Grammatica

In questa pagina trovate una grammatica del leuto semplice e pragmatica. Questa grammatica è pensata primariamente per i lettori italofoni: non cerca quindi di descrivere il leuto «in sé e per sé», ma per somiglianze e differenze coll'italiano.

Funzionamento generale della lingua

Vediamo qui i meccanismi generali del leuto, per facilitare la comprensione di quanto verrà spiegato in seguito nei dettagli.

Il leuto è caratterizzato da una serie di desinenze regolari (-a, -o, -um, -as, -in…). La gran parte delle parole termina con una di queste. La desinenza indica in modo preciso i caratteri grammaticali della parola: se è un sostantivo, aggettivo, verbo, avverbio, se è singolare o plurale, il tempo verbale, eccetera; se una parola non termina con una desinenza riconoscibile vuol dire che è un’interiezione, congiunzione, preposizione o simile “particella” linguistica. Le eccezioni sono pochissime.

Queste desinenze si uniscono a elementi lessicali invariabili, chiamati «radici», per formare le parole complete. A parte le particelle suddette (preposizioni, congiunzioni, ecc.), le radici non possono essere usate come entità indipendenti, ma devono essere parte di una parola che termina con una desinenza. Ogni radice può essere legata liberamente a qualsiasi desinenza, che ne definisce il significato. Per esempio, dalla radice HUM/, che indica qualcosa di ‘umano’, possiamo avere:

eccetera. In una stessa parola possono essere unite più radici, per formare una parola composta, un processo comune in leuto:

eccetera. Le possibilità compositive sono teoricamente infinite, e nella stessa parola non c’è un limite formale al numero di elementi che possono essere composti insieme. Nella pratica, tuttavia, naturalmente parole arbitrariamente lunghe sono ingestibili, e quindi ci si mantiene entro una dimensione ragionevole.

Le desinenze grammaticali stesse possono funzionare come radici, se necessario, ed essere usate come elementi compositivi all’interno di una parola. Grazie a questo, al gran numero di elementi e alla libertà compositiva, il leuto è una lingua che consente di esprimere in modo facile e sintetico sfumature precise.

Scrittura e pronuncia

Alfabeto

In leuto ogni lettera ha sempre lo stesso suono. Le lettere dell’alfabeto sono 29; eccole tutte in forma minuscola e in ordine alfabetico:

a b c c̄ ĉ d e f g ḡ h i j l m n o p q r s s̄ t θ u v w y z

Le lettere a, b, d, f, l, m, n, p, r, t, v si pronunciano come in italiano. Le altre invece si pronunciano nel modo seguente; sempre nello stesso modo.

Se i suoni di q e θ risultano difficili, il principiante li può approssimare con c e t; e quindi pronunciare, per esempio, qora 'coro' come cora, θea 'dio' come tea, miθa 'mito' come mita.

In leuto non esistono combinazioni di lettere che rappresentano un altro suono, come invece succede in italiano e altre lingue. Quindi quando si incontrano gruppi come gn, gli, sc, eccetera, vanno sempre pronunciati lettera per lettera, gn come g-n, gli come g-li, sc come s-c, eccetera.

In leuto non esistono la lettere x e k. Il suono cs e la c dura si rappresentano sempre con cs e c.

Scrittura a macchina semplificata

Alcuni caratteri del leuto possono risultare difficili da battere a macchina. Per velocizzare, si può usare una grafia alternativa con le seguenti sostituzioni:

Si faccia attenzione alla sostituzione ad hoc ĉ > qx.

Quindi per esempio la frase

a macchina si può scrivere:

Apostrofo

In leuto si usa talvolta l'apostrofo, in casi particolari. L'apostrofo è muto, non rappresenta nessun suono. Lo vediamo più avanti, nella sezione dei sostantivi.

Accento

In leuto, se in una parola ci sono due o più vocali, l'accento cade sempre sulla penultima vocale.

Per individuare la posizione dell'accento, le lettere y e w non si considerano mai "vocali".

Se la parola termina con un apostrofo, per individuare l'accento l'apostrofo si conta come se fosse una "vocale" (anche se in realtà non rappresenta nessun suono):

Maiuscole e minuscole

All’effetto esteriore, in leuto l’uso delle maiuscole è generalmente simile a quello italiano.

La maiuscola non è un elemento intrinseco della radice. Ogni radice leuta, a seconda del contesto, può prendere la maiuscola o la minuscola. (Questo è il motivo per cui, in questa grammatica, le scriviamo tutte in maiuscolo, rappresentando in un certo senso entrambe le possibilità; meglio ancora sarebbe il ᴍᴀɪᴜsᴄᴏʟᴇᴛᴛᴏ).

La maiuscola si usa per i nomi propri quando siano sostantivi (in qualunque caso):

Eventuali elementi a carico (per esempio un aggettivo) possono prendere la maiuscola, ma sempre quando il nome proprio nel complesso è un sostantivo (una locuzione sostantivale, possiamo dire):

Se la radice che noi italiani identifichiamo come «nome proprio» è invece usata in una parola che non è un sostantivo, o è inglobata all’interno d’un altro sostantivo che non è a sua volta un nome proprio, si usa la minuscola.

[xx Qua quella roba difficile]

Sono possibili maiuscole reverenziali, o per enfasi, in più rispetto all'uso normale. Andrebbero tuttavia usate con moderazione e riservate a contesti particolari.

Nel registro normale, si scrivono colla minuscola:

Nel registro normale, si scrivono colla maiuscola:

Ci sono inevitabilmente casi dubbi o di confine, sui quali è difficile (e a volte controproducente) cercare di dare regole troppo rigide. Per quelli, lasciamo che sia lo scrivente a valutare che cos’è meglio secondo le circostanze del caso: cercando di seguire lo stile generale della lingua, che è piuttosto “minuscolista” ed evita quindi di usare maiuscole troppo abbondanti. 

Per i titoli di opere d’arte, scritti normalmente in corsivo o fra virgolette, si mette maiuscola la lettera iniziale e poi, all’interno del titolo, si applicano le normali regole del resto della lingua:

(Per il trattamento grammaticale di titoli ed espressioni simili, vedi [xx]).

Nomi delle lettere

xx

Sigle e acronimi

xx

 Articolo

In leuto l’articolo indeterminativo è o. È invariabile: corrisponde da solo agli articoli italiani un, uno, una, dei, degli, delle.

In leuto non esiste l’articolo determinativo. Se un sostantivo non è preceduto dall’articolo indeterminativo o, si considera determinato.

Coerentemente, i nomi propri non hanno l’articolo e sono determinati:

In leuto, quando si cita un concetto in "generale", si considera "determinato", e quindi non si usa l'articolo:

Rispetto all'italiano

Mentre in leuto abbiamo solo due possibilità per quanto riguarda l'articolo (indeterminazione con l'articolo, determinazione senza), in italiano ne abbiamo tre: l’articolo determinativo (l’opera, le persone), l’articolo indeterminativo (un’opera, delle persone) o nessun articolo (èopera del nemico; sonobrave persone).

Quando in italiano abbiamo l’articolo determinativo o indeterminativo, la traduzione in leuto è spesso diretta: si mantiene la determinazione o indeterminazione. Invece, quando in italiano non usiamo l’articolo, dobbiamo capire se il concetto che intendiamo ricade meglio nella categoria dell’indeterminazione o della determinazione.

Una buona strategia è fare un confronto pratico fra le due possibilità. Per esempio, prendiamo la frase L’acqua èvita. Traducendo in modo letterale, in leuto abbiamo due possibilità: 

Vogliamo dire che l’acqua è una vita, una certa vita, una qualche vita, una vita indeterminata fra tante? No: vogliamo dire che l’acqua è (cioè dà, crea, nutre, serve, determina) la vita in generale: ovvero un concetto che in leuto ricade nella categoria del “determinato” (come dopotutto l’acqua stessa in questa frase). Quindi L’acqua è vitaAcwa es viva.

Prendiamo invece la frase Sono successecose strane. Di nuovo, confrontiamo le due possibilità:

Qui è semplice: non intendiamo qualcosa di precisamente determinato, né il concetto delle «cose strane» in generale, ma alcune cose fra le tante strane: quindi Sono successe cose straneEvenin o stranyo s̄eyas.

In qualche caso è possibile che entrambe le possibilità traduttive abbiano senso, e decideremo in base al contesto o alle sfumature che vogliamo trasmettere.

Di séguito alcuni esempi, che si possono analizzare in modo simile:

Casi particolari

Per l'uso dell'articolo coi termini che corrispondono ai nostri qualche, tutti, nessuno e simili, vedi sotto. [xx inserire collegamento]

Aggettivi

Gli aggettivi in leuto sono caratterizzati dalla desinenza -o unita alla radice della parola. Come l’articolo, e diversamente dai sostantivi, gli aggettivi in leuto sono del tutto invariabili: non distinguono né casi né numeri.

Nel passaggio da sostantivo ad aggettivo (e anche verbo, avverbio) e viceversa, le radici in leuto con cambiano mai. Non si hanno, quindi, fenomeni come pianeta ~ planetario o lato ~ laterale, molto comuni in italiano.

Posizione

L’aggettivo può sia seguire sia precedere il sostantivo a cui si riferisce. La posizione più consueta è davanti:

Se l'aggettivo regge un'espressione più ampia, invece, si mette dopo:

Trattiamo la posizione delle parole più ampiamente nella sezione apposita. [xx inserire collegamento]

Uso rispetto all'italiano

Per le differenze strutturali fra le due lingue, il leuto tende a usare più frequentemente gli aggettivi, mentre l'italiano esprime gli stessi concetti più normalmente con dei complementi:

Nel tradurre tra le due lingue bisogna tenere conto di questa differenza d'uso, senza cercare di forzare una lingua sul modello dell'altra.

Aggettivi sostantivati

Vedi il paragrafo sulla radice YU/.

Sostantivi

Struttura generale

Nella sua forma più "basilare", il sostantivo leuto è caratterizzato dalla desinenza -a che si unisce alla radice:

In leuto i sostantivi sono caratterizzati da 3 casi e 2 numeri. Le desinenze si costruiscono in modo regolare:

Nominativo

Situativo

Lativo

Genere

In leuto non esistono i generi grammaticali. Per la maggior parte le parole che indicano persone o animali non hanno un genere intrinseco, e nel concreto potrebbero indicare ugualmente un maschio o una femmina.

Se si vuole precisare il genere, s'inserisce -asc- per i maschi e -iss- per le femmine.

Di solito il genere si precisa con -asc- o -iss- solo se è rilevante per il discorso, e non è già chiaro dal contesto o da un’indicazione precedente. Per esempio, se sto presentando un amico di cui è già noto o evidente il genere maschile, dirò semplicemente che è un amica, non un amicasca, perché la precisazione è ridonante:

Se invece parlo di un amico di cui non è già noto il genere, posso precisarlo, se voglio:

Ci sono, naturalmente, anche parole che hanno già il concetto di mascolinità o femminilità incluso nel proprio significato. Per esempio:

Situativo e lativo

Mettendo un sostantivo nel caso situativo si indica che tale sostantivo è:

in cui o presso cui ci si trova o avviene l'azione.

Le terminazioni del situativo sono -u al singolare e -us al plurale.

Mettendo un sostantivo al lativo si indica invece che tale sostantivo è:

Le terminazioni del lativo sono -um al singolare e -ur al plurale.

Un sostantivo al situativo o al lativo può essere normalmente accompagnato da un articolo o da un aggettivo:

E può normalmente reggere altri elementi:

Sostantivi e preposizioni

Sia il situativo sia il lativo indicano la circostanza in modo relativamente vago, impreciso. Acwu potrebbe significare 'dentro l'acqua', o 'sulla superficie dell'acqua'; o anche 'presso l'acqua', 'nella zona dell'acqua', non direttamente a contatto col liquido; dato che il situativo può avere anche valore temporale, potrebbe significare anche 'nel momento dell'acqua'. Il significato naturalmente potrà essere chiarito dal contesto. 

Il leuto ha comunque modi semplici di esprimere queste indicazioni in modo preciso e diretto, se ce n'è bisogno: tramite preposizioni, similmente all'italiano.

Per dare indicazioni spaziali, temporali e simili, le preposizioni reggono normalmente il nominativo.

Per altre informazioni sulle preposizioni, vedi la sezione dedicata.

Apostrofo

La terminazione -a del nominativo singolare (solo quella; non -as, -u, -um, ecc.) può essere fatta cadere completamente, non pronunciarsi. Ciò si rappresenta scrivendo un apostrofo alla fine della parola: per esempio, amic', che corrisponde ad amica. L'accento non si sposta, continua a cadere sulla stessa vocale: si legge amìc come amìca.

Questo troncamento è tipico della poesia (di stile tradizionale, classico, oppure popolare), mentre in prosa un uso simile apparirebbe fortemente connotato, appunto come poetico, o più genericamente come letterario, anticheggiante o da proverbio.

Per potersi fare, xx [fonotassi, fare sottopagina]

Il troncamento andrebbe usato con parsimonia, perché, mentre nello scritto non cambia sostanzialmente nulla per la comprensione, nel parlato annacqua la precisione sintattica data dalle desinenze, che è una qualità preziosa del leuto.

La radice YU/

In italiano e in altre lingue, si possono avere «aggettivi sostantivati», ovvero parole che sono originariamente aggettivi ma che vengono usate a tutti gli effetti come sostantivi. Per esempio: Dio fa piovere ugualmente sui giusti e sugl'ingiusti.

In leuto, in certi casi ciò è fatto semplicemente unendo la radice alle terminazioni dei sostantivi. In altri casi questo procedimento non funziona, perché la radice da sola indica un altro concetto, spesso in un senso più astratto, generale:

In questi casi, se vogliamo indicare invece i 'buoni', i 'malvagi' e i 'belli', dobbiamo inserire la radice YU/.

YU/ è un elemento d'uso comune, e di significato vago. È una sorta di "segnaposto", che sta per una persona, un animale o in generale una "cosa" di qualsiasi tipo, che è individuata dalla sua caratterizzazione in relazione a qualcos'altro: così un buono (bonyua) è una persona caratterizzata dalla sua relazione col bene (bona), un malvagio (malyua) è caratterizzato dalla sua relazione col male (mala), eccetera.

Per la sua vaghezza, il significato di YU/ nel concreto può oscillare, e naturalmente dipende molto dal contesto. Può formare regolarmente anche parole indipendenti (yua, yuas) e in tale forma ha un buon equivalente nell'italiano quello usato in funzione pronominale.

O yua corrisponde spesso a uno:

Naturalmente, YU/ si può usare anche in parole che non sono sostantivi:

YU/ si usa inoltre per le parole che corrispondono alle nostre nessuno, qualcuno, e simili: vedi sotto. [xx inserire collegamento]

Verbi

Voci verbali

In leuto le voci verbali hanno 3 tempi e 3 modi. Le desinenze si costruiscono in modo regolare:

Indicativo

Condizionale

Imperativo

A questi si aggiunge l'infinito (-i), che trattiamo poco più avanti.

In leuto esiste una sola forma verbale irregolare (es, presente indicativo di essi 'essere'); ne parliamo in un paragrafo dedicato.

Indicativo

Presente

Il presente dell'indicativo è indicato dalla terminazione -en:

La desinenza verbale vale in leuto per tutte le persone e i numeri, ma il verbo dev'essere quasi sempre accompagnato dal soggetto (spesso un pronome, come me ‘io’ o tu ‘tu’).

Come il presente italiano, il presente leuto serve per indicare sia cose che stanno effettivamente avvenendo nel presente, sia cose che sono “generali” nel tempo, leggi, ricorrenze, abitudini, anche se non stanno avvenendo nell’istante presente:

Passato

Il passato è indicato dalla terminazione -in:

La terminazione -in traduce tutti i tempi italiani che indicano che qualcosa è avvenuto nel passato: l’imperfetto (pensavo), il passato remoto (pensai), il passato prossimo (ho pensato).

Futuro

Il futuro è indicato dalla terminazione -on:

Condizionale

Il condizionale del leuto traduce sia il condizionale sia il congiuntivo dell’italiano, rappresentando un'«irrealtà» generale.

Il condizionale si coniuga regolarmente nei tre tempi; le sue desinenze sono come quelle dell'indicativo, ma con -t al posto di -s: quindi -et (presente), -it (passato), -ot (futuro).

xx condizionale e indicativo

Imperativo

xx i tre tempi

imperativo negativo

xx

Verbo senza soggetto

xx

Infinito

L’infinito (in italiano -are, -ere, -ire, più le forme contratte, trarre, porre, ecc.) è indicato dalla terminazione -i:

L’infinito in leuto è particolare perché funziona allo stesso tempo come verbo e come sostantivo. Come verbo può reggere un complemento oggetto (come in italiano in fare la spesa, bere del vino); come sostantivo può essere soggetto d’una frase (come in leggere è bello) o complemento oggetto (come in lei ama leggere).

Gli infiniti possono reggere altri infiniti:

In italiano, perché un verbo transitivo regga un infinito c’è spesso —non sempre— bisogno d’una particella. In leuto invece di norma no, la costruzione è diretta. Indicando con «∅» il “nulla”:

«Participi»

xx

anche gl'infiniti, vedi nella filza

Forme eccezionali

Come dicevamo sopra, in leuto esiste un'unica forma verbale irregolare, l'indicativo presente del verbo essi (ESS/I) 'essere'. A regola, il suo indicativo presente è essen (ESS/EN); a questa forma regolare corrisponde la forma eccezionale sintetica es.

Es e essen hanno lo stesso significato:

La forma sintetica eccezionale è comoda per la sua brevità, rappresentando una parola frequente, soprattutto nel parlato, e quindi è prevalente nell'uso. La forma estesa regolare si può comunque usare sempre: per variazione, per ottenere un ritmo diverso per una frase, per fare una rima, perché ci “suona meglio”, o anche banalmente se le troviamo più facile o la preferiamo perché ci piace la regolarità.

[XX spiega la composizione, non c'entra coll'imperativo, copia dalla filza]

Avverbi

Gli avverbi leuti sono caratterizzati dalla desinenza -e unita alla radice della parola. Gli avverbi rappresentano il 'modo', la 'maniera' in cui qualcosa avviene; sono simili agli avverbi italiani in -mente.

Come sempre, però, anche dove ci sia un’alta simmetria generale fra le lingue la traduzione non dev’essere basata solo sulla forma della parola, bensì sul concetto che si esprime. In alcuni casi, i concetti che in italiano esprimiamo con parole in -mente rappresentano più una circostanza (spaziale, temporale, e simili) che un modo, e in leuto si esprimono allora meglio come sostantivi al situativo. Per esempio, raramente («Lo vedo solo raramente»; «Ci parliamo raramente») di solito non significa tanto ‘in [una] maniera [che è] rara’, bensì ‘in circostanze rare’: più che con rare (RAR/E) si esprimerà allora meglio con raru[s] (RAR/U, RAR/US). Simili recentemente, precedentemente, successivamente, eccetera.

Negazione

xx

Pronomi

I pronomi leuti sono simili a quelli a quelli italiani, con solo qualche differenza. Vediamo prima il significato di ognuno, poi osserviamo i caratteri generali del gruppo.

Lista

Me, tu, vu e te hanno una corrispondenza generalmente buona cogli equivalenti italiani suscritti; non c'è molto da aggiungere. Vediamo invece gli altri pronomi con le loro particolarità.

HE, HI, TO

He e hi rappresentano una persona, animale o altra entità sessuata, rispettivamente di genere femminile (he) e maschile (hi). To si usa invece per entità senza genere, o persone o animali di genere ignoto o indeterminato. Oggi si può usare per le persone «non binarie», se lo desiderano. Se si parla d'una persona di genere noto, si usa sempre il pronome del genere corrispondente:

Casi di genere ignoto o indeterminato:

Dato che in leuto non esiste il genere grammaticale, bisogna ricordare che il genere da indicare con il pronome è il genere reale dell'oggetto; per esempio, l'Italia, la luna o una nave, che per un italofono possono essere istintivamente "femminili", comunque non s'indicheranno con he ma con to; il Colosseo, o il pianeta Marte, che per un italofono possono essere istintivamente "maschili", analogamente s'indicheranno con to e non con hi.

Queste cose potrebbero essere indicate con hi o he in un contesto poetico in cui si vogliano personificare; nel linguaggio comune invece una cosa del genere sarebbe anomala.

HWA, CAY, NI

Per dire 'noi', in leuto ci sono tre pronomi:

Questa triplice possibilità consente al leuto di esprimersi in modo sintetico e preciso. Tuttavia, non è sempre necessario esprimersi con la massima precisione. Se il contesto non richiede una particolare esattezza formale, e il messaggio è comunque intendibile con facilità, si può usare ni anche quando ciò che s'intende potrebbe essere espresso in modo univoco con hwa o cay.

Così, per esempio, il parlante italiano, al quale verrà più spontaneo un 'noi' generico, appunto ni, può usare generalmente questo, limitandosi a usare gli altri due quando senta la necessità di essere preciso.

Viceversa, i parlanti nativi di lingue che usano normalmente la distinzione inclusivo-esclusivo potranno usare generalmente hwa e cay, limitandosi a ni nei casi in cui sentano la necessità di essere vaghi.

Si confronti la simile tripartizione delle congiunzioni disgiuntive. [xx metti collegamento]

SO

So indica una terza persona (grammaticalmente singolare) indefinita, generale o collettiva. Il corrispondente (semantico, non sintattico) più esatto in italiano è nelle costruzioni con si con soggetto indeterminato:

In italiano, a seconda dei contesti, possiamo esprimere questo significato in vari modi. Con la seconda persona singolare:

Con la terza persona plurale:

Con uno come pronome indefinito:

Con la prima persona singolare:

xx

In questi casi, il leuto usa prevalentemente so.

SE

xx

Caso e numero

xx

Aggettivi possessivi

xx

Forme di cortesia

Per esprimere le forme di cortesia l’italiano usa lei (raramente ella) e talvolta voi; raramente, oggi, forme come i signori, lorsignori, loro al plurale. Le concordanze dei verbi cambiano di conseguenza: ci rivolgiamo a un ‘tu’, ma per dire ‘tu sei’ diciamo lei è o voi siete; ci rivolgiamo a un ‘voi’, ma per dire ‘voi siete’ diciamo i signori sono. Si trovano situazioni più o meno simili anche in altre lingue (per esempio lo spagnolo, con tu o usted o vos, e vosotros o ustedes al plurale).

Il leuto usa invece un sistema più lineare: non cambia le concordanze ma si limita a modificare i pronomi, mettendoci davanti la particella vos-, che marca le forme di cortesia.

Quando il pronome è isolato, la particella VOS/ si scrive legata al pronome con un trattino: vos-tu, vos-vu. Quando invece il pronome è un elemento all'interno di una parola con desinenza, il trattino non si scrive: vostuo, vosvuo, vostuum, eccetera. 

Il motivo di questa particolarità grafica è che bisogna rappresentare la composizione e la corretta pronuncia, coll'accento sul pronome (vos-tù, vos-vù). Se scrivessimo VOS/ attaccato al pronome senza trattino, avremmo *vostu e *vosvu, che per le regole del leuto si pronuncerebbero vòstu e vòsvu, e non sarebbero i nostri pronomi bensì sostantivi al situativo, *VOST/U e *VOSV/U. Questo problema non c'è invece nei composti con desinenza, per cui il trattino non è necessario.

Alla terza persona

xx Dove si voglia esprimere una cortesia particolarmente marcata e formale —per esempio, un cameriere che parli ai clienti in un ristorante di lusso—, VOS/ si può aggiungere anche alla terza persona.

xx 

Contesti d'uso di VOS/

L’uso delle forme di cortesia varia tra paesi, culture e lingue. In leuto l’uso normale corrisponde pressappoco a quello italiano odierno, in cui le forme di cortesia esprimono principalmente deferenza e distanza sociale.

Si usa VOS/ per parlare a sconosciuti, soprattutto se più anziani, a rappresentanti dell’autorità, a persone più in alto in una gerarchia, o in generale a persone con cui non si ha familiarità.

Non si usa VOS/ per parlare ad amici, parenti, bambini e ragazzi. Per i parigrado in contesti professionali, l’uso può oscillare. Se il bambino appartiene a un rango sociale più elevato (es.: il principino di una famiglia reale), o comunque ci si trova in situazioni caratterizzate da una certa formalità (es.: un maggiordomo che parli ai bambini della famiglia per cui lavora), VOS/ può essere usato (o addirittura richiesto dal contesto) anche per i bambini.

In certi contesti in cui una persona d'autorità parli a qualcuno di rango inferiore (es.: un re medievale che si rivolge a un suddito), o a qualcuno con cui si trova in una situazione di vicinanza emotiva o spirituale, la persona d'autorità potrebbe non usare VOS/ anche se sta parlando con qualcuno con cui non ha una normale "familiarità". Ci sono naturalmente delle gradazioni: un prete che parla a un fedele in un contesto generico (situazione di relativa vicinanza) potrebbe usare o non usare VOS/, mentre un prete che amministra un sacramento (situazione di grande vicinanza) quasi sicuramente non lo userà.

Ci sono inevitabilmente delle aree grigie più o meno ampie, e in queste saranno la formalità del contesto, le preferenze personali e i vari dettagli del caso a decidere. 

Per rivolgersi a Dio nell’uso normale non si usa mai VOS/, perché s’intende che il rapporto con Dio è diretto, personale, intimo (anche in contesti pubblici), e Dio si trova oltre le formalità umane. Ciò è simile all’uso italiano, dove si dà del lei o del voi ai rappresentanti della gerarchia ecclesiastica (o dell'autorità civile, militare, e simili), ma a Dio si dà sempre del tu (Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; Signore, ti invochiamo...).

Le forme di cortesia esprimono appunto cortesia, e riguardo, gentilezza; ma, dato che non si usano con amici e familiari, possono esprimere anche distacco e freddezza. Così, per esempio, un ateo molto avverso al concetto di Dio potrebbe rivolgerglisi ironicamente usando VOS/ per esprimere ostilità, "abbassandolo" al livello delle formalità umane.

xx

Preposizioni

xx

Lista

xx

AYL

xx

AYN

xx

APUD

xx

AST

xx

AVAN

xx

XX

xx

XX

xx

XX

xx

XX

xx

XX

xx

SIMIL

xx

XX

xx

XX

xx

XX

xx

Interiezioni

xx

Desinenze

Di seguito diamo il riepilogo di tutte le desinenze grammaticali del leuto. Per esteso, in ordine quasi alfabetico:

/ sostantivo, nominativo, singolare (con troncamento)

/A sostantivo, nominativo, singolare

/AS sostantivo, nominativo, plurale

/E avverbio, nominativo

/EN verbo, indicativo, presente

/ET verbo, condizionale, presente

/ES verbo, imperativo, presente

/I verbo, infinito, nominativo

/IN verbo, indicativo, passato

/IT verbo, condizionale, passato

/IS verbo, imperativo, passato

/O aggettivo

/ON verbo, indicativo, futuro

/OT verbo, condizionale, futuro

/OS verbo, imperativo, futuro

/U sostantivo, situativo, singolare

/US sostantivo, situativo, plurale

/UM sostantivo, lativo, singolare

/UR sostantivo, lativo, plurale

Interrogazione, relazione, dimostrazione

xx

xx

Cein vu? | Che facevate?

Numeri, matematica e dintorni

xx

Comparativi e superlativi

xx

Sintassi della frase

xx

Formazione delle parole

Differenze fra italiano e leuto

xx

Ci sono comunque, naturalmente, parecchi casi in cui le parole risultano formate similmente in entrambe le lingue: 

Ma bisogna avere ben chiaro che si tratta d’una coincidenza “esteriore”, e minoritaria: non è il segno che “la composizione funziona allo stesso modo nelle due lingue”.  

Ordine della composizione

In italiano, nell’esprimere un concetto in forma estesa, si tende naturalmente a seguire un ordine specificato-specificatore, dove lo «specificato» è l’elemento portante, la base del concetto, mentre lo «specificatore» è una qualche aggiunta che viene fatta per definirne il significato in modo più preciso: il cane del vicino (il cane = specificato; del vicino = specificatore), una città fantasma (una città = specificato; fantasma = specificatore), i pesci spada (i pesci = specificato; spada = specificatore), la luna piena (la luna = specificato; piena = specificatore). Talvolta l’ordine può essere invertito, e in tal caso di solito esprime sfumature lievemente diverse: brava persona (brava = specificatore; persona = specificato), ottima idea (ottima = specificatore; idea = specificato). Sul discorso si potrebbe approfondire.

Nelle parole composte, entrambi gli ordini sono possibili, anche per esprimere all’incirca lo stesso concetto (per es., fil- e -ofilo); in particolare, l’ordine specificatore-specificato è frequente nei composti neoclassici (che siano o no trasparenti in italiano). Un po’ d’esempi d’entrambi i tipi, usando i numeri per distinguere i due elementi:

In certi casi l’ordine è ambiguo, nel senso che potrebbe essere interpretato un po’ in entrambi i modi. Li vedremo fra poco.

Nei composti, il leuto segue invece sempre lo stesso ordine, del tipo specificatore-specificato. Ciò significa che a volte l’ordine è lo stesso dei composti equivalenti in italiano (2-1):

mentre in altri casi l’ordine delle due lingue è opposto (leuto 2-1 ~ italiano 1-2):

In certi casi un concetto può essere espresso secondo entrambi gli ordini, e si tratta allora di capire che cosa intendiamo di preciso. Per esempio, per esprimere il concetto di ‘subumano’ (come sostantivo), potremmo intendere un essere umano ma d’un tipo inferiore, e allora diremo subhuma (SUB/HUM/A), oppure proprio qualcuno che sta al di sotto di ciò che è «umano», e allora diremo humsubyua (HUM/SUB/YU/A).

In qualche caso entrambi gli ordini sono sensati, ma uno appare più preciso, più calzante dell’altro. Per esempio, per dire ‘Anticristo’ potremmo dire sia qristconteryua (QRIST/CONTER/YU/A ‘colui che si oppone a Cristo’) sia conterqrista (CONTER/QRIST/A ‘il Cristo contrario’); ma la particolarità, il carattere peculiare di tale figura non è tanto l’opporsi a Cristo, che è una cosa piuttosto generica (san Paolo prima della conversione era sicuramente uno qristconteryua, ma certo non l’«Anticristo» in senso letterale), quanto il fatto di essere proprio una figura cristica ribaltata: quindi conterqrista meglio di qristconteryua. Similmente, per ‘antipapa’, sicuramente meglio conterpapa che papconteryua, che descriverà meglio il generico oppositore del papa.

In altri casi i concetti che si appaiano sono tra di loro in una relazione non si subordinazione ma di pura coordinazione, xx

xx per cui l’ordine scelto xx

Desinenze in posizione non finale

xx

Dettagli vari

xx

Radici nuove

Consulta la sottopagina dedicata

Fonotassi

Consulta la sottopagina dedicata.