoria del consumatore, Milano, ETAS Libri, 1979). Si è occupato di corruzione e di economia del crimine: ha curato il volume Mercati illegali e mafia, uscito dal Mulino di Bologna nel 1993.
1. STEFANO ZAMAGNI, Sui fondamenti metodologici della scuola austriaca, Note economiche', 1982, pp. 63-92. II saggio di Zamagni contiene 82 note a piè di pagina. In bibliografia sono citati 73 titoli tra volumi e articoli. La ricerca che il saggio presenta è stata finanziata dal CNR, contributo numero C.T. 79.01801.10. L'autore ringrazia quattro studiosi «per aver discusso e commentato una prima stesura di questo lavoro» Aggiunge: «Va da sé che ogni responsabilità per quanto qui contenuto è dello scrivente». Circa serre pagine del saggio di Zamagni sono la traduzione letterale di altrettante pagine del saggio di Robert Nozick, On Austrian Methodology, «Synthese», vol. 36 (1977), pp. 353-92. Il saggio di Nozick non è citato in alcuna forma. Trascriviamo qui di seguito alcuni brani esemplificativi.
Per l'individualista metodologico ogni teoria vera della scienza sociale i. riducibile a una teoria dell'azione umana individuale più eventuali condizioni di confine che volgono a specificare le condizioni sotto le quali gli individui agiscono. 66
L'individualista metodologico è riduzionista nella misura in cui afferma che teorie sociali vere sono ultimamente riducibili a teorie dell'azione umana individuale, ma gli autori della scuola austriaca rifiutano di spingersi oltre sul la strada del riduzionismo fino ad abbracciare tesi radicali come, ad esempio, quelle secondo cui teorie dell'azione umana sono riducibili a teorie neurofisiologiche o fisiche, ... 66
Ma quali sono le teorie o leggi generali mediante le quali viene indagato il nesso tra contesto sociale e strutturazione delle «funzioni di utilità» dei soggetti? Purtroppo il pensiero austriaco non sa offrire risposte convincenti a tale interrogativo ... 72
Se l'individualismo metodologico è vero, non possono esservi leggi irriducibili della forma: i soggetti cresciuti sotto l'istituzione A tendono ad avere funzioni di utilità diverse da quelle dei soggetti cresciuti sotto l'istituzione B. 73
[...] una teoria generale della genesi delle funzioni di utilità potrebbe precisare il modo in cui le opportunità, il pattern di incentivi e disincentivi per l'azione che le istituzioni offrono si combinano per dare forma ad una certa struttura delle preferenze. Tale C, ad esempio, la teoria del condizionamento obbligante (operant conditioning) [nota 33] che viene, peraltro, decisamente re spinta dagli autori austriaci e da Hayek in particolare. [nota 34] Ma è importante sottolineare che l'individualista metodologico non può prescindere da una qualche teoria generale che spieghi il nesso tra preferenze individuali e istituzionali. Eppure, la scuola austriaca, oltre a non provvedere alla bisogna, non sembra preoccuparsi di col mare la lacuna. 73
The methodological individualist claims that all true theories of social science are reducible to theories of individual human action, plus boundary conditions specifying the conditions under which persons act. 353
Methodological individualists are reductionists to the extent of their claim that true theories of social science are reducible to theories of individual human action, but typically Austrians op pose other reductionist claims, e.g. that theories of human action are reducible to neurophysiology, chemistry, and physics, ... 353
But what are the general laws where by institutions shape actions, what are the general laws of the shaping of utility functions? The Austrian tradition has devoted little attention to this question ... 360
If methodological individualism is true, there will not be irreducible laws of the form: people brought up under institution I (tend to) have such and such a type of utility function. 360
One general theory of the shaping of utility functions might state how opportunities, rewards and punishments. and contingencies of reinforcement combine to shape utility functions an preferences. The framework of tar son of theory is provided by the theory of operant conditioning. [nota 17] This theory has been much attacked by libertarian writers, but it is important: to set that methodological individualism requires some general theory (it need not to be this one) of how utility functions are shaped by institutional environment. 360
La nota a piè di pagina numero 33 di Zamagni è identica alla nota 17 di Nozick:
33. Per una rassegna dello stato recente della teoria si veda R. Brown e R. Hermstein, 1975, capp. 1-3. 73
17. For a recent survey of the current state of the theory, see Roger Brown and Richard Hermstein, Psychology (Little, Brown and Co., Boston, 1975), Ch. 1-3. 388
L'uso delle parole di Nozick continua nelle pagine 75-83. Si veda ad esempio il riferimento alle reazioni di tipo pavloviano e la possibilità di considerare queste azioni nel senso indicato dagli autori studiati da Nozick. Scrive Zamagni: «Ad esempio, ma è solo un esempio tra i tanti, il condizionamento di tipo pavloviano determina un comportamento che gli autori austriaci non definirebbero mai azione» (p. 77). «L'esempio tra i tanti» è identico nel testo di Nozick, anche se il filosofo americano è più cauto dell'emulo italiano. («What about the conditional reflexes of classica! Pavlovian conditioning? [...] I do not recall a discussion specifically on this point in the writings of the Austrians, but their answer, I believe, would be that such Pavlovian reflexes are not actions», pp. 363-64.) Gli ultimi tre paragrafi di p. 75 riprendono i primi tre paragrafi di p. 362 di Nozick. A scopo esemplificativo, ne trascriviamo alcuni stralci.
Giova subito rilevare che l'affermazione dell'esistenza di una siffatta scienza a priori è logicamente indipendente dal l'accoglimento della tesi dell'individualismo metodologico.
L’individualismo metodologico potrebbe benissimo sostenere che una teoria sociale vera è sempre riducibile a leggi dell'azione umana, senza peraltro indicare che queste ultime sono verità necessarie. D'altro canto, si potrebbe affermare l'esistenza di un corpo di verità necessarie circa l'azione umana e al tempo stesso sostenere che queste non bastano da sole per dare contenuto ad una teoria sociale vera. 75
Note that holding there is this a priori science of human action is logically independent of accepting the thesis of methodological individualism.
For a methodological individualist might hold that all true social scientific theories are reducible to laws of human action, but that none of these latter laws are necessary truths. And someone might hold that there is a body of necessary truths about human action, but that these do not suffice to reduce and explain all true theories of social science. 362
Zamagni riprende il testo di Nozick, omettendo le precisazioni del filosofo americano. Il brano che segue è tradotto alla lettera.
Giova subito rilevare che l'affermazione dell'esistenza di una siffatta scienza a priori è logicamente indipendente dal l'accoglimento della tesi dell'individualismo metodologico.
L’individualismo metodologico potrebbe benissimo sostenere che una teoria sociale vera è sempre riducibile a leggi dell'azione umana, senza peraltro indicare che queste ultime sono verità necessarie. D'altro canto, si potrebbe affermare l'esistenza di un corpo di verità necessarie circa l'azione umana e al tempo stesso sostenere che queste non bastano da sole per dare contenuto ad una teoria sociale vera. 75
Note that holding there is this a priori science of human action is logically independent of accepting the thesis of methodological individualism.
For a methodological individualist might hold that all true social scientific theories are reducible to laws of human action, but that none of these latter laws are necessary truths. And someone might hold that there is a body of necessary truths about human action, but that these do not suffice to reduce and explain all true theories of social science. 362
Il testo di Zamagni è la traduzione di quello di Nozick. Anche il paragrafo successivo riprende quello di Nozick. L'autore italiano, che già in altri casi si rivela più sintetico del suo modello, semplicemente omette la parentesi. Le note 44 e 45 (p. 76) riproducono in italiano la nota 19 di Nozick.
44. Una stimolante rassegna delle difficoltà incontrate dal neo-positivismo nel suo rifiuto delle verità sintetiche a priori da parte di un convinto difensore di tali verità è quello di A. Pap, 1958.
45. La più influente e recente difesa di tali verità è quello di S. Kripke, 1972.
19. An illuminating survey of the difficulties with the positivist arguments on synthetic necessary truths by a de fender of such truths, is Arthur Pap's Semantics and Necessary Truths (Yale University Press, 1958) [...]
The most influential and ingenious re cent defence and utilisation of synthetic necessary truths, and of essences, is Saul Kripke's monograph, 'Naming and Necessity', in Donald Davidson and Gilbert Harman (eds.), Semantics of Natural Language (D. Reidel, Humanities, N.Y., 1972).
Nella trascrizione della nota di Nozick ho omesso il riferimento ad un saggio di William V. Quine fatto da Nozick perché non ripreso da Zamagni. Nozick non cita le pagine del volume curato da Davidson e Harman in cui compare il saggio di Kripke, venendo meno ad una consuetudine bibliografica: in genere si indicano le pagine di un saggio comparso in un volume collettivo. Allo stesso modo, nella bibliografia generale del suo saggio, Zamagni non indica le pagine in questione.
Le pagine 78-83 di Zamagni riprendono le pagine 365-373 di Nozick. Pagina 81 è quasi interamente riprodotta, incluse le note, più di metà di pagina 82 è ricopiata alla lettera. Stessa cosa, dicasi di metà di pagina 83 (inclusa la nota no. 66). La fonte è, ancora, Nozick, pp. 370-73. Il titolo del paragrafo è di necessiti simile nei due testi (Zamagni: «IV. Preferenze, scelte e determinismo situazionale». Nozick: «III. Preference, Choice, and Action»). Il para grafo IV di Zamagni si apre con un calco esatto di Nozick. Si tenga presente che questa è la parte centrale del saggio di Zamagni, dove vengono avanzate le proposizioni teoriche cardine dell'intera trattazione.
Se un individuo compie l'azione A, ciò indica che egli preferiva A a qualsiasi altra azione che egli riteneva possibile nelle circostanze date. In secondo luogo nessuna evidenza potrà. mai accertare che un soggetto preferisce A a B allorché questi sceglie B pur risultando A ancora disponibile. Infine, la nozione di preferenza non ha alcun senso al di fuori di una scelta effettivamente compiuta. [nota 64].
1. If a person does an action A, then that person preferred doing A to doing any other act which (he believed) was available to him at that time.
2. No evidence can establish that a person prefers A to B in the face of choice B when A was available co the person.
3. The notion of preference makes no sense apart from an actual choice ma de. [nota 29].
Il testo di Nozick è identico. Mutano solo alcuni piccoli accorgimenti tipografi ci, che lo rendono più chiaro rispetto al testo di Zamagni. Quello che Nozick specifica con numeri (1, 2, 3), Zamagni lo indica a parole (in secondo luogo, infine). La nota 64 di Zamagni è identica alla nota 29 di Nozick. In entrambe, vengono citati gli stessi brani di un'opera di von Mises, Human Action, nella stessa edizione.
64. «Tuttavia non bisogna dimentica re - scrive von Mises - che la scelta dei valori o dei bisogni si manifesta solamente nella realtà'. dell'azione. Queste scale non hanno esistenza indipendentemente dal comportamento effettivo degli individui» (p. 95). Ed ancora: «La scala del valore si manifesta solo nell'agire reale: essa può essere desunta solo dall'osservazione dell'agire reale. E perciò inammissibile contrapporla all'agire reale ed usarla come metro per la valutazione delle azioni rea li». (p. 102). Cfr. von Mises, 1963.
29. Mises writes in Human Action, «However, one must not forget that the scale of values or wants manifests itself only in the reality of action. The se scales have no independent existence apart from the actual behaviour of individuals.» (p. 95); «The scale of values manifests itself only in real acting, it can be discerned only from the observation of real acting. It is therefore impermissible to contrast it with real acting and co use it as a yardstick for the appraisal of real actions.» (p. 102).
Torniamo al testo di Zamagni, sempre a pagina 81. Dopo aver ricopiato i tre punti di Nozick, Zarnagni si chiede:
È lecito affermare che ogni azione manifesta una preferenza? In altri termini, è sempre vera la prima delle tesi sopra enunciata? Non potrebbe essere che il nostro individuo fosse indifferente? Era l'azione compiuta e qualche altra alternativa tra quelle a lui disponibili?
Queste tre domande retoriche sono le stesse che si fa Nozick nel suo paragrafo successivo. («Does all action show preference? (That is 1 above true?) Mightn't the person be indifferent between what he did and some other alternative available to him?» p. 370). L'unica differenza consiste nel fatto che Nozick scrive in corsivo la parola indifferent (un termine tecnico), mentre Zamagni no. Zamagni poi prosegue («Il soggetto preferisce A a B se e solo se nella scelta (bina ria) tra A e B egli è disposto a compiere A, mentre non è disposto a compiere B», ... p. 81). Il calco è totale ma risparmiamo al lettore la trascrizione completa («He prefers A to be if and only if in a choice between A and B he is willing to do A and unwilling to do B ...» p. 370). Anche la nota 65 di Zamagni è identica alla nota 30 di Nozick. Entrambi citano lo stesso brano di Rothbard. L'unica differenza è che Zamagni trasporta il brano dalle note nel corpo del testo, mentre Nozick lo tiene nelle note.
A pagina 82 il secondo paragrafo di Zamagni inizia: «Un ultimo interrogativo sempre a proposito della prima tesi. L'esistenza di un'azione ci consente di conoscere che cosa fu scelto e che cosa fu preferito? ...» Si può ritrovare questo paragrafo a p. 371 del saggio di Nozick, che inizia: «Does the existence of a behavior, when a choice was made, show what was chosen and what was preferred? ...» Il calco continua per una pagina, cd include anche la nota 66 di Zamagni (vedi nota 31 di Nozick. In entrambe si cita pag. 97 di Human Action di von Mises. La differenza, di nuovo, consiste nel fatto che Zamagni trasporta nel corpo del testo le parole citate in nota da Nozick).
Il saggio di Zamagni non è interamente riconducibile a quello di Nozick: infatti le pagine 84-89 non sono riprese da quelle di Nozick.
2. STEFANO ZAMAGNI, Sul processo di generazione della corruzione sistemica, in Luciano Barca e Sandro Trento, L'economia della corruzione, Bari, Laterza, 1994, pp. 91-109. Il saggio contiene 10 note, che fanno riferimento a 11 tra saggi e volumi. Zamagni riproduce alla lettera ampi brani di due arti coli apparsi sul quotidiano economico «Sole 24 Ore»: ‘Le strategie della corruzione’, 28/VI/1992, p. 23 e ‘I prigionieri delle tangenti’, 28/VI/1992, p. 23. L'autore non cita in alcun modo gli articoli di giornale.
Posto che il fenomeno della corruzione sia inscrivibile in una dimensione di scambio piuttosto che in una di estorsione, la illegalità del pagamento delle tangenti rende lo scambio occulto costoso sotto due profili diversi: il rischio di sanzioni penali che dipende dal livello di impegno delle autorità di controllo c il rischio che la contro parte decida di non rispettare l'accordo illecito.
Ci si può chiedere: se esiste un inte resse immediato a non rispettare gli accordi, come può- determinarsi un equilibrio di corruzione? Quando ci si aspetta che lo scambio venga ripetuto nel tempo, entra in gioco un elemento decisivo: la possibilità di punire chi defeziona (cioè chi non rispetta gli accordi illeciti) semplicemente escludendolo dagli scambi successivi. Questo avviene anche in assenza di una autorità esterna (ad esempio un'organizzazione di tipo mafioso) che sia in grado di comminare sanzioni violente. Con la teoria dei giochi si può dimostrare che quando i benefici pubblici sono distribuiti con una cerca frequenza e il tasso di sconto dei pagamenti attesi nel futuro è abbastanza elevato, può de terminarsi un equilibrio di corruzione generalizzata nel quale l'interesse alla prosecuzione del rapporto è un incentivo sufficiente per il rispetto degli accordi illeciti. Il vantaggio di breve periodo di una defezione viene superato dalle ripercussioni negative attese. 96
[...] l'universo della corruzione è do minato da una dimensione di scambio piuttosto che di estorsione. [...] L'il legalità del pagamento e della ripartizione delle tangenti rende lo scambio occulto costoso sotto due profili. Accanto al rischio di sanzioni penali, che dipende dal livello di impegno dell'autorità giudiziaria, esiste il pericolo che la controparte decida di non rispettare gli accordi illeciti.
Ma se esiste un interesse immediato a non rispettare gli accordi, come può determinarsi un esito di corruzione? Quando ci si aspetta che lo scambio sia ripetuto nel tempo entra in gioco un elemento decisivo, la. possibilità di punire chi "defeziona." semplicemente escludendolo da scambi successivi. Questo avviene anche in assenza di un'autorità esterna in grado di minacciare sanzioni violente, come la mafia. La teoria dei giochi mostra che quando i benefici pubblici sono distribuiti con una certa frequenza e il tasso di sconto dei pagamenti attesi nel futuro abbastanza elevato, può determinarsi un equilibrio di corruzione generalizzata nel quale l'interesse alla prosecuzione del rapporto è un incentivo sufficiente per il rispetto degli accordi il leciti. Il vantaggio di breve periodo di una defezione viene superato dalle ri percussioni negative attese.
Alberto Vannucci, Le strategie della corruzione, «Sole 24 Ore», 28/VI/1992.
Zamagni riproduce anche l'errore fatto dal giornalista del «Sole». L'errore consiste nel ritenere che il tasso di sconto dei pagamenti futuri di tangenti deve essere sufficientemente elevato per determinarsi un equilibrio della corruzione generalizzata. Tale tasso, al contrario, deve essere sufficientemente basso.
Zamagni prosegue riprendendo il testo di un altro articolo pubblicato nella stessa pagina del «Sole 24 Ore». In tale articolo, l'autore descrive «uno dei risultati più sorprendenti della teoria dei giochi degli ultimi anni, dovuto a Robert Axelrod». Zamagni usa parole tanto simili per descrivere la strategia «colpo su colpo» di Axelrod da indurci a trascrivere i due brani.
La strategia vincente risulta essere quel la del colpo su colpo», che consiste nel partire con un atteggiamento cooperativo e poi punire ogni defezione con una defezione, finché l'altro giocatore non avrà ricominciato a cooperare. Ogni comportamento scorretto viene cosí stroncato sul nascere. 98
La strategia vincente consiste nel partire con un atteggiamento cooperativo c poi punire ogni defezione con una defezione, finché giocatore non avrà ricominciato a cooperare. Ogni comportamento scorretto, non corporativo [sic), antisociale, da free-rider, viene cosi stroncato sul nascere.
Armando Massarenti, I prigionieri della tangente, «Sole 24 Ore», 28/VI/1992.
Il paragrafo successivo del testo di Zamagni è identico a quello successivo di Massarenti, eccezion fatta per l'espressione 'il pizzo', che diventa, nel testo di Zamagni, 'la tangente' e l'omissione di un inciso presente nel testo di Massarenti.
[...] ciò che vale per il prigioniero non sembra valere per la tangente. Essendo basato su uno scambio occulto, nel gioco della tangente le defezioni (cioè i pagamenti) non emergono con la stessa chiarezza come nel caso del «dilemma del prigioniero» ripetuto. Ripetendo il dilemma della tangente, emergerebbe piuttosto una convenzione che spingerebbe sempre a pagare.
[...] ciò che vale per il prigioniero non sembra valere per il pizzo. [...] Essendo basato su uno scambio occulto, nel gioco del pizzo le defezioni (cioè i pagamenti) non emergono con la stessa chiarezza che nel caso del «dilemma del prigioniero ripetuto». Ripetendo il «dilemma del pizzo» emergerebbe piuttosto una convenzione che, sulla base del comportamento che ci si at tende dagli altri, spingerebbe sempre a pagare le tangenti.
Armando Massarenti, I prigionieri della tangente, «Sole 24 Ore», 28/VI/1992.
3. STEFANO ZAMAGNI, Criminalità organizzata e dilemmi della mutua sfiducia: sulla persistenza dell'equilibrio mafioso, in ID. (a cura di), Mercati illegali e mafie. L'analisi economica della criminalità (Bologna, Il Mulino, 1993), pp. 133-50. Nella versione dattilografata del testo — datata ottobre 1992 — l'autore dichiara di aver usufruito di un «contributo finanziario del M.U.R.S.T. - Fondi 40%.» Nella versione a stampa, questo riferimento non è presente. Zamagni riprende alla lettera brani di una recensione al volume di Diego Gambetta, La Mafia siciliana (Torino, Einaudi, 1992), pubblicata sul «Sole 24 Ore», 18/X/1992, p. 25. Il saggio di Zamagni fu presentato ad un convegno tenutosi a Roma il 30-31 ottobre 1992, tredici giorni dopo la pubblicazione della recensione del «Sole». In bibliografia, Zamagni elenca 20 titoli cui fa riferimento nel testo. L'articolo del «Sole» non è citato in alcuna forma, né in calce né nel corpo del saggio.
Zamagni utilizza la recensione del «Sole» per riassumere il contenuto del volume di Gambetta. Presentiamo qui due brani: nel primo sussistono minuscole variazioni tra il testo del «Sole» e quello di Zamagni. Il secondo brano è identico, fatta eccezione per un 'tra' mutato in 'fra' e la eliminazione, da parte di Zamagni, di un 'generalmente'.
A sua volta, la persistenza dell'equilibrio mafioso segnala, a tutto tondo, un duplice fallimento: da un lato, un «fallimento dello Stato», che si esprime nell'incapacità di affermare (alme no nei mercati legali), il proprio ruolo di girante delle transazioni c dei di ritti di proprietà; dall'altro Un «fallimento del mercato», che si manifesta nell'insuccesso dei processi di evoluzione spontanea della cooperazione, possibili in un contesto di interazioni ripetute nel tempo. [...] 135
Quando le transazioni fra privati sono dominate dalla sfiducia reciproca e dall' incertezza sulle intenzioni delle potenziali controparti, emerge naturalmente una domanda di protezione, una richiesta generalizzata di servizi di risoluzione delle controversie. Il mercato della protezione mafiosa è il luogo d'incontro tra questa domanda e l'offerta dei gruppi mafiosi, organizzate come monopolio locale. 136
Ma la presenza di simili equilibri non cooperativi presuppone in realtà un duplice fallimento: da un lato l'incapacità degli organi dello Stato di affermare (almeno nei mercati legali) il proprio ruolo di arbitri e guanti super partes degli scambi e dei diritti di proprietà; dall'altro l'insuccesso dei pro cessi di evoluzione spontanea della cooperazione, possibili in un contesto di interazioni ripetute nel tempo. [. ]
Quando le transazioni tra privati sono dominate dalla sfiducia reciproca e dal l'incertezza sulle intenzioni delle potenziali controparti, emerge naturalmente una domanda di protezione, una richiesta generalizzata di servizi di risoluzione delle controversie. Il mercato della protezione mafiosa è il luogo d'incontro tra questa domanda e l'offerta dei gruppi mafiosi, organizzata generalmente come monopolio lo cale.
Alberto Vannucci, Così la sfiducia di strugge il mercato (rec. a Diego Gambetta, La Mafia siciliana, Torino, Einaudi, 1992), «Sole 24 Ore», 18/X/1992. (p. 25).
FEDERICO VARESE
Nuffield College, Oxford
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