Grammatica
In questa pagina trovate una grammatica del leuto semplice e pragmatica. Questa grammatica è pensata primariamente per i lettori italofoni: non cerca quindi di descrivere il leuto «in sé e per sé», ma per somiglianze e differenze coll'italiano.
Funzionamento generale della lingua
Vediamo qui i meccanismi generali del leuto, per facilitare la comprensione di quanto verrà spiegato in seguito nei dettagli.
Il leuto è caratterizzato da una serie di desinenze regolari (-a, -o, -um, -as, -in…). La gran parte delle parole termina con una di queste. La desinenza indica in modo preciso i caratteri grammaticali della parola: se è un sostantivo, aggettivo, verbo, avverbio, se è singolare o plurale, il tempo verbale, eccetera; se una parola non termina con una desinenza riconoscibile vuol dire che è un’interiezione, congiunzione, preposizione o simile “particella” linguistica. Le eccezioni sono pochissime.
Queste desinenze si uniscono a elementi lessicali invariabili, chiamati «radici», per formare le parole complete. A parte le particelle suddette (preposizioni, congiunzioni, ecc.), le radici non possono essere usate come entità indipendenti, ma devono essere parte di una parola che termina con una desinenza. Ogni radice può essere legata liberamente a qualsiasi desinenza, che ne definisce il significato. Per esempio, dalla radice HUM/, che indica qualcosa di ‘umano’, possiamo avere:
humo HUM/O umano (aggettivo)
huma HUM/A essere umano (sostantivo)
hume HUM/E umanamente
humu HUM/U nell’uomo, presso l’uomo
eccetera. In una stessa parola possono essere unite più radici, per formare una parola composta, un processo comune in leuto:
humego HUM/EG/O umanissimo
humiθa HUM/IΘ/A umanità (qualità di ciò che è umano)
humaya HUM/AY/A umanità (collettività degli uomini)
nohumo NO/HUM/O non umano
humes̄i HUM/ES̄/I diventare umano
humaylo HUM/AYL/O tendente all'uomo
humes̄aylo HUM/ES̄/AYL/O tendente a diventare umano
eccetera. Le possibilità compositive sono teoricamente infinite, e nella stessa parola non c’è un limite formale al numero di elementi che possono essere composti insieme. Nella pratica, tuttavia, naturalmente parole arbitrariamente lunghe sono ingestibili, e quindi ci si mantiene entro una dimensione ragionevole.
Le desinenze grammaticali stesse possono funzionare come radici, se necessario, ed essere usate come elementi compositivi all’interno di una parola. Grazie a questo, al gran numero di elementi e alla libertà compositiva, il leuto è una lingua che consente di esprimere in modo facile e sintetico sfumature precise.
Scrittura e pronuncia
Alfabeto
In leuto ogni lettera ha sempre lo stesso suono. Le lettere dell’alfabeto sono 29; eccole tutte in forma minuscola e in ordine alfabetico:
a b c c̄ ĉ d e f g ḡ h i j l m n o p q r s s̄ t θ u v w y z
Le lettere a, b, d, f, l, m, n, p, r, t, v si pronunciano come in italiano. Le altre invece si pronunciano nel modo seguente; sempre nello stesso modo.
c come c in caldo.
c̄ come z in marzo.
ĉ come c in celeste.
e sempre con un timbro mediano, a metà strada fra la é chiusa di céna e la è aperta di mèzzo.
g come g in gallo.
ḡ come g in gelo.
h debolmente aspirata come h nella parola tedesca haben o nella parola inglese house.
i sempre “vocalica”, cioè ben distinta dalla vocale seguente, se è seguita da una vocale accentata; come la i in rione (ri-ó-ne) e Riace (Ri-à-ce).
j come j in francese e portoghese, cioè pressappoco sg(i).
o sempre con un timbro mediano, a metà strada fra la o chiusa di pózza e la ò aperta di còlla.
q un’aspirazione forte come ch nel tedesco Bach.
s come s in orso.
s̄ come sc in scendere.
θ simile a una t, ma con la lingua spostata più giù e avanti, con la punta appoggiata ai denti incisivi o quasi; come th nell’inglese think, o la z nella pronuncia dello spagnolo di Spagna.
u sempre “vocalica”, cioè ben distinta dalla vocale seguente, se è seguita da una vocale accentata; come la u in manuale (ma-nu-à-le) e duello (du-èl-lo).
w è il suo equivalente "consonantico" o "semivocalico": se precede una vocale, si pronuncia insieme alla vocale seguente, come la u di quale (quà-le) e tuono (tuò-no); se precede una consonante si pronuncia insieme alla vocale precedente, come la u di causa (càu-sa) e feudo (fèu-do).
y è l'equivalente "consonantico" o "semivocalico" di i: se precede una vocale, si pronuncia insieme alla vocale seguente, come la i di chiaro (chià-ro) e fiero (fiè-ro); se precede una consonante si pronuncia insieme alla vocale precedente, come la i di zaino (zài-no) e stoico (stòi-co).
z come la s “dolce” di risma.
Se i suoni di q e θ risultano difficili, il principiante li può approssimare con c e t; e quindi pronunciare, per esempio, qora 'coro' come cora, θea 'dio' come tea, miθa 'mito' come mita.
In leuto non esistono combinazioni di lettere che rappresentano un altro suono, come invece succede in italiano e altre lingue. Quindi quando si incontrano gruppi come gn, gli, sc, eccetera, vanno sempre pronunciati lettera per lettera, gn come g-n, gli come g-li, sc come s-c, eccetera.
In leuto non esistono la lettere x e k. Il suono cs e la c dura si rappresentano sempre con cs e c.
Scrittura a macchina semplificata
Alcuni caratteri del leuto possono risultare difficili da battere a macchina. Per velocizzare, si può usare una grafia alternativa con le seguenti sostituzioni:
c̄ > cx
ĉ > qx
ḡ > gx
s̄ > sx
θ > tx
Si faccia attenzione alla sostituzione ad hoc ĉ > qx.
Quindi per esempio la frase
Mayru me vadon ĉe Sara. | Domani andrò da Sara.
a macchina si può scrivere:
Mayru me vadon qxe Sara. | Domani andrò da Sara.
Apostrofo
In leuto si usa talvolta l'apostrofo, in casi particolari. L'apostrofo è muto, non rappresenta nessun suono. Lo vediamo più avanti, nella sezione dei sostantivi.
Accento
In leuto, se in una parola ci sono due o più vocali, l'accento cade sempre sulla penultima vocale.
Per individuare la posizione dell'accento, le lettere y e w non si considerano mai "vocali".
aera aria
scribeyra scrittore
θeissa dea
murmuri mormorare
namaar addio
awdi udire
Se la parola termina con un apostrofo, per individuare l'accento l'apostrofo si conta come se fosse una "vocale" (anche se in realtà non rappresenta nessun suono):
aer' aria (con troncamento)
scribeyr' scrittore (con troncamento)
θeiss' dea (con troncamento)
Maiuscole e minuscole
All’effetto esteriore, in leuto l’uso delle maiuscole è generalmente simile a quello italiano.
La maiuscola non è un elemento intrinseco della radice. Ogni radice leuta, a seconda del contesto, può prendere la maiuscola o la minuscola. (Questo è il motivo per cui, in questa grammatica, le scriviamo tutte in maiuscolo, rappresentando in un certo senso entrambe le possibilità; meglio ancora sarebbe il ᴍᴀɪᴜsᴄᴏʟᴇᴛᴛᴏ).
La maiuscola si usa per i nomi propri quando siano sostantivi (in qualunque caso):
Perua, Bolivya, Gwatemala | Perù, Bolivia, Guatemala
Eventuali elementi a carico (per esempio un aggettivo) possono prendere la maiuscola, ma sempre quando il nome proprio nel complesso è un sostantivo (una locuzione sostantivale, possiamo dire):
xx | xx
Se la radice che noi italiani identifichiamo come «nome proprio» è invece usata in una parola che non è un sostantivo, o è inglobata all’interno d’un altro sostantivo che non è a sua volta un nome proprio, si usa la minuscola.
PARISY/A | Parisya | Parigi
PARISY/O | parisyo | parigino (agg.)
PARISY/AN/A | parisyanas | i parigini
ARISTOTEL/A | Aristotela | Aristotele
ARISTOTEL/E | aristotele | aristotelicamente
ARISTOTEL/ISM/A | aristotelisma | aristotelismo
[xx Qua quella roba difficile]
Sono possibili maiuscole reverenziali, o per enfasi, in più rispetto all'uso normale. Andrebbero tuttavia usate con moderazione e riservate a contesti particolari.
Nel registro normale, si scrivono colla minuscola:
i nomi di popoli (es.: italas, grecas, peruanas);
i nomi di lingue (italesa, sanscrita, lewθa);
i giorni della settimana (xx);
i nomi dei mesi, del calendario europeo o altri (aprila, septembra, ramadana);
cariche e titoli, sia isolati (saya ‘signore, signora’, reḡa ‘re, regina’, papa ‘papa’, doctora ‘dottore, dottoressa’, sama ‘santo, santa’) sia premessi a un nome (saya Rossi, reḡa Henrica, papa Benedicta, doctora Zamenhofa, sama Franc̄isca);
i nomi di scienze e arti (cosmologeya, arqitecteya, obsideyca);
i nomi d’elementi e materiali (plumba, ferra, marmora);
i nomi d’ideologie, teorie, religioni (marcsisma, xx, islama, qristenisma).
Nel registro normale, si scrivono colla maiuscola:
i nomi propri di persona (Awgusta, Antonya), gli pseudonimi (Voltera, Palladya), i titoli ed epiteti che nell’uso normale non sono più istintivamente riconosciuti come tali e quindi diventano di fatto nomi propri (Qrista);
i toponimi (Lisbona, Ewropa, Arabiya, Balearas);
i nomi di dinastie e famiglie (xx borboni, medici, gracchi xx);
i nomi propri di istituzioni (xx, Caθolico Ecclesya);
i nomi di libri sacri, quando siano intesi in astratto, in generale (Biblya, xx), ma non quando si parla di singoli esemplari fisici (o biblyas, xx);
le festività (xx);
xx
Ci sono inevitabilmente casi dubbi o di confine, sui quali è difficile (e a volte controproducente) cercare di dare regole troppo rigide. Per quelli, lasciamo che sia lo scrivente a valutare che cos’è meglio secondo le circostanze del caso: cercando di seguire lo stile generale della lingua, che è piuttosto “minuscolista” ed evita quindi di usare maiuscole troppo abbondanti.
Per i titoli di opere d’arte, scritti normalmente in corsivo o fra virgolette, si mette maiuscola la lettera iniziale e poi, all’interno del titolo, si applicano le normali regole del resto della lingua:
O heco yannas de soliθa | Cent'anni di solitudine
Gwerra de mundas | La guerra dei mondi
(Per il trattamento grammaticale di titoli ed espressioni simili, vedi [xx]).
Nomi delle lettere
xx
Sigle e acronimi
xx
Articolo
In leuto l’articolo indeterminativo è o. È invariabile: corrisponde da solo agli articoli italiani un, uno, una, dei, degli, delle.
o mulya una donna
o libras dei libri
o canas dei cani
o urba una città
In leuto non esiste l’articolo determinativo. Se un sostantivo non è preceduto dall’articolo indeterminativo o, si considera determinato.
mulya la donna
libras i libri
canas i cani
urba la città
Coerentemente, i nomi propri non hanno l’articolo e sono determinati:
Ĉina la Cina
Ewropa l’Europa
Luca Luca
Roma Roma
In leuto, quando si cita un concetto in "generale", si considera "determinato", e quindi non si usa l'articolo:
Qrisa es o metalla. | L'oro è un metallo.
xxiθa salvon munda. | La bellezza salverà il mondo.
O gruppa ec racittas. | Un gruppo di ragazzini. [Come se «i ragazzini» (concetto generale) fossero un materiale, di cui è composto il gruppo.]
Rispetto all'italiano
Mentre in leuto abbiamo solo due possibilità per quanto riguarda l'articolo (indeterminazione con l'articolo, determinazione senza), in italiano ne abbiamo tre: l’articolo determinativo (l’opera, le persone), l’articolo indeterminativo (un’opera, delle persone) o nessun articolo (è ∅ opera del nemico; sono ∅ brave persone).
Quando in italiano abbiamo l’articolo determinativo o indeterminativo, la traduzione in leuto è spesso diretta: si mantiene la determinazione o indeterminazione. Invece, quando in italiano non usiamo l’articolo, dobbiamo capire se il concetto che intendiamo ricade meglio nella categoria dell’indeterminazione o della determinazione.
Una buona strategia è fare un confronto pratico fra le due possibilità. Per esempio, prendiamo la frase L’acqua è ∅ vita. Traducendo in modo letterale, in leuto abbiamo due possibilità:
Acwa es viva. | L’acqua è la vita.
Acwa es o viva. | L’acqua è una vita.
Vogliamo dire che l’acqua è una vita, una certa vita, una qualche vita, una vita indeterminata fra tante? No: vogliamo dire che l’acqua è (cioè dà, crea, nutre, serve, determina) la vita in generale: ovvero un concetto che in leuto ricade nella categoria del “determinato” (come dopotutto l’acqua stessa in questa frase). Quindi L’acqua è vita ≈ Acwa es viva.
Prendiamo invece la frase Sono successe ∅ cose strane. Di nuovo, confrontiamo le due possibilità:
Evenin stranyo s̄eyas. | Sono successe le cose strane.
Evenin o stranyo s̄eyas. | Sono successe delle cose strane.
Qui è semplice: non intendiamo qualcosa di precisamente determinato, né il concetto delle «cose strane» in generale, ma alcune cose fra le tante strane: quindi Sono successe cose strane ≈ Evenin o stranyo s̄eyas.
In qualche caso è possibile che entrambe le possibilità traduttive abbiano senso, e decideremo in base al contesto o alle sfumature che vogliamo trasmettere.
Di séguito alcuni esempi, che si possono analizzare in modo simile:
Varas e mulyas differen. | ∅ Uomini e ∅ donne sono diversi.
Me es el urba. | Sono in ∅ città.
Me habin o multo amicas. | Ho avuto ∅ molti amici.
Ni vidin o trio mulyas. | Vedevamo ∅ tre donne.
Casi particolari
Per l'uso dell'articolo coi termini che corrispondono ai nostri qualche, tutti, nessuno e simili, vedi sotto. [xx inserire collegamento]
Aggettivi
Gli aggettivi in leuto sono caratterizzati dalla desinenza -o unita alla radice della parola. Come l’articolo, e diversamente dai sostantivi, gli aggettivi in leuto sono del tutto invariabili: non distinguono né casi né numeri.
Nel passaggio da sostantivo ad aggettivo (e anche verbo, avverbio) e viceversa, le radici in leuto con cambiano mai. Non si hanno, quindi, fenomeni come pianeta ~ planetario o lato ~ laterale, molto comuni in italiano.
cana cane
cano canino
huma uomo
humo umano
Posizione
L’aggettivo può sia seguire sia precedere il sostantivo a cui si riferisce. La posizione più consueta è davanti:
Patra amen bono filya. | Il padre ama il figlio buono.
Patra amen bono filya. | Il padre ama i figli buoni.
Bono filya amen patra. | Il figlio buono ama il padre.
Bono filyas amen patra. | I figli buoni amano il padre.
Se l'aggettivo regge un'espressione più ampia, invece, si mette dopo:
o nigro petras | pietre nere
o petras nigro eb inc̄endya | pietre nere per l'incendio
o bello mulya | una donna bella
o mulya bello cue Afrodita | una donna bella come Afrodite
Trattiamo la posizione delle parole più ampiamente nella sezione apposita. [xx inserire collegamento]
Uso rispetto all'italiano
Per le differenze strutturali fra le due lingue, il leuto tende a usare più frequentemente gli aggettivi, mentre l'italiano esprime gli stessi concetti più normalmente con dei complementi:
o studa pri savano plantas | uno studio sulle piante della savana
ewro inflac̄yona e dollaro yua | l'inflazione dell'euro e quella del dollaro
o vino aroma | un aroma di vino
Nel tradurre tra le due lingue bisogna tenere conto di questa differenza d'uso, senza cercare di forzare una lingua sul modello dell'altra.
Aggettivi sostantivati
Vedi il paragrafo sulla radice YU/.
Sostantivi
Struttura generale
Nella sua forma più "basilare", il sostantivo leuto è caratterizzato dalla desinenza -a che si unisce alla radice:
patra padre
ama amore
fayra fuoco
sora sorella
viva vita
catta gatto
In leuto i sostantivi sono caratterizzati da 3 casi e 2 numeri. Le desinenze si costruiscono in modo regolare:
Nominativo
Singolare: -a; plurale: -as
Situativo
Singolare: -u; plurale: -us
Lativo
Singolare: -um; plurale: -ur
Genere
In leuto non esistono i generi grammaticali. Per la maggior parte le parole che indicano persone o animali non hanno un genere intrinseco, e nel concreto potrebbero indicare ugualmente un maschio o una femmina.
huma essere umano
raca ragazzo, ragazza
reḡa regnante, re, regina
amica amico, amica
filya figlio, figlia
catta gatto, gatta
θea divinità, dio, dea
Se si vuole precisare il genere, s'inserisce -asc- per i maschi e -iss- per le femmine.
racasca RAC/ASC/A ragazzo
racissa RAC/ISS/A ragazza
reḡasca REḠ/ASC/A re
reḡissa REḠ/ISS/A regina
Di solito il genere si precisa con -asc- o -iss- solo se è rilevante per il discorso, e non è già chiaro dal contesto o da un’indicazione precedente. Per esempio, se sto presentando un amico di cui è già noto o evidente il genere maschile, dirò semplicemente che è un amica, non un amicasca, perché la precisazione è ridonante:
Hi es o meo amica. | Lui è un mio amico.
Hi es o meo amicasca. | Lui è un mio amico maschio.
Se invece parlo di un amico di cui non è già noto il genere, posso precisarlo, se voglio:
Hodyu venos o meo amica. | Oggi verrà un mio amico [di genere imprecisato].
Hodyu venos o meo amicascam. | Oggi verrà un mio amico [maschio].
Hodyu venos o meo amicissam. | Oggi verrà una mia amica [femmina].
Ci sono, naturalmente, anche parole che hanno già il concetto di mascolinità o femminilità incluso nel proprio significato. Per esempio:
matra madre
baba papà, babbo (informale)
mulya donna (femmina adulta)
sonna figlio maschio
Situativo e lativo
Mettendo un sostantivo nel caso situativo si indica che tale sostantivo è:
il luogo spaziale,
o il momento temporale,
o una circostanza non strettamente spaziotemporale ma immaginata in modo analogo,
in cui o presso cui ci si trova o avviene l'azione.
Le terminazioni del situativo sono -u al singolare e -us al plurale.
Me vivin Romu. | Ho vissuto a Roma.
Mayru tu cenon meo amicas. | Domani conoscerai i miei amici.
Θeas locwen onirus. | Gli dèi parlano nei sogni.
Mettendo un sostantivo al lativo si indica invece che tale sostantivo è:
una destinazione spaziale,
o una destinazione temporale,
o una destinazione non strettamente spaziotemporale ma immaginata in modo analogo,
o anche il destinatario di un'azione, il complemento di termine (funzione dativa).
Le terminazioni del lativo sono -um al singolare e -ur al plurale.
Me vadin Romum. | Andai a Roma.
Me pensen mayrum. | Penso al domani.
Me dirin taa Marcum. | L'ho detto a Marco.
Un sostantivo al situativo o al lativo può essere normalmente accompagnato da un articolo o da un aggettivo:
Me es urbu. | Sono nella città.
Me es o urbu. | Sono in una città.
Me dirin taa o meo amicum. | L'ho detto a un mio amico.
To taen omno deyu. | Lo fa ogni giorno.
E può normalmente reggere altri elementi:
Me es cefurbu de Siriya. | Sono nella capitale della Siria.
Cleopatra vivin deyus de Roma. | Cleopatra visse ai giorni di Roma.
Me leḡin taa o libru por xx. | xx.
xx ec xx. | xx.
Sostantivi e preposizioni
Sia il situativo sia il lativo indicano la circostanza in modo relativamente vago, impreciso. Acwu potrebbe significare 'dentro l'acqua', o 'sulla superficie dell'acqua'; o anche 'presso l'acqua', 'nella zona dell'acqua', non direttamente a contatto col liquido; dato che il situativo può avere anche valore temporale, potrebbe significare anche 'nel momento dell'acqua'. Il significato naturalmente potrà essere chiarito dal contesto.
Il leuto ha comunque modi semplici di esprimere queste indicazioni in modo preciso e diretto, se ce n'è bisogno: tramite preposizioni, similmente all'italiano.
Per dare indicazioni spaziali, temporali e simili, le preposizioni reggono normalmente il nominativo.
Me es sur acwa. | Sono sull'acqua. [Sulla superficie, a contatto]
Me es el acwa. | Sono in acqua.
Me es apud acwa. | Sono vicino all'acqua.
Per altre informazioni sulle preposizioni, vedi la sezione dedicata.
Apostrofo
La terminazione -a del nominativo singolare (solo quella; non -as, -u, -um, ecc.) può essere fatta cadere completamente, non pronunciarsi. Ciò si rappresenta scrivendo un apostrofo alla fine della parola: per esempio, amic', che corrisponde ad amica. L'accento non si sposta, continua a cadere sulla stessa vocale: si legge amìc come amìca.
Questo troncamento è tipico della poesia (di stile tradizionale, classico, oppure popolare), mentre in prosa un uso simile apparirebbe fortemente connotato, appunto come poetico, o più genericamente come letterario, anticheggiante o da proverbio.
Omnyua por se, por omnyuas Θe’. | Ognuno per sé e Dio per tutti.
xx. | xx
Per potersi fare, xx [fonotassi, fare sottopagina]
Il troncamento andrebbe usato con parsimonia, perché, mentre nello scritto non cambia sostanzialmente nulla per la comprensione, nel parlato annacqua la precisione sintattica data dalle desinenze, che è una qualità preziosa del leuto.
La radice YU/
In italiano e in altre lingue, si possono avere «aggettivi sostantivati», ovvero parole che sono originariamente aggettivi ma che vengono usate a tutti gli effetti come sostantivi. Per esempio: Dio fa piovere ugualmente sui giusti e sugl'ingiusti.
In leuto, in certi casi ciò è fatto semplicemente unendo la radice alle terminazioni dei sostantivi. In altri casi questo procedimento non funziona, perché la radice da sola indica un altro concetto, spesso in un senso più astratto, generale:
bona BON/A il bene
mala MAL/A il male
xx xx il bello (ciò che è bello)
In questi casi, se vogliamo indicare invece i 'buoni', i 'malvagi' e i 'belli', dobbiamo inserire la radice YU/.
bonyua BON/YU/A buono (persona buona)
malyua MAL/YU/A malvagio (persona malvagia)
xxyua xx/YU/A bello (persona bella)
YU/ è un elemento d'uso comune, e di significato vago. È una sorta di "segnaposto", che sta per una persona, un animale o in generale una "cosa" di qualsiasi tipo, che è individuata dalla sua caratterizzazione in relazione a qualcos'altro: così un buono (bonyua) è una persona caratterizzata dalla sua relazione col bene (bona), un malvagio (malyua) è caratterizzato dalla sua relazione col male (mala), eccetera.
Suna basyen xxyuas. | Il sole bacia i belli.
Henrica VIII xxin caθolicyuas. | Enrico VIII perseguitò i cattolici.
Per la sua vaghezza, il significato di YU/ nel concreto può oscillare, e naturalmente dipende molto dal contesto. Può formare regolarmente anche parole indipendenti (yua, yuas) e in tale forma ha un buon equivalente nell'italiano quello usato in funzione pronominale.
yalno floras e rubo yuas | i fiori gialli e quelli rossi [= i fiori gialli e i fiori rossi]
O yua corrisponde spesso a uno:
Hi es o yua ast meo gruppa. | È uno del mio gruppo.
Me volet o yalno flora e o rubo yua. | Vorrei un fiore giallo e uno rosso.
Naturalmente, YU/ si può usare anche in parole che non sono sostantivi:
o bono manwas | mani buone
o bonyuo manwas | mani di persona buona
YU/ si usa inoltre per le parole che corrispondono alle nostre nessuno, qualcuno, e simili: vedi sotto. [xx inserire collegamento]
Verbi
Voci verbali
In leuto le voci verbali hanno 3 tempi e 3 modi. Le desinenze si costruiscono in modo regolare:
Indicativo
Presente: -en; passato: -in; futuro: -on
Condizionale
Presente: -et; passato: -it; futuro: -ot
Imperativo
Presente: -es; passato: -is; futuro: -os
A questi si aggiunge l'infinito (-i), che trattiamo poco più avanti.
In leuto esiste una sola forma verbale irregolare (es, presente indicativo di essi 'essere'); ne parliamo in un paragrafo dedicato.
Indicativo
Presente
Il presente dell'indicativo è indicato dalla terminazione -en:
me viden | io vedo
matras viden | le madri vedono
Pawla pensen | Paolo pensa
vu pensen | voi pensate
La desinenza verbale vale in leuto per tutte le persone e i numeri, ma il verbo dev'essere quasi sempre accompagnato dal soggetto (spesso un pronome, come me ‘io’ o tu ‘tu’).
Come il presente italiano, il presente leuto serve per indicare sia cose che stanno effettivamente avvenendo nel presente, sia cose che sono “generali” nel tempo, leggi, ricorrenze, abitudini, anche se non stanno avvenendo nell’istante presente:
Me vaden marum. | Vado al mare. [...E ci sto andando proprio ora.]
Yunyu me sempru vaden marum. | In giugno vado sempre al mare. [Non ci sto necessariamente andando proprio ora; magari non è nemmeno giugno.]
Passato
Il passato è indicato dalla terminazione -in:
me vidin | io vidi / ho visto / vedevo
matras vidin | le madri videro / hanno visto / vedevano
Pawla credin | Paolo credette / ha creduto / credeva
vu pensin | noi pensaste / avete pensato / pensavate
La terminazione -in traduce tutti i tempi italiani che indicano che qualcosa è avvenuto nel passato: l’imperfetto (pensavo), il passato remoto (pensai), il passato prossimo (ho pensato).
Futuro
Il futuro è indicato dalla terminazione -on:
me vidon | io vedrò
matras vidon | le madri vedranno
Pawla locwon | Paolo parlerà
vu esson | voi sarete
Condizionale
Il condizionale del leuto traduce sia il condizionale sia il congiuntivo dell’italiano, rappresentando un'«irrealtà» generale.
Si tu taet, me venet. | Se tu lo facessi, verrei.
Vu potet veni cum me. | Potreste venire con me.
Il condizionale si coniuga regolarmente nei tre tempi; le sue desinenze sono come quelle dell'indicativo, ma con -t al posto di -s: quindi -et (presente), -it (passato), -ot (futuro).
xx condizionale e indicativo
Imperativo
xx i tre tempi
imperativo negativo
xx
Verbo senza soggetto
xx
Infinito
L’infinito (in italiano -are, -ere, -ire, più le forme contratte, trarre, porre, ecc.) è indicato dalla terminazione -i:
essi essere
vidi vedere
ludi giocare
flewci volare
L’infinito in leuto è particolare perché funziona allo stesso tempo come verbo e come sostantivo. Come verbo può reggere un complemento oggetto (come in italiano in fare la spesa, bere del vino); come sostantivo può essere soggetto d’una frase (come in leggere è bello) o complemento oggetto (come in lei ama leggere).
Ridi es bello. | Ridere è bello.
Me volet forvadi. | Vorrei andarmene.
Hi volin ceni vera. | Voleva conoscere la verità.
Gli infiniti possono reggere altri infiniti:
Me volet poti flewci. | Vorrei poter volare.
In italiano, perché un verbo transitivo regga un infinito c’è spesso —non sempre— bisogno d’una particella. In leuto invece di norma no, la costruzione è diretta. Indicando con «∅» il “nulla”:
Socrata cenin ∅ noe ceni. | Socrate sapeva di non sapere.
Me provin ∅ scribi o cwenta. | Ho provato a scrivere un racconto.
Te dec̄idin ∅ redwi xxtuncmayru. | Decisero di tornare l’indomani.
«Participi»
xx
anche gl'infiniti, vedi nella filza
Forme eccezionali
Come dicevamo sopra, in leuto esiste un'unica forma verbale irregolare, l'indicativo presente del verbo essi (ESS/I) 'essere'. A regola, il suo indicativo presente è essen (ESS/EN); a questa forma regolare corrisponde la forma eccezionale sintetica es.
Es e essen hanno lo stesso significato:
Hi es o meo amica. | È un mio amico.
Hi essen o meo amica. | È un mio amico.
La forma sintetica eccezionale è comoda per la sua brevità, rappresentando una parola frequente, soprattutto nel parlato, e quindi è prevalente nell'uso. La forma estesa regolare si può comunque usare sempre: per variazione, per ottenere un ritmo diverso per una frase, per fare una rima, perché ci “suona meglio”, o anche banalmente se le troviamo più facile o la preferiamo perché ci piace la regolarità.
[XX spiega la composizione, non c'entra coll'imperativo, copia dalla filza]
Avverbi
Gli avverbi leuti sono caratterizzati dalla desinenza -e unita alla radice della parola. Gli avverbi rappresentano il 'modo', la 'maniera' in cui qualcosa avviene; sono simili agli avverbi italiani in -mente.
clare chiaramente
utile utilmente
ĉine in modo cinese, "cinesemente"
cane caninamente
Come sempre, però, anche dove ci sia un’alta simmetria generale fra le lingue la traduzione non dev’essere basata solo sulla forma della parola, bensì sul concetto che si esprime. In alcuni casi, i concetti che in italiano esprimiamo con parole in -mente rappresentano più una circostanza (spaziale, temporale, e simili) che un modo, e in leuto si esprimono allora meglio come sostantivi al situativo. Per esempio, raramente («Lo vedo solo raramente»; «Ci parliamo raramente») di solito non significa tanto ‘in [una] maniera [che è] rara’, bensì ‘in circostanze rare’: più che con rare (RAR/E) si esprimerà allora meglio con raru[s] (RAR/U, RAR/US). Simili recentemente, precedentemente, successivamente, eccetera.
Negazione
xx
Pronomi
I pronomi leuti sono simili a quelli a quelli italiani, con solo qualche differenza. Vediamo prima il significato di ognuno, poi osserviamo i caratteri generali del gruppo.
Lista
me | io
tu | tu
hi, he, to | egli (m.); ella (f.); esso, essa, egli, ella (di genere ignoto)
hwa, cay, ni | noi (inclusivo, esclusivo, generico)
vu | voi
te | essi, esse
so | un soggetto generale imprecisato
se | sé
Me, tu, vu e te hanno una corrispondenza generalmente buona cogli equivalenti italiani suscritti; non c'è molto da aggiungere. Vediamo invece gli altri pronomi con le loro particolarità.
HE, HI, TO
He e hi rappresentano una persona, animale o altra entità sessuata, rispettivamente di genere femminile (he) e maschile (hi). To si usa invece per entità senza genere, o persone o animali di genere ignoto o indeterminato. Oggi si può usare per le persone «non binarie», se lo desiderano. Se si parla d'una persona di genere noto, si usa sempre il pronome del genere corrispondente:
Me cenen Marca, hi es o bono amica. | Conosco Marco, [lui] è un buon amico.
Me locwin cum tuo amica, he es vere intelliḡo. | Ho parlato colla tua amica, [lei] è davvero intelligente.
Casi di genere ignoto o indeterminato:
C̄iva es basa de nac̄yona. To haben o raytas e o debas. | Il cittadino è la base della nazione. Egli ha diritti e doveri. [Si parla della figura del «cittadino» in astratto: nel concreto il cittadino come individuo avrà un genere, ma in astratto può essere sia dell'uno sia dell'altro. In italiano in una situazione del genere si usa il maschile inclusivo.]
Alcyua essin hicu. To bibin meo vina. | Qualcuno è stato qui. Ha bevuto il mio vino. [Immaginiamo che sia stato un uomo o una donna, ma non ne conosciamo il genere.]
Dato che in leuto non esiste il genere grammaticale, bisogna ricordare che il genere da indicare con il pronome è il genere reale dell'oggetto; per esempio, l'Italia, la luna o una nave, che per un italofono possono essere istintivamente "femminili", comunque non s'indicheranno con he ma con to; il Colosseo, o il pianeta Marte, che per un italofono possono essere istintivamente "maschili", analogamente s'indicheranno con to e non con hi.
Queste cose potrebbero essere indicate con hi o he in un contesto poetico in cui si vogliano personificare; nel linguaggio comune invece una cosa del genere sarebbe anomala.
HWA, CAY, NI
Per dire 'noi', in leuto ci sono tre pronomi:
hwa esprime un 'noi' inclusivo, che contiene la persona che parla e include l’interlocutore, più eventuali altre persone;
cay esprime un 'noi' esclusivo, che contiene la persona che parla (e almeno un’altra persona), e esclude l’interlocutore;
ni esprime un 'noi' generico e imprecisato, che copre entrambi i significati; come noi in italiano.
Questa triplice possibilità consente al leuto di esprimersi in modo sintetico e preciso. Tuttavia, non è sempre necessario esprimersi con la massima precisione. Se il contesto non richiede una particolare esattezza formale, e il messaggio è comunque intendibile con facilità, si può usare ni anche quando ciò che s'intende potrebbe essere espresso in modo univoco con hwa o cay.
Così, per esempio, il parlante italiano, al quale verrà più spontaneo un 'noi' generico, appunto ni, può usare generalmente questo, limitandosi a usare gli altri due quando senta la necessità di essere preciso.
Viceversa, i parlanti nativi di lingue che usano normalmente la distinzione inclusivo-esclusivo potranno usare generalmente hwa e cay, limitandosi a ni nei casi in cui sentano la necessità di essere vaghi.
Hodyu hwa vaden marum. | Oggi andiamo al mare. [Io e te, più eventuali altre persone.]
Hodyu cay vaden marum. | Oggi andiamo al mare. [Io e altre persone, ma non tu.]
Hodyu ni vaden marum. | Oggi andiamo al mare. [Io e qualcun altro, tu non si sa]
Si confronti la simile tripartizione delle congiunzioni disgiuntive. [xx metti collegamento]
SO
So indica una terza persona (grammaticalmente singolare) indefinita, generale o collettiva. Il corrispondente (semantico, non sintattico) più esatto in italiano è nelle costruzioni con si con soggetto indeterminato:
Ibu so potin nati maru. | In quel luogo si poteva nuotare in mare.
So cwenten cam heroa... | Si narra che l'eroe...
In italiano, a seconda dei contesti, possiamo esprimere questo significato in vari modi. Con la seconda persona singolare:
Secun me, si so criminen so deben pagi. | Secondo me, se compi un crimine devi pagare. [Il «tu» è generico: s'intende che la cosa vale per chiunque in generale, non solo specificamente per il nostro interlocutore.]
Con la terza persona plurale:
So diren cam tu ricces̄in! | Dicono che tu sia diventato ricco! [Non intendiamo un «loro» specifico, un preciso gruppo di persone che dicono questa cosa, ma una diceria generale.]
Con uno come pronome indefinito:
Candu so bone fartas, viva es bellego. | Quando uno sta bene, la vita è meravigliosa. [Non intendiamo un «uno» specifico, cioè una persona singola, ma quasi un «chiunque» generale.]
Con la prima persona singolare:
xx
In questi casi, il leuto usa prevalentemente so.
SE
xx
Caso e numero
xx
Aggettivi possessivi
xx
Forme di cortesia
Per esprimere le forme di cortesia l’italiano usa lei (raramente ella) e talvolta voi; raramente, oggi, forme come i signori, lorsignori, loro al plurale. Le concordanze dei verbi cambiano di conseguenza: ci rivolgiamo a un ‘tu’, ma per dire ‘tu sei’ diciamo lei è o voi siete; ci rivolgiamo a un ‘voi’, ma per dire ‘voi siete’ diciamo i signori sono. Si trovano situazioni più o meno simili anche in altre lingue (per esempio lo spagnolo, con tu o usted o vos, e vosotros o ustedes al plurale).
Il leuto usa invece un sistema più lineare: non cambia le concordanze ma si limita a modificare i pronomi, mettendoci davanti la particella vos-, che marca le forme di cortesia.
Quando il pronome è isolato, la particella VOS/ si scrive legata al pronome con un trattino: vos-tu, vos-vu. Quando invece il pronome è un elemento all'interno di una parola con desinenza, il trattino non si scrive: vostuo, vosvuo, vostuum, eccetera.
Il motivo di questa particolarità grafica è che bisogna rappresentare la composizione e la corretta pronuncia, coll'accento sul pronome (vos-tù, vos-vù). Se scrivessimo VOS/ attaccato al pronome senza trattino, avremmo *vostu e *vosvu, che per le regole del leuto si pronuncerebbero vòstu e vòsvu, e non sarebbero i nostri pronomi bensì sostantivi al situativo, *VOST/U e *VOSV/U. Questo problema non c'è invece nei composti con desinenza, per cui il trattino non è necessario.
Cea vos-tu desiren? | Che cosa desidera? [Lei di cortesia = 'tu']
Nu sayua es vostuo cana? | Quello è il suo cane? [Suo di cortesia = 'tuo']
Vos-vu secwes me, xx. | Seguitemi, per favore. / Lorsignori mi seguano, per favore.
Vosvuo vola es o xx. | La vostra volontà è un ordine. / Il volere di lorsignori è un ordine.
Alla terza persona
xx Dove si voglia esprimere una cortesia particolarmente marcata e formale —per esempio, un cameriere che parli ai clienti in un ristorante di lusso—, VOS/ si può aggiungere anche alla terza persona.
xx
Contesti d'uso di VOS/
L’uso delle forme di cortesia varia tra paesi, culture e lingue. In leuto l’uso normale corrisponde pressappoco a quello italiano odierno, in cui le forme di cortesia esprimono principalmente deferenza e distanza sociale.
Si usa VOS/ per parlare a sconosciuti, soprattutto se più anziani, a rappresentanti dell’autorità, a persone più in alto in una gerarchia, o in generale a persone con cui non si ha familiarità.
Non si usa VOS/ per parlare ad amici, parenti, bambini e ragazzi. Per i parigrado in contesti professionali, l’uso può oscillare. Se il bambino appartiene a un rango sociale più elevato (es.: il principino di una famiglia reale), o comunque ci si trova in situazioni caratterizzate da una certa formalità (es.: un maggiordomo che parli ai bambini della famiglia per cui lavora), VOS/ può essere usato (o addirittura richiesto dal contesto) anche per i bambini.
Sayitta, xx. | Signorino, le ho preparato qualcosa da mangiare.
In certi contesti in cui una persona d'autorità parli a qualcuno di rango inferiore (es.: un re medievale che si rivolge a un suddito), o a qualcuno con cui si trova in una situazione di vicinanza emotiva o spirituale, la persona d'autorità potrebbe non usare VOS/ anche se sta parlando con qualcuno con cui non ha una normale "familiarità". Ci sono naturalmente delle gradazioni: un prete che parla a un fedele in un contesto generico (situazione di relativa vicinanza) potrebbe usare o non usare VOS/, mentre un prete che amministra un sacramento (situazione di grande vicinanza) quasi sicuramente non lo userà.
«xx». «Locwes, me awsculten tu». | «Maestà, grazie per avermi concesso udienza». «Parla, ti ascolto».
Luca, xx | [Un prete nella celebrazione d'un matrimonio] Luca, vuoi accogliere Sara come tua sposa nel Signore, promettendo di esserle fedele sempre...
Ci sono inevitabilmente delle aree grigie più o meno ampie, e in queste saranno la formalità del contesto, le preferenze personali e i vari dettagli del caso a decidere.
Per rivolgersi a Dio nell’uso normale non si usa mai VOS/, perché s’intende che il rapporto con Dio è diretto, personale, intimo (anche in contesti pubblici), e Dio si trova oltre le formalità umane. Ciò è simile all’uso italiano, dove si dà del lei o del voi ai rappresentanti della gerarchia ecclesiastica (o dell'autorità civile, militare, e simili), ma a Dio si dà sempre del tu (Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome…; Signore, ti invochiamo...).
Domina, xx. | Signore, la tua creazione mi riempie d'inesauribile meraviglia.
Le forme di cortesia esprimono appunto cortesia, e riguardo, gentilezza; ma, dato che non si usano con amici e familiari, possono esprimere anche distacco e freddezza. Così, per esempio, un ateo molto avverso al concetto di Dio potrebbe rivolgerglisi ironicamente usando VOS/ per esprimere ostilità, "abbassandolo" al livello delle formalità umane.
xx | Caro Dio, da un onnipotente come lei mi aspettavo di più.
xx
Preposizioni
xx
Lista
xx
AYL
xx
AYN
xx
APUD
xx
AST
xx
AVAN
xx
XX
xx
XX
xx
XX
xx
XX
xx
XX
xx
SIMIL
xx
XX
xx
XX
xx
XX
xx
Interiezioni
xx
Desinenze
Di seguito diamo il riepilogo di tutte le desinenze grammaticali del leuto. Per esteso, in ordine quasi alfabetico:
/ ’ sostantivo, nominativo, singolare (con troncamento)
/A sostantivo, nominativo, singolare
/AS sostantivo, nominativo, plurale
/E avverbio, nominativo
/EN verbo, indicativo, presente
/ET verbo, condizionale, presente
/ES verbo, imperativo, presente
/I verbo, infinito, nominativo
/IN verbo, indicativo, passato
/IT verbo, condizionale, passato
/IS verbo, imperativo, passato
/O aggettivo
/ON verbo, indicativo, futuro
/OT verbo, condizionale, futuro
/OS verbo, imperativo, futuro
/U sostantivo, situativo, singolare
/US sostantivo, situativo, plurale
/UM sostantivo, lativo, singolare
/UR sostantivo, lativo, plurale
Interrogazione, relazione, dimostrazione
xx
xx
Cein vu? | Che facevate?
Numeri, matematica e dintorni
xx
Comparativi e superlativi
xx
Sintassi della frase
xx
Formazione delle parole
Differenze fra italiano e leuto
xx
Ci sono comunque, naturalmente, parecchi casi in cui le parole risultano formate similmente in entrambe le lingue:
heceθo = HEC/EΘ/O | centesimo = cent[o] + -esimo
bellego = BELL/EG/O | bellissimo = bell[o] + -issimo
vere = VER/E | veramente = vera + -mente
Ma bisogna avere ben chiaro che si tratta d’una coincidenza “esteriore”, e minoritaria: non è il segno che “la composizione funziona allo stesso modo nelle due lingue”.
Ordine della composizione
In italiano, nell’esprimere un concetto in forma estesa, si tende naturalmente a seguire un ordine specificato-specificatore, dove lo «specificato» è l’elemento portante, la base del concetto, mentre lo «specificatore» è una qualche aggiunta che viene fatta per definirne il significato in modo più preciso: il cane del vicino (il cane = specificato; del vicino = specificatore), una città fantasma (una città = specificato; fantasma = specificatore), i pesci spada (i pesci = specificato; spada = specificatore), la luna piena (la luna = specificato; piena = specificatore). Talvolta l’ordine può essere invertito, e in tal caso di solito esprime sfumature lievemente diverse: brava persona (brava = specificatore; persona = specificato), ottima idea (ottima = specificatore; idea = specificato). Sul discorso si potrebbe approfondire.
Nelle parole composte, entrambi gli ordini sono possibili, anche per esprimere all’incirca lo stesso concetto (per es., fil- e -ofilo); in particolare, l’ordine specificatore-specificato è frequente nei composti neoclassici (che siano o no trasparenti in italiano). Un po’ d’esempi d’entrambi i tipi, usando i numeri per distinguere i due elementi:
¹specificato-²specificatore: ¹pelle²rossa (= [chi ha la] ¹pelle / ²rossa), ¹cassa²forte (= ¹cassa / ²forte), ¹capo²stazione (= ¹capo / ²della stazione), ¹pre²colombiano (= ¹precedente / ²a Colombo), ¹anti²furto (= ¹che impedisce / ²il furto), ¹bacia²pile (= ¹baciatore / ²di pile), ¹porta²lettere (= ¹portatore / ²di lettere), ¹ultra²terreno (= ¹che è oltre / ²il mondo terreno), ¹filo²russo (= ¹simpatizzante / ²dei russi);
²specificatore-¹specificato: ²sor¹volare (= ¹volare / ²sopra), ²onni¹potente (= ¹che può / ²tutto), ²mal¹trattare (= ¹trattare / ²male), ²etero¹diretto (= ¹diretto / ²da altri), ²pre¹vedere (= ¹vedere / ²prima), ²aracn¹ofobia (= ¹fobia / ²dei ragni), ²music¹ofilo (= ¹appassionato / ²di musica); ²carn¹ivoro (= ¹che mangia / ²carne);
In certi casi l’ordine è ambiguo, nel senso che potrebbe essere interpretato un po’ in entrambi i modi. Li vedremo fra poco.
Nei composti, il leuto segue invece sempre lo stesso ordine, del tipo specificatore-specificato. Ciò significa che a volte l’ordine è lo stesso dei composti equivalenti in italiano (2-1):
oleducta OLE/DUCT/A oleodotto
omnavidento OMN/A/VID/ENT/O onniveggente
plurhumc̄ida PLUR/HUM/C̄ID/A pluriomicidio
mentre in altri casi l’ordine delle due lingue è opposto (leuto 2-1 ~ italiano 1-2):
xx
lunc̄iso LUN/C̄IS/O cislunare
xx
In certi casi un concetto può essere espresso secondo entrambi gli ordini, e si tratta allora di capire che cosa intendiamo di preciso. Per esempio, per esprimere il concetto di ‘subumano’ (come sostantivo), potremmo intendere un essere umano ma d’un tipo inferiore, e allora diremo subhuma (SUB/HUM/A), oppure proprio qualcuno che sta al di sotto di ciò che è «umano», e allora diremo humsubyua (HUM/SUB/YU/A).
In qualche caso entrambi gli ordini sono sensati, ma uno appare più preciso, più calzante dell’altro. Per esempio, per dire ‘Anticristo’ potremmo dire sia qristconteryua (QRIST/CONTER/YU/A ‘colui che si oppone a Cristo’) sia conterqrista (CONTER/QRIST/A ‘il Cristo contrario’); ma la particolarità, il carattere peculiare di tale figura non è tanto l’opporsi a Cristo, che è una cosa piuttosto generica (san Paolo prima della conversione era sicuramente uno qristconteryua, ma certo non l’«Anticristo» in senso letterale), quanto il fatto di essere proprio una figura cristica ribaltata: quindi conterqrista meglio di qristconteryua. Similmente, per ‘antipapa’, sicuramente meglio conterpapa che papconteryua, che descriverà meglio il generico oppositore del papa.
In altri casi i concetti che si appaiano sono tra di loro in una relazione non si subordinazione ma di pura coordinazione, xx
xx per cui l’ordine scelto xx
Desinenze in posizione non finale
xx
Dettagli vari
xx
Radici nuove
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