BESTIARIO è un progetto con Sara Antonacci, disegnatrice e fumettista, per una edizione italiana del libro di Apollinaire Le Bestiaire ou cortège d'Orphée, uscito nel 1911 con le illustrazioni di Raoul Dufy. 8 tavole (su 30) sono state pubblicate sulla rivista luganese Cenobio (2022, vol. 3, pg. 66 - 73). L'edizione completa è uscita nel 2024 per Lorusso Editore.
IL BESTIARIO O IL CORTEGGIO DI ORFEO
Pulci, amici, amanti, insetti, microbi, leoni, uccelli, gatti che passeggiano tra i libri, insieme con Orfeo, Ermete, Gesù, e ancora il Vello d’oro, le sirene, i delfini e anche un bue che canta le lodi a Dio. La poesia di Apollinaire straripa di vita, non fa distinzioni tra cultura e natura, incarna il suo animo irrequieto e passionale, il suo odio per i poeti tristi (Mallarmé in primis, ma anche Baudelaire così innamorato della malattia). Preferisce Jules Laforgue e il dimenticato Leconte de Lisle da cui prende in prestito la “mort pourpre” da Le coeur de Hialmar (patetico poemetto dove un soldato ferito a morte chiede a un corvo di strappargli il cuore e di portarlo all’amata…)
Dell’esordio poetico di Guillaume Apollinaire poco si parla, si citano sempre le due raccolte successive, Alcools e i Calligrammes definiti (anche a ragione) capolavori, ma il Bestiario non è inferiore, anche se ha l’irruenza di chi per la prima volta si affaccia a una nuova arte dopo avervi per troppi anni meditato. Ma Apollinaire nasce poeta fatto, perfetto, e di questo ne è cosciente, Mes vers, les parangons de toute poésie.
Il libro esce nel 1911, il poeta ha 30 anni [1] e confessa di sentirsi minacciato dal tempo che passa, non ha ancora lasciato nulla di notevole, di memorabile e ha fretta. È nato a Roma il 25 agosto del 1880, figlio naturale di Francesco Flugi d’Aspermont, un ufficiale svizzero che non lo riconobbe mai, e di Angelika de Wąż-Kostrowicky, una nobildonna polacca. Si trasferisce con la madre in Francia giovanissimo. Ha una adolescenza instabile e disordinata, trascorsa tra vaste letture e numerosi viaggi e studi non regolari. Conosce e frequenta artisti d’avanguardia a Parigi, tra i quali Ungaretti e Max Jakob, e Pablo Picasso. Partecipa alle discussioni sul cubismo in gestazione. La sua vivace intelligenza non poteva trovare compagni migliori, era nel posto giusto (Parigi) nel momento giusto. Einstein aveva già sovvertito le leggi della fisica, Bergson parlava di spirito vitale ed evoluzione creatrice, la gente accorreva a vedere i primi aerei. Da lì a pochissimi anni l’Europa sarebbe entrata in guerra, gli amici rivoluzionari si sarebbero trovati su opposti fronti, e presto perduti. Lui rimediò una brutta ferita alla tempia che gli costò un difficile intervento. Né usci, sposò la sua amata Jacqueline nel maggio del 1918 e l’8 di novembre dello stesso anno un giovane Giuseppe Ungaretti arrivato di corsa a casa dell’amico per annunciare la vittoria dell’Intesa, lo trovò morto con la moglie disperata al capezzale - la Spagnola. Una breve vita in cui c’erano state tante vite, persino un arresto per il sospetto di aver rubato lui la Gioconda (mentre fu il nostro Vincenzo Peruggia colto da sentimenti patriottici).
Troppi elementi, fatti, nomi, riferimenti in questo poema in 30 brevi poesie, o lasse, dicevamo, ma che tiene unito l’insieme è la grazia, il suo essere poesia pura, non dichiarazione, non discorso, ma sovrano equilibrio, leggerezza, intuizione, analogia. Tanto si potrebbe trovare, e tanto è stato trovato, alcune citazioni sono veramente criptiche, messe per tentare gli esegeti che banalmente abboccano. Vi è persino chi trova riferimento ai poeti in guerra, dimenticando l’anno di uscita del libro. C’è la fredda accoglienza della critica che non ha saputo cogliere l’estrema novità delle misteriose poesie orfiche, che tanto si distaccavano dal simbolismo imperante, dal futurismo di Marinetti, dal naturalismo, dalle stanche propaggini tardoromantiche. Per Solmi fu: «Un avventuroso annotatore lirico, dalle curiosità erudito-estravaganti…» e non meglio seppero dire Carlo Bo e Benedetto Croce, entrambi diffidenti e ciechi nel non vedervi uno dei fondatori della poesia europea moderna; lui, Garcìa Lorca, Anna Achmatova e pochissimi altri.
Ho voluto tradurre questa grazia, ho cercato. La mia è chiaramente un’ombra, ma è la leggerezza che ho inseguito, senza discostarmi troppo dalla lettera e senza essere pedissequo. Ho letto tutte le traduzioni italiane precedenti alla mia (non sono molte) trovandole a volte troppo rigide o troppo falsificate. Non dico che la mia sia migliore, il traduttore è un traditore, e interpreta a suo giudizio; scrive sempre per sé chi scrive. Nel mio lavoro sono stato aiutato dai luminosi disegni di Sara Antonacci che si è dovuta confrontare con quelli del libro originale, le splendide xilografie di Dufy [2], così conosciute e quindi ardue da avvicinare. Partendo dalla bidimensionalità e dalla texture della stampa su legno, si è oniricamente lanciata verso il teatro di ombre giapponese lasciandosi trasportare da ciò che il testo le ispirava. Il risultato le ha dato ragione: fin dalle prime tavole ha raccolto consensi nel giro di amici a cui li mostravamo, fino ad arrivare alla pubblicazione su Cenobio, storica rivista letteraria svizzera.
[1] La gestazione del libro è stata però lunga e laboriosa. 18 poesie erano già uscite il 15 giugno 1908 su La Phalange. Nella poesia La souris il poeta dice di avere 28 anni, la Maria di La colombe è Marie Laurencin, pittrice e modella, compagna di Apollinaire fino al 1914.
[2] In prima istanza il disegnatore doveva essere Picasso che poi non portò avanti la cosa. Per Apollinaire era fondamentale che il testo fosse accompagnato da dei disegni e valutò pure di illustrare lui stesso le poesie.