Fisiognomica dell'invidioso
I testi che in questo lavoro si sono raccolti concorrono a costruire un quadro abbastanza dettagliato del peccato d'invidia e del tipo psicologico dell'invidioso. La loro lettura rivela elementi di struttura affini. Basilio e Tommaso insistono sulla "qualità" della somiglianza: si invidiano i propri simili . Anche la descrizione dell'invidioso è ricorrente. "Gli invidiosi si riconoscono per la loro stessa faccia. Gli occhi sono secchi e senza luce, il volto è cupo, il sopracciglio contratto. L'anima è agitata dalla passione e non ha una regola per discernere la verità delle cose" ( Hom 31,381), scrive il cappadoce, adattandosi al modello fisiognomico già collaudato da Cipriano ( Dzl 4, 669) e che si riverserà completamente nella tradizione successiva. Gregorio Magno, quasi ricordando il "canone basiliano", così ci prospetta la faccia dell'invidioso: "Il colore del suo volto è pallido, gli occhi sono tristi, la mente si accende e le membra si raffreddano; c'è rabbia nei suoi pensieri, i denti stridono, un odio crescente si nasconde nei recessi del cuore e una ferita nascosta ottenebra la coscienza con un dolore cieco" ( M 75,728). Alla inespressività del viso corrisponde una intima agitazione, il malumore di chi percepisce il bene altrui come un male proprio, per questo dice Basilio "afflizione e depressione non fanno mai difetto all'invidioso". Anche i riferimenti scritturistici si corrispondono. Viene citata puntualmente l'invidia del serpente, di Caino, dei fratelli di Giuseppe, di Saul. Si ritorna in maniera quasi modulare su alcuni temi, alcune citazioni. Eppure sulla base di questa topica, di questa invarianza dei luoghi letterari così cara alla cultura del medioevo, si costruiscono le differenti analisi dell'invidia e dell'invidioso. Gregorio per esempio vi legge l'eventualità per la quale quanto di buono è stato fatto rischia di essere vanificato da questo vizio, insistendo su una sua intrinseca proprietà riflessiva, per la quale il male riverbera sul soggetto, piuttosto che sulla sua apparente proprietà transitiva, il desiderio del male altrui. Tommaso raffina ancora di più lo scandaglio dell' analisi. Ne individua le differenze dalla emulazione, dalla indignazione e dalla gelosia, fondandola come un reciproco, ma di segno opposto, della carità, la carità infatti si rallegra per il bene del prossimo, l'invidia invece se ne rattrista ( ST q.36, a.3)
[Estratto dall'introduzione]
Basilio il Grande, Cipriano, Gregorio Magno, Tommaso d'Aquino
«Non è invidiosa la carità»
Edizioni San Paolo, 2001
ISBN 88-215-4410-9